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BAMBINI GOFFI, DISPRASSICI E BAMBINI IMPACCIATI: STRATEGIE E CONSIGLI PRATICI PER SUPPORTARLI NELLO SVILUPPO

wp:image {"id":2669,"sizeSlug":"large"} /wp:image wp:tadv/classic-paragraph ---- Articolo molto utile non solo per professionisti e insegnanti ma anche per genitori, che spesso ci pongono tali quesiti! -----   I problemi di un BAMBINO GOFFO si risolvono spontaneamente   Come facciamo a ridurre l'impaccio o la goffaggine nel bambino   Quali sono e come possiamo promuovere le ABILITÀ MOTORIE DI BASE per un maggior sviluppo delle ABILITÀ COGNITIVE ed EMOTIVE dei bambini disprassici in età prescolare e scolare   Abbiamo deciso di ideare sia un corso specifico sulla "Disprassia e altri Disturbi di Coordinazione Motoria" e sia un "Manuale con numerosi Esercizi Neuropsicomotori" per permettere a tutti, professionisti del settore, insegnanti e anche genitori, di aiutare il bambino goffo, o maldestro, o impacciato, o con disprassia a sviluppare e promuovere accuratamente tutti i coordinamenti senso-percettivi e senso-motori, quindi la propria MOTRICITÀ, in modo da avere le basi per:   - essere capace di pianificare, organizzarsi nella vita o nei compiti scolastici   - memorizzare più informazioni in contemporanea   - prestare attenzione e sapersi concentrare per periodi di tempo prolungati   - adottare nuove strategie o pensare a strategie alternative per risolvere un compito o un'attività   - sapersi adattare rapidamente a richieste e a circostanze mutevoli   - saper prendere decisioni nel momento opportuno e in presenza di uno stato di incertezza   - realizzare un futuro professionale appagante   - avere una vita felice e con soddisfazioni.   Vi ricordiamo che i problemi di un bambino goffo, con disprassia o con semplice impaccio motorio non si risolvono spontaneamente. Certamente, egli potrà imparare delle strategie o le cosiddette "competenze scheggia" per poter affrontare alcuni compiti quotidiani ma non sappiamo quanto sforzo e quanto impegno dovrà mettere per riuscire in quell'abilità, senza considerare il senso di frustrazione che proverà per aver impiegato così tanto nell'affrontare quel piccolo ostacolo che invece i suoi coetanei riuscirebbero a superare con scioltezza e senza impiego di energie!   L'esercizio di un'abilità motoria o di una qualsiasi altra abilità, dovrebbe avvenire sempre in un'atmosfera positiva e con ricompense adeguate e varie (sociali, dinamiche o concrete), al fine di stimolarne la motivazione e l'interesse. Attenzione però: bisogna essere sinceri quando ci si complimenta con il bambino e soprattutto precisi nel feedback che gli diamo, poiché quest'ultimo non è soltanto un premio, ma anche uno strumento di insegnamento. Non limitiamoci a dire "Bravo", bensì utilizziamo frasi quali ad esempio: "Ho visto e apprezzato il modo in cui sei riuscito a tenere lo sguardo sulla palla che ti lanciavo ed è caduta anche poche volte. Continua così!". Solo quando il bambino acquisisce una nuova competenza o la esegue con maggior scioltezza, sarebbe opportuno passare ad una successiva.   Di seguito citeremo alcune delle numerose aree di sviluppo neuro-psicomotorio che un professionista o un genitore dovrebbe sviluppare/ rinforzare, con lo scopo di ridurre eventuali impacci e goffaggini, e di rendere il bambino più fluido-organizzato-autoregolato anche a livello cognitivo ed emotivo:   1. CONSAPEVOLEZZA CORPOREA   È la percezione inconscia della posizione, del movimento e della forza del corpo che deriva dai recettori sensoriali situati nelle articolazioni e nei muscoli (percezione = propriocezione). Quando il sistema propriocettivo non funziona efficacemente, non consente di operare degli aggiustamenti automatici e inconsci della posizione e dei movimenti del corpo in risposta al compito affrontato. Bambini che presentano una ipotonia, hanno spesso problemi propriocettivi e dunque troveranno beneficio da attività motorie che mirano a rafforzare i muscoli, quali portare pesi sulle braccia, spingere un carrello o tirare una corda, portare uno zaino pesante, fare pressione e lavorare contro una resistenza.   Gli esercizi che proponiamo per stimolare il sistema propriocettivo sono utili anche per migliorare l'attenzione e l'organizzazione, poiché questo ulteriore stimolo può generare un effetto calmante: - strofinare o massaggiare con una certa pressione la schiena - indossare abiti stretti ed elasticizzati - eseguire compiti pesanti in casa, come portare buste della spesa, spingere una carriola in giardino - giocare al "tiro alla fune" - fare la "carriola", camminando sulle mani mentre l'adulto tiene il bambino per le caviglie - camminare sulle ginocchia o a quattro zampe, poggiando solo mani e piedi - saltare la corda o su un tappetino elastico - ricevere uno stimolo propriocettivo extra quando ad esempio il bambino sale le scale (si esercita una pressione sui fianchi per migliorare l'equilibrio, il controllo motorio e la stabilità del tronco e permettere al bambino di percepirsi maggiormente) - sdraiarsi sulla schiena e raccogliersi in posizione fetale - mettersi in posizione prona e fare l' "aeroplano" tenendo braccia, gambe e testa sollevati, rimanendo in questa posizione per alcuni secondi - schiacciare il bambino tra due cuscini tipo "sandwich" può aiutare ad organizzare il proprio sistema propriocettivo - giocare con pongo o das compatto - masticare cibi gommosi, caramelle gommose, liquirizia o cibi croccanti (patatine, salatini).   2. PIANIFICAZIONE DEI MOVIMENTI   La capacità di pianificare i movimenti, chiamata anche "prassia", consiste nell'abilità di programmare e completare un nuovo compito o una nuova sequenza motoria e si distingue dalla coordinazione motoria che invece riguarda la capacità di eseguire un movimento in maniera fluida e armonica.   Cosa deve fare un bambino per pianificare un movimento? Deve possedere una rappresentazione mentale dell'azione da compiere, un feedback vestibolare e propriocettivo relativo al movimento e la capacità di mettere in atto aggiustamenti automatici nel tempo e nello spazio. Il bambino con difficoltà di pianificazione motoria DISPRASSIA), mostra problemi nell'imparare abilità nuove, nel generalizzarle, necessita di esercitarsi varie volte affinché quell'abilità venga automatizzata, è disorganizzato nel tempo e nello spazio (utilizzo dei materiali, organizzazione dei compiti, ecc), può evitare giochi o attività che implicano abilità motorie e l'utilizzo del proprio corpo.   Cosa molto importante da tener presente è che molti bambini con disturbi di pianificazione possono avere una buona coordinazione motoria nello svolgimento di compiti motori conosciuti e su cui si sono esercitati ripetutamente.   Gli esercizi che possiamo suggerire per migliorare la pianificazione motoria di un bambino sono: - proporre compiti che implicano esperienze sensori-motorie di ogni tipo in modo da percepire maggiormente le sensazioni provenienti dal proprio corpo, soprattutto quelle che forniscono sensazioni vestibolari e tattili (camminare sulle ginocchia o a carponi, strisciare, saltare secondo varie modalità, lanciare una palla in modi diversi, ecc) - verbalizzare ogni passo da compiere durante un'attività motoria e, se necessario, puntare sulla ripetizione e sulla costanza - imitare sequenze di movimenti o di gesti di un coetaneo posto di fronte - proporre attività o percorsi da svolgere ad occhi chiusi supportando concretamente il bambino, in modo da incrementare la consapevolezza delle informazioni provenienti dal proprio corpo - scavare nel riso, nella sabbia o nel pongo per trovare piccoli oggetti nascosti; indovinare ad occhi chiusi in quale punto del corpo si viene toccati; indovinare la forma di un oggetto a occhi chiusi- stereognosie; indovinare la lettera dell'alfabeto che viene "tracciata" con il dito dal terapista dietro la schiena del bambino (bambini con problemi di pianificazione motoria manifestano quasi sempre difficoltà percettive legate al sistema tattile- scarsa discriminazione degli stimoli tattili).   3. INTEGRAZIONE MOTORIA BILATERALE   Con questo termine si intende la capacità dei due lati del corpo di cooperare in maniera sincrona per eseguire compiti motori, una capacità che dipende da informazioni provenienti dal sistema vestibolare. I bambini che manifestano difficoltà in quest'area possono presentare un ritardo nella scelta della mano dominante per scrivere, impugnare le forbici o le posate. Intorno ai 2 anni e mezzo la maggior parte dei bambini comincia a prediligere una mano rispetto all'altra, "percependola" più forte e veloce; la dominanza si sviluppa poi gradualmente e si stabilizza in genere intorno ai 5 anni in corrispondenza del processo di lateralizzazione. Per attività meno complesse quali le costruzioni o i lego invece il bambino utilizza indifferentemente entrambe le mani lungo l'arco di alcuni anni. I bambini che arrivano alla scuola primaria senza aver sviluppato una chiara preferenza manuale possono manifestare difficoltà negli apprendimenti scolastici (ad esempio, nella scrittura un bambino che continua ad alternare le due mani potrà avere difficoltà a rispettare i versi, le direzioni, compiere specularità o inversioni), nelle sequenze motorie, nello spazio-tempo, nel comportamento, a livello emotivo-relazionale (il b.no può avere un atteggiamento impulsivo, dotato di scarso autocontrollo). L'alternanza delle mani è strettamente connessa con lo sviluppo della capacità di attraversare la linea mediana del corpo (è una linea immaginaria che va dalla testa ai piedi e che divide il lato dx da quello sx del corpo): si osserva infatti che intorno ai 2/3 anni, la maggior parte dei bambini non attraversa la linea mediana ma prende oggetti con la mano più vicina all'oggetto stesso, ovvero con la dx se l'oggetto sta alla destra del bambino e con la sx se l'oggetto si trova alla sua sx. È solo intorno ai 4/5 anni che il bambino comincia ad attraversare l'asse mediano con la mano dominante per afferrare diversi materiali.   Per capire se ci sono difficoltà di attraversamento della linea mediana del corpo possiamo metterci di fronte al b.no e proporgli una successione di gesti che dovrà imitare. Spesso i bambini con problemi nell'attraversare l'asse mediano mostrano anche difficoltà nel seguire con gli occhi un oggetto che si muove attraversando l'intero asse (si può notare uno scatto degli occhi quando si raggiunge l'asse mediano), deficit nel seguire il rigo durante la lettura e nell'andare a capo, fastidio agli occhi o segni di affaticamento.   Gli esercizi per migliorare l'abilità di integrazione motoria bilaterale di un bambino sono: - imitare movimenti, gesti e posizioni degli altri - proporre giochi di salto, gioco della campana - lanciare in alto una pallina da tennis con una mano e riprenderla con l'altra mano o passarsi la pallina da una mano all'altra. Idem con un cerchietto piccolo - utilizzare due contenitori piccoli che il b.no deve reggere in ciascuna mano per cercare di prendere una pallina che viene lanciata da una mano all'altra, in modo da favorire il controllo bilaterale - giochi di coordinazione bimanuale quali infilare, attaccare, travasare, ritagliare - tenere in ciascuna mano un gesso e invitare il b.no a realizzare alla lavagna letterine o figure (come un cerchio) con entrambe le mani in contemporanea - giochi prassico-costruttivi quali costruire configurazioni con cubetti o con pongo utilizzando entrambe le mani in sinergia - invitare il b.no a sdraiarsi a terra in posizione supina e chiedergli di far scivolare braccia e gambe in sù e in giù, prima ad occhi aperti e poi chiusi, come se dovesse lasciare un impronta nella sabbia. Idem ma facendogli muovere il braccio sx e la gamba dx tenendo fermi gli altri distretti del corpo - tenere in ciascuna mano una racchetta da ping-pong e passarsi un palloncino da una racchetta all'altra il maggior numero di volte possibile, senza farlo cadere.   4. EQUILIBRIO   L'equilibrio rappresenta un'altra componente fondamentale dello sviluppo motorio del bambino, correlato al sistema vestibolare che si scambia continuamente informazioni con il cervelletto relative alla posizione, al movimento, alla coordinazione, alla velocità e alla gravità. Ci sono bambini che fanno fatica ad elaborare gli input vestibolari e si mostrano molto sensibili, hanno spesso vertigini e non prediligono ma evitano esperienze di movimento intense; piuttosto mantengono la testa in posizione di allineamento verticale (passano tutto il tempo a muoversi il meno possibile per non cadere), hanno paura di fare capriole, mettersi a testa in giù, salire e scendere le scale.   Al contrario, bambini con una sensibilità ridotta agli input vestibolari, ricercano movimenti intensi, si muovono di continuo, muovono la testa in avanti e indietro, saltano e si dondolano (al fine di fornire quante più informazioni possibili al SNC), non soffrono di vertigini.   Un buon equilibrio dipende anche sia da un adeguato feedback propriocettivo che visivo. In merito quest'ultimo aspetto, la stretta relazione esistente tra sistema visivo e sistema vestibolare è dimostrata dal fatto che alcune persone avvertono vertigini mentre guardano altri sulle montagne russe; oppure il fissare un punto stabile può aiutare a rimanere in equilibrio quando si cerca di stare su un solo piede. Se un bambino è in grado di reggersi meglio in equilibrio tenendo gli occhi aperti, significa che si sta affidando agli stimoli visivi per mantenersi in equilibrio. Alcuni esercizi per sviluppare una migliore consapevolezza degli input vestibolari e il senso dell'equilibrio sono: - incoraggiare attività di gioco all'aperto come scivoli, altalene, giostre, cavalli a dondolo - giochi di salto da uno scalino basso a piedi uniti o da una pedana/mattoncino - cammino lungo una linea disegnata a terra, portando una palla in mano sopra la testa, o tenendo due palline una in ciascuna mano, o portando un cucchiaio con sopra una biglia - saltare a piedi uniti sopra dei tappetini disposti a zig zag   5. COORDINAZIONE MOTORIA FINE   Il controllo motorio fine è fondamentale per numerose abilità quotidiane quali impugnare correttamente uno strumento grafico o una posata, afferrare un oggetto, pianificare prassie fini settorializzando le singole dita a seconda del compito richiesto, e mantenendo spalla, braccio, gomito, polso in posizione stabile. Alcuni degli esercizi che possono stimolare i movimenti di grande progressione (fluidità e stabilità di spalla, gomito, polso) e di piccola progressione (mani e dita) sono: - camminare sulle ginocchia, fare la "carriola", tirare o spingere oggetti pesanti - disegnare, fare puzzle, leggere, assumendo la posizione prona (sulla pancia) per la stabilizzazione del cingolo scapolare, importante per le attività che coinvolgono la scrittura - eseguire attività fini motorie come incollare adesivi, usare mollette o pinze di diversa grandezza, -realizzare palline di pongo con i polpastrelli - realizzare griffonages su un piano verticale (lavagna) - eseguire gesti simbolici (fare ok, le corna, la cornetta del telefono) - mischiare e distribuire delle carte - ruotare una matita tenendola con le prime tre dita.   (Articolo a cura della Dott.ssa Francesca Tabellione, Erika D’Antonio, tnpee- docenti presso enti accreditati, specializzate in neuropedagogia dei processi cognitivi e psicomotricità neurofunzionale, terapiste itard) /wp:tadv/classic-paragraph

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COME POSSIAMO FAVORIRE O INCREMENTARE LO SVILUPPO DEL LINGUAGGIO NEL BAMBINO?STRATEGIE E CONSIGLI UTILI

wp:html SEMPLICI CONSIGLI E STRATEGIE PER SVILUPPARE O INCREMENTARE IL LINGUAGGIO DEL BAMBINO Iniziamo con una constatazione neurofisiologica e neurobiologica fondamentale: il cervello del bambino è plastico, come diceva la famosa Montessori. Che cosa significa questo? Che il suo cervello in formazione è come una spugna, ovvero assorbe tutto ciò che raccoglie attraverso i sensi, i nostri primi canalizzatori- vista, udito, tatto, gusto, olfatto- sia in positivo che in negativo. La differenza tra il cervello adulto e quello infantile è che il bambino nasce con uno staff di neuroni al completo ma questi neuroni non comunicano tra loro; solo successivamente impareranno a farlo (quando il piccolo compie esperienze sensoriali e motorie) attraverso le sinapsi, che sono collegamenti tramite i quali i neuroni si scambiano le informazioni determinando il costante processo di adattamento all’ambiente circostante. Grazie alle sinapsi e alle interconnessioni di una quantità immensa di informazioni che rendono possibili, la mente riesce a svolgere tutte le sue funzioni cognitive. Questa premessa serve per farvi capire come "immergere" il neonato, già dai primi mesi di vita, in un ambiente altamente stimolante a livello "uditivo" sia molto positivo, un ambiente fatto prima di toni di voce pacati e rilassanti all'occorrenza, poi di parole, e ancora dopo di frasi chiave per esprimere un bisogno o un desiderio, fino al discorso lineare e sintatticamente strutturato. In questo modo ecco che entra in gioco quella che pare una timida ma intrigante "magia" rappresentata dal fatto che, grazie alla neuroplasticità cerebrale, si formerà lo schema linguistico che sarà proprio di quel bambino vissuto in quel dato ambiente.   Il bambino già a partire dai 6 mesi comprende il linguaggio dell'adulto, fatto di gesti, sguardi, suoni dolci, espressioni: questo significa che la sua comprensione avviene molto prima della produzione del linguaggio. Dai 6 mesi o poco dopo, inoltre, compare la "lallazione", una serie interminabile di sillabe ripetute (bababababa, lalalalalala) che costituisce la prima forma di comunicazione: il bimbo si sente corrisposto quando ripete queste sillabe e per la prima volta "dialoga" con qualcuno, anche se a suo modo.   Sebbene esista una notevole variabilità inter-individuale nello sviluppo del linguaggio, ovvero ogni fanciullo sviluppa il suo linguaggio in tempi e in modi differenti, si possono individuare delle tappe fisiologiche all'interno delle quali ciascun bambino dovrebbe rientrare.   Di norma, l'età di comparsa delle prime parole si colloca tra gli 11 e i 13 mesi; successivamente possiamo distinguere due fasi principali: la prima fase é intorno ai 12-16 mesi, caratterizzata da un vocabolario di circa 50 parole. La seconda fase è verso i 17-24 mesi, in cui sviluppa un vocabolario di circa 100 parole fino a comporre vere e proprie frasi con due o più parole verso i 30 mesi (es. "Mamma pappa").   Le prime parole riguardano le sue necessità primarie: "pappa, nanna, ciuccio"; successivamente comincerà a pronunciare anche "mamma, papà, nonna", in particolare quando il fanciullo si accorge che, chiamandoli per nome, i propri caregiver si girano e rispondono alle sue richieste. In poco tempo emerge la cosiddetta "esplosione del vocabolario", in cui ogni oggetto viene etichettato correttamente, soprattutto perché il bebè è entusiasta di "comunicare"!   7 CONSIGLI PRATICI PER LO SVILUPPO LINGUISTICO   È scientificamente dimostrato come i genitori e le figure primarie che ruotano attorno al bambino giochino un ruolo fondamentale nell'adottare una serie di sani accorgimenti e nel sostenere il bambino al meglio verso un corretto sviluppo comunicativo, linguistico e cognitivo dal momento che, come abbiamo accennato, il linguaggio è un'abilità che si assorbe e si apprende dall'ambiente circostante.   1. GUARDARE IL BAMBINO NEGLI OCCHI QUANDO SI PARLA: anche se il sistema visivo non è completamente maturo alla nascita, si osserva che i bambini di soli due giorni di vita sono maggiormente attratti verso i volti che li guardano. Dunque è importante guardare il piccolo negli occhi quando giochiamo con lui, quando mangia, quando dice le prime paroline o quando gli parliamo (in modo che possa anche osservare i nostri movimenti oro-bucco-facciali, fondamentali per l'articolazione dei suoni).   2. PARLARE IN MANIERA CHIARA, SEMPLICE MA CORRETTA I genitori devono sempre parlare al bambino utilizzando una terminologia corretta e senza distorcere le parole, a partire dalle prime settimane di vita: anche se il neonato non comprende il significato dei suoni che sente pronunciare, pian piano tali suoni verranno inconsapevolmente interiorizzati e "fatti propri" per produrre in futuro prima le sillabe e poi le parole. Utilizzare pertanto un linguaggio lineare, a ritmo costante (né troppo lento né troppo rapido) e fatto di frasi brevi che descrivano passo dopo passo ciò che fa il bambino, che vede o che sente/prova.   3. FAVORIRE L'USO DEI GESTI: prima di parlare, il bambino piccolo indica per comunicarci ciò che desidera, utilizzando quella che viene chiamata "comunicazione gestuale". I gesti sono dei precursori del linguaggio, servono per pensare e per parlare: vi è quindi una correlazione diretta tra azioni, gesti e produzione linguistica.   4. FAVORIRE LA LETTURA: la lettura condivisa è una delle attività più semplici e preziose che possiamo fare per sostenere l'evoluzione linguistica, comunicativa e cognitiva. Ascoltare una storia, già a partire dai 6 mesi di vita, stimola la comprensione verbale e permette di apprendere le prime parole naturalmente, in modo che quando sarà pronto, il bambino potrà pronunciarle. Il suo cervello è come una spugna quindi, anche parole che leggiamo e che pensiamo possano essere per lui difficili, è bene spiegarle cercando di utilizzarle anche nel quotidiano.   5. FAVORIRE LA CONDIVISIONE DI ESPERIENZE: stimolare il linguaggio anche attraverso le opportunità di relazione e di socializzazione, ad esempio possiamo portare il bambino al parco giochi, all'asilo o allo zoo, creando opportunità per apprendere altri vocaboli e per condividere esperienze ed emozioni nuove. Ad esempio, al rientro dall'asilo, chiediamo al bambino cosa ha fatto a scuola, se ha condiviso qualche gioco con gli amichetti, se ha giocato da solo e cerchiamo di fargli esprimere anche le proprie emozioni (gioia, tristezza, divertimento, paura, rabbia, sorpresa, ecc).   6. EVITARE DI SOSTITUIRCI AL BAMBINO: molto spesso facciamo il grave errore di sapere quello di cui il piccolo ha bisogno. Così facendo non diamo a lui né il modo né il tempo di comunicare e di sviluppare adeguatamente le proprie abilità comunicativo-linguistiche.   7. ESPANDERE LE FRASI ED EVITARE DOMANDE CHIUSE: anziché interrompere e correggere il bambino mentre parla, aspettiamo che finisca la frase e, senza mai dirgli che ha sbagliato, forniamogli il modello corretto e la giusta intonazione. Ad esempio, se dice: "ciuccio sporco", possiamo ampliare la frase dicendo: "si, il tuo ciuccio è caduto a terra e ora è sporco!". Inoltre sarebbe consigliabile evitare le domande chiuse che limitano lo sviluppo del linguaggio, bensì incitare quelle aperte in modo che il bimbo possa parlare il più possibile e sforzarsi nel ricercare e produrre paroline. Quindi, non dobbiamo dire ad esempio "vuoi la carne?" ma "cosa vogliamo mangiare di buono a pranzo?", e soprattutto non dobbiamo mettere fretta al bambino ma dargli qualche secondo per elaborare la domanda e fornire una risposta (se questa risposta non ci sarà, riformuleremo di nuovo la domanda in modo più semplice o con altre parole, assicurandoci che il piccolo ci stia ascoltando e soprattutto guardando negli occhi!).   (Articolo a cura della Dott.ssa Francesca Tabellione, tnpee- docente presso enti accreditati, specializzata in neuropedagogia dei processi cognitivi e psicomotricità neurofunzionale, terapista itard) /wp:html

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da Erika

COME POTENZIARE LE FUNZIONI ESECUTIVE IN ETA' PRESCOLARE E SCOLARE IN UN BAMBINO DISPRASSICO

wp:paragraph Incrementare o potenziare le Funzioni Esecutive complessive, le quali conferiscono /wp:paragraph wp:paragraph DISPONIBILE PER L'ACQUISTO PDF E CARTACEO (fino ad esaurimento scorte) /wp:paragraph wp:paragraph Collana delle FUNZIONI ESECUTIVE /wp:paragraph wp:paragraph https://www.riabilitazioneuropsicomotoria.it/categoria-prodotto/pacchetto-funzioni-esecutive/ /wp:paragraph wp:image {"id":4413,"sizeSlug":"medium","linkDestination":"none"} /wp:image wp:image {"id":4414,"sizeSlug":"medium","linkDestination":"none"} /wp:image wp:image {"id":4415,"sizeSlug":"medium","linkDestination":"none"} /wp:image wp:image {"id":4416,"sizeSlug":"medium","linkDestination":"none"} /wp:image wp:image {"id":4417,"sizeSlug":"medium","linkDestination":"none"} /wp:image wp:image {"id":4418,"sizeSlug":"medium","linkDestination":"none"} /wp:image wp:image {"id":4419,"sizeSlug":"medium","linkDestination":"none"} /wp:image wp:image {"id":4420,"sizeSlug":"medium","linkDestination":"none"} /wp:image wp:image {"id":4421,"sizeSlug":"medium","linkDestination":"none"} /wp:image

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da admin

COSA SI NASCONDE DIETRO UNA GOFFAGGINE, UN PROBLEMA DI COMPORTAMENTO E UN PROBLEMA DI LINGUAGGIO DI UN BAMBINO⁉️

wp:html DIETRO UNA GOFFAGGINE"Mio figlio si stanca facilmente e si ferma quando succhia il latte dal seno, preferisce alcune consistenze particolari di cibo, manifesta una frequente salivazione con tendenza a tenere la bocca aperta, fatica nei passaggi posturali, ha una ritardo nella deambulazione, è impacciato nei movimenti e a livello coordinativo, ogni cosa che tocca la rompe o la fa cadere, non riesce a impugnare bene le posate o la matita, non è capace di afferrare una palla di normali dimensioni con le mani ma spesso la afferra con gli avambracci supinati e dopo vari tentativi, non ha una idonea percezione del proprio corpo e non sa quanta distanza intercorre tra il proprio corpo e altri oggetti: per tale ragione cade di frequente, inciampa o sbatte contro i mobili o le persone, non riesce a capire come posizionare il proprio corpo per infilarsi la giacca o le scarpe e per pianificare un'azione, quando salta perde l'equilibrio o stacca poco i piedi da terra, ha paura delle altezze e dei giochi come scivolo e altalene"   DIETRO UN PROBLEMA DI COMPORTAMENTO "Mio figlio è ipercinetico (non sta mai fermo), è in continua agitazione ed è irrequieto, sembra come "mosso da un motore", interrompe gli altri quando parlano, non ascolta e sembra avere la testa tra le nuvole, sembra apparentemente "pigro e svogliato" (ma non si tratta di cattiva educazione da parte dei famigliari o di un atteggiamento volontario del bambino, piuttosto di qualcosa che sta accadendo all'interno del suo sistema nervoso non visibile ai nostri occhi e che raramente consideriamo come un vero e proprio "segnale d'allerta" per poter intervenire precocemente), passa da un gioco o compito all'altro senza mai portarlo a termine, fa fatica a concentrarsi e non riesce a seguire un discorso/una domanda/un cartone, non rispetta le regole e non tollera i tempi di attesa, non pensa prima di agire finendo spesso "nei guai", ha atteggiamenti controllanti e da leader verso i suoi pari, vuole imporre le sue idee, non tollera i rimproveri e le frustrazioni adottando atteggiamenti aggressivi o oppositivi"   DIETRO UN PROBLEMA DI LINGUAGGIO "Mio figlio manifesta un'assenza del gesto deittico - non indica per richiedere un oggetto desiderato, non condivide con il caregiver l'attenzione e l'emozione verso un gioco (l'attenzione condivisa - guardare insieme, verso - una persona, un oggetto o un evento rappresenta un importante requisito per il normale sviluppo cognitivo del bambino, in particolare per lo sviluppo del linguaggio, per lo sviluppo delle abilità relazionali e per la capacità di comprendere il punto di vista dell’altro. Questa abilità si realizza tramite la condivisione dello sguardo o di un gesto che permette di stabilire, mantenere e dirigere l’attenzione), vi è un'assenza del gioco simbolico tra i 18 e 24 mesi (il gioco simbolico è una modalità di gioco in cui il bambino rappresenta, attraverso il materiale che ha a disposizione, qualcosa che non è presente realmente e permette al bambino di fare un'esperienza creativa, simbolica, motoria e sensoriale. Durante questa modalità di gioco, i bambini non stanno “imitando” qualcuno o qualcosa, ma stanno “interpretando” a loro piacimento una storia. Proprio per questo motivo, il gioco simbolico diventa un modo per esprimere la sfera affettiva, emotiva e relazionale del bambino e per arricchire il proprio lessico), un'assenza della lallazione e un ritardo di linguaggio manifestando, a circa 2 anni, un vocabolario di sole 20 parole (sebbene la lallazione inizi molto prima, di solito intorno agli 8-9 mesi, lo sviluppo del linguaggio vero e proprio, in cui il bambino prova a chiamare oggetti e persone associandoli a un nome, è successivo e si verifica, generalmente, tra i 13 e i 18 mesi. Di solito intorno ai 24 mesi il bambino ha sviluppato un vocabolario di circa 100 parole, ma è intorno ai 30 mesi che inizia a comporre vere e proprie frasi di più di due parole), non riesce a farsi comprendere comunicando solo attraverso i gesti e va in frustrazione, adottando di conseguenza atteggiamenti oppositivi o di pianto inconsolabile"   Bene!, Se notate alcuni o molti di questi accurati SEGNI E SINTOMI CHE VI ABBIAMO ELENCATO, NON CI STANCHEREMO MAI DI RIPETERE DI INTERVENIRE TEMPESTIVAMENTE AL FINE DI EVITARE RIPERCUSSIONI SIGNIFICATIVE SU TUTTO LO SVILUPPO DEL BAMBINO, da quello MOTORIO a quello AFFETTIVO-RELAZIONALE, EMOTIVO, COGNITIVO   PERTANTO, VI INVITIAMO A UTILIZZARE GLI STRUMENTI VALUTATIVI FUNZIONALI DA NOI REALIZZATI (e che stiamo diffondendo non solo tra i professionisti ma anche tra gli insegnanti) CHE VI PERMETTERANNO DI SEGNALARE ED EVIDENZIARE PRECOCEMENTE ALCUNI ASPETTI MOTORIO-PRASSICI, COMPORTAMENTALI O COGNITIVI/SCOLASTICI DISFUNZIONALI, OVVERO NON IN LINEA CON L'ETÀ CRONOLOGICA DEL BAMBINO, CREATI APPOSITAMENTE E ACCURATAMENTE PER METTERE IN LUCE DISFUNZIONI QUALITATIVE (CHE ALTRIMENTI, CON I SOLI TEST QUANTITATIVI STANDARDIZZATI, NON EMERGEREBBERO!).     (Articolo a cura della Dott.ssa Francesca Tabellione, tnpee- docente presso enti accreditati, specializzata in neuropedagogia dei processi cognitivi e psicomotricità neurofunzionale, terapista itard)         /wp:html

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da admin

DISPRASSIA EVOLUTIVA: COSA SIGNIFICA LAVORARE CON I BAMBINI DISPRASSICI? E PERCHÉ È COSÌ DIFFICILE RICONOSCERE QUESTO DISTURBO APPARENTEMENTE INVISIBILE?

wp:html [••Articolo a cura della dottoressa Francesca Tabellione••] Sappiamo che il mondo della riabilitazione è molto complesso ma al tempo stesso misterioso e affascinante, ed offre a noi riabilitatori continui interrogativi, perplessità, spesso ci fa mettere in discussione ("Stiamo agendo correttamente? Stiamo utilizzando il giusto approccio? Il bambino sta rispondendo adeguatamente alle nostre richieste o, in caso contrario, cosa dobbiamo modificare?").Riabilitare i Bambini Disprassici è tutt'altro che semplice: significa trovare le cause di quei processi disfunzionali, capire il motivo per cui quel bambino fa cadere gli oggetti dalle mani, urta contro i mobili o le persone, è selettivo nell'alimentazione, si irrita facilmente o non tollera gli insuccessi, non entra facilmente in relazione con i coetanei o al contrario deve mettersi al centro dell'attenzione e dettare le regole all'interno di un gruppo, presenta un linguaggio poco fluido, lento o eccessivamente precipitoso e un pensiero caotico e disorganizzato, è goffo nei movimenti grossolani e fini, è spesso assorto nei suoi pensieri e si perde se gli vengono date più consegne in contemporanea (va in blocco e non ne esegue nessuna), manifesta una lentezza nell'elaborazione di ogni tipo di richiesta, sia motoria che cognitiva (noi osserviamo un bambino lento nelle risposte: questo atteggiamento viene purtroppo spesso confuso con un ritardo cognitivo o con pigrizia e svogliatezza!).È fondamentale cercare di modificare il più possibile quei processi disfunzionali, osservare le potenzialità di ciascun bambino e farle emergere, permettere al bambino di acquisire padronanza del proprio corpo, di "sentirsi a proprio agio e competente con il suo corpo" in modo da affrontare le sfide della vita, sapersi orientare correttamente nello spazio-tempo, sapersi organizzare nella vita scolastica/relazionale/professionale, e raggiungere una discreta capacità di azione, percezione e di pensiero.Quando i genitori ci chiedono quanto tempo durerà la terapia, noi rispondiamo che ogni bambino ha un proprio tempo di evoluzione, di "recupero motorio-emotivo-relazionale-comportamentale", di espressione. Non possiamo sapere quanto tempo occorre affinché si modifichino le reti neurali e si instaurino nuove e giuste connessioni sinaptiche grazie alla neuroplasticità cerebrale, perché questo è un meccanismo che richiede una precisa costanza, intensità, frequenza, giusta attivazione del trattamento riabilitativo!Perché genitori o anche insegnanti hanno difficoltà a riconoscere precocemente un bambino disprassico? Probabilmente perché non presenta segni del corpo, è uguale agli altri nell'aspetto, è intelligente, ma anche buffo, imprevedibile, creativo, e spesso anche intuitivo, ricco di risorse e brillante. Ad una prima osservazione, dal modo di muoversi, di rapportarsi, di comunicare, di esplorare, è riconoscibile solo dai professionisti del settore. Piccoli che diventano adolescenti, molto spesso non compresi, che lottano quotidianamente anche per raggiungere minimi obiettivi decisamente inferiori rispetto ai loro pari, che collezionano continui insuccessi e che vengono costantemente messi alla prova e di fronte alle loro difficoltà, senza possedere le strategie per affrontarle, che vengono spronati a fare cose che in realtà non possono fare, sperimentando quel forte senso di frustrazione o fallimento che pian piano li porterà ad avere sempre meno fiducia in loro stessi.Bambini che giungono alla nostra osservazione dopo anni di percorsi inutili e fallimentari, ormai stanchi e demotivati, disinteressati e piuttosto "depressi"; dopo aver convissuto per anni con questa loro problematica non riconosciuta, non compresa, ed essendosi infine convinti di essere soggetti incapaci, stupidi, falliti, che non riusciranno mai nella vita scolastica, relazionale o lavorativa.Quello della terapia è un percorso lungo, faticoso, pieno di ostacoli ma che, una volta sperimentati e superati, permetterà a questi bambini di intravedere uno spiraglio di luce nel loro mondo così incerto, cupo e infelice. ⚠️Lavorare con questi bambini richiede un estremo impegno sia a livello fisico, che emotivo e cognitivo: non bisogna utilizzare pratiche lente o frammentate con i Disprassici ma bisogna essere rapidi, estremamente rapidi, con le azioni, con il corpo, con il pensiero. I bambini disprassici non aspettano ma "fluiscono, corrono": il loro corpo va, cammina, agisce continuamente o, al contrario, sta fermo, non fa nulla. Per cui non c'è tempo per fermarsi, per cedere alla loro "inerzia o iperattività motoria e cognitiva" ma bisogna agire mentre si pensa, senza tentennare o fare pause, senza stop o interruzioni (ecco che ritorna il concetto di "sinestesie", ovvero eseguire due compiti in contemporanea). Non ci sono momenti di recupero con il bambino disprassico, non ci deve essere lentezza né spazio per farlo riposare ma l' esatto opposto: lui deve stancarsi, deve "mettersi in moto", deve "riattivarsi". Solo così quelle connessioni neuronali cresceranno e si rafforzeranno, permettendo al suo organo intellettivo di funzionare adeguatamente, solo in questo modo andremo a "scuotere" e riattivare gli scambi inter-emisferici, a garantirne la FLUIDITÀ e la RAPIDITÀ, e di conseguenza rendere fluido e rapido il nostro bambino nelle azioni, nel pensiero, nel comportamento, nelle emozioni!È un lavoro arduo, stancante, non solo per il bambino ma anche per noi professionisti, e ricordate che solo se il BAMBINO USCIRÀ STANCO DALLE VOSTRE TERAPIE, SIGNIFICHERÀ CHE IL TRATTAMENTO STA FUNZIONANDO e sta SMUOVENDO QUALCOSA NEI SOTTILI E COMPLESSI PROCESSI NEUROLOGICI! (Articolo a cura della Dott.ssa Francesca Tabellione, tnpee- docente presso enti accreditati, specializzata in neuropedagogia dei processi cognitivi e psicomotricità neurofunzionale, terapista itard) /wp:html

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DISPRASSIA: DEFICIT O DISORDINE⁉️

wp:tadv/classic-paragraph 1. Cos'è e come si manifesta 2. Possibili cause 3. Come aiutare un bambino disprassico ------------------------------------------------------   1. COS'È LA DISPRASSIA   La DISPRASSIA è un disordine o disturbo funzionale e qualitativo (non è un deficit dal momento che non c'è un danno vero e proprio alla struttura del cervello) nel rappresentarsi mentalmente- progettare- ed eseguire una sequenza di atti motori volontari e intenzionali necessari al raggiungimento di un obiettivo, che influisce sullo sviluppo della pianificazione e della coordinazione motoria. Spesso la diagnosi è tardiva o non viene effettuata, perché erroneamente il quadro clinico viene scambiato per semplice goffaggine anziché essere considerato come disturbo del cervello nella capacità di elaborare le informazioni sensoriali (vestibolari, cinestesiche o propriocettive, tattili). Il problema è nel modo in cui il cervello di un bimbo disprassico registra e processa le percezioni, con la conseguenza di un'immagine corporea scarsamente organizzata e con difficoltà nel pianificare semplici e nuove azioni non solo a livello motorio ma anche a livello cognitivo/del pensiero (ad esempio allacciarsi le scarpe, andare in bici, salire e scendere le scale, resocontare una storia, mangiare impugnando correttamente le posate, afferrare una palla, prepararsi lo zaino o un panino, vestirsi/svestirsi, abbottonare/sbottonare, ecc.). È come se il bambino non riuscisse a controllare le sensazioni che riceve dal proprio corpo e a dare una risposta adattiva efficiente, ovvero una reazione intenzionale finalizzata a uno scopo o ad una esperienza sensoriale. È un bambino che fatica a raggiungere quello che noi chiamiamo "AUTOMATISMO": ogni volta deve pensare e ri-pensare a come pianificare un dato movimento perché è come se non gli "penetrasse dentro". Una particolarità insolita è che spesso, pur avendo problemi di pianificazione, sono bambini coordinati nell'esecuzione di compiti motori conosciuti e su cui si sono esercitati ripetutamente (come può essere uno sport che praticano da anni) ma sono impacciati quando devono provare a realizzare azioni nuove e inusuali, non abitudinarie. Ricordiamo che la pianificazione motoria è ben diversa dallo sviluppo di quelle capacità per le quali siamo stati già programmati (come gattonare o deambulare, abilità dipendenti dal SNC): essa è il risultato di una buona integrazione sensoriale e rappresenta il collegamento tra gli aspetti sensori-motori e quelli intellettuali della funzione cerebrale. È importante essere capaci di identificare i campanelli d'allarme già in età prescolare (fascia d'età 2-6 anni) per intervenire tempestivamente e ridurre le difficoltà che il bambino incontra non solo a livello motorio ma anche emotivo, socio-relazionale e adattivo. «Impegnati di più, vedrai che ci riuscirai se vuoi!». «Guarda quanto sei pigro e svogliato». «Devi velocizzarti di più", sono le classiche frasi che sentiamo pronunciare talvolta da genitori o insegnanti nei confronti di questi bambini, inconsapevoli del grave impatto che tali frasi hanno sulla loro autostima, già così tanto fragile!   La disprassia è dunque un disordine neurologico che esordisce precocemente e può diventare pervasiva, influenzando diverse e più aree dello sviluppo (area motoria, verbale, cognitiva, emotiva, relazionale), se non viene tempestivamente riconosciuta! I dati ci indicano che la disprassia è presente nel 6% della popolazione tra i 6 e i 15 anni ed è più frequente nei maschi rispetto alle femmine con un rapporto di 3:1. Sono bambini che hanno un QI nella media o superiore alla stessa. Potremmo dire che sanno cosa vogliono fare, ma non riescono a farlo: "vogliono andare in bici ma non riescono a mantenere l'equilibrio, vogliono afferrare un oggetto come una matita o un cucchiaio ma lo prendono con più o meno forza del necessario, vogliono fare un puzzle ma non riescono a riconoscere percettivamente i singoli pezzi e a ruotarli mentalmente, vogliono giocare ma non sanno cosa devono fare con gli elementi di un dato gioco, vogliono relazionarsi con i coetanei ma non riescono a prendere rapidamente la parola all'interno del gruppo, vogliono giocare a palla ma non sanno dosare la forza e non sono capaci di afferrarla o le loro mani si chiudono troppo prima o troppo dopo l'afferramento, vogliono mettersi il giubbino da soli ma non sanno come posizionare il loro corpo per infilarlo", insomma vorrebbero riuscire in qualcosa ma avvertono che sono completamente incapaci di realizzare ciò che invece un loro pari compie con assoluta scioltezza. Oppure raggiungono un obiettivo con un dispendio energetico e mentale nettamente superiore rispetto ai loro coetanei: questo provoca uno smarrimento spazio-temporale e un affaticamento dei loro processi cognitivi con facile dispersione attentiva, precoce stancabilità e perdita di motivazione.   Spesso la DISPRASSIA, se non si lavora in età prescolare sulle varie aree deficitarie attraverso un intervento che deve essere RAPIDO-INTENSIVO-COSTANTE-SIMULTANEO (per innalzare l'attività elettrica corticale e garantire la fluidità degli scambi inter-emisferici che sono randomizzati, ovvero rallentati), porta in età scolare a un disturbo specifico di apprendimento: i bambini disprassici non necessariamente vanno incontro ad un dsa ma tutti i bambini con dsa sono disprassici.   COME SI MANIFESTA LA DISPRASSIA   a) I principali segni e sintomi del disturbo da 1 mese di vita a circa 24 mesi sono: - difficoltà nei passaggi posturali e nel controllo del capo - discontinuità nella fissazione e nell'inseguimento di un oggetto entro il campo visivo, contatto oculare sfuggente - difficoltà o impaccio nella prensione di oggetti - disinteresse verso giochi - ritardo/assenza del gattonamento o della lallazione, ritardo nella deambulazione o nel linguaggio (pronuncia meno di 50 parole a 24 mesi) - uso non funzionale di oggetti - assenza del gioco simbolico ("gioco del far finta") - selettività alimentare (non tollera alcune consistenze particolari) - ipersensibilità a suoni o luci forti - ipermotricità e ipo o ipertonia.   b) In età prescolare i segni e sintomi della disprassia sono: - lentezza nell'incipit dell'agire o lentezza motorio-prassica alternata a precipitazione - attenzione su un gioco labile e discontinua, sofferenza o eccitazione alla confusione/ iperstimolazione - impacci nei giochi con la palla, nell’afferrare o manipolare giochi/ strumenti (es: matite e colori, forchette) - difficoltà nell’andare con il triciclo o in bicicletta con le rotelle - goffaggine e maldestrezza nei coordinamenti motori, percettivi, nell’equilibrio statico-dinamico - scarsa capacità di dosare la forza (controllo tonico) e scarso orientamento spaziale (il b.no non riesce a regolare la distanza tra il proprio corpo e gli oggetti, sbatte contro le persone, confonde le direzioni, si perde se il posto non gli è familiare, distrugge giocattoli perché non regola la forza, ecc.) - impacci nelle prassie fini e bimanuali (infilarsi vestiti o calzini, abbottonarsi, sbottonarsi, chiudere cerniere, ritagliare con le forbici, strappare pezzi di carta, ecc.) - comportamento impulsivo e ipercinetico o al contrario passivo (alcuni bambini sono iperattivi mentre altri sembrano reagire poco o per nulla alle stimolazioni ambientali che ricevono) - scarsa percezione corporea e dominanza laterale non stabilizzata (a 5 anni) - disegno e gioco spontanei poveri e immaturi - difficoltà nelle prassie visuo-costruttive (giocare con i lego, fa fatica a fare semplici puzzle o a trovare strategie per risolvere un gioco, utilizza sempre la stessa modalità o persevera negli errori) - disordini linguistici e articolatori - disordini grafo-motori e difficoltà nei ritmi (percezione temporale) - lentezza nell’adeguarsi ai cambi di attività, giochi o ambienti - disordini nella memoria di lavoro sequenziale (non ricorda 2 richieste in sequenza: vai in cucina e prendi il bicchiere) - disordini nell’organizzazione temporale (non sa dire la sua data di nascita o il giorno del suo compleanno, non sa mettere in sequenza semplici azioni - metto prima i calzini o le scarpe?, fa fatica con i concetti di ieri-oggi-domani o con i giorni della settimana) - difficoltà nell’esecuzione delle sinestesie (es: colorare/correre/saltare e parlare contemporaneamente)   c) Segni e sintomi di Disprassia in Età Scolare sono: - lentezza nell’incipit motorio/verbale - difficoltà nell’organizzazione di un compito o di un gioco, nel pianificare e nel seguire le procedure sequenziali di un’attività - scoordinamenti e goffaggini negli sport di gruppo, nei giochi motori con la palla o nei coordinamenti oculo-motori/ percettivi/ senso-motori - fatica/letargia, frequente distraibilità soprattutto in presenza di più stimoli - notevole impacco nelle prassie bimanuali (es: fare il fiocco alle scarpe, prepararsi un panino, scarse autonomie AVQ, ecc.) - impacci negli schemi motori crociati e rotatori - scarso autofrenaggio e autocontrollo (è spesso impulsivo e ipercinetico) - scarsa flessibilità cognitiva - problemi negli apprendimenti scolastici: nella scrittura (fa fatica a rispettare i margini del foglio, il rigo o quadretto, a lasciare il giusto spazio tra le parole, tratto grafico poco fluido e immaturo, disortografia), matematica (mostra incertezze ad incolonnare i numeri, con i prestiti e riporti, nelle simmetrie, nel disegnare una figura geometrica, nel risolvere un problema e nel comprendere il testo), lettura (può essere sillabica, lenta e interrotta con conseguente scarsa comprensione del testo) - difficoltà nelle abilità visuo-spaziali e di analisi-sintesi - tono di voce monotono (con riduzione di ritmo, velocità, fluenza), difficoltà di articolazione o nella struttura sintattica di una frase, difficoltà a pronunciare parole lunghe (spesso compie inversioni di sillabe nelle parole) o scioglilingua - difficoltà nell’organizzazione temporo-spaziale (può perdersi negli ambienti nuovi, essere eccessivamente ordinato o eccessivamente disordinato) e nel pensiero (può essere lento e smarrito o intuitivo e brillante) - bassa autostima, scarsa tolleranza alla frustrazione, possibili comportamenti disadattivi, evitanti o oppositivi a causa delle loro difficoltà nell’affrontare le numerose sfide quotidiane, con la conseguenza di essere spesso esclusi dal gruppo e derisi dai loro compagni.   Il quadro di disprassia è sempre riscontrabile all'interno di condizioni cliniche quali autismo, ADHD, disturbi del linguaggio e dell’eloquio, DSA.   Possiamo distinguere differenti tipologie di Disprassia: dalla disprassia motoria, assiale, melocinetica a quella dell’abbigliamento (difficoltà nell’eseguire la giusta procedura sequenziale per indossare i vestiti, fare un fiocco alle scarpe, abbottonare la camicia), della scrittura (disgrafia), dello sguardo o disprassia oculare (fatica nell’inseguimento visivo o nel fissare lo sguardo, nella copia dalla lavagna), disprassia costruttiva (difficoltà nel ricomporre modelli che richiedono una pianificazione visuo-spaziale), disprassia verbale (difficoltà di programmazione dei movimenti articolatori necessari alla produzione ordinata di suoni, parole e frasi). Quest’ultima viene denominata anche Disprassia Verbale Evolutiva (DVE) in cui l'eloquio dei bambini è rallentato e scarsamente comprensibile, poiché hanno difficoltà nell' organizzare e coordinare i movimenti di mandibola, labbra e lingua per poter produrre il messaggio verbale. Tale disprassia può ricorrere come forma pura o essere associata a disturbi di programmazione motoria a carico di altri distretti corporei (disprassia manuale, oculo-motoria, ecc.) o al disturbo specifico di coordinazione motoria.   2. POSSIBILI CAUSE   Come per altri disturbi complessi del neurosviluppo, cause certe sull'origine della disprassia sono ad oggi ancora poco chiare e conosciute. Sicuramente è presente una predisposizione genetica e una familiarità del disturbo: non è raro, infatti, che durante il colloquio anamnestico iniziale con il professionista, un genitore si immedesimi nelle stesse difficoltà presentate dal figlio.   Attualmente si ritiene che la disprassia non sia dovuta a particolari lesioni cerebrali, ma tra le varie ipotesi causali emerge un’immaturità o un disordine a carico dei circuiti neurali, una lentezza negli scambi inter-emisferici o una dislateralità (che porta di conseguenza a un disordine funzionale nelle prassie). Tra i fattori predisponenti troviamo l’esposizione prenatale all’alcol, la prematurità, il basso peso alla nascita e la sofferenza pre o perinatale.   La DISPRASSIA, all'interno dei manuali diagnostici, non è considerata come una condizione clinica a sé stante, bensì rientra tra i “Disturbi della Coordinazione Motoria”, indicati con la sigla DCD (Developmental Coordination Disorder).   3. COME AIUTARE UN BAMBINO DISPRASSICO   Noi professioniste e specialiste dei Disordini dell'Età Evolutiva (dott.ssa Francesca Tabellione, dott.ssa Erika D'Antonio), riteniamo fondamentale la capacità da parte del pediatra di saper cogliere precocemente gli indici predittivi di questo probabile disturbo, in modo che egli possa indirizzare correttamente i genitori verso un miglior inquadramento diagnostico con un Neuropsichiatra Infantile e ad un Tnpee (Terapista della Neuro e psicomotricità dell'Età Evolutiva) per una valutazione più approfondita e accurata su tutte le aree dello sviluppo neuro-psicomotorio; successivamente il tnpee delineerà i punti di debolezza e di forza del singolo bambino e stimerà un piano di trattamento personalizzato e individualizzato ("cucito ad hoc" per il singolo bimbo) al fine di ridurre le difficoltà connesse al disturbo, rafforzare o migliorare le aree MOTORIO-PRASSICHE E COGNITIVE e limitare al massimo l'impatto che tali difficoltà possono avere a livello emotivo, sociale e nella vita quotidiana. Va sottolineato inoltre che più l’intervento è precoce ed efficiente (come abbiamo già accennato dobbiamo utilizzare pratiche rapide, simultanee e intensive e non lente o frammentate), maggiore è la probabilità che il bambino si velocizzi nell'incipit, nella reattività generale (da un punto di vista motorio, prassico, relazionale, neurocognitivo) e a livello esecutivo e che molti dei sintomi si riducano.   - Innanzitutto bisogna stabilire un rapporto di empatia e fiducia reciproca col bambino e farlo sentire compreso e amato, incoraggiarlo senza rimproverarlo o punirlo per atteggiamenti o comportamenti che non sono dovuti ad una sua volontà o ad una sua svogliatezza, e premiare ogni minimo suo sforzo (anche se non raggiunge subito l'obiettivo). - Suddividere compiti complessi o articolati in piccole parti da portare a termine una per volta. - Per migliorare l'organizzazione motoria, si possono proporre attività sensori-motorie che aiutino il bambino a prestare attenzione alla sua postura, al suo equilibrio, al suo movimento e ad acquisire una maggiore consapevolezza del proprio corpo. - Proporre esercizi relativi alle stereognosie per aumentare la discriminazione tattile (riconoscimento di oggetti al tatto bendati). - Mimare o imitare gesti, posizioni, movimenti dell'esaminatore o del coetaneo. - Riprodurre ritmi sonori e sequenze spaziali o temporali. - Catturare l'attenzione del bambino e, prima di fargli delle richieste, accertarsi che vi stia guardando e che abbia compreso (dargli sempre 2 ordini per sviluppare la sequenzialità). Se necessario ripetere le istruzioni utilizzando un linguaggio lineare e senza alterarne la velocità (né troppo lento né troppo rapido).   Per generalizzare gli obiettivi del trattamento abilitativo in altri contesti (casa, scuola, sport) sarebbe opportuno lavorare in sinergia con la famiglia e/o l'insegnante e ridurre l’impatto del disturbo sulla vita adattiva.   Pertanto, dopo queste considerazioni, possiamo dire che la DISPRASSIA non è una malattia ma una condizione che accompagna il bambino durante l'arco della sua vita ma che può essere modificata. Tuttavia dobbiamo prestare attenzione a non ignorarne i campanelli d'allarme per poter dare la possibilità ai nostri bambini di avere un futuro migliore e appagante sotto ogni profilo.   (Articolo a cura della Dott.ssa Francesca Tabellione, tnpee- docente presso enti accreditati, specializzata in neuropedagogia dei processi cognitivi e psicomotricità neurofunzionale, terapista itard) /wp:tadv/classic-paragraph

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L' AUTOREGOLAZIONE IN ETÀ PRESCOLARE: CAPACITÀ FONDAMENTALE PER LO SVILUPPO MOTORIO, COMPORTAMENTALE, EMOTIVO E COGNITIVO DEL BAMBINO

wp:tadv/classic-paragraph Iniziamo questo articolo interrogandoci su tali quesiti:   --> Quando possiamo dire che un bambino è autoregolato e si sa controllare nei differenti contesti di vita (casa, scuola, sport)? --> Quando è semplicemente vivace o al contrario cela una disregolazione comportamentale di base dovuta ad una disfunzione esecutiva? -->Quando e a che età un bambino deve aver acquisito un buon autocontrollo sia motorio (comportamentale) e sia emotivo/cognitivo?   Spesso noi professionisti ci troviamo di fronte a genitori o insegnanti che ci dicono “il bambino è svogliato, è pigro, quando vuole ce la fa, non ha voglia di impegnarsi e concentrarsi”. Attraverso questo articolo, quello che noi possiamo dirvi e su cui vogliamo che voi riflettiate è: “siete certi che tali atteggiamenti, come ad esempio una distrazione, una goffaggine motoria, un comportamento non autoregolato o uno scarso impegno dipendano dalla volontà di vostro figlio/alunno? O potrebbero essere il prodotto di un qualcosa di invisibile che sta accadendo all’interno del loro sistema nervoso, dunque di disfunzioni esecutive che “alterano" il comportamento, l’autocontrollo, la relazione e gli apprendimenti?”. Pertanto vi invitiamo a capire e conoscere insieme a noi cosa si nasconde dietro un determinato comportamento del bambino, in modo da poterlo aiutare a superare eventuali difficoltà che da solo non è in grado di affrontare perché privo dei corretti strumenti di cui necessita. La componente genetica è senza dubbio un fattore importante nell’eziologia dei vari disturbi dell’età evolutiva e un intervento tempestivo, in età precoce (prescolare), basato sulla stimolazione dei vari domini esecutivi ad iniziare principalmente dai processi inibitori, puó aiutare i bambini a ridurre notevolmente il rischio di alcuni disordini evolutivi, come il Disturbo dell’Autoregolazione che si caratterizza per una difficoltà nel controllo degli impulsi/istinti e delle emozioni, difficoltà nei tempi di attesa e di turnazione, nel mantenere e sostenere l’attenzione per un periodo di tempo prolungato, bassa tolleranza alla frustrazione, problemi nella working memory e nella flessibilità cognitiva, atteggiamenti aggressivi o oppositivi verso gli altri, ecc).   Perché iniziare già dall’età prescolare? Premettendo che in età prescolare si osserva un incremento a carico di differenti domini esecutivi quali: - Controllo inibitorio e attentivo (Davidson, 2006) - Working memory o memoria di lavoro (Smith, 2008) - Flessibilità cognitiva (Zelazo, 2001), nella fascia d’età 3-6 anni i circuiti dei bambini non sono ancora ben connessi tra loro, le competenze non sono ancora così specializzate da limitare la generalizzazione dei risultati. In età precoce possiamo aiutare a ristabilire le corrette connessioni sinaptiche in modo che esse siano più stabili e consolidate nel tempo. Inoltre se stimoliamo il bambino in questo periodo temporale critico per lo sviluppo delle FE permetteremo al suo pensiero e al suo comportamento di organizzarsi con maggiore flessibilità e autocontrollo, minore rigidità e impulsività, e di acquisire schemi cognitivi che andranno a consolidarsi nell’architettura cerebrale del bambino grazie alla plasticità neurale tipica di questo momento.   Recentemente Nigg (2017) ha individuato tre componenti o processi dell’autoregolazione: 💨cognitiva = capacità di focalizzare le proprie risorse cognitive nello svolgimento di un compito complesso, di mantenere e sostenere l’attenzione e le informazioni in memoria per svolgere un’attività, evitando gli stimoli interferenti o sopprimendo le risposte inadeguate e spostando il focus attentivo su altri elementi quando necessario. Dunque l’autoregolazione cognitiva include tre processi di base: controllo inibitorio- memoria di lavoro- flessibilità cognitiva, localizzati nelle regioni dorsolaterali dei lobi prefrontali. (Miyake, 2012). 💨comportamentale = capacità di controllare le proprie azioni motorie e i propri impulsi/ istinti. 💨emotiva = capacità di riconoscere e dare un nome alle emozioni, di elaborarle e controllarle in maniera adeguata, in particolare quelle negative, di tollerare la frustrazione. I processi emotivi sono localizzati nelle regioni orbitali e ventrali della corteccia prefrontale. Nella scuola dell’infanzia i bambini che mostrano una maggiore consapevolezza emotiva sono spesso quelli che riescono ad adattarsi meglio all’ambiente, a tollerare la frustrazione o gli insuccessi, le delusioni, le reazioni di rabbia, manifestano meno problemi comportamentali e un miglior rendimento scolastico, sanno relazionarsi adeguatamente con i loro coetanei. A loro volta, la regolazione emotiva e cognitiva sono funzionali alla regolazione del comportamento in generale al fine di raggiungere i propri obiettivi.   Per valutare l’autoregolazione emotiva in età prescolare viene spesso utilizzato il paradigma della “delusione indotta", in cui un bambino riceve un gioco indesiderato (Cole, 1986) e viene osservata la sua reazione nel risolvere lo stato di delusione che prova. Oppure alcuni ricercatori hanno usato la procedura della scatola trasparente per generare frustrazione e rabbia: al bambino viene mostrato un gioco che viene poi messo in una scatola trasparente chiusa a chiave. L’adulto mostra al bambino come aprire la scatola con la chiave e gli permette di esercitarsi ma poi, senza farsene accorgere, cambia chiave e la consegna a lui, uscendo dalla stanza. L’adulto, che osserva il bambino tramite uno specchio unidirezionale, gli dice che può giocare con il giocattolo solo se riesce ad aprire la scatola con le chiavi (che in realtà sono sbagliate): in tal modo si valuta se il bambino è capace di gestire la rabbia e la frustrazione dovute all'incapacità di aprire la scatola.   COS’È L’AUTOREGOLAZIONE?   È la capacità di percepire le informazioni sensoriali provenienti dall’ambiente esterno e dal proprio corpo e di processarle ed organizzarle correttamente, oltre alla sinergia tra gli aspetti cognitivi ed emotivi, a consentire al bambino l’acquisizione di comportamenti autoregolati e autocontrollati al fine di raggiungere uno scopo e di rispondere adeguatamente alle richieste ambientali. L’autoregolazione, abilità fondamentale dello sviluppo umano, è la capacità che hanno gli individui di modificare in maniera adattiva il proprio comportamento in risposta alle circostanze ambientali in continuo mutamento e in risposta alle richieste sociali, dunque la capacità di modulare il comportamento, le emozioni, l’attenzione (Fuster, 1997). Un ruolo fondamentale per sviluppare l’autoregolazione è ricoperto dalle FE, che sono processi cognitivi di ordine superiore, riconducibili alla corteccia prefrontale, deputate al controllo, alla pianificazione e alla regolazione o monitoraggio del proprio comportamento al fine di raggiungere uno scopo. Possedere FE ben organizzate permetterà al bambino di raggiungere non solo migliori prestazioni in campo scolastico e/o professionale ma anche un’adeguata regolazione del comportamento emotivo e sociale. Da un punto di vista evolutivo, già dal primo anno di vita il bambino inizia a regolare i propri stati di attivazione inseguendo un oggetto che si muove nel suo campo visivo e distogliendo lo sguardo dalla fonte di interesse, riesce a inibire certi comportamenti passando a nuovi schemi di risposta, ad esempio orientando la ricerca di un oggetto desiderato in posizioni diverse da quelle in cui l’oggetto era stato trovato precedentemente dal bambino (Diamond, 1985). Durante la scuola dell’infanzia, le capacità di autoregolazione si sviluppano maggiormente: il bambino inizia a pianificare una serie di azioni per raggiungere piccoli obiettivi, a inibire o avviare un gioco, ad inibire azioni verbali, emotive o motorie automatiche preponderanti o impulsi inadeguati al contesto, a esprimere meglio le proprie emozioni durante i giochi, a farsi valere e prendere decisioni, a ritardare il soddisfacimento di una gratificazione immediata per una successiva più attraente soprattutto a partire dai 4 anni e mezzo (si riduce l’impulsività tipica della fascia d’età prescolare), ad accrescere il suo repertorio di schemi motori, a rispondere in maniera più idonea alle richieste sociali e cognitive del suo ambiente (Posner, 2007). Anche alcune semplici attività di flessibilità cognitiva, in cui al bambino viene richiesto di cambiare rapidamente set di risposta tra un compito e l’altro, ad esempio classificare degli oggetti prima in base al colore e poi in base alla forma, vengono superati dal bambino a partire dai 4 anni, quando cominciano a maturare i processi inibitori.   Il disturbo dell’autoregolazione più diffuso e noto in età evolutiva è il Deficit di Attenzione e Iperattività (ADHD), caratterizzato da difficoltà nella flessibilità cognitiva, nella pianificazione, nella memoria di lavoro visuo-spaziale, nel mantenimento dell’attenzione per periodi di tempo prolungati, difficoltà nel controllo motorio e degli impulsi, dunque un disordine pervasivo che può interessare l’intera sfera sociale, emotiva, scolastica del bambino. La diagnosi può essere fatta con sicurezza in età scolare, sebbene molti campanelli di allarme possano essere colti già a partire dall’età prescolare, sotto forma di rigidità comportamentale, deficit di inibizione e disregolazione emotiva. In particolare, l’inibizione osservata in età prescolare risultava essere predittiva dei deficit di attenzione e iperattività a 5 e 13 anni. Una ricerca condotta su 82 bambini di età 3-6 anni ha dimostrato che bambini con difficoltà nella memoria di lavoro, nei compiti di ricerca visiva e categorizzazione mostrano con più frequenza comportamenti dirompenti e disregolati. Un altro studio condotto su 235 bambini di 5 anni ha dimostrato che quelli che a 6 anni mostrano migliori capacità inibitorie, due anni dopo presentano migliori competenze sociali e di controllo del proprio comportamento in risposta alle richieste verbali. E’ stato osservato che i disordini delle Funzioni Esecutive osservati a 4 anni predicevano inoltre i comportamenti-problema rilevati a 5 anni.   QUALI SONO I PRINCIPALI CAMPANELLI D’ALLARME IN ETÀ PRE-SCOLARE CHE POSSONO PREDIRE UN FUTURO DISTURBO DELL’AUTOREGOLAZIONE?   🗨 difficoltà nel controllo dei propri impulsi (non sanno attendere, né rispettare la turnazione o le regole all’interno di un gruppo di pari, sono bambini estremamente impulsivi, frettolosi, invadenti e possono essere provocatori, caotici e disorganizzati, non riescono a pensare prima di agire) 🗨 difficoltà nel controllo delle proprie risposte emotive (possono avere reazioni esagerate quando vivono emozioni intense positive o negative e quando sperimentano insuccessi e frustrazioni, manifestare reazioni bizzarre o anomale durante momenti stressanti o di forte pressione emotiva) 🗨 ipercinesia e iperattività (non riescono a controllare il proprio movimento, a stare tranquilli, né a rimanere seduti per terminare l’attività che hanno iniziato o a tavolino quando il contesto lo richiede, ad esempio a scuola quando svolgono giochi o durante i pasti, sono spesso irrequieti) 🗨 difficoltà nel problem-solving e nella memoria di lavoro o a breve termine (sono bambini disorganizzati e disordinati, fanno fatica nell’esecuzione di compiti che richiedono più passaggi sequenziali, nell’organizzare un gioco, nel fare puzzle, nel ricordare due o più consegne, ad esempio “prendi i colori e mettili nello zaino, salta nei cerchi blu e poi in quelli rossi”) 🗨 attenzione labile e discontinua (sono bambini che impiegano molte energie durante la loro giornata e tendono a stancarsi facilmente, presentano una disorganizzazione spazio-temporale, tutti fattori questi che inducono a una dispersione attentiva e a uno smarrimento cognitivo generale con notevole insofferenza verso gli stimoli laterali-visivi o uditivi) 🗨 difficoltà a livello relazionale, ovvero nell’instaurare rapporti adeguati con i loro pari, con facile tendenza all’isolamento.   COME POSSIAMO SVILUPPARE L’AUTOREGOLAZIONE IN ETÀ PRE-SCOLARE? E QUALI STRATEGIE ADOTTARE?   Il nostro approccio abilitativo, quando si lavora con i bambini, consiste nel proporre attività-giochi neuropsicomotori all’interno del setting che, attraverso la motricità (le competenze prassico-motorie), organizzano la cognitività stimolando o potenziando i differenti domini delle FE (attenzione, memoria di lavoro, inibizione, pianificazione, categorizzazione, flessibilità cognitiva o shifting). Fondamentale sarà poi la generalizzazione delle competenze acquisite e delle varie strategie adattive in altri contesti, in modo da trasferirle anche negli ambienti quotidiani. Tutte le abilità del bambino andranno valutate attentamente tramite un’osservazione qualitativa funzionale, per capire quali sono i suoi punti di debolezza e soprattutto i suoi punti di forza, poiché proprio da questi ultimi bisogna partire per impostare un training abilitativo in modo da mantenere sempre alto il livello di autostima e di motivazione del bambino, garantendo la costruzione del senso di autoefficacia e un miglior funzionamento cognitivo e delle abilità di autoregolazione. Spesso i bambini disregolati vengono continuamente richiamati e rimproverati nel contesto familiare e scolastico a causa del loro comportamento inappropriato e non conforme alle regole sociali, senza considerare che non è un comportamento intenzionale che mettono in atto o dovuto a una scarsa educazione ma un problema relativo alla mancanza di autocontrollo: lavorare sulle deficienze o carenze non farebbe altro che peggiorare il senso di frustrazione che tali bambini avvertono e che inevitabilmente avrà ripercussioni negative sulle FE stesse. Un bambino che a 4 anni fa fatica ad inibire il proprio movimento (a 3 anni inizia a maturare il controllo inibitorio), andrà supportato a far emergere tale abilità, indispensabile per lo sviluppo delle competenze successive. È bene considerare sia l’età cronologica del bambino (per non fare richieste troppo elevate) ma soprattutto l’età di maturazione psicomotoria e le competenze di autoregolazione durante la presentazione delle attività con alto investimento corporeo e prassico-motorio. Da ricordare che quando stiamo ideando e progettando un esercizio è difficile riuscire a scindere il singolo dominio esecutivo su cui vogliamo concentrarci dagli altri; bisogna essere consapevoli che tali funzioni esecutive si sviluppano in maniera progressiva e sono strettamente interrelati fra loro, e che non esistono attività specifiche che stimolino una singola FE. Pertanto, all’interno di uno stesso compito/gioco spesso più di un dominio esecutivo viene messo in campo.   Le strategie da poter adottare per rendere il bambino con disfunzioni esecutive più autoregolato e organizzato nella sua vita quotidiana sono le seguenti:   🗨ridurre al minimo le fonti di distrazione strutturando un ambiente che sia il più possibile prevedibile e lineare per non disorganizzare il bambino (strutturare uno spazio per la motricità, uno per le attività cognitive, un altro ancora per il gioco spontaneo, ecc.) 🗨dare poche regole semplici e chiare 🗨dare due o più consegne in sequenza al fine di sviluppare la memoria di lavoro, evitando l’eccessiva reiterazione delle consegne 🗨organizzare attività in piccoli gruppi per stimolare la relazione, lo scambio reciproco, il rispetto delle regole, la turnazione 🗨usare mimica e gestualità a supporto del linguaggio verbale per consentire al bambino di comprendere e ricordare meglio una consegna data 🗨se il bambino fa fatica nel completare un gioco o un’attività scomporre gli stessi in passaggi più brevi consentendo il movimento e introducendo pause frequenti per incrementare i tempi di attenzione e concentrazione 🗨non dare punizioni quando il bambino ha atteggiamenti inappropriati ma manifestare comprensione, fornire feedback positivi, gratificazioni immediate o incoraggiamenti al fine di aumentare il senso di autoefficacia e autostima, rinforzare il comportamento adeguato alle richieste in modo da permettere al bambino di generalizzarlo in altri contesti 🗨proporre attività stimolanti e a difficoltà crescente partendo dall’interesse del bambino e variarle notevolmente man mano che vengono apprese per evitare che egli si annoi. Introdurre rinforzi sociali, fisici o emotivi e supportare il bambino nello svolgimento del compito senza sostituirsi a lui 🗨 sollecitare il gioco simbolico dal primo fino al sesto anno di vita per stimolare lo sviluppo socio-affettivo, la memoria di lavoro, il controllo dell’inibizione, e giochi prassico-motori o sensoriali in età prescolare per rafforzare le FE, in particolare la capacità di autocontrollo e autoregolazione, la pianificazione, il problem-solving, l’organizzazione spazio-temporale, l’attesa, la concentrazione, la memoria sequenziale (Diamond, 2011) 🗨 incoraggiare attività di resocontazione (narrazioni) per sviluppare l’organizzazione del pensiero e la sequenzialità, favorendo la costruzione dei nessi causali e temporali tra gli eventi, attraverso la descrizione di immagini semplici e complesse, l’ascolto di storie mettendo in ordine temporale le immagini che descrivono le varie sequenze e infine raccontarle.   💢 Se vuoi apprendere come impostare un trattamento abilitativo con un bambino che manifesta disordini delle Funzioni Esecutive e quali esercizi/giochi neuropsicomotori proporgli, vi aspettiamo al nostro corso “Allenare le Funzioni Esecutive in età prescolare 3-6 anni" 💢   (Articolo a cura della Dott.ssa Francesca Tabellione, Erika D’Antonio, tnpee- docenti presso enti accreditati, specializzate in neuropedagogia dei processi cognitivi e psicomotricità neurofunzionale, terapiste itard) /wp:tadv/classic-paragraph

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