FUNZIONI PSICOMOTORIE, DISTURBO DI DISPREVALENZA E DISTURBI DI REGOLAZIONE E DELL’INTEGRAZIONE SENSORIALE DA 0 A 3 ANNI
Giugno 13, 2023PERCHÉ È IMPORTANTE CHE IL BAMBINO SCRIVA A MANO anziché SU TASTIERA?
Agosto 24, 2023La diagnosi di Disprassia è molto spesso tardiva, intorno ai 9/11 anni, a volte nell’adolescenza. Solo negli ultimi anni il riconoscimento del quadro disprassico sta emergendo progressivamente anche in età prescolare. La diagnosi tardiva ha effetti negativi sulla sfera motoria globale (sport di gruppo, bicicletta, corsa, salire e scendere le scale, saltare la corda), sulla sfera motoria fine (prassie bimanuali, autonomie di vita quotidiana, scrittura, giochi costruttivi), e su quella emotiva e relazionale del bambino, il quale si trova a collezionare una serie di frustrazioni e insuccessi. Ci sono bambini che riescono a fronteggiare e a mettere in atto una serie di capacità rispetto alle loro aree di debolezza e ci sono bambini che non possiedono i mezzi e le strategie per affrontare le proprie difficoltà.
Le ricerche degli anni ‘80 e ’90 in merito ai disturbi della coordinazione motoria hanno delineato un quadro complesso caratterizzato da problemi di attenzione, bassa autostima e autopercezione, povere competenze relazionali con tendenza all’isolamento sociale e all’evitamento degli sport di squadra, disordini emotivi (Piek, Skinner, 2001), fragilità nell’autoefficacia sia nell’attività di gioco organizzato sia nel gioco spontaneo (con conseguente fallimento nel raggiungimento di obiettivi e desideri, sentimenti di insoddisfazione, mancanza di interessi o evitamento di particolari attività che richiedono risposte motorie).
Per ragazzi e adolescenti disprassici il supporto sociale sembrerebbe essere un elemento determinante nella modulazione dell’autostima; in particolare alcune ricerche (Harter, 1985, 1988) hanno evidenziato quanto segue:
- i bambini con disturbo della coordinazione motoria risultano, a livello di autopercezione, molto carenti nei domini di competenza scolastica-atletica-di aspetto fisico-di autostima rispetto ai bambini con sviluppo tipico;
- gli adolescenti con disturbo della coordinazione motoria risultano, a livello di autopercezione, molto carenti nei domini di competenza atletica-di aspetto fisico-di organizzazione-di accettazione sociale-di autostima rispetto agli adolescenti con sviluppo tipico.
Un’altra differenza tra i bambini disprassici e quelli con sviluppo tipico è che i primi sembrerebbero aver bisogno del supporto dell’altro (adulti, genitori, compagni di classe) fino all’adolescenza, soprattutto per quanto concerne le problematiche organizzative, mentre nei secondi tale processo di autonomia si completa, in misura variabile, prima dei 10 anni (Kirby, Sugden, 2011).
Oltre a quelle psicosociali, i bambini disprassici presentano anche problematiche sul versante emotivo: essi fanno fatica a vivere temporalmente l’emozione, a verbalizzarla, a distinguerla dalle sensazioni corporee, a regolare le emozioni attraverso comportamenti inibitori, probabilmente a causa di una fragilità nella loro intelligenza emotiva (legata ad una carenza nel sistema dei neuroni specchio), la quale consentirebbe di sviluppare abilità atte a percepire in modo accurato, valutare ed esprimere sentimenti ed emozioni, a condividere e comprendere le emozioni dell’altro (empatia- capacità fondamentale per lo sviluppo delle interazioni sociali), a regolare le emozioni in modo adattivo a livello sia emotivo sia cognitivo, a percepire accuratamente elementi visivi all’interno dei contesti di natura interpersonale al fine di decodificare ed etichettare le espressioni facciali emotive delle altre persone.
Altri studi (Rahimi-Golkhandan, 2014) si concentrano sull’esaminare la qualità delle Funzioni Esecutive “calde”, la cui debolezza di tali processi in questi bambini, provoca sentimenti di infelicità, ansia, depressione e anche una fragilità nel controllo inibitorio con ripercussioni negative a livello di autocontrollo e autoregolazione (comportamenti aggressivi, problemi della condotta, iperattività), scarse capacità di anticipare le conseguenze future delle proprie azioni, povero processo di decision making affettivo, bassa tolleranza alla frustrazione, abilità interpersonali e accademiche deficitarie.
L’ansia, riscontrabile già a partire dai 4 anni circa, può manifestarsi con la frequente tendenza a voler anticipare gli errori e con la preoccupazione di fronte alla proposta di nuovi compiti, associandosi inoltre a una sintomatologia depressiva (data dalla consapevolezza delle proprie carenze motorie che impattano sul funzionamento emotivo) con conseguenze sul grado di coinvolgimento nelle relazioni sociali e sull’umore (reazioni emotive quali “irritabilità, esplosioni di pianto, apatia, insicurezza, disinteresse, panico, disturbo ossessivo-compulsivo, fobia sociale”, e reazioni somato-fisiche quali “mal di testa, dolori di stomaco, problemi del sonno, nausea, mancanza di appetito”).
I bambini che presentano contemporaneamente difficoltà motorie e problemi d’ansia nell’infanzia sono maggiormente a rischio di sviluppare delle problematiche a livello emotivo nell’adolescenza (Piek, 2008). In particolare, si affermano come fattori cruciali per la comparsa della sintomatologia ansioso-depressiva nei bambini disprassici le carenze nello sviluppo della locomozione e delle abilità grosso-motorie (Piek, 2010): bambini che iniziano a camminare verso i 10-13 mesi mostrano maggiori interazioni affettive con le loro madri rispetto a quelli che iniziano a camminare tra i 13 e i 15 mesi. La locomozione e le abilità grosso-motorie nella fascia d’età dai 4 mesi ai 4 anni sembrerebbero essere fattori predittivi della manifestazione di deficit motori e socio-emotivi in età scolare quali ansia, depressione, solitudine, ritiro sociale, bassa autostima. Questi bambini appaiono evitare le interazioni e lo scambio con i loro coetanei ma possono anche essere esclusi dal gruppo nella partecipazione ad attività sociali sportive a causa delle loro inadeguate performance motorie; possono prediligere bambini più piccoli con cui interagire o addirittura ricercare la vicinanza di pari devianti. Inoltre hanno difficoltà a strutturare un senso di sé corporeo integrato, a modificare la loro routine in attività ludiche (se hanno faticato molto per pianificare un compito, anche un piccolo cambiamento in come è stato svolto può rappresentare un problema significativo) e sono spesso vittima di comportamenti di bullismo da parte dei coetanei: la goffaggine e l’impaccio motorio, le difficoltà organizzative e scolastiche, l’eventuale obesità (dovuta ad una minore partecipazione a sport o attività motorie), possono rendere questi bambini bersagli di soprannomi, insulti e derisioni, minacce verbali, esclusioni volontarie. L’esposizione a bullismo verbale e relazionale risulta essere un significativo predittore dello sviluppo e/o incremento della sintomatologia depressiva.
Le evidenze scientifiche riportano, a diagnosi avvenuta, una narrazione dei bambini e degli adolescenti improntata su una maggiore frustrazione e disapprovazione nel rapporto con i loro genitori fin da molto piccoli (Missiuna, 2008). Le caratteristiche proprie del disturbo sarebbero erroneamente attribuite, da parte di genitori e insegnanti, a una mancanza di impegno e di attenzione durante lo svolgimento di un compito: questi bambini vengono spesso etichettati in modo improprio come pigri o provocatori, andando incontro a maggior vissuti di disapprovazione (Miyahara, Piek, 2006).
Il primo passo che possono fare insegnanti e genitori che sono a stretto contatto con il bambino disprassico, per aiutarlo a sviluppare una buona capacità sociale ed emozionale, è imparare a prendere consapevolezza dei limiti e delle potenzialità del bambino stesso, del suo temperamento e del suo stile di apprendimento individuale. In base a questa conoscenza, gli adulti possono arrivare a comprendere meglio le difficoltà e le frustrazioni da lui sperimentate, a prevedere le situazioni stressanti e a sviluppare aspettative più realistiche del livello che può raggiungere.
Gli adulti potrebbero così imputare un atteggiamento di rifiuto del bambino verso attività o sport motori/competitivi ad un basso tono muscolare e a incoordinazione motoria, piuttosto che ad una sua mancanza di volontà, a pigrizia o a scarso interesse. Oppure possono attribuire la scarsa capacità di instaurare relazioni con l’altro ad uno stato di ansia e di inadeguatezza da parte del disprassico, soprattutto quando si trova a dover comprendere le convenzioni sociali o intraprendere un dialogo all’interno di un gruppo di pari. E’ importante che gli adulti accettino il bambino per quello che è, con i suoi pregi e difetti, e che evitino di imporgli le loro aspettative o di esprimere la loro delusione per i suoi fallimenti.
Elenchiamo alcune strategie che possono essere messe in atto per aiutare il bambino a gestire le conseguenze emozionali della Disprassia:
- prevedere ed evitare le situazioni che potrebbero rappresentare una causa di disagio emozionale o aiutare il bambino a prepararsi per lo stress che proverà, discutendo con lui dei possibili ostacoli che incontrerà e delle possibili strategie per affrontarli adeguatamente;
- adottare un atteggiamento empatico e basato sull’ascolto per comprendere i sentimenti del bambino. Ad esempio, è possibile utilizzare un commento del tipo “so che non è semplice giocare al parco quando ci sono tanti bambini o partecipare a giochi di squadra perché bisogna essere molto veloci, ma possiamo provare ad andare al parco e chiamare solo 2 amichetti (in modo da farlo abituare gradualmente ad un ambiente iperstimolante) oppure possiamo scegliere, almeno inizialmente, uno sport dove non devi necessariamente rispettare il ritmo e la velocità dei tuoi coetanei (arti marziali, judo, nuoto, atletica leggera)”. In questo modo si trasmette al bambino che comprendiamo i suoi stati d’animo, ovvero come si sente in quella data situazione o circostanza, senza assumere un atteggiamento giudicante o sminuire le sue paure e difficoltà;
- in uno sport di gruppo, bisognerebbe individuare allenatori che favoriscano lo sviluppo individuale di ciascun bambino, piuttosto che privilegiare solo i giocatori migliori, condividendo con loro la situazione clinica e adottando soprattutto una linea comune con i professionisti che hanno in carico il piccolo paziente;
- risaltare gli sforzi e i tentativi messi in atto dal bambino quando sta svolgendo un’attività prassico-motoria, anche se la prestazione non è fluida e accurata: ad esempio, se il bambino sta imparando ad afferrare bene una palla e a fare canestro ma continua a fallire anche dopo varie prove ed errori, bisogna cercare di elogiare la buona volontà e la fatica e incoraggiarlo a non arrendersi;
- creare un programma e una routine nella giornata del bambino e, se le routine vengono interrotte, avvisarlo in anticipo del cambiamento, così che egli sia pronto per una nuova organizzazione ed eviti di andare in “stress emotivo”;
- organizzare momenti di gioco libero o attività sociali per promuovere la relazione con i coetanei, come “andare a casa di un amichetto a fare merenda, andare allo zoo, mangiare un gelato, fare i compiti insieme, ecc”;
- al fine di modificare e riorganizzare i circuiti prefrontali, dagli anni prescolari fino all’adolescenza, bisogna intervenire precocemente sulle Funzioni Esecutive “calde”, facilitando i processi di ascolto attivo e focalizzando l’attenzione sui segnali del corpo e sull’emozione che il corpo stesso prova al variare delle situazioni, attraverso l’utilizzo di immagini/storie/fumetti delle emozioni per riconoscere la propria emozione e quella di altri coinvolti (fornire al bambino la terminologia corretta per descrivere ciò che sta provando o ciò che prova l’altro). Lavorare inoltre sulla modulazione efficace delle proprie emozioni e dei propri sentimenti per permettere al bambino di avere scambi relazionali positivi in vari contesti, sulla sequenzialità e temporalità dell’attivazione emotiva attraverso la costruzione e l’organizzazione di storie, per aiutare il bambino a riconoscere cause ed effetti di una situazione emotiva assumendo il punto di vista degli altri: egli dovrà essere capace di predire come si sentirà l’altro nel contesto emotivo indicato in una vignetta (es: “Giorgia non può giocare con la sua altalena perché è rotta. Come si sentirà Giorgia?”);
- fornire un input vestibolare ritmico ripetitivo (“dondolare, cullare”), effettuare un massaggio profondo, proporre attività di lavoro pesante (“spingere un carrello della spesa, portare uno zaino pesante dietro la schiena mentre si corre-cammina o si salta, trascinare oggetti pesanti”) al fine di favorire una maggiore consapevolezza enterocettiva e corporea e un maggior “sentire senso-motorio” tramite la sperimentazione delle sensazioni in movimento (sensazioni che permettono adattamenti posturali e tonici diversi). Questa maggiore capacità di regolazione interna permetterà al bambino di avvertire meglio i propri stati corporei e di conseguenza regolare le competenze affettive e comunicative con l’altro, rapportandosi adeguatamente al mondo circostante e alle situazioni stressanti che gli si presenteranno nel corso del suo sviluppo.
(Articolo a cura della Dott.ssa Francesca Tabellione, tnpee- docente presso enti accreditati, specializzata in neuropedagogia dei processi cognitivi e psicomotricità neurofunzionale, terapista itard)