Sono state fornite diverse definizioni riguardo a questo complesso sistema cognitivo e la difficoltà che si incontra nel definirle deriva dal fatto che il termine non si riferisce ad un singolo concetto, ma ad un insieme di sottoprocessi necessari per svolgere un determinato compito:
le FE vengono definite come una serie di abilità che permettono alle persone di creare obiettivi, conservarli in memoria, controllare le azioni, prevedere gli ostacoli al raggiungimento degli obiettivi (Stuss, 1992)
sono considerate capacità che consentono alla persona la messa in atto con successo di comportamenti indipendenti, intenzionali e utili (Lezak, 1993)
sono indispensabili per un’attività intenzionale e finalizzata al raggiungimento di obiettivi (Anderson, 1998)
sono funzioni cognitive di ordine superiore che rendono capaci di formulare obiettivi e piani, ricordare tali piani nel corso del tempo, scegliere e iniziare azioni che ci permettano di raggiungere quegli obiettivi, monitorare il comportamento e aggiustarlo in modo da giungere a tali obiettivi (Aron, 2008).
Le Funzioni Esecutive rappresentano processi complessi di ideazione, attivazione, controllo, coordinazione dell’agire umano intenzionale e del funzionamento del sistema cognitivo. Il termine Funzioni Esecutive (FE) viene utilizzato per indicare funzioni corticali e sottocorticali superiori deputate al controllo, alla pianificazione e al monitoraggio del comportamento. Rappresentano un set di abilità mentali che agiscono come il centro di comando del cervello, indispensabili per affrontare situazioni nuove e complesse, per controllare e regolare sia il proprio comportamento in un determinato contesto sia altre attività cognitive.
La struttura al centro delle Funzioni Esecutive, a cominciare dalla memoria di lavoro, è riconducibile alla corteccia frontale, la quale ha rapporti con le altre aree corticali e sottocorticali. Una definizione operativa delle FE si riferisce a tutto ciò che costituisce ed è incluso nelle abilità finalizzate a conseguire uno scopo. Queste abilità possono essere oggetto di valutazione e riabilitazione e sono modificabili con l’esercizio e l’apprendimento (Diamond, 2016).
Le FE operano in modalità top down: un approccio dall’alto verso il basso che scompone un processo generale fino alle sue componenti elementari. L’approccio top down parte dall’obiettivo e, da esso, fa scaturire la strategia adatta a determinare l’obiettivo stesso e quindi le risorse necessarie per raggiungerlo; precisa le risorse disponibili e identifica quelle mancanti proponendole successivamente come sottobiettivi. Grazie al loro buon funzionamento, noi possiamo:
programmare un’azione o un comportamento intenzionale (volontà di dare inizio alle azioni)
formulare un piano di azione che risponda ad un particolare scopo, dunque delineare una gerarchia delle azioni rilevanti e irrilevanti e stabilire degli obiettivi
delineare strategie nuove ed efficaci per la risoluzione di un problema (problem solving)
monitorare l’esecuzione di un compito ed eventualmente correggere il risultato o apportare modifiche nell’ambiente
attivare la memoria di lavoro per il mantenimento e la rielaborazione delle informazioni (updating) e spostare e sostenere nel tempo l’attenzione durante lo svolgimento di un compito (shifting o flessibilità cognitiva)
garantire la sequenzialità temporale di eventi ed azioni motorie e l’adattabilità delle azioni nei diversi contesti o ambienti
coordinare l’esecuzione simultanea di più funzioni (sinestesie), ovvero svolgere più compiti in parallelo
inibire reazioni impulsive attraverso i processi di self monitoring, ovvero processi di autoregolazione/autocontrollo del proprio comportamento
sviluppare l’attenzione esecutiva che, con le sue funzioni, autoregola il comportamento contrastando le fonti di distrazioni interne ed esterne, nonché i pensieri fuorvianti sia di tipo cognitivo che emotivo. Essa esprime stati attentivi concentrati e sostenuti col mantenimento in memoria di lavoro degli obiettivi e sotto obiettivi dei processi in atto. E’ implicata nella coordinazione di sequenze, nella formazione degli apprendimenti complessi e delle diverse raffinate abilità eseguite dall’uomo (Engle, 2004).
Tali funzioni consentono dunque di manipolare mentalmente le idee, di adattarci rapidamente e in modo flessibile alle circostanze in continuo cambiamento, di ragionare, di selezionare e monitorare efficacemente comportamenti che facilitano il raggiungimento degli obiettivi scelti, di rimanere concentrati e affrontare nuove sfide. Permettono inoltre di prendere delle decisioni ed esercitare il controllo su ciò che facciamo (Diamond, 2013).
Sono quindi Funzioni Esecutive:
INIBIZIONE: capacità di focalizzare l’attenzione su dati rilevanti ignorando i distrattori ed inibendo le risposte motorie ed emotive non adeguate o impulsive rispetto agli stimoli
FLESSIBILITA’: capacità di passare da un set di stimoli ad un altro in base alle informazioni provenienti dal contesto
PIANIFICAZIONE: capacità di formulare un piano generale ed organizzare le azioni in una sequenza gerarchica delle mete
MEMORIA DI LAVORO: capacità di attivare e mantenere attivo a livello mentale il piano e l’area di lavoro, di avere un set di riferimento mentale sul quale operare mentalmente
ATTENZIONE: attenzione selettiva, capacità attentiva su più stimoli contemporaneamente e attenzione prolungata sul compito per un sufficiente periodo di tempo
FLUENZA: capacità di pensiero divergente e abilità di generare soluzioni nuove e diverse rispetto ad un problema.
Data la sua multicomponenzialità, spesso l’espressione «Funzioni Esecutive» viene utilizzata come «termine ombrello» per indicare capacità cognitive diverse necessarie per comportarsi in modo flessibile e adattivo in situazioni nuove. Per esempio, decidere di afferrare un oggetto al volo, la cui direzione cambia in maniera imprevedibile, richiede un aggiornamento della pianificazione sensori motoria ed è un’azione complessa che coinvolge diverse funzioni.
Diverse ricerche hanno dimostrato che le Funzioni Esecutive cominciano ad emergere intorno al 7° mese di vita, quando il lattante inizia ad assumere il controllo di alcune semplici azioni. Tale capacità dipende dalla progressiva maturazione di un’area, la corteccia cingolata, situata nella parte interna dei due emisferi cerebrali. L’efficienza di queste aree corticali aumenta man mano che con la crescita diminuisce l’attività dei neuroni che si scambiano informazioni grazie a un mediatore nervoso, la dopamina. Infatti, nei bambini piccoli, di circa un anno e mezzo di età, in cui si verifica in anticipo una riduzione dell’attività della dopamina, i livelli di attenzione sono migliori, il che comporta una maggiore selettività delle interazioni con gli adulti.ù L’evoluzione delle FE è sia quantitativa e graduale, soprattutto nei primi anni, che qualitativa, in epoche di vita successive, in funzione di una migliore organizzazione cerebrale e di una migliore efficienza delle correlate risposte neuronali (Luna, 2006). Oggi l’età prescolare è considerata come l’età di maggior sviluppo delle FE (Anderson, Reidy, 2012):
dai 0 ai 5 anni è considerato il periodo critico per quanto concerne il ritmo di sviluppo delle stesse, nonostante vi sia un’elevata variabilità interindividuale nella comparsa e nel consolidamento delle diverse componenti
durante gli anni prescolari lo sviluppo dell’inibizione sembra essere più rapido ed efficace in termini sia di corretta esecuzione dei compiti, sia di velocità di elaborazione (Carlson, Zelazo, 2013; Diamond, 2014) la working memory e la flessibilità mostrano invece un incremento più graduale e lineare (Best, Miller, 2010): emergono e cominciano a consolidarsi la capacità di mantenere e manipolare dati in memoria (Espy, Bull, 2005) e l’abilità di spostarsi velocemente da un set mentale ad un altro (Zelazo, 2001)
si osservano miglioramenti nell’autonomia, nella capacità di regolazione e nella capacità di rimandare le gratificazioni, dati che sono stati confermati da studi i quali hanno rilevato, a partire dai 4/5 anni, l’attivazione delle aree della corteccia prefrontale durante lo svolgimento di compiti di controllo inibitorio, working memory e switching (Wolfe, Bell et all. 2004)
nei primi 6 anni di vita, le FE vengono svolte in modo esterno, infatti capita spesso che i bambini durante un’attività parlino tra sé e sé e ripetano ad alta voce i passaggi da eseguire, per sviluppare gradualmente la memoria di lavoro e trasformarla da verbale a non verbale.
Dopo i 6 anni, quindi dal periodo scolare in poi, le FE vengono interiorizzate, i bambini operano in maniera silenziosa, riflettono, si auto-interrogano e costruiscono dei veri e proprio sistemi mentali, indispensabili per portare a termine un obiettivo senza il bisogno di memorizzare e ripetere ogni volta i pattern di azioni necessari per il raggiungimento.
Le Funzioni Esecutive si consolidano nell’adolescenza, raggiungendo un funzionamento superiore e una completa maturazione tra i 20 e i 29 anni, quando gli adolescenti diventano capaci di padroneggiare la loro flessibilità mentale per adattarsi a nuovi compiti e mettono in atto comportamenti finalizzati, andando incontro ad una progressiva involuzione verso i 65 anni, che avviene in maniera lenta e graduale.
E’ importante inoltre sottolineare il peso che le FE hanno sulle competenze sociali, emotive e scolastiche. Riguardo a queste ultime, esse sono responsabili dei processi di generazione di piani di lavoro, auto-monitoraggio, updating di dati e informazioni, formulazione e implementazione di strategie (Best, Miller, Naglieri, 2011). Le FE infatti, indipendentemente dal QI, influenzano l’acquisizione di capacità di ragionamento, capacità matematiche e di comprensione del testo in età scolare (Razza, 2007; Bull, Scerif, 2001; Mammarella, 2010). In particolare, si tratta di abilità fondamentali del sistema esecutivo che sono necessarie per il successo in tutti quei compiti scolastici non automatici quali, ad esempio, l’elaborazione critica di un testo e il recupero di fatti numerici. Inoltre, un adeguato controllo inibitorio in età precoce permette di sviluppare sia buone competenze sociali sia abilità di Teoria della Mente in età scolare, mentre uno scarso controllo inibitorio si associa a comportamenti aggressivi o antisociali (Carlson, 2005).
E’ possibile potenziare le FE in ambito scolastico
I risultati di diversi studi indicano che questo obiettivo può essere raggiunto attraverso diverse strategie: ad esempio, si può invitare gli alunni a battere i piedi prima di iniziare la lezione o a saltellare sul posto per innalzare l’attività elettrica corticale e per aumentare il livello di arousal. Si è visto infatti che nei bambini che presentano deficit di attenzione la pratica di esercizi basati sul controllo motorio aumenta notevolmente la loro capacità di concentrazione. Anche l’esecuzione di brani musicali, possibile nei bambini più piccoli grazie a strumenti improvvisati e a vocalizzazioni, migliora le funzioni cognitive, in quanto viene accelerata la maturazione della corteccia cingolata, oltre al fatto che l’esecuzione musicale di gruppo agisce anche sulla coesione e maturazione sociale.
Le Funzioni Esecutive rivestono un ruolo significativo per il raggiungimento di adeguati livelli di salute mentale e fisica e quindi per una migliore qualità della vita, dalle età più precoci fino alla tarda età. Alcuni studi hanno dimostrato che gli adulti con una migliore qualità di vita e stato di salute, condizioni di lavoro, condotte sociali, erano quei bambini che, 32 anni prima, avevano mostrato livelli più elevati di controllo inibitorio, una delle principali funzioni esecutive che si manifesta con livelli di maggiore persistenza e attenzione e minore impulsività.
Ad esempio, bambini che a 6 anni mostrano migliori capacità inibitorie, due anni dopo presentano migliori competenze sociali e di controllo del proprio comportamento in risposta alle richieste ambientali (Nigg et all., 1998). I bambini tra i 3 e gli 11 anni invece con maggiore impulsività, disattenzione e ridotto autocontrollo tendono ad avere in età adulta maggiori problemi di salute, a essere meno produttivi, a compiere maggiori crimini rispetto ai bambini che hanno un migliore autocontrollo (Moffitt, 2001).
Secondo Diamond (2013), il ruolo positivo delle Funzioni Esecutive riveste molteplici ambiti:
rispetto alla salute mentale, un inadeguato sviluppo delle FE sembra essere coinvolto in forme patologiche di dipendenza, nell’ADHD, nei disturbi del comportamento, nell’alterazione del tono dell’umore, nel disturbo ossessivo compulsivo, nella schizofrenia;
rispetto alla salute fisica, FE deficitarie sono associate ad obesità, disturbi alimentari, abuso di sostanze.
Un bambino che possiede adeguate FE, avrà un buono sviluppo prassico motorio, affettivo, emotivo relazionale alla fine della scuola dell’infanzia, un buon successo scolastico negli apprendimenti (lettura scrittura calcolo), fino a raggiungere un ottimo successo professionale in termini di impiego e produttività, e a instaurare relazioni interpersonali soddisfacenti.
Pertanto, lo sviluppo delle FE copre l’infanzia e potenzialmente l’intero arco di vita ed è intrinsecamente legato ai cambiamenti a carico delle strutture cerebrali corticali e sottocorticali che si suppone fungano da substrato neurale di tali abilità. Le varie componenti si sviluppano in modo gerarchico nel bambino: le prime abilità a comparire sarebbero quelle fondamentali, ad es. il controllo attentivo e la working memory, seguite da quelle più complesse e multifattoriali (Senn, 2004; Smidts, 2001) quali l’inibizione e la capacità di passare da uno stimolo/compito ad un altro (shifting attentivo).
Un punto fondamentale riguarda il fatto che abilità a sviluppo successivo si baserebbero comunque su abilità acquisite in precedenza. Pertanto, difficoltà nello sviluppo di abilità precoci (ad esempio, nell’attenzione sostenuta) potrebbero avere ripercussioni significative sullo sviluppo di abilità successive, come quelle di memoria di lavoro, di inibire stimoli interferenti o di passare in modo flessibile da un compito ad un altro.
L’importanza delle FE negli apprendimenti e nell’autoregolazione supporta la necessità di trovare delle strategie per modificare, grazie a interventi di potenziamento, lo sviluppo delle FE. Ciò è utile a sostenere lo sviluppo delle abilità strumentali e di autoregolazione in età precoce, specialmente nei bambini nati pretermine, nei bambini con probabile disturbo del neurosviluppo o con basso status socio economico, i quali risultano essere già in ritardo nelle capacità prescolastiche o manifestare difficoltà di autocontrollo (Marzocchi, 2017).
Da una prospettiva clinica, come già accennato, un adeguato sviluppo delle FE in età precoce è un fattore preventivo che evita l’insorgere di alcuni Disturbi dello Sviluppo a esordio precoce.
Studi clinici hanno infatti individuato un generale deficit soprattutto dell’attenzione e dell’abilità inibitoria sia cognitiva che comportamentale, che influenzano la capacità di pianificare e la flessibilità cognitiva, con caratteristiche e modalità di insorgenza differenti, nel disturbo ADHD (Pennington, Ozonoff, 1996; Barkley, 1997), il disturbo dell’autoregolazione più noto e diffuso in età evolutiva. Esso si manifesta con un rapporto maschi/femmine che è stato stimato tra 4:1 e 9:1. I bambini con ADHD si caratterizzano spesso per problemi di adattamento sociale e adesione alle regole e alle norme, per difficoltà accademiche e per un inadeguato comportamento all’interno del contesto familiare.
In età prescolare, i bambini mostrano risposte impulsive con notevoli difficoltà nel controllo motorio e/o verbale, fattori che interferiscono con il normale funzionamento sociale e scolastico.
In età scolare, si osservano compromissioni a carico dei processi attentivi, delle competenze inibitorie (molti autori, tra cui Barkley 1997, sostengono che deficit a suo carico costituiscono il nucleo dell’ADHD e causa deficit secondari negli altri domini esecutivi), compromissioni nella pianificazione, nella memoria di lavoro visuo spaziale (la componente visuo spaziale risulta più compromessa rispetto a quella verbale) e nella flessibilità cognitiva (i bambini con ADHD presentano una frequente tendenza alla rigidità e alla perseverazione).
Sebbene il disturbo possa essere diagnosticato con sicurezza in età scolare, alcune manifestazioni cliniche sono già riscontrabili tra i 3 e i 5 anni e devono manifestarsi in almeno due differenti contesti di vita, in particolare sotto forma di rigidità comportamentale, deficit di inibizione, incapacità di ritardare il soddisfacimento di una gratificazione e disregolazione emotiva.
Molto frequenti sono le comorbilità con problematiche sul versante dell’esternalizzazione, quali il Disturbo Oppositivo Provocatorio (DOP) e il Disturbo della Condotta (DC). L’ADHD può essere differenziato in 3 tipologie:
una tipologia in cui prevale la disattenzione
una tipologia in cui prevale l’iperattività e l’impulsività
una tipologia in cui prevalgono tutti e tre i sintoni (iperattività impulsività
disattenzione).
I bambini con DISTURBO OPPOSITIVO PROVOCATORIO (DOP), si caratterizzano per una modalità di comportamento negativistico, ostile e provocatorio; sono bambini che hanno frequenti scatti d’ira, si pongono continuamente in assetto di sfida e litigano spesso con adulti e pari, hanno un locus of control esterno, sono rabbiosi e rancorosi, vendicativi. Si tratta di un quadro clinico molto diffuso in età prescolare: in questa fascia di età una percentuale di soggetti con diagnosi clinica compresa tra il 2 e l’8% riceve questa diagnosi.
Il DISTURBO DELLA CONDOTTA (DC), viene spesso visto e definito come variante più estesa e severa del DOP. La caratteristica fondamentale del DC è una modalità di comportamento ripetitiva e persistente in cui i diritti fondamentali degli altri oppure le norme o le regole della società appropriate per l’età adulta vengono violate. Questi comportamenti si inseriscono in 4 gruppi principali: condotta aggressiva che causa o minaccia danni fisici ad altre persone e animali, condotta non aggressiva che causa perdita o danneggiamento della proprietà, frode o furto, gravi violazioni di regole.
In letteratura emergono lavori nei quali viene messa in evidenza una problematica esecutiva di varia ampiezza e severità: da un lato vi sono autori che avanzano l’ipotesi di una compromissione generale del funzionamento esecutivo (Giancola et al, 1994 1998), dall’altra ricercatori che circoscrivono a specifiche aree i deficit in questa popolazione clinica.
Tra i domini più frequentemente citati ed analizzati figurano quello inibitorio, del controllo esecutivo, della memoria di lavoro e della flessibilità cognitiva.
Bambini e adolescenti con DOP/DC si caratterizzano per una tendenza a prendere dei rischi e a mettere in atto comportamenti spericolati, per un’alterata sensibilità nei confronti delle ricompense (privilegiano benefici a breve termine senza considerare le conseguenze), che sembrerebbe suggerire la presenza di problematiche di decision making ed impulsività.
I bambini con DISTURBI DELLO SPETTRO AUTISTICO (Hill, Bird, 2006) si caratterizzano per una compromissione delle abilità sociali e di comunicazione, per comportamenti ripetitivi e per interessi limitati e circoscritti. E’ un disordine evolutivo che si presenta nella popolazione generale con una frequenza pari al 0.6% ed interessa maschi e femmine con un rapporto di 3:1. Si preferisce oggi utilizzare il termine di disturbi dello spettro autistico, invece che di autismo, per indicare l’estrema varietà ed eterogeneità dei sintomi e dei problemi neurologici che i pazienti presentano.
Tali bambini manifestano:
una propensione a fornire risposte perseverative e ad utilizzare in modo rigido e inflessibile le regole
un inadeguato livello di regolazione delle proprie emozioni, dei propri impulsi e di comportamenti socialmente adattivi
un’incapacità di inibire comportamenti inadeguati
compromissioni a carico della flessibilità cognitiva (il soggetto è in difficoltà nel momento in cui è chiamato a muoversi flessibilmente tra pensieri, azioni, risposte come richiesto dal contesto) e della memoria di lavoro.
Ad esempio i bambini con sindrome di Asperger, con un più alto funzionamento cognitivo, a differenza di bambini con disturbo autistico grave, manifestano prestazioni peggiori nel controllo inibitorio e nelle funzioni complesse e prestazioni migliori nella memoria meccanica e visuo spaziale.
Inoltre, numerosi studi hanno messo in evidenza cadute specifiche in prove volte a valutare la pianificazione, l’organizzazione e il monitoraggio di nuovi comportamenti/azioni, la capacità di assumere il punto di vista altrui e il completamento delle categorie.
I bambini NATI PRETERMINE sono quelli che nascono prima della 32esima settimana di gestazione e costituiscono l’1/2% delle nascite totali nei paesi sviluppati e diversamente da quanto accadeva in passato hanno maggiori opportunità di sopravvivenza. Tra le conseguenze della nascita pretermine figurano importanti disabilità neuromotorie, sensoriali, cognitive, dell’apprendimento e del comportamento. I bambini nati pretermine manifestano difficoltà nel pensare prima di agire, nell’aspettare il proprio turno, nel rimanere seduti a lungo, nel seguire le istruzioni date.
Inoltre, tali soggetti si caratterizzano per:
una compromissione a carico della Memoria di Lavoro di entità variabile sia nella prima e media infanzia che in adolescenza (Taylor, Vicari et al, 2004): tali difficoltà sembrerebbero essere in relazione con alcuni parametri quali il QI, il peso alla nascita, l’età gestazionale ed eventuali complicazioni prenatali (ad esempio, ridotto apporto di ossigeno, danni alla sostanza bianca o alle regioni periventricolari)
un deficit nella flessibilità cognitiva sia in età evolutiva che in soggetti adulti, probabilmente legato a due ordini di fattori, il livello scolare della madre e il QI del soggetto (Taylor, 2004)
un povero controllo inibitorio ed una maggiore tendenza a fornire risposte impulsive nei bambini nati pretermine di età compresa tra i 2 e i 7 anni: il peso alla nascita costituisce un fattore di rischio per le problematiche sul versante dell’impulsività (Taylor, 1998), mentre l’età gestazionale potrebbe influenzare il controllo inibitorio (Katz 1996). Interessante notare come con il trascorrere degli anni l’entità del deficit tende a diminuire fino ad estinguersi completamente in età adulta (Elgen, 2004)
un deficit di pianificazione: i bambini nati pretermine hanno difficoltà nell’ideare un piano, nel definire degli scopi a breve, medio e lungo termine e le strategie ed i vari step attraverso cui perseguirli, nell’organizzare risorse temporali e spaziali. I principali fattori di rischio di tale deficit sono il peso alla nascita, l’entità della nascita pretermine e complicazioni neonatali mentre vengono escluse come fattori di rischio le competenze cognitive e verbali, i danni neurosensoriali e il QI (Anderson, Taylor et al., 2000).
In sintesi, gli studi di Mulder (2009) confermano che le FE ed attentive sono nodi critici per la popolazione dei soggetti nati pretermine, in cui le principali cadute si osservano nel dominio della fluenza e della flessibilità cognitiva.
Molti studiosi hanno dimostrato come la presenza di uno sviluppo atipico delle FE possa compromettere il raggiungimento dei prerequisiti dell’apprendimento della lettura e spiegare una successiva scarsa performance nella stessa. I bambini con DSA (Willis, Adams, 2006), ovvero con un disordine neuro evolutivo caratterizzato da specifiche difficoltà nell’acquisizione di una o più abilità scolastiche (lettura scrittura calcolo), con normali competenze intellettive e senza compromissioni neurosensoriali significative, manifestano problematiche a carico dell’attenzione, della memoria di lavoro, della flessibilità cognitiva, del controllo inibitorio, della pianificazione e della fluenza verbale (Marzocchi et al 2008). Infine, secondo Shanahan e collaboratori (2006) il deficit esecutivo specifico dei DSA si riscontra nella velocità di processamento verbale e motorio.
Confrontando il profilo dei bambini dislessici e di quelli discalculici, i primi manifestano compromissioni a carico della working memory, probabilmente a causa di un deficit nell’esecutivo centrale (Varvara et al, 2014); i bambini discalculici, invece, oltre a manifestare gli stessi deficit a livello di esecutivo centrale, hanno anche compromissioni più significative nella memoria visuo
spaziale con prestazioni inferiori in compiti visivi e in compiti spaziali sia simultanei che sequenziali (Schuchardt et al, 2013).
I bambini con DSL (Disturbi Specifici del Linguaggio), che presentano un disordine in una o più aree dello sviluppo linguistico, in assenza di comorbidità con altri disturbi e con deficit da un punto di vista intellettivo (QI < 80), sensoriale, motorio, socio ambientale, possono manifestare disfunzioni esecutive in età prescolare quali difficoltà a carico dell’attenzione, del controllo inibitorio, della memoria di lavoro (fonologica e visuo spaziale) e della flessibilità cognitiva, per via dello stretto legame tra linguaggio e FE. A proposito della memoria di lavoro fonologica, vari studi hanno evidenziato ridotte prestazioni in compiti di memoria di cifre e di ripetizione di non parole. I bambini in età prescolare con DSL avevano punteggi significativamente inferiori nelle misure di memoria di lavoro fonologica a qualsiasi età (3 4 anni e 4 6 anni).
Alcuni autori considerano uno strumento prioritario quello della ripetizione delle non parole come indicatore diagnostico con alta sensibilità del DSL. I disturbi comunicativi dei bambini sono causati da deficit a livello inibitorio e di pianificazione: tali disturbi comporterebbero inoltre compromissioni a carico delle abilità di produzione e comprensione, ma anche delle capacità di resocontazione (narrative). Inoltre, alcuni studi hanno dimostrato che i bambini con DSL manifestano prestazioni inferiori nelle abilità motorie fini e globali, nelle abilità di imitazione, nella consapevolezza cinestesica e nell’elaborazione simultanea dell’informazione.
I bambini con DCD, ovvero con Disturbi della Coordinazione Motoria, presentano un ritardo nell’acquisizione delle competenze motorie a partire dai primi stadi evolutivi, che interferisce significativamente con le attività della vita quotidiana e non può essere spiegato da una condizione medica (ad es. paralisi cerebrale, distrofia muscolare, malattia degenerativa) o dalla presenza di deficit sensoriali o intellettivi (Apa, 2013). Si sono riscontrate compromissioni nelle FE nei bambini di età prescolare a rischio del disturbo, per via del legame esistente tra lo sviluppo del controllo motorio e delle FE, le quali risultano fortemente implicate nella coordinazione di un movimento finalizzato. In particolare, i domini esecutivi maggiormente deficitari in età prescolare sono la memoria di lavoro verbale e visuo spaziale, il controllo inibitorio, l’attenzione selettiva e sostenuta, la flessibilità cognitiva. Le difficoltà sul piano esecutivo si andrebbero ad associare a importanti difficoltà nell’apprendimento motorio, in particolare negli schemi motori rapidi e crociati, negli schemi rotatori, nelle abilità di mira e afferramento di un oggetto, nelle prassie sequenziali, dunque in tutti i coordinamenti senso percettivo motori. Deficit a livello esecutivo nei bambini con DCD si assocerebbero con frequenza anche a ritardi nell’area linguistica, e più in generale, nell’area socio comunicativa.
IN CHE MODO SI MANIFESTANO I DISORDINI DELLE FUNZIONI ESECUTIVE GENERALI?
Sin dall’età prescolare, le disfunzioni esecutive in un bambino si possono manifestare attraverso i seguenti segni che devono essere presi attentamente in considerazione:
Disturbi del coordinamento motorio, ovvero incoordinazioni e scoordinamenti nella motricità rapida, negli schemi motori e crociati, maldestrezza, lentezza motorio-prassica alternata a precipitazione, disordini nei giochi con la palla, nelle rotazioni motorie rapide e nelle sequenze motorie
Lentezza nell’incipit dell’agire, precoce affaticabilità, ipoattivazione o instancabilità (diade funzionale), marcata loquacità
Disorganizzazioni spazio-temporali (ad es. incapacità a ricordare i luoghi e i tempi degli eventi accaduti o di imparare dall’esperienza, difficoltà con i concetti di prima-dopo/ieri-oggi-domani/giorni della settimana, difficoltà nelle sequenze temporali e spaziali, eccessivo ordine o eccessivo disordine, smarrimento negli spazi grandi e negli ambienti nuovi, difficoltà nel rispettare orari/scadenze/ritmi/velocità, smarrimento temporale o eccessiva puntualità organizzativa, ecc.)
Difficoltà nelle sinestesie (verbo-motorie, oculo-motorie, percettivo-motorie, ecc.), ovvero nell’eseguire più compiti o azioni in contemporanea
Specularità, difficoltà nel movimento sx-dx e nell’a-capo, difficoltà nella direzionalità, nei versi e nelle rotazioni (incertezze o errori nel verso motorio, nel verso grafico, nella chiusura dei cerchi, nella rotazione di figure, nell’inversione di enunciati o frasi, nel rovesciamento dell’ordine sequenziale di numeri o lettere in parole)
Disordini nella percezione, nei movimenti oculari, nella grafomotricità, nel pensiero, nel linguaggio e negli apprendimenti
Sensibilità alla iperstimolazione, sofferenza alla confusione o all’affollamento (condizione di stanchezza, insofferenza o nervosismo negli ambienti affollati o in presenza di confusione, talvolta con reazione di eccitazione, ipercinesia, incontrollabilità)
Sofferenza alla pressione o al rallentamento (condizione di difficoltà e insofferenza nelle situazioni in cui è alterata la velocità esecutiva o in presenza di interazione con molte persone o molte azioni – pressione alla velocità o induzione al rallentamento)
Lentezza e impaccio nei movimenti fini e bimanuali
Lentezza nei processi di autoregolazione/autocorrezione/autoinibizione con la conseguenza di un comportamento impulsivo fenomeno chiamato «bradifrenia» (o lentezza nei processi di frenaggio), di un comportamento inappropriato, ipercinetico e disorganizzato, con difficoltà nel controllo dei propri istinti e delle proprie emozioni (spesso il bambino mostra un umorismo infantile, è impaziente, euforico e disinibito sul piano del comportamento, esprime le sue emozioni in modo inappropriato, manifesta scarsa tolleranza alla frustrazione o prende decisioni considerando solo se stesso)
Lentezza nell’adeguarsi ai cambi di ambienti, attività o giochi
Difficoltà nell’attenzione volontaria e protratta nel tempo, e nella memoria sequenziale (memoria ordinata, memoria di lavoro): il bambino si caratterizza per essere facilmente distraibile, manifesta spesso un’inerzia generalizzata e può avere difficoltà nell’ordinare in sequenza, nel tempo e nello spazio, il materiale mnestico
Difficoltà nel problem solving e nel decision making (processo decisionale): questa difficoltà è rilevabile in tutte quelle prove in cui la soluzione del problema richiede la pianificazione di una serie di azioni coordinate, la flessibilità nell’adottare strategie diverse a seconda delle circostanze e la comprensione delle cause di errore per la scelta di strategie alternative. Altre difficoltà dovute all’incapacità di pianificare e programmare strategie per eseguire un compito riguardano: la capacità di collocare temporalmente gli eventi (il bambino riconosce gli eventi come realmente accaduti ma non è in grado di riprodurre la successione con cui si sono verificati); la pianificazione e la programmazione della «fluidità verbale»; la capacità di risolvere problemi aritmetici con l’eccezione di operazioni routinarie da lungo tempo apprese (come l’addizione e la sottrazione). Inoltre il bambino manifesta un comportamento disorganizzato (ha difficoltà nell’organizzare il materiale, i programmi giornalieri o i propri giochi), un comportamento caotico e afinalistico e una difficoltà ad affrontare situazioni complesse e nuove (la sua vita è dominata dalla routine, dalla concretezza, dalla scarsa iniziativa e generalizzazione degli apprendimenti, da un eloquio povero e da una scarsa motivazione ad agire per sé o per gli altri)
Incapacità di passare da un concetto all’altro e da uno specifico comportamento ad un altro: la scarsa flessibilità è all’origine dei comportamenti perseveranti, ovvero di comportamenti rigidi, non flessibili che portano il bambino a insistere in strategie palesemente inadeguate e a fallire nell’esecuzione dei compiti proposti
Incapacità di inibire le interferenze ad opera di stimoli distrattori, le risposte comportamentali automatiche non congrue con la situazione stimolo e le reazioni emotive inadeguate. Ricordiamo che la corteccia prefrontale ha numerose connessioni con le strutture sottocorticali, quali l’amigdala e l’ippocampo, responsabili dell’attivazione di una risposta emotiva, e ha una funzione di controllo e modulazione su queste strutture sottocorticali: secondo alcuni autori come Damasio, bambini che manifestano questa incapacità, conoscono le regole di comportamento in contesti sociali, ma non avrebbero quei marcatori somatici che contribuiscono, assieme alla valutazione cognitiva, alla percezione dell’appropriatezza di un comportamento. Inoltre presentano una scarsa consapevolezza dei sentimenti altrui.
Disturbi della motivazione (apatia): la motivazione è uno stato interno che ci spinge ad agire e accompagna tutti i processi coinvolti al raggiungimento di uno scopo specifico, dalla sua formulazione e selezione degli strumenti atti al raggiungimento, fino alla realizzazione dello scopo. L’apatia, che consiste nella riduzione dei comportamenti finalizzati ad uno scopo per mancanza di motivazione e nella scarsa reattività emotiva, si manifesta con un comportamento ipocinetico (il bambino si muove poco o per niente), disinteressato verso le proprie esigenze, verso cose o persone e, nei casi più gravi, si presenta con un quadro di mutismo acinetico.
Articolo scritto dalla dottoressa Francesca Tabellione, Erika D’Antonio
1 Comment
è un articolo prezioso, generoso, chiaro, che non è solo un ripasso, ma che riesce ad andare più a fondo in una serie di dettagli specifici, almeno rispetto alle mie competenze
grazie