GOFFAGGINE E PROBLEMA DI COMPORTAMENTO
da admin – 20 novembre 2020

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News – da Erika
ADHD e le STRATEGIE EDUCATIVE PIÙ OPPORTUNE da APPLICARE in TERAPIA e a SCUOLA per POTENZIARE I PROCESSI COGNITIVI E L’AUTOREGOLAZIONE
(••Articolo a cura della Dott.ssa Francesca Tabellione, tnpee – specializzata nella valutazione e riabilitazione dei disturbi dell’età evolutiva, docente presso corsi di formazione ecm••) COSE'E L’AUTOREGOLAZIONE Iniziamo questo articolo interrogandoci innanzitutto su cosa sia l' “Autoregolazione”: è il prodotto di Funzioni Esecutive ben organizzate, una capacità che ci permette di modulare in modo consapevole e flessibile il nostro comportamento, le nostre emozioni, i nostri pensieri, la nostra attenzione in base al contesto in continuo cambiamento e in risposta alle richieste sociali ai fini del raggiungimento degli obiettivi e di adattamento all’ambiente (Fuster, 1997). Dopo questa breve premessa e parlando in questo articolo dell’ADHD, potremmo definirlo come il disturbo dell’autoregolazione più noto e diffuso in età evolutiva (riguarda circa il 5% di bambini e ragazzi) che può ripercuotersi su diverse aree dello sviluppo del bambino (motoria, emotiva, scolastica e di funzionamento sociale e adattivo). FUNZIONI ESECUTIVE COMPROMESSE NELL’ADHD Descriviamo brevemente le principali Funzioni Esecutive che risultano deficitarie o immature in tale disordine, e che compromettono significativamente la capacità del bambino di funzionare autonomamente nel lavoro, a casa, nei rapporti con gli altri. Il bambino ADHD manifesta deficienze a carico del controllo inibitorio, sia cognitivo che comportamentale. In particolare presenta: -difficoltà nella flessibilità cognitiva (è rigido nel pensiero e nel comportamento, non si adatta facilmente ai cambiamenti di persone o ambienti, commette sempre gli stessi errori e non cerca soluzioni alternative adottando un atteggiamento perseverativo, non sa descrivere in modi differenti un racconto o risolvere un compito in maniera diversa dal solito) -difficoltà nella pianificazione (fa fatica a stabilire piani e obiettivi, a eseguire giochi o attività che richiedono passaggi sequenziali o li esegue in maniera caotica e disordinata, non riesce ad avviare programmi d’azione, a descrivere i passi necessari per fare un compito o a svolgere routine quotidiane, a correggere eventuali piani e monitorare progressi) -difficoltà nella memoria di lavoro o memoria d’ordine sequenziale (dimentica a casa i libri per scuola o quello che ha fatto il giorno prima, perde i suoi giochi, non ricorda le regole di un gioco o gli avvenimenti di una storia, di un cartone e fa fatica a raccontarli in maniera logica e sequenziale, non ricorda i vari passaggi per eseguire correttamente una procedura, si perde se gli vengono date due o più consegne in sequenza) -difficoltà nel mantenimento dell’attenzione sostenuta e selettiva (il b.no non riesce a ignorare i rumori presenti nell’ambiente, a spostare il focus attentivo quando serve, a focalizzarsi solo sugli stimoli rilevanti senza farsi attrarre dai distrattori, a sostenere l’attenzione o vigilanza su un compito per un certo lasso di tempo, soprattutto se si tratta di un compito noioso o ripetitivo, passa da un’attività all’altra senza mai terminarne alcuna, compiendo errori di precipitazione e distrazione, ha spesso la testa fra le nuvole, evita compiti troppo faticosi o impegnativi e che richiedono un certo sforzo attentivo, è trascurato e approssimativo nelle attività che svolge, manifesta una scarsa abilità nella discriminazione dei particolari e una lenta o discontinua focalizzazione del globale) -difficoltà nelle abilità motorie e nel controllo degli impulsi (il b.no, pur muovendosi continuamente, è poco accurato, grossolano, caotico e goffo nei movimenti, presenta un equilibrio instabile, è lento nell’incipit dell’agire - è sempre in ritardo rispetto agli altri, mette in atto un comportamento ipercinetico a causa di un rallentamento nei processi di autoregolazione e di frenaggio e nell’avvio di azioni correttive - si alza spesso dalla sedia durante i pasti o lo svolgimento dei compiti scolastici, si arrampica sui mobili, agita mani e piedi anche quando è seduto o impegnato in un gioco, può diventare oppositivo, è irrequieto, precipitoso e impulsivo a livello di comportamento-pensiero-emozioni, vuole tutto e subito, parla continuamente o interrompe gli altri mentre dialogano, dice la prima cosa che gli viene in mente di fronte a una domanda, passa da un’idea o da un discorso all’altro senza seguire nessun nesso logico, mostra difficoltà nei tempi di attesa, nel rispetto delle regole e della turnazione, manifesta reazioni emotive eccessive e forti sbalzi d’umore - un attimo è calmo, poi diventa irritato senza motivo, scarsa tolleranza alla frustrazione, non è in grado di imparare dai propri errori e ripete sempre le stesse azioni anche se in passato sono state punite. Questo comportamento non è dovuto ad una cattiva conoscenza di ciò che è giusto o sbagliato, né alla volontà di comportarsi male, piuttosto ad una incapacità di controllare le proprie azioni). Tali problematiche andranno ad incidere negativamente sulle abilità relazionali e sullo sviluppo emotivo del bambino, il quale finirà per essere deriso, bullizzato o emarginato (escluso dai coetanei a causa dei suoi comportamenti disturbanti) e per manifestare una bassa autostima e una scarsa fiducia nelle proprie potenzialità. Queste difficoltà non sono volontarie o intenzionali bensì il bambino non è in grado di autocontrollarsi, di bloccare o frenare tutti i comportamenti problematici che presenta, probabilmente anche a causa di ritardi o disfunzioni in quelle aree cerebrali - corticali e sottocorticali - implicate nel controllo e nella modulazione del comportamento e delle emozioni. Atteggiamenti educativi sbagliati non sono la causa di tale disordine ma possono sicuramente peggiorare la situazione. L’età media di insorgenza di tale disturbo è tra i 3 e i 4 anni: secondo l'ICD-10 si manifesta con maggiore frequenza nei maschi rispetto che nelle femmine con un rapporto di circa 4:1, poiché queste ultime presentano un maggior numero di fattori di protezione biologica e quindi avrebbero un minor rischio di sviluppare il disturbo, essendo più resistenti. SINTOMI DELL’ADHD SECONDO IL DSM V Secondo il DSM V, per fare diagnosi di ADHD, devono essere soddisfatti i seguenti criteri e rilevare la presenza dei seguenti sintomi: *devono essere presenti sei o più dei 9 sintomi della categoria disattenzione (adhd tipo disattento), sei o più dei 9 sintomi della categoria iperattività e impulsività (adhd tipo iperattivo-impulsivo). Se il soggetto soddisfa i criteri di entrambe le categorie la diagnosi sarà adhd sottotipo combinato; Sintomi attentivi · Non riesce a prestare attenzione ai particolari o commette errori di distrazione nei compiti scolastici, sul lavoro, o in altre attività · Ha difficoltà a mantenere l’attenzione sui compiti o sulle attività di gioco · Non sembra ascoltare quando gli si parla direttamente · Non segue le istruzioni e non porta a termine i compiti scolastici · Ha difficoltà ad organizzarsi nei compiti e nelle attività · Evita, prova avversione, o è riluttante ad impegnarsi in compiti che richiedono sforzo mentale protratto (come compiti a scuola o a casa) · Perde gli oggetti necessari per i compiti o le attività (per es., giocattoli, compiti di scuola, matite, libri, o strumenti) · È facilmente distratto da stimoli estranei · È sbadato nelle attività quotidiane. Sintomi da iperattività · Muove con irrequietezza mani o piedi o si dimena sulla sedia · Lascia il proprio posto a sedere in classe o in altre situazioni in cui ci si aspetta che resti seduto · Scorrazza e salta dovunque in modo eccessivo in situazioni in cui ciò è fuori luogo · Ha difficoltà a giocare o a dedicarsi a divertimenti in modo tranquillo · È spesso “sotto pressione” o agisce come se fosse “motorizzato” · Parla troppo. Sintomi di impulsività · Spesso “spara” le risposte prima che le domande siano state completate · Ha difficoltà ad attendere il proprio turno · Spesso interrompe gli altri o è invadente nei loro confronti (per es., si intromette nelle conversazioni o nei giochi). *i sintomi devono manifestarsi per un periodo minimo di 6 mesi e in almeno due contesti di vita (ad esempio casa, scuola, sport) e non sono spiegabili in base a qualche evento significativo accaduto nella vita del bambino o da altri disordini mentali (disturbo dell’umore, disturbo d’ansia, disturbo dissociativo, disturbo di personalità, ecc.) *i sintomi devono presentarsi prima dei 12 anni d’età e compromettere il funzionamento quotidiano, il rendimento scolastico oltre che la sfera sociale e relazionale. Possiamo distinguere: -adhd tipo iperattivo, ovvero il bambino che manifesta il disturbo soprattutto a livello del comportamento, è irrequieto, si muove in continuazione, tocca tutto ciò che vede, non riesce ad aspettare, parla in continuazione; -adhd tipo disattento, il bambino che dal punto di vista motorio appare più autocontrollato ma non è in grado di rimanere concentrato su un compito, sembra perso dietro i propri pensieri; -adhd tipo combinato, il bambino che presenta difficoltà sia di irrequietezza motoria che di disattenzione. Tra le cause di tale disordine includiamo fattori genetici, che portano ad una maggiore predisposizione e fattori ambientali (prenatali: stress, fumo, alcol, assunzione di droghe da parte della madre o postnatali: intossicazioni da metalli, ricovero in orfanotrofio, ecc.). In media la diagnosi di ADHD viene fatta intorno agli 8-9 anni attraverso la raccolta di più elementi clinici quali anamnesi iniziale, osservazione qualitativa funzionale delle varie aree di sviluppo neuropsicomotorie e del comportamento del bambino, osservazione neuropsicologica quantitativa attraverso test standardizzati, colloqui informativi/conoscitivi con familiari, insegnanti e bambino, esame medico generale. INDICATORI PER LA DIAGNOSI FUNZIONALE PRECOCE DELL’ADHD * tra 0-18 mesi - pianto inconsolabile, facile irritabilità, bassa tolleranza alla frustrazione, ipertonia (a livello degli arti superiori o inferiori), eccessiva reattività alle stimolazioni, alterazioni del sonno e problemi nell’alimentazione, disordinata discriminazione di persone e oggetti; * tra i 12 e i 36 mesi – ipercinesia e ipermotricità (continuo movimento), coordinazione senso-motoria instabile, eccitabilità e irritabilità, scarso controllo dei bisogni fisiologici, eccessiva reattività alle stimolazioni (visive/uditive), forte eccitazione di fronte alle novità, stati ansiosi, sonno irregolare, tendenza continua a saltare-arrampicarsi e a condotte invadenti, scarsa tolleranza a pause e intervalli, scarso adattamento a turni e regole e insufficiente controllo delle reazioni. Tuttavia tra la nascita e i 6/7 anni la diagnosi di ADHD può essere solo un’ipotesi provvisoria, dal momento che molti bambini che manifestano iperattività nei primi anni di vita non necessariamente sviluppano poi un disturbo di attenzione. CAMPANELLI D’ALLARME DEL DISTURBO ADHD IN ETÀ PRESCOLARE E SCOLARE Sebbene la diagnosi venga fatta con sicurezza in età scolare, possiamo sintetizzare i campanelli d’allarme generali che si colgono già a partire dall’età prescolare (poiché si tratta di una patologia pervasiva a esordio precoce) in: rigidità comportamentale, massimo grado di iperattività, frequente disattenzione, atteggiamento aggressivo e provocatorio, crisi di rabbia, assenza di paura, disturbi del sonno. In età scolare invece gli aspetti caratteristici e persistenti del bambino che preoccupano maggiormente l’insegnante riguardano l’irrequietezza, l’eccessiva motricità, la disorganizzazione, lo scarso interesse su un gioco o un’attività, i tempi di attenzione e di ascolto labili e discontinui, la frequente tendenza nel passare da un compito all’altro senza aver concluso quello precedente. COSE DA NON FARE CON UN BAMBINO/ALUNNO CON ADHD -dirgli di “stare calmo” -parlargli lentamente -farlo leggere o scrivere lentamente e con precisione -non aiutarlo nella sua organizzazione (compiti, attività della giornata) o organizzare le cose al suo posto -fare cambiamenti repentini o togliere dall’ambiente scolastico/familiare qualsiasi stimolo di interesse -fermarlo mentre legge, scrive o esegue un compito -dare richiami o spiegazioni troppo lunghi o reiterati -negare o procrastinare riposi, intervalli, attività motorie o ludiche -dirgli che è svogliato, pigro o non intelligente -imporgli di stare fermo o attento. CONSIGLI E STRATEGIE UTILI PER AIUTARE UN BAMBINO CON ADHD Sintetizziamo di seguito alcune strategie educative/riabilitative che un professionista, un genitore o un insegnante può mettere in atto al fine di migliorare le Funzioni Esecutive del bambino con ADHD le quali, se disorganizzate, possono compromettere l’organizzazione, la pianificazione, il completamento di un compito. -Controllare l’ambiente, riducendo le stimolazioni sensoriali che possono distogliere l’attenzione del bambino e causare reazioni inopportune: eliminare o ridurre le possibili fonti di distrazione tattili (lasciare che il b.no indossi abiti comodi se è infastidito dai materiali ruvidi, etichette dei vestiti, ecc.), visive (cartelloni appesi, mensole con giochi o libri vari), uditive (finestre aperte). -Non bisogna pretendere che il bambino stia troppo fermo, piuttosto concedergli un certo grado di movimento, sia durante le attività scolastiche che nei compiti a casa. In questo modo paradossalmente eviteremo che sprechi inutilmente le sue risorse nel tentativo (fallimentare) di bloccare tutti i movimenti irregolari e lo indirizzeremo verso il compito. Ad esempio a scuola, durante la lettura di un brano, può manipolare e stringere una pallina di spugna, oppure l’insegnante può innalzare il suo livello di arousal soprattutto alla prima ora di lezione chiamandolo spesso per nome con tono deciso e squillante, e ponendogli domande su ciò che ha compreso circa la lezione precedente (memoria di lavoro-richiamo delle conoscenze pregresse), o facendogli leggere parole/frasi alla lavagna (al cosiddetto “colpo d’occhio “) mentre esegue semplici schemi crociati da seduto. -Per facilitare il processo di apprendimento a scuola, è consigliabile presentare un nuovo argomento variando il tono di voce e sempre in maniera differente attraverso figure e stimoli colorati e lasciare del tempo affinché la lezione venga assimilata; utilizzare supporti di memoria per organizzare le attività e ricordare le informazioni; porre domande per aumentare l’allerta e la motivazione del bambino; aiutarlo a costruirsi un metodo di studio selezionando le informazioni salienti, trovando e cercando le parole chiave, realizzando semplici mappe concettuali, dunque imparare ad analizzare la propria prestazione (momento metacognitivo). -A casa sarebbe opportuno preparare uno spazio adeguato dedicato allo svolgimento dei compiti e non modificarlo, mentre a scuola scegliere una posizione che sia in prima fila e vicino ad una parete, per ridurre gli stimoli laterali che potrebbero distrarre il bambino. -Durante la ripetizione di un argomento di storia o scienze, incitare il bambino a camminare attorno al tavolo o a muovere i piedi su un elastico attaccato alle gambe di una sedia, oppure usare gli antistress per dargli la possibilità di muoversi stando fermo e di essere più concentrato. -Aiutare il bambino a focalizzarsi su un’idea per volta: suddividere, sia a scuola che a casa, compiti lunghi e complessi in sotto unità più semplici, promuovendo pause frequenti di movimento volte al recupero attentivo, e dare al massimo due istruzioni sequenziali per volta (semplificarle). Al fine di non scoraggiare il bambino quando vede la mole di esercizi da fare, sarebbe opportuno fornire un approccio strategico e suggerire un passo alla volta per svolgere un compito (1° passo- capire cosa fare, 2° passo- capire come posso farlo, 3° passo- realizzare il compito, 4° passo- monitorare e ricontrollare il compito). È possibile anche predisporre un calendario della settimana attaccato nei pressi della scrivania, con su scritti i vari compiti che in genere vengono assegnati per quel giorno specifico. -È importante stabilire delle routine e creare delle attività costanti nel tempo e nello spazio, dal momento che i cambiamenti repentini tendono a sovraccaricare e disorganizzare il bambino. Pianificare i cambiamenti attentamente e comunicare in anticipo quando qualcosa di nuovo interferisce con la routine quotidiana. -Evitiamo di collocare le attività più impegnative e che richiedono un maggior impegno intellettivo nei momenti in cui il bambino è poco attivato o attento (a inizio giornata, intorno alle ore 9.00-10.00, la sua attività elettrica corticale è sempre bassa, subisce invece un incremento verso le ore 11.00-12.00 e le ore 17.00-18.00) o troppo stanco (a fine giornata). -Chiediamo al bambino di raccontarci in quale modo sta svolgendo un compito o un gioco e in quali altri modi potrebbe farlo, stimolando la sua immaginazione e la sua flessibilità di pensiero. -Aiutiamolo a riflettere e a non perseverare sui propri errori, senza rimproverarlo ma suggerendogli delle strategie per migliorare. Ad esempio, se il bambino è disorganizzato e caotico nel momento in cui deve preparare lo zaino o deve svolgere i compiti, possiamo supportarlo con delle immagini che gli indichino i vari passi da compiere in modo che non si perda, non si scoraggi e non commetta qualche errore. -Quando vogliamo appurare che il bambino stia prestando attenzione e stia comprendendo le nostre richieste, occorre guardarlo negli occhi o fornire dei supporti fisici (ad es, toccare con fermezza la sua spalla, se non è ipersensibile al tatto). -Rinforzare positivamente il bambino valorizzando anche i più piccoli progressi ed evitando di sottolineare ciò che egli non ha portato a termine, e modulare il tono di voce (non troppo alto perché potrebbe causare disagio al bambino). ADHD E METODO DI STUDIO Per un bambino con adhd adottare un metodo di studio efficace permette di migliorare la qualità dell’apprendimento. Un ruolo fondamentale è rivestito dalla motivazione, che rappresenta la spinta alla base dei nostri comportamenti: essa può essere estrinseca (il bambino studia per ottenere ricompense o premi) o intrinseca (studia per apprendere nuove cose e perché gli piace). Le difficoltà di concentrazione, la stanchezza o le condizioni esterne caotiche dei bambini con adhd incidono negativamente sull’apprendimento e sul metodo di studio. È importante consigliare ai bambini con adhd di dormire un numero sufficiente di ore, evitare l’abuso di videogiochi o computer, studiare in un ambiente confortevole e tranquillo, senza rumori o distrazioni. Per un corretto metodo di studio è importante la rielaborazione personale dei contenuti appresi e dunque possiamo suggerire al bambino con adhd di esprimere i concetti appresi con parole proprie, creare collegamenti con argomenti passati, evidenziare gli aspetti principali da ricordare, chiarire ciò che risulta incomprensibile, organizzare I contenuti per recuperarli facilmente in futuro. E, per ricordare le nuove conoscenze, bisognerebbe ripetere per facilitare la memorizzazione, sfruttare la memoria visiva con l’uso di mappe o schemi, ripassare spesso i contenuti studiati, mantenere allenata la memoria con esercizi e giochi. Anche l’autonomia è una componente fondamentale del metodo di studio: essere autonomi significa essere capaci di procedere nello studio senza aver bisogno di aiuto e consente al bambino con adhd di apprendere per conto proprio e di acquisire nuove conoscenze che esulano dal contesto scolastico. Tnpee Francesca Tabellione Tnpee Erika D’Antonio
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CARTA DEL DOCENTE
Da oggi è possibile acquistare il volume cartaceo con cd-rom del volume BRAIN JUNIOR. Abbiamo messo a disposizione n.3 copie, segui il link su Libreria Universitaria e procedi all'acquisto. https://www.libreriauniversitaria.it/brain-junior-allenare-funzioni-esecutive/libro/9791221062342
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News – da Erika
COS'È L'ALESSITIMIA?
QUAL È LA RELAZIONE CON IL DISTURBO DELLO SPETTRO AUTISTICO? L’alessitimia, o assenza di parole per esprimere le emozioni, è la ridotta capacità di una persona a riconoscere ed elaborare coscientemente le proprie emozioni. È anche definita come analfabetismo emotivo. Si differenzia dell’anaffettività in quanto la persona anaffettiva è incapace di provare emozioni, mentre l’alessitimico non riconosce e non sa descrivere i propri stati emotivi né le emozioni altrui. L’alessitimia per la psicologia non è di per sé una patologia, infatti non è presente nel DSM-5, ma rappresenta un modo di essere che può essere connesso a diversi disturbi psicofisici. Questa parola viene dal greco e si compone del prefisso a-, che indica mancanza, lexis, che significa parola, e thymos, emozione. La conoscenza del proprio mondo emotivo, dei sentimenti e delle emozioni, così come la capacità empatica ha notevoli ripercussioni nel processo psicofisico di sviluppo dell’individuo. Le emozioni rappresentano un importantissimo elemento psicosomatico e sono fondamentali per l'elaborazione e la conoscenza del Sé e per stabilire rapporti interpersonali adeguati. L' alessitimico manifesta disturbi nella sfera cognitiva con difficoltà a: -identificare e distinguere sentimenti ed emozioni e questi da sensazioni derivanti da alterazioni somatiche non emozionali -comunicare agli altri le proprie emozioni e ciò che si prova -comprendere o sentire gli stati emotivi e i sentimenti di un’altra persona -mettere in atto processi immaginativi -scarsa o assenza di empatia - difficoltà nel guardarsi dentro e nel prendere decisioni. Le persone alessitimiche tendono a descrivere gli eventi con ricchezza di particolari, ma la comunicazione risulta piatta, carente di fantasia e immaginazione e priva di intensità emotiva, in quanto mancano i riferimenti a vissuti interiori, a desideri, a paure o sentimenti. Anche se nella definizione non viene generalmente inclusa la difficoltà nel monitorare le emozioni e i sentimenti delle altre persone, numerosi studi hanno dimostrato che i soggetti con elevati punteggi di alessitimia mostrano importanti problematiche nell’identificazione delle emozioni a partire dall’espressione facciale degli altri. È stato inoltre osservato che individui alessitimici manifestano una limitata capacità di empatizzare con gli stati emotivi di altre persone (Parker et al., 2001). Il soggetto alessitimico, data l’incapacità di identificare e descrivere i propri stati emotivi, tenderebbe a concentrarsi esclusivamente sulle sensazioni fisiche che accompagnano le emozioni, e questo comporterebbe un’amplificazione di tali sensazioni e un’interpretazione errata dei segnali corporei come sintomi di malattie organiche (teoria della somatizzazione) (Lundh & Simonsson-Sarnecki, 2001). Alcune ricerche evidenziano gravi difficoltà nel rapporto con le figure di riferimento durante i primi anni di vita, periodo centrale dello sviluppo psicoaffettivo di ogni persona. Sembra che l’alessitimia nasca in risposta a un contesto familiare in cui non è presente una relazione affettiva adeguata che permetta al bambino di sviluppare la mentalizzazione, ovvero la capacità di riconoscere e modulare i propri stati emotivi. In quanto disregolazione emotiva, è stato dimostrato che nella relazione tra madre e bambino, nel neonato non si sviluppa, o si sviluppa solo parzialmente, la capacità di regolazione fisiologica dell’organismo e del controllo emozionale. Alcuni autori hanno poi ipotizzato che gli individui che hanno difficoltà a percepire i propri stati emotivi, a identificarli e a differenziarli, tendono ad attuare in modo intensivo e continuativo comportamenti maladattivi e disfunzionali, nel tentativo di regolare e controllare le emozioni, altrimenti vissute come intollerabili e non gestibili. La presenza concomitante di alessitimia è alla base di diversi aspetti delle difficoltà socio-emotive che si riscontrano comunemente negli individui con Disturbi dello Spettro Autistico. Per esempio, alcuni studi hanno dimostrato che l’alessitimia è all’origine della difficoltà a guardare negli occhi e riconoscere le espressioni facciali e vocali delle emozioni (Bird & Cook, 2013). Un altro aspetto direttamente influenzato dalla presenza di alessitimia sembra essere quello del decision-making (presa di decisioni): la ridotta capacità di riconoscere il proprio stato interno comporta che i segnali emotivi non vengano percepiti, e dunque integrati, durante il processo di decision-making, e questo può portare a processi di scelta non esaustivi (Shah et al., 2016). Una ricerca molto recente di Gaigg e collaboratori (2018) ha valutato l’ipotesi che l’alessitimia comporti una riduzione della consapevolezza di altrimenti intatti aspetti fisiologici delle esperienze emotive nei Disturbi dello Spettro Autistico (ASD). Lo studio ha incluso 13 adulti con ASD (1 donna e 12 uomini) e 13 adulti neurotipici (tutti uomini), simili tra loro per età, funzionamento cognitivo e presenza di alessitimia. Ai partecipanti è stato chiesto di mettere in ordine 70 immagini a seconda che li facessero sentire bene o male, e in base a quanto intensa fosse l’esperienza emotiva. I risultati emersi suggeriscono che la presenza di alessitimia comporti una disfunzione della misura in cui l’arousal fisiologico modula l’esperienza emotiva soggettiva in soggetti con o senza diagnosi di ASD. Ciò consente di fare alcune considerazioni su come essere di supporto alle persone con ASD che manifestano alessitimia in comorbilità: l’alessitimia, infatti, tende ad avere un impatto negativo sull’efficacia dei trattamenti psicoterapeutici, e le persone con ASD cercano frequentemente aiuto per problematiche come ansia e depressione. Poiché sembra che l’alessitimia includa una difficoltà ad avere consapevolezza dell’arousal fisiologico connesso all’attivazione emotiva, se ne deduce che le terapie basate sulla mindfulness, promuovendo una maggiore consapevolezza dell’esperienza momento per momento di pensieri, emozioni e sensazioni corporee, potrebbero essere utili per liberare l’effettivo potenziale degli interventi psicoterapeutici con persone con ASD e alessitimia (Gaigg et al., 2018). ••••• DISPONIBILE PER L'ACQUISTO IN PDF ••••••••
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ABILITÀ VISUO-SPAZIALI: COSA SONO E PERCHÉ SONO IMPORTANTI
[Articolo a cura della dott.ssa Francesca Tabellione, dott.ssa Erika d'Antonio] Le abilità visuo-spaziali sono un insieme di capacità cognitive che ci permettono di percepire, elaborare e utilizzare le informazioni visive relative allo spazio e alla posizione degli oggetti. Costituiscono delle competenze che fanno parte della cosiddetta «intelligenza non verbale»: in altre parole, ci permettono di eseguire abilità intellettive di performance che non prevedono l’implicazione del linguaggio, di vedere il mondo in modo tridimensionale e di muoverci al suo interno con destrezza. ♦ Queste abilità sono coinvolte in una grande varietà di attività quotidiane, quali: Le competenze verbali e di espressione orale risultano invece nella norma. ♦ COME SI SVILUPPANO LE ABILITÀ VISUO-SPAZIALI Le abilità visuo-spaziali si sviluppano fin dalla nascita attraverso l'interazione con l'ambiente circostante e hanno molti risvolti importanti, in particolare per le autonomie personali e l’apprendimento. Alcune esperienze che possono favorire il loro sviluppo sono: ••Giocare con oggetti di diverse forme e dimensioni - infilare palline in un contenitore, costruire configurazioni e modelli con cubetti, bastoncini e altro materiale, fare puzzle. ♦ DIFFICOLTÀ VISUO-SPAZIALI Alcuni bambini possono manifestare difficoltà nelle abilità visuo-spaziali. I disturbi visuo-spaziali includono un eterogeneo insieme di sintomi che interessa le abilità non verbali di una persona. ♦ COME SI MANIFESTANO I DISTURBI VISUO-SPAZIALI? I disturbi visuo-spaziali si manifestano attraverso problemi percettivi, di esplorazione tattile, problemi di equilibrio e di coordinazione motoria, difficoltà nell’orientarsi sia in ambienti nuovi e sia nello spazio-foglio, difficoltà di pianificazione visuo-spaziale, difficoltà nell’eseguire incastri, puzzle o nel riprodurre una costruzione partendo dal modello, difficoltà nella copia di un disegno o dalla lavagna, immaturità nel disegno spontaneo (poco accurato e organizzato, pochi dettagli), scarsa capacità di riconoscere similitudini e differenze tra due immagini e di esplorazione/analisi visiva, disturbi negli apprendimenti scolastici (soprattutto nell’incolonnamento delle operazioni, nel posizionare prestiti e riporti, nelle simmetrie, nel distinguere i segni operatori o i segni > e <, nel problem-solving matematico, nella geometria, nell’utilizzo degli strumenti per il disegno tecnico, nella lettura - seguire il rigo mentre si legge e andare correttamente a capo, nella scrittura), con ricadute notevoli anche sul piano sociale e relazionale, che in adolescenza possono evolvere in problemi emotivi e stati depressivi (labilità emotiva, impulsività spesso per la percezione di inadeguatezza sociale, deficit nel percepire e comprendere segnali non verbali come le espressioni del volto, le posture, la prosodia, ecc.). ♀RELAZIONE TRA ABILITÀ VISUO-COSTRUTTIVE E PIANIFICAZIONE Le abilità visuo-costruttive e la pianificazione sono due processi cognitivi strettamente interconnessi che assumono un ruolo fondamentale in diverse attività quotidiane. Il loro sviluppo e potenziamento possono contribuire a migliorare l’autonomia e la qualità di vita del bambino. ♦ Le abilità visuo-costruttive ci permettono di: La pianificazione, invece, implica la capacità di: Le abilità visuo-costruttive sono un prerequisito fondamentale per la pianificazione efficace. Per pianificare un'azione, infatti, è necessario essere in grado di: visualizzare l'obiettivo da raggiungere, rappresentare mentalmente le relazioni spaziali tra gli oggetti coinvolti, prevedere le possibili difficoltà e ostacoli al raggiungimento degli obiettivi, monitorare e correggere eventuali errori (verifica e autocontrollo/autocorrezione). Dottoressa Francesca Tabellione
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CATALOGO 2024
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News – da Erika
CARATTERISTICHE, CAUSE E DIAGNOSI DI UNO DEI DISTURBI PIÙ FREQUENTI DELL'ETÀ EVOLUTIVA: l'ADHD
La sindrome da deficit di attenzione e iperattività esordisce nell'infanzia e nella preadolescenza. Generalmente, il disturbo si manifesta prima dei 7 anni (secondo i criteri diagnostici del DSM-5, è necessario che alcune manifestazioni insorgano entro i 12 anni di età). La sintomatologia primaria dell'ADHD include: ✓Disattenzione ✓Attività motoria persistente e continuativa (iperattività) ✓Impulsività comportamentale e verbale. Si possono distinguere tre varianti del disturbo: ✓Inattentiva (con disattenzione predominante); ✓Iperattiva-impulsiva; ✓Forma combinata o mista. In ogni caso, le manifestazioni sono eccessive e non coerenti rispetto all'età cronologica o rispetto al livello di sviluppo. I bambini affetti da sindrome da deficit di attenzione e iperattività sembrano essere sempre occupati in qualche attività, anche se spesso non la portano a termine, poiché distratti continuamente da nuovi e vari stimoli. La tendenza a non ascoltare e/o l'eccessiva attività motoria comportano uno stato di irrequietezza, una difficoltà a stare seduti e un'incapacità nell'attesa della turnazione o nel rispetto di semplici regole sociali. Queste manifestazioni (iperattività, impulsività e disattenzione, comportamenti agitati, oppositivi e provocatori...), rappresentano la conseguenza dell'incapacità del bambino con ADHD di controllare i propri impulsi e le proprie risposte motorie e/o emotive nei confronti degli stimoli ambientali, e di focalizzare la propria attenzione su un singolo compito. La sindrome da deficit di attenzione e iperattività influenza il rendimento scolastico, la capacità di sviluppare un comportamento sociale appropriato e le strategie di problem solving (pensiero e ragionamento), e può associarsi anche a deficit neurologici non specifici, disfunzioni sensitive, incoordinazione e impaccio motorio sia generale che fine. Le difficoltà nelle relazioni sociali e affettive possono persistere fino all'età adulta. Quali sono le cause dell’ADHD? Le cause dell’ADHD, sebbene non siano ancora del tutto conosciute, possono essere multifattoriali, ovvero di natura: ✓Genetica (esistenza di un’associazione tra l’ADHD e alcuni geni. Ad esempio, un’alterazione nel gene responsabile della produzione di un neurotrasmettitore (dopamina) potrebbe essere una delle cause di questo disturbo: la dopamina è quella sostanza che veicola le informazioni fra i neuroni e, quindi, è alla base di molti processi cognitivi, come attenzione e memoria, entrambi compromessi in questi bambini. Vi è dunque una familiarità del disturbo: un bambino affetto da ADHD ha 4 volte più probabilità di avere un parente con la stessa disfunzione) ✓Neurobiologica (difetti nella struttura e nel funzionamento della parte frontale del cervello, responsabile di processi esecutivi primari come la pianificazione e l’organizzazione del comportamento, l’attenzione, la flessibilità e il controllo inibitorio. I deficit strutturali possono interessare anche la regione cerebrale che regola le emozioni (sistema limbico) e una parte del sistema nervoso che regola la comunicazione all’interno del cervello (gangli basali). Tutte queste regioni cerebrali sono interconnesse tra di loro e un deficit anche in una sola di esse potrebbe originare il disturbo). ✓Ambientale (esposizione prolungata a fumo di sigaretta, abuso di alcool o droga in gravidanza, ipertensione, stress, complicanze durante il parto, nascita pretermine, basso peso alla nascita. Tali fattori non causano in maniera diretta questo disturbo ma possono favorire la comparsa di alterazioni nei geni, che portano poi all’insorgenza dell’ADHD) ✓Biochimici (esposizione a vernici, pesticidi, piombo e certi additivi alimentari). Come viene effettuata la diagnosi di ADHD? Il neuropsichiatra infantile può diagnosticare l’ADHD attraverso: ✓colloqui riguardanti la storia clinica del bambino; ✓esami neurologici volti a valutare lo stato mentale del bambino e il suo sistema motorio (forza muscolare, coordinazione, riflessi); ✓valutazione delle funzioni esecutive generali; ✓colloqui volti a valutare eventuali disturbi mentali presenti in famiglia; ✓questionari relativi al comportamento del bambino, compilati dai genitori e dall’insegnante; ✓questionari circa una valutazione globale della gravità del disturbo compilato dal neuropsichiatra stesso. Le manifestazioni alla base della diagnosi dell'ADHD sono la disattenzione, l'iperattività e l'impulsività, le quali vanno valutate attentamente per gravità, intensità e persistenza e diversificate dai normali episodi di ridotta concentrazione e vivacità fisiologica di molti bambini. Il medico deve escludere la presenza di altre malattie, situazioni o eventi che possono causare comportamenti temporanei e i sintomi dell'ADHD (ad esempio: problemi di udito, difficoltà di apprendimento, ansia o depressione). In particolare, è importante che i sintomi chiave della sindrome (deficit di attenzione, iperattività e impulsività) siano presenti per almeno 6 mesi, si manifestino prima dei 7 anni e in più di un contesto di vita del bambino (es. scuola, famiglia e società). Negli adulti, l'ADHD si può manifestare con sintomi più vari, ma per porre la diagnosi è necessario individuare la presenza del disturbo nell'infanzia. Come si presentano i bambini con tale disordine? I bambini che soffrono di ADHD hanno spesso difficoltà ad organizzarsi nella loro vita quotidiana, sia con i compiti che con le altre attività extra-scolastiche. Inoltre, manifestano notevoli difficoltà nell'organizzazione spazio-temporale: non riescono a mantenere in ordine la loro stanza, i loro materiali o gli oggetti, eseguono i compiti in maniera disordinata e disorganizzata, gestiscono male il tempo senza riuscire a rispettare le scadenze. Per questo motivo, il consiglio che diamo ad un genitore o ad un'insegnante è quello di cercare di osservare attentamente i comportamenti del loro bambino, senza giudicarlo ma facendolo sentire amato e soprattutto compreso, dargli poche regole, semplici e chiare, meglio se in positivo. In particolare, è fondamentale cercare di "premiare" lo sforzo del bambino quando adotta comportamenti più consoni a daterminate situazioni o circostanze, anche se non sono ancora traguardi comportamentali pienamente raggiunti e soddisfacenti. Quali sono i disturbi associati all'ADHD? La sindrome da deficit di attenzione e iperattività può presentarsi in comorbilità ad altri disturbi, che possono complicare notevolmente la diagnosi e il trattamento. Le condizioni più comunemente correlate all'ADHD sono: ✓DOP o Disturbo oppositivo-provocatorio ✓DC o Disturbo della condotta (caratterizzato da comportamenti antisociali); ✓DSA (dislessia, disgrafia, discalculia, disortografia); ✓Disturbi del sonno; ✓Disturbo borderline di personalità; ✓Disturbi dell'umore (soprattutto bipolare e depressione maggiore); ✓Disturbi d'ansia; ✓Disturbo ossessivo-compulsivo. Qual è l'intervento più idoneo per trattare la sindrome di ADHD? È fondamentale un approccio multimodale, che coinvolga il bambino, la famiglia e la scuola e che includa un intervento cognitivo-comportamentale, farmacologico (i medicinali, tra cui il metilfenidato e l'atomoxetina, permettono di controllare i sintomi dell'ADHD, ma non curano la sindrome e sono sconsigliati a bambini di età prescolare), psicoterapico (soprattutto in età adolescenziale e adulta), cambiamenti dello stile di vita, al fine di ridurre i sintomi dell'ADHD e migliorare le disfunzioni che la condizione comporta. Più l'intervento è precoce e tempestivo, e maggiori saranno i miglioramenti su tutti gli aspetti di vita del bambino (emotivo, sociale, comportamentale, apprendimento). L'intervento educativo/abilitativo si basa sul mantenimento di un programma giornaliero, sul miglioramento di tutte le funzioni esecutive di base compromesse (motorio-prassiche, emotive, cognitive), premiando il comportamento positivo, con condivisione degli obiettivi sia da parte dei genitori e sia dagli insegnati, i quali vengono inclusi nel percorso terapeutico. Il trattamento mira a ridurre, dunque, i comportamenti disfunzionali del bambino con ADHD. Dottoressa Francesca Tabellione
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PERCHÉ È IMPORTANTE CHE IL BAMBINO SCRIVA A MANO anziché SU TASTIERA?
Oggi siamo immersi in un mondo tecnologico, intriso di stimoli visivi e uditivi, in cui le immagini sullo schermo si susseguono l'uno dopo l'altro e dove tutto scorre in modo così rapido e caotico. Spesso noi professionisti ci troviamo di fronte a insegnanti concordi nel far utilizzare il pc a bambini che manifestano difficoltà di scrittura o Disgrafia. Tuttavia, noi consigliamo loro di "far rimanere" il bambino nel gesto grafico, anche nel caso in cui tale processo si presenta complesso, faticoso e dispendioso: il reclutamento della mano nell'atto dello scrivere con la penna consente di riattivare il CIRCUITO SENSORI-MOTORIO, il quale consente di definire i complessi pattern visuo-motori della scrittura sul foglio. Tale processo di recupero, sia allografico sia grafo-motorio, richiede di attivare le immagini mentali visuo-spaziali e motorie immagazzinate in memoria in modo sincrono e implicito nell'atto stesso dello scrivere, oltre ai processi sensoriali visivi, propriocettivi, cinestesici e tattili. Qual è la differenza tra SCRITTURA A MANO e SCRITTURA DIGITALE? ✓La TASTIERA facilita il richiamo del grafema riportandolo sul tasto e non richiede la complessa attivazione di movimenti necessari alla realizzazione dei pattern grafo-motori. Pertanto, la scrittura su tastiera implica un apprendimento spaziale legato alla tastiera stessa, alla sua forma e alla collocazione visiva delle lettere rispetto alle sue coordinate. Inoltre, il movimento primario, quello di localizzazione e di raggiungimento, non richiede un gesto motorio fine complesso, bensì la definizione delle traiettorie delle dita nel movimento diretto a un tasto. ✓La SCRITTURA A MANO, invece, richiede di stabilizzare il movimento che definisce la forma della lettera arrivando a costruire un modello di rappresentazione mentale delle caratteristiche spaziali delle lettere. L'interrogativo più grande è capire cosa accade a livello funzionale nel cervello e quali effetti produce l'impiego di una modalità di scrittura rispetto all'altra. ✓I bambini che scrivono a mano sembrerebbero riconoscere con più facilità le lettere e mantenerle maggiormente in memoria (Longcamp et al., 2006). Alcuni studi hanno permesso di affermare l'importanza dell'attività motoria sincrona alla vista delle lettere tracciate che consentirebbe di costruire una memoria specifica per cui la vista di un carattere attiva il pattern motorio necessario alla sua realizzazione richiamandone l'immagine mentale stessa. La scrittura a mano, oltre ad attivare le aree motorie, sembrerebbe anche attivare le aree visive: la percezione della lettera è facilitata dall'esperienza grafica e l'esperienza della scrittura sarebbe importante per il processamento delle lettere nel network cerebrale. Questo aspetto ha anche delle ripercussioni sulla qualità dei processi di lettura. ✓l bambini che scrivono a mano manifestano inoltre una migliore proprietà comunicativo-linguistica e un pensiero più fluido e organizzato: con l'automatizzazione della scrittura, infatti, la qualità e la quantità di ciò che viene ad essere fissato con il gesto grafico sembrerebbe più ricca e il linguaggio maggiormente sviluppato e ampliato dal punto di vista logico e sequenziale. In particolare, alcune scoperte hanno evidenziato che la SCRITTURA IN CORSIVO (più che con tastiera o in stampatello) consentirebbe di acquisire una maggiore capacità di autocontrollo, fondamentale per prevenire eventuali inversioni di lettere, dunque andare incontro ad una disortografia. L'apprendimento del corsivo rappresenta dunque uno strumento importante per lo sviluppo cognitivo, garantendo una specializzazione funzionale e l'accesso a prestazioni più efficienti dal punto di vista sintattico e ortografico (Morin, Lavoie et al., 2012). Dott.ssa Francesca TabellioneDott.ssa Erika D'Antonio
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LE FRAGILITA’ EMOTIVE E PSICOSOCIALI: MANIFESTAZIONI SECONDARIE DEL DISTURBO DISPRASSICO
La diagnosi di Disprassia è molto spesso tardiva, intorno ai 9/11 anni, a volte nell’adolescenza. Solo negli ultimi anni il riconoscimento del quadro disprassico sta emergendo progressivamente anche in età prescolare. La diagnosi tardiva ha effetti negativi sulla sfera motoria globale (sport di gruppo, bicicletta, corsa, salire e scendere le scale, saltare la corda), sulla sfera motoria fine (prassie bimanuali, autonomie di vita quotidiana, scrittura, giochi costruttivi), e su quella emotiva e relazionale del bambino, il quale si trova a collezionare una serie di frustrazioni e insuccessi. Ci sono bambini che riescono a fronteggiare e a mettere in atto una serie di capacità rispetto alle loro aree di debolezza e ci sono bambini che non possiedono i mezzi e le strategie per affrontare le proprie difficoltà. Per ragazzi e adolescenti disprassici il supporto sociale sembrerebbe essere un elemento determinante nella modulazione dell’autostima; in particolare alcune ricerche (Harter, 1985, 1988) hanno evidenziato quanto segue: i bambini con disturbo della coordinazione motoria risultano, a livello di autopercezione, molto carenti nei domini di competenza scolastica-atletica-di aspetto fisico-di autostima rispetto ai bambini con sviluppo tipico; gli adolescenti con disturbo della coordinazione motoria risultano, a livello di autopercezione, molto carenti nei domini di competenza atletica-di aspetto fisico-di organizzazione-di accettazione sociale-di autostima rispetto agli adolescenti con sviluppo tipico. Un’altra differenza tra i bambini disprassici e quelli con sviluppo tipico è che i primi sembrerebbero aver bisogno del supporto dell’altro (adulti, genitori, compagni di classe) fino all’adolescenza, soprattutto per quanto concerne le problematiche organizzative, mentre nei secondi tale processo di autonomia si completa, in misura variabile, prima dei 10 anni (Kirby, Sugden, 2011). Le evidenze scientifiche riportano, a diagnosi avvenuta, una narrazione dei bambini e degli adolescenti improntata su una maggiore frustrazione e disapprovazione nel rapporto con i loro genitori fin da molto piccoli (Missiuna, 2008). Le caratteristiche proprie del disturbo sarebbero erroneamente attribuite, da parte di genitori e insegnanti, a una mancanza di impegno e di attenzione durante lo svolgimento di un compito: questi bambini vengono spesso etichettati in modo improprio come pigri o provocatori, andando incontro a maggior vissuti di disapprovazione (Miyahara, Piek, 2006). prevedere ed evitare le situazioni che potrebbero rappresentare una causa di disagio emozionale o aiutare il bambino a prepararsi per lo stress che proverà, discutendo con lui dei possibili ostacoli che incontrerà e delle possibili strategie per affrontarli adeguatamente. adottare un atteggiamento empatico e basato sull’ascolto per comprendere i sentimenti del bambino. Ad esempio, è possibile utilizzare un commento del tipo “so che non è semplice giocare al parco quando ci sono tanti bambini o partecipare a giochi di squadra perché bisogna essere molto veloci, ma possiamo provare ad andare al parco e chiamare solo 2 amichetti (in modo da farlo abituare gradualmente ad un ambiente iperstimolante) oppure possiamo scegliere, almeno inizialmente, uno sport dove non devi necessariamente rispettare il ritmo e la velocità dei tuoi coetanei (arti marziali, judo, nuoto, atletica leggera)”. In questo modo si trasmette al bambino che comprendiamo i suoi stati d’animo, ovvero come si sente in quella data situazione o circostanza, senza assumere un atteggiamento giudicante o sminuire le sue paure e difficoltà; in uno sport di gruppo, bisognerebbe individuare allenatori che favoriscano lo sviluppo individuale di ciascun bambino, piuttosto che privilegiare solo i giocatori migliori, condividendo con loro la situazione clinica e adottando soprattutto una linea comune con i professionisti che hanno in carico il piccolo paziente; risaltare gli sforzi e i tentativi messi in atto dal bambino quando sta svolgendo un’attività prassico-motoria, anche se la prestazione non è fluida e accurata: ad esempio, se il bambino sta imparando ad afferrare bene una palla e a fare canestro ma continua a fallire anche dopo varie prove ed errori, bisogna cercare di elogiare la buona volontà e la fatica e incoraggiarlo a non arrendersi; creare un programma e una routine nella giornata del bambino e, se le routine vengono interrotte, avvisarlo in anticipo del cambiamento, così che egli sia pronto per una nuova organizzazione ed eviti di andare in “stress emotivo”; organizzare momenti di gioco libero o attività sociali per promuovere la relazione con i coetanei, come “andare a casa di un amichetto a fare merenda, andare allo zoo, mangiare un gelato, fare i compiti insieme, ecc”; al fine di modificare e riorganizzare i circuiti prefrontali, dagli anni prescolari fino all’adolescenza, bisogna intervenire precocemente sulle Funzioni Esecutive “calde”, facilitando i processi di ascolto attivo e focalizzando l’attenzione sui segnali del corpo e sull’emozione che il corpo stesso prova al variare delle situazioni, attraverso l’utilizzo di immagini/storie/fumetti delle emozioni per riconoscere la propria emozione e quella di altri coinvolti (fornire al bambino la terminologia corretta per descrivere ciò che sta provando o ciò che prova l’altro). Lavorare inoltre sulla modulazione efficace delle proprie emozioni e dei propri sentimenti per permettere al bambino di avere scambi relazionali positivi in vari contesti, sulla sequenzialità e temporalità dell’attivazione emotiva attraverso la costruzione e l’organizzazione di storie, per aiutare il bambino a riconoscere cause ed effetti di una situazione emotiva assumendo il punto di vista degli altri: egli dovrà essere capace di predire come si sentirà l’altro nel contesto emotivo indicato in una vignetta (es: “Giorgia non può giocare con la sua altalena perché è rotta. Come si sentirà Giorgia?”); fornire un input vestibolare ritmico ripetitivo (“dondolare, cullare”), effettuare un massaggio profondo, proporre attività di lavoro pesante (“spingere un carrello della spesa, portare uno zaino pesante dietro la schiena mentre si corre-cammina o si salta, trascinare oggetti pesanti”) al fine di favorire una maggiore consapevolezza enterocettiva e corporea e un maggior “sentire senso-motorio” tramite la sperimentazione delle sensazioni in movimento (sensazioni che permettono adattamenti posturali e tonici diversi). Questa maggiore capacità di regolazione interna permetterà al bambino di avvertire meglio i propri stati corporei e di conseguenza regolare le competenze affettive e comunicative con l’altro, rapportandosi adeguatamente al mondo circostante e alle situazioni stressanti che gli si presenteranno nel corso del suo sviluppo. (Articolo a cura della Dott.ssa Francesca Tabellione, tnpee- docente presso enti accreditati, specializzata in neuropedagogia dei processi cognitivi e psicomotricità neurofunzionale, terapista itard)
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FUNZIONI PSICOMOTORIE, DISTURBO DI DISPREVALENZA E DISTURBI DI REGOLAZIONE E DELL’INTEGRAZIONE SENSORIALE DA 0 A 3 ANNI
A cura della dott.ssa Francesca Tabellione LE FUNZIONI PSICOMOTORIE Secondo la teoria di Le Boulch, il SNC regola lo scambio delle informazioni tra la persona e l’ambiente e definisce la risposta dell’individuo, tramite movimenti (prassie) e linguaggio. Queste due risposte fanno capo alle funzioni OPERATIVO-COGNITIVE, ovvero legate alle azioni di ogni tipo, della persona nel suo ambiente. Queste azioni però dipendono da un’altra funzione più primitiva di matura energetica, ovvero hanno bisogno di energia per essere svolte. Questa energia viene raccolta, immagazzinata e distribuita da alcuni sistemi della funzione energetico-affettiva che si esercita in due direzioni: verso la muscolatura, determinando un tono di base e verso la corteccia cerebrale, stimolando il livello di vigilanza, ovvero l’attenzione. Si chiama Funzione ENERGETICO- AFFETTIVA perché è proprio l’aspetto emotivo a influenzare in modo profondo il tono e la vigilanza, poiché una buona relazione stimola interesse e motivazione a conoscere, dunque stimola l’attenzione. Le Boulch chiamò: FUNZIONE DI AGGIUSTAMENTO, che in neurologia viene chiamata funzione di integrazione sensoriale, ovvero la possibilità di sperimentare, variando le risposte personali, le opportunità di iniziativa, di movimento autonomo, spontaneo e controllato sia in ambito delle relazioni sia nella gestione dell’ambiente. Queste esperienze modulano e ridefiniscono le risposte del SNC, amplificando il sapere motorio e cognitivo FUNZIONE DI PERCEZIONE o funzione gnosica, corrisponde alla capacità di prendere coscienza delle informazioni sensoriali, esterocettive o propriocettive ed è strettamente connessa alla capacità di porre attenzione, ovvero rendere coscienti le informazioni raccolte e quindi di strutturare la nascita delle immagini mentali, creando una conoscenza stabile della realtà. La rappresentazione mentale è la base della funzione simbolica sia verbale che grafica. Tutte le informazioni sensoriali raccolte dalla nascita lasceranno una traccia indelebile nel sistema vestibolare, vero e proprio organizzatore delle attività legate allo sviluppo psicomotorio e all’apprendimento. Quest’ultimo è implicato nella percezione del proprio corpo, nell’orientamento spaziale, nell’equilibrio, nella pianificazione motoria, nella coordinazione bilaterale, nel tono muscolare, nei movimenti oculari saccadici, nella percezione uditiva e temporale, nella sicurezza emotiva. Ricordiamo che un corretto sviluppo psicomotorio è legato alla capacità di porre attenzione, alla flessibilità cognitiva, alla capacità di pianificazione e di prendere decisioni, alla capacità di inibizione, di frenaggio e di autoregolazione emotivo-comportamentale, al tono muscolare, allo sviluppo delle abilità accademiche, sociali e relazionali. I principali fattori psicomotori, che rappresentano un’ulteriore suddivisione delle funzioni psicomotorie, e che esprimono le potenzialità individuali, devono essere sviluppati o potenziati precocemente, al fine di garantire un comportamento motorio-prassico, emotivo e cognitivo ottimale e/o adeguato. IL DISTURBO DI DISPREVALENZA MOTORIA Corrisponde a un’asimmetria tonica di una parte del corpo rispetto all’altra e viene elaborata a livello di formazione reticolare paramediana, ovvero è il risultato di una particolare attivazione delle zone mesencefaliche e del tronco cerebrale, responsabile della prevalenza tonica di una parte del corpo rispetto all’altra. Il disturbo di disprevalenza Il disturbo di mancata affermazione della prevalenza motoria genetica si organizza per le seguenti cause: problemi alla nascita o durante il parto (ad esempio asfissia), scarsa integrazione sensoriale, interferenze educative genitoriali, presenza di ambliopia alla nascita (Federici, 2010), ritardo psicomotorio collegato a disturbo dell’attaccamento. Il corpo del bambino deve adattarsi all’ambiente attraverso un mancato riconoscimento di una caratteristica genetica personale. I principali segni e sintomi, a livello comportamentale e sociale, di tale disturbo sono: -inefficacia, -imapacci motori e maldestrezza, -precoce affaticabilità, -alternanza di lentezza e precipitazione, -lentezza nella reattività generale, -scarso autofrenaggio e autocontrollo (impulsività),- difficoltà negli schemi motori rapidi e crociati, -scarsa integrazione bilaterale (tra la parte dx e sx del corpo), – disturbi dell’organizzazione spazio-temporale e dello schema corporeo. A livello scolastico avremo: -difficoltà nell’esecuzione fluida della scrittura (disgrafia e disortografia), -nel rispettare l’orientamento spaziale, -le direzioni e i versi, -difficoltà nel processo di automatizzazione e memorizzazione delle tabelline e di alcune sequenze matematiche e linguistiche, -dislessia. Un’altra causa, come sopra citata, che comporta un disturbo di DISPREVALENZA è il problema visivo della ambliopia: i soggetti ambliopi utilizzeranno per le attività di coordinazione oculo-manuale la mano dalla parte corrispondente all’occhio che vede meglio, anche se questo non è quello prevalente dal punto di vista tonico-motorio. Sotto il profilo neurobiologico, Siegel (1999) ha osservato come le nostre esperienze, soprattutto quelle dei prima anni di vita, influiscano sulle connessioni neuronali e sull’organizzazione dell’attività cerebrale, influenzandole in modo significativo: le esperienze non solo determinano le informazioni che pervengono alla nostra mente, organizzando tutto il sistema percettivo, ma plasmano anche le stesse modalità con le quali la mente sviluppa la capacità di elaborare tali dati. Quando non si afferma la prevalenza motoria naturale, significa che l’attivazione vestibolare del fascio extrapiramidale del sistema efferente coinvolge la mano, l’occhio, l’orecchio e il piede dell’emisoma meno efficace e meno funzionale: ciò impedisce al bambino di realizzare un sistema di protezione personale sicuro ed efficiente. I DISTURBI DELLA REGOLAZIONE La regolazione è un processo biologico che può essere definito come la capacità che un bambino possiede sin dalla nascita di regolare i propri stati emotivi e di organizzare l’esperienza e le risposte comportamentali. Il rapporto con l’ambiente e con il tipo di attaccamento con la madre consentono, o meno, al bambino di attivare i propri meccanismi di regolazione e di controllo. Il bambino da 0 a 3 anni non è capace di regolarsi da solo: ha bisogno di un ambiente che lo aiuti. La qualità dell’attaccamento che si realizza con i caregivers è la prima condizione che consente il processo precoce di regolazione: grazie alla sua precoce capacità di autoregolazione, il bambino può modulare la tensione che proviene da eventi stressanti di tipo ambientale (luci, rumori, o di interazione con una madre o troppo stimolante o poco stimolante). Le esperienze di interazione si devono manifestare con una connotazione di regolarità, stabilità e disponibilità che sono criteri per garantire uno sviluppo psicomotorio funzionale: – la regolarità corrisponde alla soddisfazione di un bisogno – attaccamento sicuro Si organizzano in questo modo delle strategie collegate alle modalità di regolazione che consentono prima la regolazione degli stati biologici (sonno, veglia, alimentazione) e poi la regolazione degli affetti e delle emozioni. La mancata azione regolativa svolta dal caregiver può costringere il bambino a forme di autoregolazione e di autoconsolazione che possono inibire le nascenti capacità relazionali, fino all’esperienza dell’attaccamento disorganizzato. Il processo di separazione – individuazione dai genitori influenza notevolmente lo sviluppo psicomotorio, al punto che la separazione improvvisa e totale dai genitori in bambini molto piccoli influenza negativamente la sua strutturazione psichica. I bambini che non hanno ricevuto una adeguata azione regolativa sviluppano quelle che vengono chiamate “strategie controllanti”, indici di un attaccamento disorientante e disorganizzato del bambino. Ad esempio, quando il bambino ha fame e l’ambiente soddisfa il suo bisogno, egli si regola e con il tempo la sua regolazione risulterà adeguata, circolare e ritmica. Molte mamme invece rispondono con una soddisfazione alimentare ad un bisogno che non è alimentare (come al bisogno di sonno): in questo caso ci troviamo di fronte ad una situazione di DISREGOLAZIONE e il bambino non sarà capace di riconoscere i suoi istinti, in base alle soddisfazioni appropriate ai propri bisogni, poiché la figura di riferimento non gli permette di riconoscere l’origine dello stimolo anzi, tale comportamento genitoriale finisce per confondere l’origine dei proprio stimoli. Altre mamme sono in grado di capire perché il bambino piange poiché si accorgono che il suo pianto non è mai uguale ma si modula a seconda del bisogno. I DISTURBI DELLA REGOLAZIONE E DELL’INTEGRAZIONE SENSORIALE DA 0 A 3 ANNI La alterazioni del processo di regolazione da 0 a 3 anni, vengono definite “disturbi della regolazione e della processazione sensoriale”, le cui caratteristiche sono le difficoltà del b.no nel regolare le emozioni, i comportamenti e le abilità motorie in risposta a uno stimolo sensoriale, che limitano la capacità di interazione adeguata con l’ambiente. La funzione di Aggiustamento è proprio il luogo di manifestazione di eventuali disturbi della regolazione e della processazione sensoriale. La disregolazione può riguardare alcuni ritmi di base come sonno, alimentazione o la processazione sensoriale, ovvero troppi stimoli, tutti insieme, o pochi stimoli uno per volta e poco efficaci. I disturbi della regolazione e della processazione sensoriale danno luogo a differenti tipologie psicomotorie e caratteristiche comportamentali in base alle diverse tipologie di disregolazione. Una 1* tipologia è la IPERSENSIBILITÀ: sono bambini che sperimentano gli stimoli sensoriali come avversi e sollecitano i meccanismi della paura. Si avranno due sottotipi, il “pauroso cauto” e il “negativo provocatore”. b. Il tipo negativo provocatore tende a evitare le nuove esperienze e non porta a termine le attività, in generale è aggressivo quando viene provocato, è controllante, a volte compulsivo e perfezionista, non si adatta facilmente alle routine, manifesta goffaggine e difficoltà di controllo motorio. La tipologia psicomotoria cui questa forma può sfociare è quella dell’ INSTABILE IPERCINETICO. Una 2* tipologia è la IPOSENSIBILITÀ con IPORESPONSIVITÀ: sono bambini che ricercano gli stimoli sensoriali, sono calmi e vigili ma poco reattivi alle risposte degli altri, sono caratterizzati da iporeattività agli stimoli, esplorazione e gioco limitati, ridotta capacità motoria, goffagine, apatia e affaticabilità. La tipologia cui può corrispondere è quella dell’ INIBITO PASSIVO. Una 3* tipologia è la IMPULSIVITÀ – RICERCA DI STIMOLAZIONE SENSORIALE: sono bambini che richiedono una elevata intensità dello stimolo per rispondere alle richieste fatte e cercano attivamente la stimolazione esterna, tanto che questa condizione può essere associata in seguito all’ adhd. A livello motorio emerge impulsività con difficoltà nel percepire le distanze e l’orientamento, a livello comportamentale si evidenzia invece una continua attività e bisogno di toccare compulsivamente persone e oggetti. Questi bambini in età prescolare sono eccitabili, hanno difficoltà nell’autoregolazione e nell’autocontrollo, sono aggressivi e invadenti, estremamente impulsivi. La tipologia psicomotoria è quella dell’ INIBITO SCOORDINATO ATTIVO. È importante sottolineare che spesso i bambini con disturbi di regolazione non vengono riconosciuti precocemente, piuttosto vengono considerati erroneamente come bambini testardi, pigri, svogliati, difficili, aggressivi o provocatori, capricciosi. Inoltre le manifestazioni patologiche vengono scambiate con tratti comportamentali caratteriali e dunque non vengono messi in atto interventi tempestivi precoci.
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LO SVILUPPO GRAFO-PERCETTIVO
FASI DI SVILUPPO DELLO SCARABOCCHIO I primi segni della matita sul foglio sono più il prodotto di colpi che di sfregamenti e, a volte, i colpi sono così energici da provocare dei buchi nel foglio. Il controllo motorio del bambino è ancora molto limitato mentre la carica di energia e di entusiasmo è grande. Alle origini l’attività grafica è essenzialmente un fatto organico: il segno è la conseguenza del gesto.Lo sforzo grafico non è affatto limitato solamente alla mano e al braccio, ma impegna la partecipazione di tutto il corpo. Il bambino è in grado di sperimentare visivamente ciò che prima aveva sperimentato solo cenesteticamente. In questo stadio il bambino varia i movimenti e può fare a piacere linee verticali, circolari, orizzontali padroneggiando e affinando l’abilità grafica. L’intenzione di controllare il gesto nasce dall’esame della traccia ed è resa possibile solamente dalla maturazione motoria. Dai tracciati caotici che hanno inizio verso i 16-18 mesi prenderanno vita e si differenzieranno due attività grafiche: la scrittura e il disegno; tali attività, sotto la spinta della maturazione intellettiva, assumeranno le loro caratteristiche specifiche. Ma per molto tempo ancora il bambino è affascinato dal suo scarabocchiare disordinato: egli non tenta di realizzare alcuna immagine visiva e sarebbe perciò sbagliato, in questa fase, volerlo indurre a rappresentare oggetti reali, in quanto lo scarabocchiare rappresenta una forma di gioco. Soltanto tra i 2 e i 3 anni il bambino comincia a dare un nome al suo scarabocchio. Lo scarabocchio provoca piacere motorio e visivo, un’espressione dei movimenti della mano e del braccio sostenuti da una attività globale di tutto o parte del corpo. A 2 anni compaiono i segni circolari e ad angolo; a questa età il bambino non solleva volentieri la matita dal foglio e con molta facilità ne supera i bordi. A 2 anni e mezzo, aumentando il controllo motorio, il bambino non supera più i bordi e fa scivolare la matita con movimenti che ora guida con lo sguardo. Appaiono così i primi scarabocchi sistematici articolati in uno o più riccioli; successivamente vengono disegnati la spirale e un cerchio con molte circonferenze sovrapposte. A 3 anni il bambino non scarabocchia più per il solo piacere del movimento o per sentire la resistenza della matita contro il foglio, bensì per rappresentare sensazioni interne vissute intensamente. A quest’età appaiono cerchi, semplici croci, spazi chiusi, configurazioni a sbarre. È solo verso la fine dei 3 anni che i bambini iniziano a disegnare figure che assomigliano ad abbozzi di casa e di sole. A 4 anni emergono le prime schematiche figure umane mentre alcuni bambini disegnano anche qualche lettera dell’alfabeto. È a quest’età che il bambino esce definitivamente dalla fase dello scarabocchio per entrare in quella figurativa. STADI EVOLUTIVI DELLA SCRITTURA Quella della scrittura è un’attività che richiede movimenti delicati dei muscoli del braccio, del polso e della mano, movimenti coordinati e di grande precisione. Per poter scrivere il bambino deve aver raggiunto la complessa maturazione di alcune capacità motorie. Le condizioni psicofisiche indispensabili al raggiungimento di tale studio grafico si manifestano verso i 5-6 anni. Verso i 3 anni il bambino sviluppa la tendenza a chiudere le forme aperte ed impara a guidare meglio la matita che viene tenuta solo con le dita. La mano è ancora intraruotata, ma inizia a comparire il movimento del polso. A 4 anni alcuni bambini disegnano qualche lettera dell’alfabeto in mezzo a fiori, case e farfalle. Ma non è ancora scrittura, bensì disegno riproduttivo; le lettere sono perciò quasi sempre inclinate, capovolte e speculari. A 5 anni il bambino scrive alcune lettere e in certi casi impara a tracciare, a caratteri grandi e irregolari, il proprio nome. A 6 anni il bambino scrive tutte le maiuscole sbagliando l’orientamento di alcune: di solito la direzione orizzontale, più raramente quella verticale. ACQUISIZIONE DELLE COMPETENZE PSICOMOTORIE Lo sviluppo grafo-percettivo si fonda sulla strutturazione dello schema corporeo, dello spazio-temporalità, della lateralità, costituendone la logica prosecuzione; l’elemento nuovo e fondamentale che opera in tale settore è la capacità di «significare». Essa viene intesa come capacità di tradurre le diverse esperienze senso-motorie legate allo schema corporeo, allo spazio-tempo, in segni grafici compresi in uno spazio-tempo (quello del foglio su cui si scrive, per esempio). Il bambino, prima di imparare a scrivere, ha imparato a dare un significato alle esperienze senso-motorie fatte (sa cos’è un tondo, una linea retta, una curva, una spezzata perché lo ha vissuto) a questo punto si trova a poter applicare ciò che ha vissuto a un campo ristretto particolare: il disegno-scrittura in uno spazio ben definito (foglio, lavagna ecc.). I PREREQUISITI I prerequisiti che occorrono per compiere un atto grafico corretto possono ritenersi i seguenti: - Corretta posizione del corpo e del braccio in rapporto al piano grafico; - Indipendenza progressiva: braccia-tronco, mano-braccio, dita; - Rilassamento globale e segmentario (nel caso: spalla, braccio, polso, mano; - Organizzazione del gesto; - Capacità di controllo del gesto (inibizione volontaria); - Educazione del gesto fine: prensione della matita; - Pressione sull’oggetto usato per «scrivere»; - Coordinazione oculo-manuale; - Organizzazione nello spazio - Strategia di esplorazione visiva dello spazio e progressione da sinistra a destra e dall’alto verso il baso; - Rappresentazione di rapporti spaziali semplici; - Organizzazione temporale: nozione di prima e dopo; comprensione di successione, di ordine, seriazione (ritmo); - Percezione visiva esatta, senza difficoltà o disturbi delle capacità di analisi; - Lateralità affermata; - Possibilità di transfert e reversibilità del pensiero (passaggio dal piano spaziale al piano temporale e viceversa; modificazione dei simboli); - Possibilità di richiamare e mantenere l’attenzione in una situazione determinata. Tutti i fattori sopra esposti si collegano alla organizzazione dello schema corporeo: solamente se c’è conoscenza di sé e della propria collocazione nello spazio è possibile non solo procedere all’esecuzione ordinata di un atto, ma anche di averne coscienza e padroneggiarlo, imprimendogli la direzione che si vuole e prevedendone le conseguenze. ESERCIZI PER L’APPRENDIMENTO STRUMENTALE E FUNZIONALE DELLA SCRITTURA 1. Manipolazione degli oggetti (attraverso il corpo) per sentirne la morbidezza o la rugosità, la plasticità, lo spessore, la forma, la grandezza. 2. Visualizzazione degli oggetti per differenziarne le forme (grande-piccoli, grosso-sottile, spesso-fine ecc.), per discriminare il colore. 3. Orientamento degli oggetti rispetto al sé (vicino-lontano, sopra-sotto, davanti-dietro). 4. Costruire con cordicelle flessibili figure non geometriche (curve) e riprodurle su grandi fogli. 5. Costruire con bastoncini figure derivanti da rette (“V”,”+” ,”Λ”, ecc.) e riprodurle su grandi fogli. 6. Disporre gli oggetti in senso sinistra-destra (dando un punto di riferimento iniziale). 7. Da una disposizione di «segni» rappresentanti oggetti su un foglio, ripetere la situazione con oggetti (riferimento dal «segno» al concreto). 8. Tentativi di riprodurre situazioni vissute personalmente, in gruppo, con oggetti. 9. Orientamento degli oggetti fra loro e nello spazio; strutture di oggetti nello spazio; trasposizione grafica delle strutture liberamente costruite. 10. Analizzare un insieme di oggetti, scomporli, rimetterli insieme, riprodurli senza guardare il modello. ESERCIZI PER LA PERCEZIONE E LA RIPRODUZIONE DELLE FORME La conoscenza e la discriminazione di forme hanno una notevole importanza in ordine all’apprendimento della lettura e della scrittura e sono strettamente legate alla situazione motoria del fanciullo (soprattutto della motricità manuale) e alla sua capacità senso-percettiva. Si inizia con percezioni tattili muscolari, visive e motorie e con l’impiego di materiali a tre dimensioni; gli esercizi puramente visivi e con materiale a due dimensioni, sono più astratti, richiedono maggiore capacità di concentrazione e, almeno in un primo tempo, sono meno adatti a stimolare l’interesse del bambino. RIPRODUZIONE DI FORME La scrittura richiede una buona capacità di riproduzione di forme, tale riproduzione deve essere preceduta da esperienze motorie che aiutino ad analizzare ed interiorizzare la forma stessa. La riproduzione del cerchio può essere preceduta dalle seguenti esperienze: - camminare su un cerchio disegnato a terra dall’insegnante; - disporsi in circolo con i compagni; - riprodurre il cerchio con le braccia; - formare sul pavimento un cerchio con una corda Le figure geometriche vengono riprodotte, dapprima su un piano parallelo al modello, in seguito eseguendo il passaggio dal piano verticale a quello orizzontale. Per il quadrato, il rettangolo e il triangolo sarà utile la riproduzione con bastoni. ESERCIZI PER L’ACQUISIZIONE DELLE CONDOTTE MOTORIE PER L’ATTIVITA’ GRAFICA Nei vari metodi usati per migliorare le attività del bambino nello scrivere e nel disegnare si rintracciano due obiettivi principali: il primo è di far acquisire un migliore rilassamento nel movimento dello scrivere; il secondo è di aumentare il controllo dei movimenti dello scrivere. Sembra opportuno includere nei programmi educativi attività miranti a migliorare sia la percezione che la fluidità del movimento. Se un bambino sembra capace di fare movimenti rilassati e coordinati in spazi relativamente ampi, gli si deve chiedere poi di fare movimenti più precisi ed in spazi minori. Se il tentativo di fare movimenti precisi (necessari per scrivere lettere e numeri) si manifesta con movimenti rigidi e limitati, l’insegnate/educatore deve inserire nel programma educativo attività comprendenti movimenti che liberano l’arto superiore utilizzando ampie superfici (lavagna, grandi fogli di carta). L’obiettivo principale dei programmi miranti a migliorare la coordinazione oculo-manuale e le condotte motorie, coinvolte direttamente nell’atto grafico, è quello di organizzare la capacità di scrivere su una varietà di superfici in vari piani, e di facilitare l’esecuzione di numerosi tipi di movimenti in tutte le direzioni relative al proprio corpo. Occorre fare eseguire al bambino tutta una serie di esercizi riguardanti, soprattutto, la programmazione e l’esecuzione di movimenti fini a livelli, sempre più alti di integrazione neurologica: la motricità cosiddetta fine è possibile soprattutto mediante l’opposizione del pollice alle altre dita. Gli esercizi che aiutano il rilassamento segmentario, la motricità fine delle mani e il controllo del movimento della mano in modo selezionato, preparano le abilità indispensabili per l’apprendimento della scrittura. Gli esercizi idonei, quindi, devono permettere al fanciullo di ottenere l’indipendenza del braccio e della mano, la coordinazione e la precisione dei movimenti delle dita, una pressione e una prensione funzionali, l’uso dei mezzi di espressione grafica. ESERCIZI PER LA PRENSIONE E LA COORDINAZIONE OCULO-MANUALE Si può cominciare con il fare compiere al bambino gesti usuali come: prendere, afferrare, posare; poi gesti simmetrici, asimmetrici, sincroni delle dita: dalla mano chiusa a pugno aprire le dita contemporaneamente, prima adagio e poi tutte d’un colpo; fare le «farfalline» muovendo rapidamente le mani e ruotando il polso. Si faranno, inoltre, eseguire attività come: - aprire e chiudere scatole; - sovrapporre cubi; - avvitare e svitare dadi, botti ecc.; - arrotolare uno spago attorno ad un bastoncino; - utilizzare costruzioni e incastri vari; - piegare della carta; - annodare e sciogliere cordicelle; - strappare della carta dapprima liberamente e poi seguendo dei tracciati; - ritagliare seguendo linee diritte, curve e spezzate e poi figure geometriche; - utilizzare la creta e la plastilina, formando palline con un movimento rotatorio o creando forme liberamente; - infilare ganci per formare catene; - infilare perline; - seguire i profili di oggetti o forme geometriche con il dito. ESERCIZI PER LA PRESSIONE - esercizi di stretta - lasciare impronte della mano e delle dita su plastilina o das; - ritagliare carta, cartone, stoffa, ecc. - conficcare ed estrarre chiodini; - strappare vari tipi di carta (velina, da giornale) in modo da graduare la forza e la pressione; - pressare palle di varia natura (di spugna, di gomma, di ovatta ecc.);- accartocciare carta crespa, carta da giornale, carta velina ottenendo palle di varia natura; - utilizzare i timbri ecc. ESERCIZI PER IL RILASCIAMENTO MOTORIO E LA PADRONANZA DEL GESTO GRAFICO a) Esercizi scrittografici: grandi tracciati per fare acquisire al bambino il rilasciamento del braccio; i tracciati circolari richiedono, infatti, lo scivolamento di tutto l’avambraccio e della mano sulla superficie grafica. b) Esercizi di grande progressione: richiedono l’impegno di tutti i segmenti prossimali (braccio e avambraccio) e l’articolazione della spalla e del gomito. Le forme devono essere eseguite con un tratto continuo per tutta la lunghezza del foglio. c) Esercizi di piccola progressione: impegnano i segmenti più distali (mano e dita). Al bambino sarà richiesto di tracciare una serie di ghirlande che comportano una progressiva flessione delle dita. I tracciati si possono integrare con piccoli disegni eseguiti in serie. MATERIALI PER LA REALIZZAZIONE DEGLI ESERCIZI GRAFO-MOTORI Occorre considerare in dettaglio i materiali da usare, lo spazio grafico in cui il soggetto deve agire, i dispositivi da allestire affinché le condizioni nelle quali l’esercizio grafo-motorio si attua siano le migliori possibili. I materiali sono svariatissimi: colori-dita, pennelli, pennarelli, gessi, carboncini, penne a sfera, matite. La scelta degli strumenti dell’espressione grafica implica una conoscenza, da parte dell’educatore, delle capacità del bambino e delle possibilità che può offrire il mezzo grafico alle sue esigenze motorie ed espressive. Occorre presentarli rispettando la gradualità delle difficoltà degli stessi. Molto importante è l’uso dei colori-dita come mezzo che soddisfa innanzitutto l’esigenza sensoriale dei più piccoli. Non è raro osservare bambini che effettuano i primi approcci con la digito-pittura impegnando tutti gli organi di senso: a. L’uso dei colori-dita è utile soprattutto per approfondire la conoscenza dello schema corporeo e trasferirla graficamente in grandi fogli stampandovi le impronte di mani e dita. Dall’esecuzione di tali attività ne deriva una maturazione delle parti distali dell’arto superiore che consente la progressiva coordinazione dei movimenti fini della mano e delle dita, per cui il bambino può essere abituato alla prensione e alla coordinazione visuo-motoria mediante l’uso di pennelli e pennarelli che sono una via di mezzo tra la digito-pittura e l’uso della penna. b. L’uso del pennello, per molti bambini, è da considerare un ottimo mezzo di preparazione alla scrittura. Il bambino dovrà imparare ad usarlo tutto per colorare grandi superfici e per lasciare dei tratti spessi e doppi indispensabili per esprimersi graficamente ed esplorare lo spazio del foglio. Dovrà, in seguito, imparare ad utilizzare solo la punta, per tracciare linee brevi e sottili, ed a ruotarlo per tracciare linee ondeggianti e per cambiare direzione. L’uso del pennello prepara il controllo e la precisione del gesto necessario nell’utilizzare matite o penne. La capacità di prensione a pinza superiore favorisce la possibilità di utilizzare i pennarelli a grossa punta e i pastelli a cera. c. Gessi e carboncini si usano molto agevolmente. La loro morbidezza permetto lo scorrere rapido della mano, il progressivo affinarsi della prensione, la modificazione di ritmo nella traccia del segno grafico, una maggiore rapidità. d. La matita colorata va proposta con estrema cautela, per la difficoltà di ritoccare il lavoro con essa realizzato. Le matite colorate non sono ancora gradite in età prescolare perché lasciano un tratto scialbo e colori tenui non ancora adatti ad esprimere l’immediatezza dei sentimenti infantili. e. La matita normale, nera, non solo esige gesti precisi, in genere difficili per un fanciullo con decifits motori, ma fa nascere, in quest’ultimo, la tentazione della cancellatura dalla quale conseguono fiacchezza, scarsa attenzione, errata convinzione di poter modificare il segno tracciato rimediando ad errori eventualmente commessi. Al bambino che ha difficoltà nel tenere in mano la matita, si può dare un aiuto supplementare, mettendo uno spesso cilindro di creta da modellaggio, attorno all’asta della matita. Quando il bambino l’afferra, la creta si modella secondo la conformazione della mano e delle dita, permettendo una presa migliore, più adatta al bambino. Si è ritenuto utile soffermarsi sui materiali da usare negli esercizi grafo-motori poiché si rileva molto spesso, nella scuola, la fretta di fare usare ai bambini la matita e la penna per farli scrivere nel senso inteso, anziché scegliere strumenti di grafismo più idonei alle loro esigenze psicomotorie. L’uso dei vari mezzi di grafismo contribuisce a sviluppare nel bambino il senso stereognosico e una memoria muscolare che gli consente di saper adeguare l’intensità dei suoi movimenti anche in altre circostanze. La conquista di matite a punta sottile è segno di notevole evoluzione psicomotoria e se il bambino è soddisfatto della treccia sottile lasciata dallo strumento sul foglio, vuol dire, che ha interiorizzato bene la realtà ed ha acquisito una spiccata capacità simbolica. Inoltre l’uso della matita e della penna richiede una coordinazione oculo-manuale molto fine ed impegna la mano e il braccio in un’attività motoria controllata ed equilibrata indispensabile nell’apprendimento della scrittura. Se sei interessato/a a conoscere e ad avere maggiori informazioni sulla riabilitazione del gesto grafico e sull'importanza del corsivo, ISCRIVITI AL NOSTRO CORSO IN VIDEOCONFERENZA che si svolgerà il 10/11 aprile Se vuoi ricevere il programma contattaci privatamente oppure lasci qui la tua email. Dott.ssa Francesca Tabellione Dott.ssa Erika D'Antonio
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