COSA SI NASCONDE DIETRO UNA GOFFAGGINE, UN PROBLEMA DI COMPORTAMENTO E UN PROBLEMA DI LINGUAGGIO DI UN BAMBINO⁉️
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Iniziamo con una constatazione neurofisiologica e neurobiologica fondamentale: il cervello del bambino è plastico, come diceva la famosa Montessori. Che cosa significa questo? Che il suo cervello in formazione è come una spugna, ovvero assorbe tutto ciò che raccoglie attraverso i sensi, i nostri primi canalizzatori- vista, udito, tatto, gusto, olfatto- sia in positivo che in negativo.
La differenza tra il cervello adulto e quello infantile è che il bambino nasce con uno staff di neuroni al completo ma questi neuroni non comunicano tra loro; solo successivamente impareranno a farlo (quando il piccolo compie esperienze sensoriali e motorie) attraverso le sinapsi, che sono collegamenti tramite i quali i neuroni si scambiano le informazioni determinando il costante processo di adattamento all’ambiente circostante.
Grazie alle sinapsi e alle interconnessioni di una quantità immensa di informazioni che rendono possibili, la mente riesce a svolgere tutte le sue funzioni cognitive.
Questa premessa serve per farvi capire come “immergere” il neonato, già dai primi mesi di vita, in un ambiente altamente stimolante a livello “uditivo” sia molto positivo, un ambiente fatto prima di toni di voce pacati e rilassanti all’occorrenza, poi di parole, e ancora dopo di frasi chiave per esprimere un bisogno o un desiderio, fino al discorso lineare e sintatticamente strutturato. In questo modo ecco che entra in gioco quella che pare una timida ma intrigante “magia” rappresentata dal fatto che, grazie alla neuroplasticità cerebrale, si formerà lo schema linguistico che sarà proprio di quel bambino vissuto in quel dato ambiente.
Il bambino già a partire dai 6 mesi comprende il linguaggio dell’adulto, fatto di gesti, sguardi, suoni dolci, espressioni: questo significa che la sua comprensione avviene molto prima della produzione del linguaggio.
Dai 6 mesi o poco dopo, inoltre, compare la “lallazione”, una serie interminabile di sillabe ripetute (bababababa, lalalalalala) che costituisce la prima forma di comunicazione: il bimbo si sente corrisposto quando ripete queste sillabe e per la prima volta “dialoga” con qualcuno, anche se a suo modo.
Sebbene esista una notevole variabilità inter-individuale nello sviluppo del linguaggio, ovvero ogni fanciullo sviluppa il suo linguaggio in tempi e in modi differenti, si possono individuare delle tappe fisiologiche all’interno delle quali ciascun bambino dovrebbe rientrare.
Di norma, l’età di comparsa delle prime parole si colloca tra gli 11 e i 13 mesi; successivamente possiamo distinguere due fasi principali: la prima fase é intorno ai 12-16 mesi, caratterizzata da un vocabolario di circa 50 parole. La seconda fase è verso i 17-24 mesi, in cui sviluppa un vocabolario di circa 100 parole fino a comporre vere e proprie frasi con due o più parole verso i 30 mesi (es. “Mamma pappa”).
Le prime parole riguardano le sue necessità primarie: “pappa, nanna, ciuccio”; successivamente comincerà a pronunciare anche “mamma, papà, nonna”, in particolare quando il fanciullo si accorge che, chiamandoli per nome, i propri caregiver si girano e rispondono alle sue richieste. In poco tempo emerge la cosiddetta “esplosione del vocabolario”, in cui ogni oggetto viene etichettato correttamente, soprattutto perché il bebè è entusiasta di “comunicare”!
7 CONSIGLI PRATICI PER LO SVILUPPO LINGUISTICO
È scientificamente dimostrato come i genitori e le figure primarie che ruotano attorno al bambino giochino un ruolo fondamentale nell’adottare una serie di sani accorgimenti e nel sostenere il bambino al meglio verso un corretto sviluppo comunicativo, linguistico e cognitivo dal momento che, come abbiamo accennato, il linguaggio è un’abilità che si assorbe e si apprende dall’ambiente circostante.
1. GUARDARE IL BAMBINO NEGLI OCCHI QUANDO SI PARLA: anche se il sistema visivo non è completamente maturo alla nascita, si osserva che i bambini di soli due giorni di vita sono maggiormente attratti verso i volti che li guardano. Dunque è importante guardare il piccolo negli occhi quando giochiamo con lui, quando mangia, quando dice le prime paroline o quando gli parliamo (in modo che possa anche osservare i nostri movimenti oro-bucco-facciali, fondamentali per l’articolazione dei suoni).
2. PARLARE IN MANIERA CHIARA, SEMPLICE MA CORRETTA
I genitori devono sempre parlare al bambino utilizzando una terminologia corretta e senza distorcere le parole, a partire dalle prime settimane di vita: anche se il neonato non comprende il significato dei suoni che sente pronunciare, pian piano tali suoni verranno inconsapevolmente interiorizzati e “fatti propri” per produrre in futuro prima le sillabe e poi le parole. Utilizzare pertanto un linguaggio lineare, a ritmo costante (né troppo lento né troppo rapido) e fatto di frasi brevi che descrivano passo dopo passo ciò che fa il bambino, che vede o che sente/prova.
3. FAVORIRE L’USO DEI GESTI: prima di parlare, il bambino piccolo indica per comunicarci ciò che desidera, utilizzando quella che viene chiamata “comunicazione gestuale”. I gesti sono dei precursori del linguaggio, servono per pensare e per parlare: vi è quindi una correlazione diretta tra azioni, gesti e produzione linguistica.
4. FAVORIRE LA LETTURA: la lettura condivisa è una delle attività più semplici e preziose che possiamo fare per sostenere l’evoluzione linguistica, comunicativa e cognitiva. Ascoltare una storia, già a partire dai 6 mesi di vita, stimola la comprensione verbale e permette di apprendere le prime parole naturalmente, in modo che quando sarà pronto, il bambino potrà pronunciarle. Il suo cervello è come una spugna quindi, anche parole che leggiamo e che pensiamo possano essere per lui difficili, è bene spiegarle cercando di utilizzarle anche nel quotidiano.
5. FAVORIRE LA CONDIVISIONE DI ESPERIENZE: stimolare il linguaggio anche attraverso le opportunità di relazione e di socializzazione, ad esempio possiamo portare il bambino al parco giochi, all’asilo o allo zoo, creando opportunità per apprendere altri vocaboli e per condividere esperienze ed emozioni nuove. Ad esempio, al rientro dall’asilo, chiediamo al bambino cosa ha fatto a scuola, se ha condiviso qualche gioco con gli amichetti, se ha giocato da solo e cerchiamo di fargli esprimere anche le proprie emozioni (gioia, tristezza, divertimento, paura, rabbia, sorpresa, ecc).
6. EVITARE DI SOSTITUIRCI AL BAMBINO: molto spesso facciamo il grave errore di sapere quello di cui il piccolo ha bisogno. Così facendo non diamo a lui né il modo né il tempo di comunicare e di sviluppare adeguatamente le proprie abilità comunicativo-linguistiche.
7. ESPANDERE LE FRASI ED EVITARE DOMANDE CHIUSE:
anziché interrompere e correggere il bambino mentre parla, aspettiamo che finisca la frase e, senza mai dirgli che ha sbagliato, forniamogli il modello corretto e la giusta intonazione. Ad esempio, se dice: “ciuccio sporco”, possiamo ampliare la frase dicendo: “si, il tuo ciuccio è caduto a terra e ora è sporco!”. Inoltre sarebbe consigliabile evitare le domande chiuse che limitano lo sviluppo del linguaggio, bensì incitare quelle aperte in modo che il bimbo possa parlare il più possibile e sforzarsi nel ricercare e produrre paroline. Quindi, non dobbiamo dire ad esempio “vuoi la carne?” ma “cosa vogliamo mangiare di buono a pranzo?”, e soprattutto non dobbiamo mettere fretta al bambino ma dargli qualche secondo per elaborare la domanda e fornire una risposta (se questa risposta non ci sarà, riformuleremo di nuovo la domanda in modo più semplice o con altre parole, assicurandoci che il piccolo ci stia ascoltando e soprattutto guardando negli occhi!).
(Articolo a cura della Dott.ssa Francesca Tabellione, tnpee- docente presso enti accreditati, specializzata in neuropedagogia dei processi cognitivi e psicomotricità neurofunzionale, terapista itard)