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CONOSCIAMO IL BAMBINO AUTISTICO: LA CORRELAZIONE CON I SISTEMI SENSORIALI E LA TERAPIA SENSORI-MOTORIA 

wp:tadv/classic-paragraph   a cura della Dott.ssa Francesca Tabellione Specializzata nella valutazione e trattamento dei disordini dell’età evolutiva, supervisore, formatrice presso enti accreditati e ideatrice di volumi educativi/riabilitativi —–‐—————————————————————–  VERSO UN NUOVO MONDO    Chi è il Bambino Autistico   Guardare un bambino che, senza fine e senza avvertire dolore, si morde una mano o fa ruotare oggetti in modo ipnotico; che è capace di fissare per ore con lo sguardo vuoto, un granello di polvere o che si colpisce senza fine o si spalma sul corpo le proprie feci; che vi ignora, respingendo ogni contatto umano; un bambino che non vi ascolterà né parlerà con voi, né spesso vi permetterà di toccarlo, che presenta un contatto oculare assente o sfuggente e che preferisce le cose alla gente, sempre solo e chiuso in se stesso, “uno straniero tra noi”, un tempo definito psicotico e segregato in ospedali psichiatrici.   Il suo comportamento sconosciuto ci è incomprensibile e quindi ci intimorisce. È possibile che questo comportamento strano contenga un significato nascosto? E che questi bambini cercano disperatamente di comunicare con noi e che noi siamo sordi? È possibile che il mordere, ruotare, urlare, colpire, siano tutte parti di un codice che non abbiamo ancora decifrato? È possibile che il bambino autistico stia tentando di comunicare con noi e che noi non sappiamo rispondere?   Nel 1943 il neuropsichiatra infantile Leo Kanner, descrisse con la formula di “autismo infantile precoce” cinque principali caratteristiche: – incapacità di mettersi in relazione e interagire con gli altri – impossibilità a comunicare con gli altri attraverso il linguaggio – ossessione nel mantenere l’uniformità e resistere ai cambiamenti – il preoccuparsi di oggetti a preferenza degli uomini – evidenza occasionale di un buon potenziale di intelligenza.   Con Kanner, l’autismo indica un insieme di sintomi per riferirsi a una entità nosografica di tipo congenito, a carico dell’affettività e a eziologia ignota. Successivamente, egli ricondusse le caratteristiche dello stato autistico all’isolamento estremo e all’avversione per i cambiamenti, con inizio entro i primi 2 anni di vita. Poiché all’inizio non si conosceva nessuna causa fisica per il comportamento autistico, si accettò una prima spiegazione data da Freud riconducibile ad una rabbia interiore, sebbene ciò non portò a nessun successo nella cura e si dovettero ricercare altre spiegazioni. Tra il ’50 e il ’60 furono scritti vari articoli per differenziare l’autismo dalla schizofrenia infantile precoce e dal ritardo mentale, poiché spesso le diagnosi si sovrapponevano.   Bender, invece, un esperto del settore, pensò che l’autismo fosse di origine organica, causato da una “encefalopatia di origine prenatale”, il che significa una mancanza diffusa di sviluppo cerebrale prima della nascita.   Rimland correlava le cause a una lesione alla formazione reticolare del peduncolo cerebrale, in bambini geneticamente predisposti, illustrando come i sintomi dell’autismo potessero risultare dalla difficoltà di dare un significato alle stimolazioni sensoriali in arrivo. Anche Schopler riconduceva le cause a fattori sensoriali e genetici.   Delacato invece, psicologo statunitense, non accettava le implicazioni genetiche delle posizioni di Rimland e Scholpler poiché se nell’autismo ci fosse stato un fattore di origine genetica, il suo schema dovrebbe essere riconoscibile da una generazione all’altra e la sua apparizione doveva seguire una regola, di generazione in generazione, ma invece non lo fa. Egli fu colpito dal fatto che i bambini autistici manifestassero comportamenti stereotipati e ripetitivi (ruotare oggetti, sfarfallare le mani, dondolarsi, ecc.), aspetto più estremo del problema, che li faceva sempre più rinchiudere in un mondo tutto loro e distaccare da quello reale ma al tempo stesso sembravano stranamente più soddisfatti. Potevano dunque questi bambini manifestare gravi problemi sensoriali e non riuscire a organizzare gli stimoli che giungevano al loro cervello dal mondo esterno per rispondere adeguatamente alle richieste? Una o più delle loro vie di entrata (vista, gusto, udito, odorato, tatto) era in qualche modo “difettosa”: il loro strano comportamento ripetitivo era il loro tentativo, attraverso il ripetersi degli stimoli, di normalizzare quella o quelle vie.    TROPPO,TROPPO POCO O RUMORE BIANCO? Secondo Delacato l’autismo è un problema neurologico che risulta da una cerebrolesione lieve e diffusa: tale definizione fu diffusa in medicina nel 1967, oggi identificata con disordine della connettività – alterazione funzionale della sostanza bianca, riconoscendo negli autistici aree di alta o bassa densità connettiva. Il disturbo della connettività è tendenzialmente nelle vie discendenti inibitorie, per tale ragione Delacato parlò di disorganizzazione neurologica poiché, anche se è fatta salva l’anatomia del SNC, la qualità e la quantità delle connessioni in un soggetto con neurosviluppo atipico modificano la risposta motoria e comportamentale.   L’autismo si presenta come un problema senso-percettivo che determina il modo in cui il cervello incamera ed elabora le informazioni che riceve dall’ambiente, ovvero problemi con una o più vie dal mondo esterno al cervello: vista, udito, gusto, tatto, odorato. Egli osservò che il comportamento ripetitivo che distoglieva l’attenzione del bambino poteva essere collocato in una o più delle cinque vie sensoriali. Pertanto, c’erano bambini che ricadevano in una delle tre seguenti categorie, in base ai loro atteggiamenti sensoriali:   1. Iper: un sistema sensoriale a innesco rapido che lasciava passare troppa parte del messaggio al cervello portando ad un sovraccarico del sistema   2. Ipo: un sistema sensoriale lento che lasciava passare una parte troppo piccola del messaggio al cervello   3. Rumore bianco: un sistema sensoriale che operava con così poca efficienza che la sua stessa attività creava una interferenza o rumore nel sistema.   Egli scoprì che la cura poteva essere mirata a normalizzare il canale attraverso una stimolazione sensoriale che doveva essere loro fornita in frequenza, intensità e durata. Quando ciò accadeva, il bambino autistico diminuiva o cessava i suoi comportamenti ripetitivi e poteva rivolgere la sua attenzione al nostro mondo ed entrare a farne parte.   SCOPRIAMO L’AUTISMO E GLI ATTEGGIAMENTI SENSORIALI    Nella prima parte dell’articolo abbiamo visto che i bambini autistici negli anni ’60 venivano considerati psicotici. Delacato, invece, famoso neuroscienziato ed esperto di autismo, rifiutò da subito tale ipotesi diagnostica poiché per lui si trattava di un problema di neurosviluppo. Egli scoprì che alla base dell’autismo vi era una spiegazione neurologica, correlando le anomalie comportamentali ai disturbi senso- percettivo-motori. Quanto scritto nel DSM V e soprattutto quanto pubblicato dai neuroscienziati, ha confermato in pieno le sue intuizioni sull’autismo.   La teoria di Delacato afferma che: – i bambini autistici manifestano disfunzioni percettive, ovvero problemi con una o più vie dal mondo esterno al cervello – gli strani comportamenti ripetitivi del bambino autistico sono atteggiamenti sensoriali, che rappresentano i tentativi del bambino di normalizzare le vie sensoriali disfunzionali – Il bambino cerca di “curare se stesso”, in una sola parola di autoregolarsi: è proprio questo tentativo di normalizzare le sue vie sensoriali che distoglie l’attenzione del bambino dalla realtà, con difficoltà di sopravvivenza nel mondo reale, ricco di stimoli sensoriali (propriocettivi, visivi, uditivi, tattili, olfattivi e gustativi, ecc) – tale comportamento è il messaggio del bambino e bisogna osservarlo attentamente per capire quali sono le vie sensoriali disfunzionali e soprattutto se la via è iper, ipo o rumore bianco – quando abbiamo individuato quali vie sensoriali sono disfunzionali, possiamo aiutare il bambino con una stimolazione sensoriale giusta attraverso quella via: in questo modo il canale si normalizza, il comportamento ripetitivo cessa e il bambino avrà la possibilità di “uscire dal suo mondo” e interagire con il mondo reale, apprendere e comunicare con le persone.   Ogni bambino autistico è un individuo a sé e di conseguenza ogni bambino può creare nuovi atteggiamenti sensoriali. Una delle difficoltà che si incontrano nell’osservare gli atteggiamenti sensoriali dei bambini autistici è la nostra stessa funzione sensoriale: è importante guardare al di là della nostra normale funzione sensoriale mentre valutiamo il bambino e il suo comportamento.   Alcuni suggerimenti generali che possono aiutare a osservare e valutare i comportamenti: – ogni volta che un bambino autistico entra nella stanza di terapia e scappa o si nasconde, possiamo concludere che egli scappa per proteggersi – scegliere una stanza tranquilla senza rumori e osservare cosa attira l’attenzione del bambino e quali aree sensoriali racchiudono le sue anormalità, imparare ad ascoltare i suoi movimenti, i suoni e i rumori che produce con gli oggetti, cercare di non imporsi ma attendere che il b.no si avvicini ed essere il più amichevole possibile, parlargli con un tono basso di voce e naturalmente, senza essere loquaci. Analizziamo in dettaglio i vari sistemi sensoriali e le loro relative manifestazioni in iper, ipo o rumore bianco.    1. TATTO Il sistema tattile riceve e trasmette le informazioni provenienti dai recettori sensoriali situati nella nostra pelle. È attraverso il sistema tattile che riceviamo informazioni sul mondo che ci circonda quando lasciamo l’ambiente uterino e contribuisce al nostro sviluppo sociale ed emotivo. Il sistema tattile inoltre svolge un’azione protettiva che ci allerta quando qualcosa è spiacevole o pericoloso. Se osserviamo gli atteggiamenti del tatto, notiamo differenti reazioni del bambino alle variazioni di temperatura, al dolore e alla pressione: alcuni percepiscono tali informazioni tattili come spiacevoli o minacciose e reagiscono con una reazione di “lotta o fuga”, altri le avvertono molto poco; inoltre possiamo osservare la sensibilità propriocettiva attraverso la coordinazione dei suoi movimenti e l’equilibrio. Nel valutare gli atteggiamenti del tatto, bisogna osservare l’uso delle mani (esaminatori tattili che usiamo più spesso) e qualsiasi attività ripetitiva che coinvolga la pelle e che possono variare dal mordere e colpire, al carezzare o solleticare.   a. BAMBINO IPER-TATTILE Il bambino ipertattile è quello che ha reazioni negative e sproporzionate ad alcuni tipi di stimoli tattili percepiti in maniera neutra dalla maggior parte delle persone: rifiuta il contatto e, se viene toccato, reagisce lottando o scappando (preferisce toccare piuttosto che essere toccato), respinge anche il contatto con i vestiti (soprattutto ruvidi e troppo costrittivi o quelli con etichette interne). I problemi del vestire sono difficili da catalogare poiché, anche se sembrano il risultato di un tatto iper, potrebbero essere anche il risultato di un odorato iper. Inoltre il b.no evita alcuni cibi (è sensibile alla loro struttura in bocca), evita di camminare a piedi nudi (specialmente sull’erba o sulla sabbia), non ama le variazioni di temperatura e pressione. È iperattivo e distraibile. Sceglie sempre giocattoli morbidi o pelosi e in genere li usa per accarezzarsi il corpo nel tentativo di normalizzare le vie tattili. Manifesta disagio quando viene preso in braccio, non tollera l’acqua a meno che non sia alla temperatura del corpo o alcuni compiti quotidiani (fare la doccia, farsi tagliare i capelli, lavarsi il viso o i denti), presenta avversione nei confronti di alcuni materiali quali sabbia, pongo, colori a dita, reagisce negativamente al tocco leggero a livello di braccia, viso o gambe.   b. BAMBINO IPO-TATTILE Il bambino ipotattile può mostrare scarsa o nessuna reazione al dolore, può venire ferito seriamente e non piangere. Può sorridere quando viene percosso, non si rende conto di essere toccato a meno che lo stimolo tattile diventa intenso, fa cadere oggetti o sbatte contro persone/mobili e non se ne accorge poiché è inconsapevole delle sensazioni del suo corpo. Si autoferisce, ha zone callose o con lividi come mani, braccia, ginocchia, gomiti, si morde le mani o altre parti del corpo, si colpisce, si mette in posizioni contorte, che sarebbero per noi dolorose, nel tentativo di autopercepirsi. Svolge attività ripetitive con il corpo (è importante osservare attentamente questi movimenti grossolani per essere sicuri di valutare anche gli aspetti visivi e uditivi). Si tocca continuamente anche le zone ferite del suo corpo senza permettere la loro guarigione.   c. TATTO- RUMORE BIANCO È il bambino che gratta inesistenti pruriti sul suo corpo: spesso sembra grattare inesistenti punture di zanzara o di mosca, spesso rabbrividisce come se qualche oggetto che non vediamo li toccasse. È soggetto a “esplosioni tattili” che comportano il colpire e schiaffeggiare se stesso o altri: dopo tali esplosioni sembra tranquillo per un certo periodo dal punto di vista tattile, fino a quando si verifica un altro aumento.    2. ODORATO L’odorato è per i bambini autistici la zona meno capita del comportamento e i problemi di questa zona sono considerati gli atteggiamenti più antisociali. Un tempo tale senso fu di primaria importanza nella nostra evoluzione ed era la via sensoriale principale.   a. IPER- ODORATO Il bambino iperolfattivo o iperodorato ha un senso dell’olfatto eccessivamente sviluppato e questo comporta una serie di conseguenze negative sulla sua vita adattiva. Tutti abbiamo un odore che ignoriamo ma questo b.no non può farlo, è respinto da alcuni odori e attratto da altri e tale condizione ha notevoli ripercussioni sul suo comportamento. È un b.no che avverte gli odori a distanze molto maggiori rispetto a noi, vomita quando sente l’odore della sua urina o è talmente nauseato da questo odore che rifiuta di urinarie e defecare fino a quando non riesce più a trattenersi. Un aspetto molto interessante è che questo è anche il bambino che lotta al seno, ovvero non riesce a sopportare l’odore e lotta per allontanarsene, mentre in genere è la capacità olfattiva che guida un neonato verso il capezzolo del seno. È inoltre il bambino che lotta quando viene sollevato o preso in braccio poiché non tollera l’odore del caregiver che lo abbraccia; è anche selettivo nell’alimentazione e spesso non mangia: non sopporta cibi dagli odori forti e quando questi odori aumentano aumenta il suo comportamento di rifiuto. Di conseguenza vomita facilmente poiché non è inconsapevole della presenza degli odori che lo circonda.   b. IPO-ODORATO Il bambino ipoodorato è quello che, cercando gli odori intensi, prova un grande piacere. Il comportamento più problematico è quando lo troviamo a giocare con le sue stesse feci o cosparge il muro o un oggetto con le stesse. Nelle feci egli trova l’odore di rifiuto più potente, più piacevole e comprensibile. È il bambino che con molta facilità bagna il letto o il pigiama e gioca con la sua stessa urina, annusa ogni oggetto che incontra interpretandone il marchio olfattivo e ogni persona nella stanza prima di fare qualunque altra cosa. Se osserviamo o annusiamo le sue mani, notiamo che sono sempre bagnate di saliva; inoltre è il bambino che mangia indiscriminatamente, anche cose non commestibili. Si rassicura annusando il suo stesso odore che, più è forte e più è felice. Gli piace stare in bagno e spesso è riluttante a far scorrere via con l’acqua le sue feci nel water, prova piacere nel sentire l’odore della gente.   c. ODORATO- RUMORE BIANCO È il bambino che manifesta un odore costante nel suo sistema olfattivo. È come se avesse un odore interno che il suo naso riuscisse a percepire. Spesso posa una mano sulla bocca e il naso e soffia l’aria dall’una all’altro per sentire l’odore del suo alito, tende a cacciare piccoli oggetti dalle narici, in un tentativo di cambiare i meccanismi del suo odorato. Talvolta cerca gli odori esterni, altre volte li respinge e scappa via da essi. Diventa molto teso quando ha una congestione nasale o un raffreddore.    3. UDITO Molti bambini con atteggiamenti uditivi sono semplicemente diagnosticati come sordi. È spesso difficile differenziare gli ipo dagli iper. Questo è il risultato dei tentativi del bambino iperuditivo di salvare se stesso nel nostro mondo rumoroso, tagliando fuori ogni rumore. È come se “spegnesse” il suo sistema uditivo risultando sordo. Ricordiamo che l’organo dell’udito è l’orecchio. L’orecchio interno e l’equilibrio sono in stretta relazione: udito ed equilibrio devono quindi essere osservati insieme. Generalmente, i movimenti rotatori del corpo e qualunque attività che faccia venire il capogiro, se non comprende gli occhi coinvolge l’udito. I bambini con problemi di “input” uditivo sono i più difficili da trattare dal punto di vista comportamentale e sono complessi da capire e da controllare. Le stanze da bagno sono spesso di aiuto per diagnosticare gli atteggiamenti uditivi, poiché il suono rimbalza e riecheggia rapidamente attraverso la stanza. Possiamo dire che il b.no che ama giocare nella stanza da bagno probabilmente è ipoauditivo, mentre quello che si oppone quando dovrebbe andare nella stanza da bagno è iper. Nel valutare gli atteggiamenti uditivi bisogna ricercare ogni attività che produca dei suoni. Se ascoltiamo il bambino chiudendo gli occhi, i suoni andranno da quelli vocali allo schioccare delle labbra, a battere leggermente sulle orecchie, allo sbattere assieme degli oggetti incessantemente. Non è consigliabile usare la musica per valutare la funzionalità uditiva poiché essa cambia l’atteggiamento di ascolto dei bambini con problemi uditivi. Questi bambini imparano spesso com’è un oggetto palpandolo, battono leggermente sull’oggetto con un dito e ascoltano le diversità dei suoni su parti diverse dell’oggetto. Quando il palpare non è sufficiente, questi bambini romperanno l’oggetto ascoltando attentamente i suoni che produce quando viene distrutto.   a. IPER-UDITO Il comportamento del bambino iperuditivo è in genere quello di evitare o respingere: si allontanerà dal rumore e dai suoni o si tapperà le orecchie con le mani, respingendo completamente il suono. In quest’ultima situazione egli sarà giudicato e sembrerà essere totalmente sordo: viene ferito dai suoni e poiché non può fermarli anche se si allontana o si chiude le orecchie, li spegne nel suo cervello. Questa sordità transitoria sparisce non appena comincia a produrre suoni ripetitivi che ascolterà con piacere. Bisogna ricordare che il bambino iperuditivo sente molti suoni che noi, con un udito normale, non avvertiamo. Anche dormire diventa per lui un problema, ha un sonno molto leggero poiché avverte suoni che noi riusciamo ad escludere dalla nostra consapevolezza. Ad esempio, può sentire il rumore di apparecchi elettrici, televisivi, rumori provenienti dai tubi dell’acqua, dal respiro o dal vento. Ha paura degli animali poiché producono rumori in momenti imprevedibili, ha timore del taglio dei capelli (è spaventato non solo dal taglio delle forbici ma anche dal rumore del rasoio vicino all’orecchio). Anche pulirgli e lavargli le orecchie rappresenta per lui una tortura. Inoltre è spaventato dalla folla, dalle gallerie, dal traffico, dalle sirene delle ambulanze, dagli acquazzoni forti, dai tuoni, essendo rumori che si verificano improvvisamente e sono troppo forti per essere facilmente assorbiti. Il bambino iperuditivo quando non riesce a controllare il dolore e la paura del rumore nel suo ambiente, cerca di allontanarsi dalla sorgente del rumore: può nascondersi sotto una coperta, lasciare la stanza o addirittura fuggire di casa. Dobbiamo fare attenzione perché ad esempio il nascondersi sotto una coperta può essere la reazione di un b.no iperuditivo o ipervisivo; pertanto bisogna osservare che cosa fa scattare tale reazione, se il suono o la vista.   b. IPO-UDITO È il bambino per cui il mondo è troppo quieto, è quello che grida, che sbatte violentemente. Una parte insufficiente del messaggio di suoni del mondo raggiunge il suo cervello e per tale ragione egli cerca altri suoni che abbiano una maggiore durata e frequenza. Egli crea rumori forti e ritmici e si muove verso di loro, appoggia l’orecchio a superfici vibranti e rumorose. Ama i suoni violenti, i rumori del traffico, può rimanere ore ad ascoltare una lavatrice, un frullatore o un aspirapolvere, gli piace strappare la carta (soprattutto rigida e non morbida); adora sbattere le porte e sembra distruttivo nella ricerca di suoni, come se frantumasse le cose per vedere che suono c’è dentro. Ama i giocattoli che fanno rumore o che cigolano: se il giocattolo è silenzioso, il problema generalmente è visivo, mentre se è rumoroso, molto probabilmente è uditivo.   c. UDITO- RUMORE BIANCO È il bambino che sembra preoccuparsi dei suoi rumori interni, che ascolta il battito del suo cuore dopo aver corso, che ascolta il suo apparato digerente dopo aver mangiato o che respira in fretta per la bocca e ascolta il suo respiro. Una nota interessante è che questo è anche il b.no che spesso si dondola (soprattutto la testa) e poi si ferma, come per ascoltare la differenza del rumore nella sua testa. Può adottare posizioni gravitazionali strane: ad es. sembra ascoltare se stesso attaccato ad una sedia con la testa in giù; canticchia spesso e fa un rumore basso continuo e lo ascolta.    4. GUSTO Il principale organo del gusto è la lingua, che possiede circa dieci mila papille gustative. La punta della lingua è sensibile soprattutto al salato e al dolce, i lati della lingua all’acido e la parte posteriore ai sapori amari. È interessante sapere che i bambini iper nel gusto tendono ad usare la punta della lingua per assaggiare, controllano cibi e oggetti dolci o salati. I bambini ipo nel gusto usano la parte posteriore e quelle laterali della lingua, controllano l’acido e l’amaro. I bambini con rumore bianco nel loro sistema gustativo, tendono invece a succhiare con la parte posteriore e quelle laterali della lingua, controllando i gusti acido e amaro. La lingua è anche molto sensibile dal punto di vista del tatto: è talvolta difficile separarne la funzione gustativa e quella tattile.   a. IPER- GUSTO Il bambino iper nel gusto si allontana da gusti molto forti, vomita spesso, mangia molto poco e solo cibi poco saporiti. Pertanto, manifesta precoci problemi di alimentazione poiché la sua tolleranza alle variazioni di gusto è molto limitata.   b. IPO-GUSTO Il bambino ipo nel gusto mangia qualsiasi cosa (anche non commestibile o di gusto repellente), non discrimina il cibo. Può mangiare e bere sostanze estremamente dannose come la benzina e sostanze velenose come la vernice. È il bambino che subisce spesso lavande gastriche per la sua mancanza di discriminazione su ciò che mangia o beve.   c. GUSTO- RUMORE BIANCO È il bambino che ha sempre un “gusto” in bocca. Se si osserva questo bambino possiamo notare che si comporta come se si succhiasse la lingua o le gengive per avere da queste un gusto. Spesso rigurgita il cibo ingerito o lo rimastica e ingerisce. È spesso indifferente al cibo, permette agli altri di alimentarlo ma raramente lo fa da solo. Se osserviamo la sua lingua notiamo che è grossa e larga, come conseguenza del gustare la propria saliva.   5. VISTA Come valutiamo gli atteggiamenti visivi del bambino? Osservando qualunque cosa che contenga un movimento del corpo, come il dondolarsi, il girare, il ruotare o qualsiasi movimento che si verifichi davanti agli occhi. La maggior parte dei movimenti ritmici di oggetti entro il campo visivo, purché non sia implicato rumore, sono indicatori visivi (automobili, orologi, dischi che girano, ecc.).   a. IPER-VISIONE È il bambino che guarda costantemente piccole particelle di polvere o oggetti nell’ambiente circostante. Può passare ore a togliere peluzzi da un tappeto o dai suoi vestiti, può rimanere per ore ad osservare un granellino di polvere o una goccia di saliva tra le dita, un capello, compiere movimenti improvvisi ma controllati. Tali movimenti possono essere laterali, permettendo al bambino di vedere come se muovesse gli occhi da destra a sinistra oppure in avanti e indietro, consentendo al b.no di avvicinarsi o allontanarsi dall’oggetto. Questo bambino è attratto da orologi, ruote, dischi che ruotano, trottole, quindi da oggetti che osservati a lungo e intensamente, provocano illusioni ottiche. Ha un’ottima memoria visiva ma non ama gli specchi né vedersi riflesso in uno specchio, nell’acqua o in fotografia. In genere, ha paura del buio, di fasci improvvisi di luce, dei lampi e non ama la luce brillante del sole.   b. IPO-VISIONE Una delle caratteristiche del bambino ipovisivo è il dondolarsi: si dondola avanti e indietro, spostando l’oggetto osservato da vicino a lontano. Inoltre è attratto da fasci di luce come il sole e punti di luce e può passare molto tempo ad osservarli, ha paura dell’altezza, delle scale, delle gallerie buie, della velocità (le sue capacità visive non riescono a fronteggiare la velocità e la profondità). Può andare avanti e indietro da una superficie colorata ad un’altra, come la linea di incontro di due tappeti di diverso colore, nel tentativo di normalizzare il suo sistema visivo. Un comportamento complesso da comprendere è il lento camminare attorno ad un oggetto, la sua attenta osservazione mentre gira attorno: questo potrebbe essere un tentativo di fissare il contorno dell’oggetto per capire la sua posizione nello spazio. Bisogna osservare da vicino come ruota gli oggetti ad esempio le matite: se è fatto davanti agli occhi è un atteggiamento visivo. È affascinato dagli specchi o oggetti a superficie riflettente, dal vento che fa volare le foglie; può soffiare pezzettini di carta o granelli di polvere per vederli muoversi. Un’altra sua caratteristica è l’intrecciare le dita o il giocare con le mani, attività che compie sempre entro il campo visivo. Lancia oggetti leggeri e li osserva, al contrario degli ipoauditivi che in genere lanciano quelli pesanti.   c. VISIONE-RUMORE BIANCO È il bambino che manifesta spesso le pupille dilatate, che guarda attraverso la gente e le cose, che si comporta come se osservasse qualcosa con molta attenzione, ma qualcosa che è dentro il suo bulbo oculare. Vede come se i suoi occhi non fossero rivolti verso il mondo esterno ma dentro se stesso. È il bambino che si tocca, si sfrega, si colpisce spesso gli occhi per far apparire lampi interni di luce nel suo sistema visivo. Anche se nessuno dei bambini con atteggiamenti visivi mostra rapidamente e a lungo un contatto visivo (guardandovi dritto negli occhi), a questo bambino riesce impossibile, anche se è obbligato a farlo. Si comporta come una persona realmente cieca: la sua attenzione è rivolta verso un mondo che non c’è. In conclusione, dopo questa lunga descrizione dei vari sistemi sensoriali, osservando il bambino autistico dobbiamo chiederci quale o quali canali sono compromessi? Iper, ipo o rumore bianco? Questi esempi specifici vogliono essere una guida per le vostre osservazioni e valutazioni, sempre ricordandovi che ogni bambino è un individuo a parte che crea nuovi atteggiamenti sensoriali (che possono non emergere tra quelli appena descritti!). Se il vostro bambino manifesta atteggiamenti particolari in più di un canale sensoriale, cercate di capire quale via è disfunzionale e partire a lavorare da quella stessa via, in cui il bambino manifesterà il maggior numero di atteggiamenti.   CONCENTRIAMOCI SULLA CAUSA e NON SUL SINTOMO: TERAPIA SENSORI-MOTORIA   L’obiettivo della terapia sensori-motoria è di eliminare o ridurre gli atteggiamenti sensoriali in modo che il bambino possa essere accettato da coloro che lo circondano ed essere meglio integrato nella società sia dal punto di vista comportamentale che educativo, e in modo che possa rivolgere la sua attenzione verso il nostro mondo e le sensazioni a cui noi vogliamo che egli presti attenzione. Anziché focalizzarci sull’estinzione di certi atteggiamenti, se comprendiamo il motivo dei comportamenti del bambino possiamo aiutarlo meglio ad autoregolarsi, ad esempio variando l’ambiente e adattandolo in base alle sue necessità, diminuendo il suo disagio sensoriale. Per quanto possibile, possiamo alterare le funzioni della terminazione sensoriale da cui questi atteggiamenti hanno avuto origine. Possiamo inoltre aiutare il bambino a normalizzare la via o le vie sensoriali anormali. Elenchiamo di seguito alcuni suggerimenti che possono fungere da guida, sempre tenendo in considerazione che ogni bambino è diverso dagli altri e può trarre benefici anche da altri tipi di approcci/tecniche. Tuttavia, potete utilizzarli come guida, modificandoli e adattandoli in base al bambino che avete di fronte.    A.TATTO Ricordiamo che le modalità del tatto sono 4: temperatura, dolore, pressione, propriocezione. Inoltre, se la pelle è l’organo terminale del tatto, bocca, lingua e denti sono sensibili in questo campo. Tutto il corpo è sensibile per quel che riguarda il tatto: per essere percepiti, l’oggetto o la persona devono venire in contatto col corpo del bambino, tranne nell’area della temperatura.   IPER-TATTO Questo bambino è molto influenzato dal tatto, che monopolizza i suoi pensieri ed è l’origine delle sue paure.   Possiamo eliminare i vestiti ruvidi, pesanti, stretti e fargli indossare abiti che preferisce, abbracciarlo in modo gentile (poiché non ama una forte pressione sul suo corpo). Questo b.no ha molta paura del dolore, per cui anche un lieve dolore come una ferita o una ciglia nell’occhio può renderlo aggressivo o nervoso.   Può essere difficile fargli il bagno e può urlare quando gli vengono tagliate le unghia dei piedi o delle mani. Dobbiamo ricordarci che per lui è un dolore!   Tenderà ad essere caldo al tatto e a sudare con facilità: per tale ragione è consigliabile mantenere bassa la temperatura a casa e assicurarsi che non abbia indumenti di lana. Inoltre è ipersensibile al freddo, quindi bisogna mantenere la temperatura il più costante possibile.   Se assume posizioni anomale del corpo quando è seduto o se intreccia le dita, all’inizio della terapia possiamo lasciarglielo fare poiché sono sensazioni propriocettive che lo tranquillizzano.   Successivamente possiamo inserire gradualmente attività propriocettive più variate, e non opprimerlo con sensazioni tattili per lui spiacevoli. È un bambino molto sensibile al solletico: anche un soffio d’aria potrebbe modificare negativamente il suo comportamento.   Bisogna osservare quali atteggiamenti tattili gli provocano piacere e fargli ciò che lui fa a se stesso: ad es. se si accarezza una guancia, possiamo accarezzargli l’altra guancia, lentamente e, se lo tollera, passiamo ad un altro atteggiamento tattile che gli piace. Pertanto, il primo passo è quello di creare nel bambino un maggior grado di tolleranza alla stimolazione tattile proveniente dall’esterno e controllata da altre persone. Successivamente, si può stimolare lentamente il suo volto, con un tocco molto leggero delle dita e arrivare fino alle orecchie con una leggera azione di massaggio.   Inizialmente il b.no ipertattile potrebbe arrabbiarsi e respingere l’azione e, appena comincerà ad accettare questo massaggio leggero, possiamo pronunciare ogni parte del suo volto che viene toccata. Passare poi dal volto al corpo, alle braccia e alle mani. Attenzione: all’inizio procedere con il palmo delle mani e quando comincerà a sopportarlo, passare ad una carezza leggera con le punta delle dita, pronunciando sempre ciò che tocchiamo. Se non tollera tali azioni, fermiamoci e poi riprendiamo.   IPO-TATTO Questo bambino necessita di tutta la stimolazione tattile possibile, di variazioni di temperatura nel suo ambiente quotidiano e di numerose esperienze propriocettive. Ama la pressione e gli abbracci molto forti.   È consigliabile farlo muovere, proporre attività che implicano la coordinazione di braccia e gambe, correre, saltare, rotolare, strisciare, lanciare e afferrare una palla, ecc. Se manifesta movimenti ritmici del corpo cerchiamo di esagerarli e aumentarli.   Dobbiamo spesso spazzolare, stuzzicare, pizzicare, sfregare la sua pelle: in questo modo aiutiamo il messaggio a passare dalla pelle al cervello aumentando FREQUENZA, INTENSITÀ e DURATA dell’applicazione dello stimolo. Inoltre bisogna variare gli input tattili il più possibile, soprattutto in quelle zone che il b.no ferisce, colpisce, tormenta e che necessitano di una maggiore quantità di stimoli.   Cambiargli spesso la temperatura dell’acqua, soprattutto immergendo braccia e mano del bimbo nella stessa, massaggiando e pizzicando la sua pelle ma prestando attenzione a non fargli male poiché ha una percezione del dolore inferiore al normale. In seguito asciughiamo mano e braccio con un asciugamano ruvido. A molti di questi bambini piace il vibromassaggio su tutto il corpo.   TATTO- RUMORE BIANCO Il bambino ha bisogno di sperimentare molte sensazioni tattili provenienti dall’esterno del suo corpo e controllati da persone diverse da lui. Ogni volta che gli viene fornito uno stimolo tattile, bisogna indicargli la sua origine e dobbiamo spiegargli cosa gli stiamo facendo prima e durante la stimolazione, sempre!. Ad esempio, dobbiamo dirgli “sto per stringerti e poi sollevarti”; mentre si esegue questa azione, dobbiamo continuare a dirgli ciò che stiamo mettendo in atto. Quando comincerà a capire le stimolazioni provenienti dall’esterno in opposizione a quelle interne, possiamo fornirgli una grande varietà di esperienze. Ha bisogno prima di riuscire a discriminare due diversi input tattili. In totale, avrà bisogno di esperienze tattili provenienti dall’esterno nel modo più costante possibile nell’area della temperatura, pressione, dolore e della propriocettività. Più lo stimoleremo dal lato del tatto e meno si concentrerà sulle sue sensazioni tattili interne.   Quando aumenterà la sua tolleranza allo stimolo tattile, possiamo cambiare il ritmo dello stesso, rendendolo sempre diverso e ripetendolo costantemente.    B. ODORATO Tutti noi, che abbiamo normali capacità olfattive, incontriamo grandi difficoltà nel capire i problemi che coinvolgono l’olfatto e dobbiamo considerare che ogni persona è circondata da un odore e che i nostri odori cambiano continuamente.   IPER-OLFATTO È importante avvicinarci a questi bambini pian piano, tenendo presente che i nostri corpi emanano un forte odore. Con questi bambini non dobbiamo coprire gli odori del corpo con altri, né lavare i vestiti con saponi profumati. Si consiglia di limitare al minimo gli odori domestici, soprattutto quelli forti di cucina e di cibi; il cibo deve essere leggero e inodore per questi bambini iperolfattivi. Quando l’ambiente olfattivo diventerà più tollerabile, possiamo fornirgli odori deboli e leggeri, dicendogli sempre come sarà l’odore e avvicinandoglielo sempre di più, ma senza metterglielo sotto il naso (può sentire odori a distanze molto maggiori delle nostre). Quando sopporterà odori leggeri e lontani, possiamo introdurre odori umani: facciamo avvicinare le persone a lui, facciamogliele annusare. Ciò che bisogna fare è dunque insegnare a questi bambini a vivere con gli odori e a sopportare odori che non possono controllare, avvicinandoli il più possibile a un normale ambiente olfattivo.   IPO-OLFATTO Questo è il bambino che necessita di un ambiente con odori intensi, come quelli domestici, odori di vestiti o di rifiuti. Bisogna invitarlo ad annusare cibi aromatici, sempre spiegando che tipo di odore è. Porre l’oggetto da annusare sotto il naso del bambino e, quando migliorerà la sua capacità olfattiva, fornirgli odori meno intensi e metterli più lontano dal suo naso. Successivamente cominciare la discriminazione tra due odori molto forti e diversi e scoraggiare il suo annusare da vicino persone e oggetti. L’obiettivo è quello di aumentare la distanza a cui annusa gli oggetti, imparare ad aspettare gli odori e a non andarli a cercare.   OLFATTO-RUMORE BIANCO Lo scopo è far si che il bambino reagisca agli odori provenienti dall’esterno, creando un ambiente inodore. Cambiare ogni giorno gli odori da mettere sul corpo e sui vestiti del bambino. Ogni mattina bisogna specificare che tipo di odore gli mettiamo e quando migliorerà, potremmo variare con odori non troppo specifici e distinti e meno intensi. Man mano possiamo introdurre altri odori, oltre a “quello del giorno”, per aumentare la sua capacità discriminativa e facendoglieli riconoscere anche ad occhi chiusi.    C. UDITO I bambini con problemi uditivi sono prigionieri del loro ambiente. Dobbiamo fare attenzione agli ambienti poiché alcuni assorbono il suono mentre altri lo riflettono. Lo scopo è quello di far capire loro da dove proviene il suono e ascoltare i suoni controllati da altri.   IPER-UDITO Questo bambino cancella ogni suono che non sia creato da lui, è come se fosse completamente sordo al suono controllato da altri (risulta anche sordo ad ogni test). Il consiglio è quello di allontanarlo da ambienti affollati, rumorosi, non gridare mai con lui, piuttosto bisbigliare quando vogliamo comunicare con lui: se insistiamo e utilizziamo suoni non minacciosi o forti, pian piano il bambino comincerà a rispondere ai nostri suoni, a far entrare il suono, perdendo anche quel grigiore sul volto che lo caratterizza. Non dobbiamo costringerlo a stare in cucina o in bagno, essendo posti che non assorbono il suono anzi lo amplificano; piuttosto circondarlo di un ambiente che assorbe il suono (tappeti, tappezzerie). Assicuriamoci che dorma in una parte tranquilla della casa poiché ogni suono potrebbe interferire con il suo sonno (si può utilizzare una musica dolce di sottofondo finché non dorme). Può scappare quando non riesce più a “nascondersi” dai suoni che lo circondano e lo feriscono, come ad esempio quando è in ambienti rumorosi o con molte persone: in questo caso dobbiamo cercarlo con molto silenzio (spesso si nasconde sotto una coperta o una tenda per proteggere il suo orecchio troppo sensibile). Per diminuire il suono in arrivo e la sua intensità, possiamo fargli indossare dei tappa orecchie o delle cuffie, soprattutto quando l’ambiente sonoro è per lui troppo difficile da tollerare.   IPO-UDITO È il bambino che richiede molta stimolazione uditiva, ma non caotica. Il suono deve essere netto, riconoscibile e presentato singolarmente, non insieme ad altri suoni. Bisogna inserirlo in un ambiente che rifletta il suono, come ad esempio cucina e bagno (evitare tappeti, tappezzerie e rivestimenti acustici). Prediligere giocattoli rumorosi e un tono deciso e forte di voce quando gli parliamo: cerchiamo di fare in modo che egli ascolti le nostre parole senza forzarlo, e che riesca a capire, localizzare e immagazzinare i suoni. Questo bambino adora i rumori del traffico, della folla, il rumore della risacca sulla spiaggia, ecc. poiché sono zone che aumentano l’intensità del suono. Adora anche gli animali, soprattutto i cani, arrivando spesso a far loro del male per sentirli abbaiare. Ogni giorno dovrebbe essere messo in un posto dove egli possa sbattere oggetti, gridare, dunque fare suoni ripetitivi e forti.   UDITO-RUMORE BIANCO Non bisogna consentire a questo bambino di avere troppo tempo per stare seduto e ascoltare se stesso, tenendolo impegnato con ogni tipo di attività in modo da distrarlo dai suoi suoni interni. Quando c’è il temporale, diventerà più agitato poiché le variazioni nella pressione atmosferica sembrano provocare cambiamenti nei suoi rumori interni. Ama i gatti e adora ascoltare il loro rumore interno. Possiamo sollecitare strane posizioni di equilibrio, come stare sul pavimento, in bilico sulla testa, dondolarsi con gli occhi chiusi o correre, attività che modificano i suoi suoni interni permettendo al bambino di discriminarli. Un altro obiettivo è quello di aiutarlo a distinguere tra suoni interni ed esterni: possiamo utilizzare giocattoli rumorosi e fargli capire da dove proviene il suono in ogni occasione, oppure fargli sentire oggetti che producono suoni come lavatrici, pianoforti, facendogli apprendere le vibrazioni del suono attraverso il tatto.   Facciamo attenzione a eliminare i rumori di fondo, come potrebbe essere un condizionatore di aria. Possiamo utilizzare uno stetoscopio in modo da invitarlo ad ascoltare il battito del suo cuore, la sua digestione, la circolazione del sangue e dobbiamo scoraggiare i suoni costanti che egli produce. Eseguire vari giochi sonori che hanno lo scopo di fargli capire che si tratta di rumori esterni che si dovrebbero sentire, assicurandoci che egli ci osservi mentre stiamo producendo il suono. Ricordiamoci che la ripetizione è fondamentale per aiutare il bambino.    D. GUSTO Questi bambini manifestano problemi di alimentazione: gli iper-gustativi possono mettere in pericolo la loro stessa salute poiché non tollerano l’odore dei cibi, gli ipo tendono a mangiare qualunque cosa e sono molto pericolosi per se stessi: non si dovrebbero lasciare in giro per casa sostanze o liquidi pericolosi e bisognerebbe sorvegliarli spesso. Ricordiamo che la punta della lingua è sensibile soprattutto al dolce e salato, i lati all’acido e la parte posteriore all’amaro.   IPER-GUSTO Sono i bambini che in genere hanno poco appetito, vomiteranno spesso soprattutto se diamo loro cibo saporito e tendono ad usare la punta della lingua per i gusti salato e dolce. Sono indicati cibi leggeri senza spezie e non bisogna utilizzare bibite gassate né acido e amaro nei loro alimenti fino a quando il loro sistema gustativo non si è normalizzato. Quando li alimentiamo, bisogna mischiare un cibo nuovo con uno familiare: dobbiamo mettere qualche briciola di cibo nuovo e leggero sul palato, dietro gli incisivi e sulla punta, dicendogli sempre che cibo è. Quando imparerà a tollerare questo con i cibi poco saporiti, possiamo procedere con quelli dolci e poi salati, arrivando alla fine all’acido e all’amaro.   IPO-GUSTO Si consiglia di eliminare tutte le sostanze velenose e i saponi molto forti poiché sono b.ni che non discriminano i gusti e possono mangiare ogni cosa che trovano. Dobbiamo quindi insegnare loro a discriminare i gusti. È stato scoperto che è più semplice con questi bambini far assaggiare loro del cibo con la parte posteriore della lingua, usando stimoli amari in forma liquida e dicendo sempre di cosa si tratta. Successivamente si passerà ai gusti acidi in forma liquida, poi a quelli salati e infine ai sapori dolci, sempre sulla punta della lingua. Quando avranno imparato a conoscere i sapori, possiamo iniziare a mescolare un giorno i gusti dolci, un altro giorno gusti amari, un giorno quelli acidi e l’altro giorno gusti salati, fino a mescolare i gusti all’interno delle esperienze di uno stesso giorno.   GUSTO- RUMORE BIANCO È il bambino che ha sempre un gusto in bocca, che distoglie la sua attenzione verso l’ambiente esterno. Spesso se osserviamo la sua lingua vediamo che è grossa, poiché gusta la sua stessa saliva e la succhia. Bisogna scoraggiare il più possibile il suo rigurgitare e rimasticare il cibo, massaggiare la lingua e quando si lava i denti invitarlo a spazzolarla. Quando il b.no sarà pronto possiamo cominciare a superare il “rumore bianco”: mettiamo un cubetto di zucchero nello spazio tra i denti e la guancia, cercando di non farlo masticare dal bambino, e in modo che quando si scioglierà, il suo sapore filtrerà verso la lingua. Bisogna farlo con tutti i quattro gusti fondamentali, iniziando dal sapore che il b.no tollera meglio e dicendogli che gusto è prima di metterglielo in bocca. Poi possiamo cominciare a insegnargli a differenziare i gusti presentandoglieli e pronunciandoli; partendo da quelli dolci e salati (iniziando con la punta della lingua), li introduciamo nei suoi alimenti, assicurandoci che poi mastichi il cibo (non deve inghiottirlo senza masticarlo perché in questo modo non lo gusterà e poi potrebbe rigurgitarlo e rimasticarlo).    E. VISTA Dobbiamo osservare tutti i movimenti in cui sono coinvolti gli occhi, quando valutiamo un bambino con atteggiamenti visivi: un movimento globale del corpo, di braccia e gambe nel campo visivo, il guardare oggetti in movimento come treni, oggetti che ruotano, il salto e il dondolamento, la rotazione, oppure possiamo notare tutti gli oggetti che questo bambino manipola ritmicamente davanti i suoi occhi.   IPER-VISIONE È il bambino che necessita di meno stimolazione visiva possibile e che si comporta meglio in un ambiente con pochi stimoli visivi (luci non troppo forti e brillanti ma indirette) e senza specchi (in modo da non poter decomporre la luce o giocare con essa). Si consiglia di portarlo fuori la sera quando il sole è tramontato e la luce non è forte e di fargli indossare occhiali da sole quando invece deve stare fuori. Cerchiamo di controllare noi il suo movimento oculare: possiamo muovere una torcia attorno alla stanza, sollecitando il bambino a seguire la luce con gli occhi e scoraggiando ogni attività visiva controllata da lui. Proponiamo giochi che richiedono una buona abilità visuo-percettiva come puzzle e ricalchi, aiutandolo se all’inizio trova qualche difficoltà. Non incoraggiamo il bambino a stare troppo tempo con uno stesso tipo di gioco. Possiamo insegnargli a leggere poiché riesce molto bene e presto in questa abilità, oltre a possedere una eccellente memoria visiva (può osservare uno schema visivo complesso e ricordarlo nei minimi dettagli).   IPO-VISIONE È il bambino che necessita di una grande quantità di luce solare, di luci brillanti e di stimolazione visiva. Sono molti utili i contrasti di luce e buio come la nettezza delle ombre. L’illuminazione deve essere diretta e non schermata, bisogna fargli passare molto tempo all’aperto e incoraggiarlo a sentire col tatto ogni cosa che vede; mostrargli luci a colori diverse e ombre, e come cambiano le ombre quando un oggetto viene spostato in relazione alla sorgente di luce. Aiutarlo ad imparare come sono i contorni delle persone e delle cose, come cambiano in base alla luce, toccandoli e osservandoli attentamente. Il movimento rappresenta sempre un problema per questo bambino poiché complica ancora di più il suo mondo a contorni indistinti. Quando trattiamo il bambino ipo-visivo dobbiamo assicurarci che guardi sempre un oggetto in linea retta, al centro del suo campo visivo e non lateralmente.   VISIONE-RUMORE BIANCO Gli organi visivi di questo bambino operano come se fossero rivolti all’interno. Il nostro compito è quindi di aiutarlo a vedere verso il mondo esterno: non lasciargli toccare, colpire gli occhi poiché con queste attività il b.no si crea stimoli dall’interno, come lampi e giochi di luce direttamente nel cervello. Giocare insieme a lui con un pannello di luce che noi controlliamo, e che accendiamo e spegniamo alternativamente. Non dobbiamo forzare un contatto visivo ma proporre giocattoli luminosi in una stanza in penombra, in modo da attirare la sua attenzione visiva (dobbiamo mostrargli la sorgente di luce senza fargliela toccare). È molto utile usare uno specchio illuminato per aiutarlo a vedere cosa c’è al di fuori del suo campo visivo, e quindi rivolgere l’attenzione del bambino su qualcosa controllata dall’esterno e non da lui stesso. Inoltre, mente si osserva allo specchio, possiamo tracciare su questo con un dito il contorno del suo corpo, indicando man mano le diverse parti del suo corpo e facendogliele indicare in seguito su di noi. Possiamo incitare il movimento, come sollecitarlo a mettersi e camminare carponi, muovere le braccia lentamente mentre si guarda allo specchio, assicurandoci sempre che si muova con armonia e non a scatti. Scoraggiare il suo passatempo di “guardare dentro di sé” e cerchiamo di utilizzare alternative affinché il bambino possa guardare realmente ciò che lo circonda e prestarvi attenzione.   —☆—- Questi suggerimenti rappresentano una guida, poiché ogni bambino è diverso dagli altri. Pertanto, se conosciamo la causa e riusciamo a capire quale sia il sistema sensoriale “che non funziona”, possiamo generalizzare e improvvisare, al fine di ridurre gli atteggiamenti ritmici del bambino che lo allontanano dal mondo reale. Dobbiamo ricordarci che egli sta cercando di normalizzare da solo la via o le vie sensoriali abnormi, dunque di autoregolarsi e noi dobbiamo aiutarlo a liberarsi dai sintomi del suo comportamento disfunzionale ——☆——–   Dott.ssa Francesca Tabellione Dott.ssa Erika D’Antonio Bibliografia: “Alla Scoperta del Bambino Autistico” (Carl Delacato) /wp:tadv/classic-paragraph

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I PRECURSORI DEL LINGUAGGIO PER LA COSTRUZIONE DELLA MENTE INFANTILE

wp:image /wp:image wp:tadv/classic-paragraph Iniziamo questo articolo con alcune domande basilari, ovvero cos' è il linguaggio e come si è evoluto nel bambino.   Il linguaggio è parte di un continuum che deriva dalle vocalizzazioni di numerose specie animali (da un punto di vista ontogenetico e filogenetico), dai gesti e dai sensi (i quali garantiscono il contatto con la realtà), dalla motricità, dalla relazione, dall'intenzionalità comunicativa. Questa fusione e mescolanza di elementi, il cosiddetto "sincretismo", tipico dell'apprendimento infantile, è alla base dell'interiorizzazione progressiva del linguaggio, il quale dipende sia dalla maturazione neurologica e muscolare, sia dall'esercizio e dal desiderio di comunicare, sia dall'organizzazione spazio-temporale e dai nessi di causa-effetto (che concorrono anche a organizzare la mente infantile, il pensiero).   Esistono delle radici naturali del linguaggio che indicano come esso possa essere evoluto grazie allo sviluppo di quei circuiti cortico-striatali che sono alla base della produzione linguistica umana: i circuiti che formano il loop corteccia-striato-corteccia, controllano e regolano diversi aspetti della motricità, in particolare sono deputati al controllo sequenziale del linguaggio.   Pertanto, come hanno indicato diversi approcci neurofisiologici, le cosiddette aree del linguaggio (area di Broca e di Wernike) non hanno un ruolo unico nella gestione del linguaggio.   Come la motricità contribuisce allo sviluppo del linguaggio? Parlare significa produrre movimenti (fonazione) e concatenare una serie di movimenti corporei tra loro, che caratterizzano la successione delle parole nel linguaggio. Questi precursori o anche definiti antecedenti del linguaggio, si strutturano a partire dai primi mesi di vita: già dai primissimi giorni di vita possiamo infatti notare le prime forme di comunicazione pregrammaticale e prelessicale quali gesti, vocalizzi, pianto e balbettio. Inizialmente il neonato piange perché ha fame o sonno oppure per attirare l'attenzione dell'adulto. A 4 mesi può piangere quando la mamma non gli presta più attenzione e a 5 mesi quando lei entra nella stanza senza badargli. Inoltre il neonato può piangere anche quando vede un estraneo (la cosiddetta paura dell'estraneo a circa 6/7 mesi), o quando "vive" un fatto nuovo e improvviso. A partire dall'inizio del secondo anno di vita il pianto, da mezzo di comunicazione, diminuisce e lascia il posto alle parole, sebbene permanga come espressione di dolore e frustrazione.   Le modalità comunicative del fanciullo nel corso del primo anno di vita variano dal sorridere e tendere le braccia per essere preso in braccio, al voltare la testa dall'altra parte come espressione di dissenso o negazione, attraverso cui cerca di comunicare i suoi stati d'animo e le sue esigenze ai caregiver, alle posture del corpo, alle pause, attese, emozioni e attenzione congiunte, ovvero delle sequenze comunicative che rappresentano i presupposti per una comunicazione fluida.   Sin dall'inizio esiste una sensibilità al linguaggio umano: bambini di poche settimane di vita producono con il corpo dei micro-movimenti in risposta al linguaggio umano, una sorta di "sincronia interattiva", la quale dimostra la notevole sensibilità da parte dei neonati ai suoni organizzati in linguaggio: il loro muoversi in sincronia con essi è un comportamento innato e involontario colmo di implicazioni sociali.   Oltre al pianto e ai gesti, il neonato produce anche vocalizzi che sono simili in tutti i contesti linguistici: durante i primi 6 mesi un bambino italiano, ad esempio, produce gli stessi suoni di un bambino svedese o giapponese. Verso i 3 mesi fino agli 11 mesi compare la fase del balbettio, costituita da vocali semplici + consonanti ("ma, na, da, go", ecc), e successivamente segue la lallazione (ripetizione dello stesso suono più volte, come "ma-ma-ma"). A circa 12 mesi, il bambino imita suoni specifici e nuovi non presenti nella fase del balbettio. Il passaggio dalla fase del balbettio al linguaggio vero e proprio dipende dallo sviluppo neurologico, fonetico ma anche dagli esercizi e dagli incentivi. Una caratteristica particolare è che i bambini tendono a vocalizzare maggiormente quando l'adulto parla e presta loro attenzione. Inoltre, il piccolo è capace di comprendere molte più parole prima di esprimersi verbalmente e riesce a capire i cambiamenti di tono, ad esempio girandosi verso chi parla e ha comportamenti diversi di fronte a una voce adirata o gentile. Tra i 12 e i 18 mesi vengono acquisite circa 50 nuove parole che si riferiscono a oggetti o verbi come "mangiare" e parole come "ciao". Dai 24 mesi a 2 anni e mezzo si assiste alla cosiddetta fase di esplosione del vocabolario, in cui il bambino può acquisire fino a 7/9 nuove parole al giorno.   Lo sviluppo della lateralizzazione del linguaggio, nell'emisfero sinistro, dipende dunque dallo sviluppo del vocabolario e non dall'età cronologica del bambino (Neville, 1995). Tali modificazioni si correlano ad una serie di trasformazioni delle caratteristiche del cervello di tipo soprattutto strutturale: con la crescita, i processi maturativi a carico delle fibre nervose e il processo di "potatura" delle sinapsi e di riduzione del numero di neuroni si diffondono a tutto il cervello ma esiste anche una stretta correlazione fra maturazione linguistica e maturazione (mielinizzazione) delle vie nervose che associano tra di loro i diversi snodi della rete del linguaggio.   Dott.ssa Francesca Tabellione Dott.ssa Erika D'Antonio (Bibliografia: il cervello che impara, geografia della mente, Alberto Oliverio) /wp:tadv/classic-paragraph

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LO SVILUPPO DELLE FUNZIONI ESECUTIVE NEL BAMBINO: COSA SONO, A COSA SERVONO E COME SI MANIFESTANO I DISORDINI DELLE FE GENERALI

wp:paragraph Sono state fornite diverse definizioni riguardo a questo complesso sistema cognitivo e la difficoltà che si incontra nel definirle deriva dal fatto che il termine non si riferisce ad un singolo concetto, ma ad un insieme di sottoprocessi necessari per svolgere un determinato compito: /wp:paragraph wp:paragraph le FE vengono definite come una serie di abilità che permettono alle persone di creare obiettivi, conservarli in memoria, controllare le azioni, prevedere gli ostacoli al raggiungimento degli obiettivi (Stuss, 1992) /wp:paragraph wp:paragraph sono considerate capacità che consentono alla persona la messa in atto con successo di comportamenti indipendenti, intenzionali e utili (Lezak, 1993) /wp:paragraph wp:paragraph sono indispensabili per un’attività intenzionale e finalizzata al raggiungimento di obiettivi (Anderson, 1998) /wp:paragraph wp:paragraph sono funzioni cognitive di ordine superiore che rendono capaci di formulare obiettivi e piani, ricordare tali piani nel corso del tempo, scegliere e iniziare azioni che ci permettano di raggiungere quegli obiettivi, monitorare il comportamento e aggiustarlo in modo da giungere a tali obiettivi (Aron, 2008).   /wp:paragraph wp:paragraph Le Funzioni Esecutive rappresentano processi complessi di ideazione, attivazione, controllo, coordinazione dell'agire umano intenzionale e del funzionamento del sistema cognitivo. Il termine Funzioni Esecutive (FE) viene utilizzato per indicare funzioni corticali e sottocorticali superiori deputate al controllo, alla pianificazione e al monitoraggio del comportamento. Rappresentano un set di abilità mentali che agiscono come il centro di comando del cervello, indispensabili per affrontare situazioni nuove e complesse, per controllare e regolare sia il proprio comportamento in un determinato contesto sia altre attività cognitive. /wp:paragraph wp:paragraph   La struttura al centro delle Funzioni Esecutive, a cominciare dalla memoria di lavoro, è riconducibile alla corteccia frontale, la quale ha rapporti con le altre aree corticali e sottocorticali. Una definizione operativa delle FE si riferisce a tutto ciò che costituisce ed è incluso nelle abilità finalizzate a conseguire uno scopo. Queste abilità possono essere oggetto di valutazione e riabilitazione e sono modificabili con l’esercizio e l’apprendimento (Diamond, 2016).   /wp:paragraph wp:paragraph Le FE operano in modalità top down: un approccio dall’alto verso il basso che scompone un processo generale fino alle sue componenti elementari. L’approccio top down parte dall’obiettivo e, da esso, fa scaturire la strategia adatta a determinare l’obiettivo stesso e quindi le risorse necessarie per raggiungerlo; precisa le risorse disponibili e identifica quelle mancanti proponendole successivamente come sottobiettivi.   Grazie al loro buon funzionamento, noi possiamo: /wp:paragraph wp:paragraph programmare un'azione o un comportamento intenzionale (volontà di dare inizio alle azioni) /wp:paragraph wp:paragraph formulare un piano di azione che risponda ad un particolare scopo, dunque delineare una gerarchia delle azioni rilevanti e irrilevanti e stabilire degli obiettivi /wp:paragraph wp:paragraph delineare strategie nuove ed efficaci per la risoluzione di un problema (problem solving) /wp:paragraph wp:paragraph monitorare l’esecuzione di un compito ed eventualmente correggere il risultato o apportare modifiche nell'ambiente /wp:paragraph wp:paragraph attivare la memoria di lavoro per il mantenimento e la rielaborazione delle informazioni (updating) e spostare e sostenere nel tempo l’attenzione durante lo svolgimento di un compito (shifting o flessibilità cognitiva) /wp:paragraph wp:paragraph garantire la sequenzialità temporale di eventi ed azioni motorie e l’adattabilità delle azioni nei diversi contesti o ambienti /wp:paragraph wp:paragraph coordinare l’esecuzione simultanea di più funzioni (sinestesie), ovvero svolgere più compiti in parallelo /wp:paragraph wp:paragraph inibire reazioni impulsive attraverso i processi di self monitoring, ovvero processi di autoregolazione/autocontrollo del proprio comportamento /wp:paragraph wp:paragraph sviluppare l’attenzione esecutiva che, con le sue funzioni, autoregola il comportamento contrastando le fonti di distrazioni interne ed esterne, nonché i pensieri fuorvianti sia di tipo cognitivo che emotivo. Essa esprime stati attentivi concentrati e sostenuti col mantenimento in memoria di lavoro degli obiettivi e sotto obiettivi dei processi in atto. E’ implicata nella coordinazione di sequenze, nella formazione degli apprendimenti complessi e delle diverse raffinate abilità eseguite dall’uomo (Engle, 2004).   /wp:paragraph wp:paragraph Tali funzioni consentono dunque di manipolare mentalmente le idee, di adattarci rapidamente e in modo flessibile alle circostanze in continuo cambiamento, di ragionare, di selezionare e monitorare efficacemente comportamenti che facilitano il raggiungimento degli obiettivi scelti, di rimanere concentrati e affrontare nuove sfide. Permettono inoltre di prendere delle decisioni ed esercitare il controllo su ciò che facciamo (Diamond, 2013). /wp:paragraph wp:paragraph Sono quindi Funzioni Esecutive: /wp:paragraph wp:paragraph INIBIZIONE: capacità di focalizzare l’attenzione su dati rilevanti ignorando i distrattori ed inibendo le risposte motorie ed emotive non adeguate o impulsive rispetto agli stimoli /wp:paragraph wp:paragraph FLESSIBILITA’: capacità di passare da un set di stimoli ad un altro in base alle informazioni provenienti dal contesto /wp:paragraph wp:paragraph PIANIFICAZIONE: capacità di formulare un piano generale ed organizzare le azioni in una sequenza gerarchica delle mete /wp:paragraph wp:paragraph MEMORIA DI LAVORO: capacità di attivare e mantenere attivo a livello mentale il piano e l’area di lavoro, di avere un set di riferimento mentale sul quale operare mentalmente /wp:paragraph wp:paragraph ATTENZIONE: attenzione selettiva, capacità attentiva su più stimoli contemporaneamente e attenzione prolungata sul compito per un sufficiente periodo di tempo /wp:paragraph wp:paragraph FLUENZA: capacità di pensiero divergente e abilità di generare soluzioni nuove e diverse rispetto ad un problema. /wp:paragraph wp:paragraph Data la sua multicomponenzialità, spesso l’espressione «Funzioni Esecutive» viene utilizzata come «termine ombrello» per indicare capacità cognitive diverse necessarie per comportarsi in modo flessibile e adattivo in situazioni nuove. Per esempio, decidere di afferrare un oggetto al volo, la cui direzione cambia in maniera imprevedibile, richiede un aggiornamento della pianificazione sensori motoria ed è un’azione complessa che coinvolge diverse funzioni. /wp:paragraph wp:paragraph Diverse ricerche hanno dimostrato che le Funzioni Esecutive cominciano ad emergere intorno al 7° mese di vita, quando il lattante inizia ad assumere il controllo di alcune semplici azioni. Tale capacità dipende dalla progressiva maturazione di un’area, la corteccia cingolata, situata nella parte interna dei due emisferi cerebrali. L’efficienza di queste aree corticali aumenta man mano che con la crescita diminuisce l’attività dei neuroni che si scambiano informazioni grazie a un mediatore nervoso, la dopamina. Infatti, nei bambini piccoli, di circa un anno e mezzo di età, in cui si verifica in anticipo una riduzione dell’attività della dopamina, i livelli di attenzione sono migliori, il che comporta una maggiore selettività delle interazioni con gli adulti.ù L’evoluzione delle FE è sia quantitativa e graduale, soprattutto nei primi anni, che qualitativa, in epoche di vita successive, in funzione di una migliore organizzazione cerebrale e di una migliore efficienza delle correlate risposte neuronali (Luna, 2006).   Oggi l’età prescolare è considerata come l’età di maggior sviluppo delle FE (Anderson, Reidy, 2012): /wp:paragraph wp:paragraph dai 0 ai 5 anni è considerato il periodo critico per quanto concerne il ritmo di sviluppo delle stesse, nonostante vi sia un’elevata variabilità interindividuale nella comparsa e nel consolidamento delle diverse componenti /wp:paragraph wp:paragraph durante gli anni prescolari lo sviluppo dell’inibizione sembra essere più rapido ed efficace in termini sia di corretta esecuzione dei compiti, sia di velocità di elaborazione (Carlson, Zelazo, 2013; Diamond, 2014) la working memory e la flessibilità mostrano invece un incremento più graduale e lineare (Best, Miller, 2010): emergono e cominciano a consolidarsi la capacità di mantenere e manipolare dati in memoria (Espy, Bull, 2005) e l’abilità di spostarsi velocemente da un set mentale ad un altro (Zelazo, 2001) /wp:paragraph wp:paragraph si osservano miglioramenti nell’autonomia, nella capacità di regolazione e nella capacità di rimandare le gratificazioni, dati che sono stati confermati da studi i quali hanno rilevato, a partire dai 4/5 anni, l’attivazione delle aree della corteccia prefrontale durante lo svolgimento di compiti di controllo inibitorio, working memory e switching (Wolfe, Bell et all. 2004) /wp:paragraph wp:paragraph nei primi 6 anni di vita, le FE vengono svolte in modo esterno, infatti capita spesso che i bambini durante un’attività parlino tra sé e sé e ripetano ad alta voce i passaggi da eseguire, per sviluppare gradualmente la memoria di lavoro e trasformarla da verbale a non verbale. /wp:paragraph wp:paragraph Dopo i 6 anni, quindi dal periodo scolare in poi, le FE vengono interiorizzate, i bambini operano in maniera silenziosa, riflettono, si auto-interrogano e costruiscono dei veri e proprio sistemi mentali, indispensabili per portare a termine un obiettivo senza il bisogno di memorizzare e ripetere ogni volta i pattern di azioni necessari per il raggiungimento.   /wp:paragraph wp:paragraph Le Funzioni Esecutive si consolidano nell’adolescenza, raggiungendo un funzionamento superiore e una completa maturazione tra i 20 e i 29 anni, quando gli adolescenti diventano capaci di padroneggiare la loro flessibilità mentale per adattarsi a nuovi compiti e mettono in atto comportamenti finalizzati, andando incontro ad una progressiva involuzione verso i 65 anni, che avviene in maniera lenta e graduale.       /wp:paragraph wp:paragraph E’ importante inoltre sottolineare il peso che le FE hanno sulle competenze sociali, emotive e scolastiche. Riguardo a queste ultime, esse sono responsabili dei processi di generazione di piani di lavoro, auto-monitoraggio, updating di dati e informazioni, formulazione e implementazione di strategie (Best, Miller, Naglieri, 2011). Le FE infatti, indipendentemente dal QI, influenzano l’acquisizione di capacità di ragionamento, capacità matematiche e di comprensione del testo in età scolare (Razza, 2007; Bull, Scerif, 2001; Mammarella, 2010). In particolare, si tratta di abilità fondamentali del sistema esecutivo che sono necessarie per il successo in tutti quei compiti scolastici non automatici quali, ad esempio, l’elaborazione critica di un testo e il recupero di fatti numerici. Inoltre, un adeguato controllo inibitorio in età precoce permette di sviluppare sia buone competenze sociali sia abilità di Teoria della Mente in età scolare, mentre uno scarso controllo inibitorio si associa a comportamenti aggressivi o antisociali (Carlson, 2005). /wp:paragraph wp:tadv/classic-paragraph   E’ possibile potenziare le FE in ambito scolastico   I risultati di diversi studi indicano che questo obiettivo può essere raggiunto attraverso diverse strategie: ad esempio, si può invitare gli alunni a battere i piedi prima di iniziare la lezione o a saltellare sul posto per innalzare l’attività elettrica corticale e per aumentare il livello di arousal. Si è visto infatti che nei bambini che presentano deficit di attenzione la pratica di esercizi basati sul controllo motorio aumenta notevolmente la loro capacità di concentrazione. Anche l’esecuzione di brani musicali, possibile nei bambini più piccoli grazie a strumenti improvvisati e a vocalizzazioni, migliora le funzioni cognitive, in quanto viene accelerata la maturazione della corteccia cingolata, oltre al fatto che l’esecuzione musicale di gruppo agisce anche sulla coesione e maturazione sociale.   Le Funzioni Esecutive rivestono un ruolo significativo per il raggiungimento di adeguati livelli di salute mentale e fisica e quindi per una migliore qualità della vita, dalle età più precoci fino alla tarda età. Alcuni studi hanno dimostrato che gli adulti con una migliore qualità di vita e stato di salute, condizioni di lavoro, condotte sociali, erano quei bambini che, 32 anni prima, avevano mostrato livelli più elevati di controllo inibitorio, una delle principali funzioni esecutive che si manifesta con livelli di maggiore persistenza e attenzione e minore impulsività. Ad esempio, bambini che a 6 anni mostrano migliori capacità inibitorie, due anni dopo presentano migliori competenze sociali e di controllo del proprio comportamento in risposta alle richieste ambientali (Nigg et all., 1998). I bambini tra i 3 e gli 11 anni invece con maggiore impulsività, disattenzione e ridotto autocontrollo tendono ad avere in età adulta maggiori problemi di salute, a essere meno produttivi, a compiere maggiori crimini rispetto ai bambini che hanno un migliore autocontrollo (Moffitt, 2001).   Secondo Diamond (2013), il ruolo positivo delle Funzioni Esecutive riveste molteplici ambiti: rispetto alla salute mentale, un inadeguato sviluppo delle FE sembra essere coinvolto in forme patologiche di dipendenza, nell’ADHD, nei disturbi del comportamento, nell’alterazione del tono dell’umore, nel disturbo ossessivo compulsivo, nella schizofrenia; rispetto alla salute fisica, FE deficitarie sono associate ad obesità, disturbi alimentari, abuso di sostanze.   Un bambino che possiede adeguate FE, avrà un buono sviluppo prassico motorio, affettivo, emotivo relazionale alla fine della scuola dell’infanzia, un buon successo scolastico negli apprendimenti (lettura scrittura calcolo), fino a raggiungere un ottimo successo professionale in termini di impiego e produttività, e a instaurare relazioni interpersonali soddisfacenti. Pertanto, lo sviluppo delle FE copre l’infanzia e potenzialmente l’intero arco di vita ed è intrinsecamente legato ai cambiamenti a carico delle strutture cerebrali corticali e sottocorticali che si suppone fungano da substrato neurale di tali abilità. Le varie componenti si sviluppano in modo gerarchico nel bambino: le prime abilità a comparire sarebbero quelle fondamentali, ad es. il controllo attentivo e la working memory, seguite da quelle più complesse e multifattoriali (Senn, 2004; Smidts, 2001) quali l’inibizione e la capacità di passare da uno stimolo/compito ad un altro (shifting attentivo).   Un punto fondamentale riguarda il fatto che abilità a sviluppo successivo si baserebbero comunque su abilità acquisite in precedenza. Pertanto, difficoltà nello sviluppo di abilità precoci (ad esempio, nell’attenzione sostenuta) potrebbero avere ripercussioni significative sullo sviluppo di abilità successive, come quelle di memoria di lavoro, di inibire stimoli interferenti o di passare in modo flessibile da un compito ad un altro.   L’importanza delle FE negli apprendimenti e nell’autoregolazione supporta la necessità di trovare delle strategie per modificare, grazie a interventi di potenziamento, lo sviluppo delle FE. Ciò è utile a sostenere lo sviluppo delle abilità strumentali e di autoregolazione in età precoce, specialmente nei bambini nati pretermine, nei bambini con probabile disturbo del neurosviluppo o con basso status socio economico, i quali risultano essere già in ritardo nelle capacità prescolastiche o manifestare difficoltà di autocontrollo (Marzocchi, 2017). Da una prospettiva clinica, come già accennato, un adeguato sviluppo delle FE in età precoce è un fattore preventivo che evita l’insorgere di alcuni Disturbi dello Sviluppo a esordio precoce. Studi clinici hanno infatti individuato un generale deficit soprattutto dell’attenzione e dell’abilità inibitoria sia cognitiva che comportamentale, che influenzano la capacità di pianificare e la flessibilità cognitiva, con caratteristiche e modalità di insorgenza differenti, nel disturbo ADHD (Pennington, Ozonoff, 1996; Barkley, 1997), il disturbo dell’autoregolazione più noto e diffuso in età evolutiva. Esso si manifesta con un rapporto maschi/femmine che è stato stimato tra 4:1 e 9:1. I bambini con ADHD si caratterizzano spesso per problemi di adattamento sociale e adesione alle regole e alle norme, per difficoltà accademiche e per un inadeguato comportamento all’interno del contesto familiare.   In età prescolare, i bambini mostrano risposte impulsive con notevoli difficoltà nel controllo motorio e/o verbale, fattori che interferiscono con il normale funzionamento sociale e scolastico.   In età scolare, si osservano compromissioni a carico dei processi attentivi, delle competenze inibitorie (molti autori, tra cui Barkley 1997, sostengono che deficit a suo carico costituiscono il nucleo dell’ADHD e causa deficit secondari negli altri domini esecutivi), compromissioni nella pianificazione, nella memoria di lavoro visuo spaziale (la componente visuo spaziale risulta più compromessa rispetto a quella verbale) e nella flessibilità cognitiva (i bambini con ADHD presentano una frequente tendenza alla rigidità e alla perseverazione).   Sebbene il disturbo possa essere diagnosticato con sicurezza in età scolare, alcune manifestazioni cliniche sono già riscontrabili tra i 3 e i 5 anni e devono manifestarsi in almeno due differenti contesti di vita, in particolare sotto forma di rigidità comportamentale, deficit di inibizione, incapacità di ritardare il soddisfacimento di una gratificazione e disregolazione emotiva.   Molto frequenti sono le comorbilità con problematiche sul versante dell’esternalizzazione, quali il Disturbo Oppositivo Provocatorio (DOP) e il Disturbo della Condotta (DC). L’ADHD può essere differenziato in 3 tipologie: una tipologia in cui prevale la disattenzione una tipologia in cui prevale l’iperattività e l’impulsività una tipologia in cui prevalgono tutti e tre i sintoni (iperattività impulsività disattenzione).   I bambini con DISTURBO OPPOSITIVO PROVOCATORIO (DOP), si caratterizzano per una modalità di comportamento negativistico, ostile e provocatorio; sono bambini che hanno frequenti scatti d’ira, si pongono continuamente in assetto di sfida e litigano spesso con adulti e pari, hanno un locus of control esterno, sono rabbiosi e rancorosi, vendicativi. Si tratta di un quadro clinico molto diffuso in età prescolare: in questa fascia di età una percentuale di soggetti con diagnosi clinica compresa tra il 2 e l’8% riceve questa diagnosi.   Il DISTURBO DELLA CONDOTTA (DC), viene spesso visto e definito come variante più estesa e severa del DOP. La caratteristica fondamentale del DC è una modalità di comportamento ripetitiva e persistente in cui i diritti fondamentali degli altri oppure le norme o le regole della società appropriate per l’età adulta vengono violate. Questi comportamenti si inseriscono in 4 gruppi principali: condotta aggressiva che causa o minaccia danni fisici ad altre persone e animali, condotta non aggressiva che causa perdita o danneggiamento della proprietà, frode o furto, gravi violazioni di regole. In letteratura emergono lavori nei quali viene messa in evidenza una problematica esecutiva di varia ampiezza e severità: da un lato vi sono autori che avanzano l’ipotesi di una compromissione generale del funzionamento esecutivo (Giancola et al, 1994 1998), dall’altra ricercatori che circoscrivono a specifiche aree i deficit in questa popolazione clinica. Tra i domini più frequentemente citati ed analizzati figurano quello inibitorio, del controllo esecutivo, della memoria di lavoro e della flessibilità cognitiva. Bambini e adolescenti con DOP/DC si caratterizzano per una tendenza a prendere dei rischi e a mettere in atto comportamenti spericolati, per un’alterata sensibilità nei confronti delle ricompense (privilegiano benefici a breve termine senza considerare le conseguenze), che sembrerebbe suggerire la presenza di problematiche di decision making ed impulsività.   I bambini con DISTURBI DELLO SPETTRO AUTISTICO (Hill, Bird, 2006) si caratterizzano per una compromissione delle abilità sociali e di comunicazione, per comportamenti ripetitivi e per interessi limitati e circoscritti. E’ un disordine evolutivo che si presenta nella popolazione generale con una frequenza pari al 0.6% ed interessa maschi e femmine con un rapporto di 3:1. Si preferisce oggi utilizzare il termine di disturbi dello spettro autistico, invece che di autismo, per indicare l’estrema varietà ed eterogeneità dei sintomi e dei problemi neurologici che i pazienti presentano. Tali bambini manifestano: una propensione a fornire risposte perseverative e ad utilizzare in modo rigido e inflessibile le regole un inadeguato livello di regolazione delle proprie emozioni, dei propri impulsi e di comportamenti socialmente adattivi un’incapacità di inibire comportamenti inadeguati compromissioni a carico della flessibilità cognitiva (il soggetto è in difficoltà nel momento in cui è chiamato a muoversi flessibilmente tra pensieri, azioni, risposte come richiesto dal contesto) e della memoria di lavoro. Ad esempio i bambini con sindrome di Asperger, con un più alto funzionamento cognitivo, a differenza di bambini con disturbo autistico grave, manifestano prestazioni peggiori nel controllo inibitorio e nelle funzioni complesse e prestazioni migliori nella memoria meccanica e visuo spaziale. Inoltre, numerosi studi hanno messo in evidenza cadute specifiche in prove volte a valutare la pianificazione, l’organizzazione e il monitoraggio di nuovi comportamenti/azioni, la capacità di assumere il punto di vista altrui e il completamento delle categorie.   I bambini NATI PRETERMINE sono quelli che nascono prima della 32esima settimana di gestazione e costituiscono l’1/2% delle nascite totali nei paesi sviluppati e diversamente da quanto accadeva in passato hanno maggiori opportunità di sopravvivenza. Tra le conseguenze della nascita pretermine figurano importanti disabilità neuromotorie, sensoriali, cognitive, dell’apprendimento e del comportamento. I bambini nati pretermine manifestano difficoltà nel pensare prima di agire, nell’aspettare il proprio turno, nel rimanere seduti a lungo, nel seguire le istruzioni date. Inoltre, tali soggetti si caratterizzano per: una compromissione a carico della Memoria di Lavoro di entità variabile sia nella prima e media infanzia che in adolescenza (Taylor, Vicari et al, 2004): tali difficoltà sembrerebbero essere in relazione con alcuni parametri quali il QI, il peso alla nascita, l’età gestazionale ed eventuali complicazioni prenatali (ad esempio, ridotto apporto di ossigeno, danni alla sostanza bianca o alle regioni periventricolari) un deficit nella flessibilità cognitiva sia in età evolutiva che in soggetti adulti, probabilmente legato a due ordini di fattori, il livello scolare della madre e il QI del soggetto (Taylor, 2004) un povero controllo inibitorio ed una maggiore tendenza a fornire risposte impulsive nei bambini nati pretermine di età compresa tra i 2 e i 7 anni: il peso alla nascita costituisce un fattore di rischio per le problematiche sul versante dell’impulsività (Taylor, 1998), mentre l’età gestazionale potrebbe influenzare il controllo inibitorio (Katz 1996). Interessante notare come con il trascorrere degli anni l’entità del deficit tende a diminuire fino ad estinguersi completamente in età adulta (Elgen, 2004) un deficit di pianificazione: i bambini nati pretermine hanno difficoltà nell’ideare un piano, nel definire degli scopi a breve, medio e lungo termine e le strategie ed i vari step attraverso cui perseguirli, nell’organizzare risorse temporali e spaziali. I principali fattori di rischio di tale deficit sono il peso alla nascita, l’entità della nascita pretermine e complicazioni neonatali mentre vengono escluse come fattori di rischio le competenze cognitive e verbali, i danni neurosensoriali e il QI (Anderson, Taylor et al., 2000).   In sintesi, gli studi di Mulder (2009) confermano che le FE ed attentive sono nodi critici per la popolazione dei soggetti nati pretermine, in cui le principali cadute si osservano nel dominio della fluenza e della flessibilità cognitiva.   Molti studiosi hanno dimostrato come la presenza di uno sviluppo atipico delle FE possa compromettere il raggiungimento dei prerequisiti dell’apprendimento della lettura e spiegare una successiva scarsa performance nella stessa. I bambini con DSA (Willis, Adams, 2006), ovvero con un disordine neuro evolutivo caratterizzato da specifiche difficoltà nell’acquisizione di una o più abilità scolastiche (lettura scrittura calcolo), con normali competenze intellettive e senza compromissioni neurosensoriali significative, manifestano problematiche a carico dell’attenzione, della memoria di lavoro, della flessibilità cognitiva, del controllo inibitorio, della pianificazione e della fluenza verbale (Marzocchi et al 2008). Infine, secondo Shanahan e collaboratori (2006) il deficit esecutivo specifico dei DSA si riscontra nella velocità di processamento verbale e motorio. Confrontando il profilo dei bambini dislessici e di quelli discalculici, i primi manifestano compromissioni a carico della working memory, probabilmente a causa di un deficit nell’esecutivo centrale (Varvara et al, 2014); i bambini discalculici, invece, oltre a manifestare gli stessi deficit a livello di esecutivo centrale, hanno anche compromissioni più significative nella memoria visuo spaziale con prestazioni inferiori in compiti visivi e in compiti spaziali sia simultanei che sequenziali (Schuchardt et al, 2013).   I bambini con DSL (Disturbi Specifici del Linguaggio), che presentano un disordine in una o più aree dello sviluppo linguistico, in assenza di comorbidità con altri disturbi e con deficit da un punto di vista intellettivo (QI < 80), sensoriale, motorio, socio ambientale, possono manifestare disfunzioni esecutive in età prescolare quali difficoltà a carico dell’attenzione, del controllo inibitorio, della memoria di lavoro (fonologica e visuo spaziale) e della flessibilità cognitiva, per via dello stretto legame tra linguaggio e FE. A proposito della memoria di lavoro fonologica, vari studi hanno evidenziato ridotte prestazioni in compiti di memoria di cifre e di ripetizione di non parole. I bambini in età prescolare con DSL avevano punteggi significativamente inferiori nelle misure di memoria di lavoro fonologica a qualsiasi età (3 4 anni e 4 6 anni). Alcuni autori considerano uno strumento prioritario quello della ripetizione delle non parole come indicatore diagnostico con alta sensibilità del DSL. I disturbi comunicativi dei bambini sono causati da deficit a livello inibitorio e di pianificazione: tali disturbi comporterebbero inoltre compromissioni a carico delle abilità di produzione e comprensione, ma anche delle capacità di resocontazione (narrative). Inoltre, alcuni studi hanno dimostrato che i bambini con DSL manifestano prestazioni inferiori nelle abilità motorie fini e globali, nelle abilità di imitazione, nella consapevolezza cinestesica e nell’elaborazione simultanea dell’informazione.   I bambini con DCD, ovvero con Disturbi della Coordinazione Motoria, presentano un ritardo nell’acquisizione delle competenze motorie a partire dai primi stadi evolutivi, che interferisce significativamente con le attività della vita quotidiana e non può essere spiegato da una condizione medica (ad es. paralisi cerebrale, distrofia muscolare, malattia degenerativa) o dalla presenza di deficit sensoriali o intellettivi (Apa, 2013). Si sono riscontrate compromissioni nelle FE nei bambini di età prescolare a rischio del disturbo, per via del legame esistente tra lo sviluppo del controllo motorio e delle FE, le quali risultano fortemente implicate nella coordinazione di un movimento finalizzato. In particolare, i domini esecutivi maggiormente deficitari in età prescolare sono la memoria di lavoro verbale e visuo spaziale, il controllo inibitorio, l’attenzione selettiva e sostenuta, la flessibilità cognitiva. Le difficoltà sul piano esecutivo si andrebbero ad associare a importanti difficoltà nell’apprendimento motorio, in particolare negli schemi motori rapidi e crociati, negli schemi rotatori, nelle abilità di mira e afferramento di un oggetto, nelle prassie sequenziali, dunque in tutti i coordinamenti senso percettivo motori. Deficit a livello esecutivo nei bambini con DCD si assocerebbero con frequenza anche a ritardi nell’area linguistica, e più in generale, nell’area socio comunicativa.     IN CHE MODO SI MANIFESTANO I DISORDINI DELLE FUNZIONI ESECUTIVE GENERALI? /wp:tadv/classic-paragraph wp:tadv/classic-paragraph   Sin dall’età prescolare, le disfunzioni esecutive in un bambino si possono manifestare attraverso i seguenti segni che devono essere presi attentamente in considerazione:   Disturbi del coordinamento motorio, ovvero incoordinazioni e scoordinamenti nella motricità rapida, negli schemi motori e crociati, maldestrezza, lentezza motorio-prassica alternata a precipitazione, disordini nei giochi con la palla, nelle rotazioni motorie rapide e nelle sequenze motorie   Lentezza nell’incipit dell’agire, precoce affaticabilità, ipoattivazione o instancabilità (diade funzionale), marcata loquacità   Disorganizzazioni spazio-temporali (ad es. incapacità a ricordare i luoghi e i tempi degli eventi accaduti o di imparare dall’esperienza, difficoltà con i concetti di prima-dopo/ieri-oggi-domani/giorni della settimana, difficoltà nelle sequenze temporali e spaziali, eccessivo ordine o eccessivo disordine, smarrimento negli spazi grandi e negli ambienti nuovi, difficoltà nel rispettare orari/scadenze/ritmi/velocità, smarrimento temporale o eccessiva puntualità organizzativa, ecc.)   Difficoltà nelle sinestesie (verbo-motorie, oculo-motorie, percettivo-motorie, ecc.), ovvero nell’eseguire più compiti o azioni in contemporanea   Specularità, difficoltà nel movimento sx-dx e nell’a-capo, difficoltà nella direzionalità, nei versi e nelle rotazioni (incertezze o errori nel verso motorio, nel verso grafico, nella chiusura dei cerchi, nella rotazione di figure, nell’inversione di enunciati o frasi, nel rovesciamento dell’ordine sequenziale di numeri o lettere in parole)   Disordini nella percezione, nei movimenti oculari, nella grafomotricità, nel pensiero, nel linguaggio e negli apprendimenti   Sensibilità alla iperstimolazione, sofferenza alla confusione o all’affollamento (condizione di stanchezza, insofferenza o nervosismo negli ambienti affollati o in presenza di confusione, talvolta con reazione di eccitazione, ipercinesia, incontrollabilità)   Sofferenza alla pressione o al rallentamento (condizione di difficoltà e insofferenza nelle situazioni in cui è alterata la velocità esecutiva o in presenza di interazione con molte persone o molte azioni - pressione alla velocità o induzione al rallentamento)   Lentezza e impaccio nei movimenti fini e bimanuali   Lentezza nei processi di autoregolazione/autocorrezione/autoinibizione con la conseguenza di un comportamento impulsivo fenomeno chiamato «bradifrenia» (o lentezza nei processi di frenaggio), di un comportamento inappropriato, ipercinetico e disorganizzato, con difficoltà nel controllo dei propri istinti e delle proprie emozioni (spesso il bambino mostra un umorismo infantile, è impaziente, euforico e disinibito sul piano del comportamento, esprime le sue emozioni in modo inappropriato, manifesta scarsa tolleranza alla frustrazione o prende decisioni considerando solo se stesso)   Lentezza nell’adeguarsi ai cambi di ambienti, attività o giochi   Difficoltà nell’attenzione volontaria e protratta nel tempo, e nella memoria sequenziale (memoria ordinata, memoria di lavoro): il bambino si caratterizza per essere facilmente distraibile, manifesta spesso un’inerzia generalizzata e può avere difficoltà nell’ordinare in sequenza, nel tempo e nello spazio, il materiale mnestico   Difficoltà nel problem solving e nel decision making (processo decisionale): questa difficoltà è rilevabile in tutte quelle prove in cui la soluzione del problema richiede la pianificazione di una serie di azioni coordinate, la flessibilità nell’adottare strategie diverse a seconda delle circostanze e la comprensione delle cause di errore per la scelta di strategie alternative. Altre difficoltà dovute all’incapacità di pianificare e programmare strategie per eseguire un compito riguardano: la capacità di collocare temporalmente gli eventi (il bambino riconosce gli eventi come realmente accaduti ma non è in grado di riprodurre la successione con cui si sono verificati); la pianificazione e la programmazione della «fluidità verbale»; la capacità di risolvere problemi aritmetici con l’eccezione di operazioni routinarie da lungo tempo apprese (come l’addizione e la sottrazione). Inoltre il bambino manifesta un comportamento disorganizzato (ha difficoltà nell’organizzare il materiale, i programmi giornalieri o i propri giochi), un comportamento caotico e afinalistico e una difficoltà ad affrontare situazioni complesse e nuove (la sua vita è dominata dalla routine, dalla concretezza, dalla scarsa iniziativa e generalizzazione degli apprendimenti, da un eloquio povero e da una scarsa motivazione ad agire per sé o per gli altri)   Incapacità di passare da un concetto all’altro e da uno specifico comportamento ad un altro: la scarsa flessibilità è all’origine dei comportamenti perseveranti, ovvero di comportamenti rigidi, non flessibili che portano il bambino a insistere in strategie palesemente inadeguate e a fallire nell’esecuzione dei compiti proposti   Incapacità di inibire le interferenze ad opera di stimoli distrattori, le risposte comportamentali automatiche non congrue con la situazione stimolo e le reazioni emotive inadeguate. Ricordiamo che la corteccia prefrontale ha numerose connessioni con le strutture sottocorticali, quali l’amigdala e l’ippocampo, responsabili dell’attivazione di una risposta emotiva, e ha una funzione di controllo e modulazione su queste strutture sottocorticali: secondo alcuni autori come Damasio, bambini che manifestano questa incapacità, conoscono le regole di comportamento in contesti sociali, ma non avrebbero quei marcatori somatici che contribuiscono, assieme alla valutazione cognitiva, alla percezione dell’appropriatezza di un comportamento. Inoltre presentano una scarsa consapevolezza dei sentimenti altrui.   Disturbi della motivazione (apatia): la motivazione è uno stato interno che ci spinge ad agire e accompagna tutti i processi coinvolti al raggiungimento di uno scopo specifico, dalla sua formulazione e selezione degli strumenti atti al raggiungimento, fino alla realizzazione dello scopo. L’apatia, che consiste nella riduzione dei comportamenti finalizzati ad uno scopo per mancanza di motivazione e nella scarsa reattività emotiva, si manifesta con un comportamento ipocinetico (il bambino si muove poco o per niente), disinteressato verso le proprie esigenze, verso cose o persone e, nei casi più gravi, si presenta con un quadro di mutismo acinetico. Articolo scritto dalla dottoressa Francesca Tabellione, Erika D'Antonio /wp:tadv/classic-paragraph

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LO SVILUPPO DELLE FUNZIONI ESECUTIVE: COOL E HOT

wp:tadv/classic-paragraph Un’ulteriore caratterizzazione delle Funzioni Esecutive è relativa alla natura dei diversi compiti da affrontare. E’ stata recentemente proposta una suddivisione delle FE in “Hot” e “Cool” (Zelazo et al., 2004).   Con il termine FE «COOL» (FREDDE) si indicano i processi puramente cognitivi che si attivano quando il soggetto è impegnato in problemi astratti e decontestualizzati. Tra di esse rientrano quindi i processi di inibizione, memoria di lavoro, flessibilità o shifting, pianificazione che vengono impiegati in situazioni emotivamente neutre. Le FE fredde sono situate nella parte dorso-laterale della corteccia prefrontale.   Con il termine FE «HOT» (CALDE) si fa riferimento alle abilità di controllo impiegate quando si devono affrontare situazioni caratterizzate da un forte valore motivazionale che hanno significative conseguenze emotive e sociali (Zelazo, Craik, 2007). Sono tutte quelle FE localizzate nella zona ventro-mediale della corteccia prefrontale e si riferiscono ai processi coinvolti nella presa di decisioni (decision making) in situazioni emotivamente significative; vengono attivate da tutte quelle circostanze di vita reale con un forte coinvolgimento emotivo e affettivo, ad esempio quando viene chiesto di effettuare una scelta o prendere una decisione in presenza di uno stato di incertezza.   Le FE Hot fanno riferimento alle abilità di “autogestione” che usiamo in situazioni in cui l’emotività è particolarmente interessata. Ognuno di noi sa per esperienza come possa essere difficile resistere alle tentazioni o mantenere l’attenzione su un compito noioso, o cambiare una vecchia abitudine, o evitare di rispondere in preda all’ira del momento. Questi sono esempi di auto-regolazione che richiedono uno sforzo coordinato per raggiungere l’obiettivo. Difficile da mettere in atto da bambini, può essere particolarmente frustrante durante l’adolescenza ma può risultare ancora impegnativo in alcune situazioni, anche per un adulto.   🧑‍Prendendo spunto dal noto Marshmallow Test, è stato fatto uno studio su bambini di 3 anni, che permette di illustrare la differenza tra FE Cool e Hot. Ai bambini, seduti intorno a un tavolo, viene chiesto di aiutare la terapista a risolvere un problema: lei può scegliere di mangiare una caramella subito, o se sarà in grado di aspettare fino a che finiranno di giocare, potrà mangiarne quattro. La maggior parte dei bambini le suggerisce saggiamente di aspettare, al fine di poterne mangiare di più dopo. Quando, invece, loro vengono messi di fronte alla stessa scelta (“Vuoi mangiare una caramella ora o quattro caramelle più tardi?”), scelgono di mangiarne una subito. Dunque, i bambini di 3 anni sono stati in grado di fornire un suggerimento corretto in condizioni in cui erano attivate principalmente le FE Cool (decidere per un’altra persona), ma non sono stati in grado di seguire lo stesso consiglio in condizioni in cui erano attivate le FE Hot (decidere per se stessi) e hanno ceduto alla tentazione. Questa è una sfida troppo complessa per la maggior parte dei bambini di questa età. Le loro FE Hot non sono ancora in grado di gestirla. Tipicamente optano per la gratificazione immediata. È spesso più semplice pensare in maniera oggettiva sulle scelte di un’altra persona piuttosto che sulle proprie. Questo perché non siamo direttamente interessati dalle conseguenze della decisione di quella persona. Le FE Hot ci permettono di pensare oggettivamente al significato delle nostre azioni. Sono abilità che ci consentono di resistere alle “tentazioni” a favore di un obiettivo più importante. Le FE Hot e Cool lavorano insieme per permetterci di risolvere problemi, raggiungere obiettivi e apprendere in modo efficace.   A. LE FUNZIONI ESECUTIVE NEL PERIODO NEONATALE   I primi 2 anni di vita non sono associati ad abilità riconducibili al dominio delle FE, vengono invece descritti facendo riferimento ai significativi cambiamenti a carico delle competenze linguistiche e motorie. Dalla nascita il bambino mostra segni di auto-esplorazione e di consapevolezza circa il suo essere attivo. Lo sviluppo delle FE ha inizio molto più precocemente di quanto si fosse ipotizzato in passato sia sul versante più strettamente cognitivo delle FE (chiamate anche Cool) sia sul versante più emotivo/motivazionale (chiamate anche Hot).   FE COOL: già a partire dalla 12° settimana, il bambino è capace di conservare in memoria il ricordo della struttura dell’obiettivo di un evento che lo ha visto per protagonista, ed utilizzarlo in un secondo momento in situazioni analoghe. Dai 7/8 mesi compaiono i primi segni di Memoria di lavoro (ML) e controllo inibitorio.   FE HOT: esordiscono prima delle funzioni esecutive Cool. Nei primi 2 anni di vita si riscontrano problemi in questo dominio esecutivo: il bambino avrebbe difficoltà nel regolare le emozioni, nel posticipare le ricompense/gratificazioni e concentrerebbe tutte le sue attenzioni su di sé. A partire dai 6 mesi, il b.no comincia a differenziare tra entità animate e inanimate; dai 12 mesi, sviluppa la capacità di condividere con un’altra persona un oggetto e tra i 14 e 18 mesi, sarà capace di seguire attivamente lo sguardo di una persona diretto verso un oggetto. Nel 1° anno emerge una prima forma di consapevolezza dello stato mentale altrui, mentre nel 2° anno di vita una forma di comprensione delle emozioni, intenzioni, desideri e delle loro relazioni con il raggiungimento di obiettivi, oltre alla capacità di distinguere tra fantasia e realtà (Flavell, 1999; Leslie, 1987).   B. LE FUNZIONI ESECUTIVE NEL PERIODO PRESCOLARE   Una caratteristica del bambino in questo periodo è la curiosità verso il mondo fisico e sociale che lo circonda, la quale è supportata dallo sviluppo di una serie di abilità cognitive.   FE COOL: nel periodo prescolare si osserva un’evoluzione delle abilità di controllo inibitorio e della gestione degli stimoli distrattori o interferenze. A 3/4 anni il bambino sviluppa la capacità di generare concetti; a 3/5 anni si assiste ad un aumento delle competenze inibitorie con un picco intorno ai 4 anni; tra i 4/5 anni si sviluppa il controllo attentivo, migliora la flessibilità cognitiva e la capacità di formulare strategie; dai 5 anni, vi è un incremento dell’abilità di ML e quindi di conservare temporaneamente e di manipolare informazioni on-line. Inoltre tra i 5 e i 7 anni, comincia a svilupparsi maggiormente la capacità di pianificazione, finalizzata al raggiungimento di obiettivi.   FE HOT: sul versante di questo dominio esecutivo, si osserva un miglioramento della capacità di prendere decisioni in situazioni in cui entrano in gioco punizioni e gratificazioni; si riscontra inoltre un’evoluzione della teoria della mente tra i 3 e i 5 anni e anche il raggiungimento di una forma analoga a quella adulta intorno ai 6 anni, ovvero la capacità di formulare delle ipotesi in merito alle credenze altrui e di gestire le false credenze, che si caratterizzano per un importante sviluppo a partire dai 5 anni e la capacità di concepire l’esistenza di stati mentali conflittuali che si registra a partire dai 7 anni.   C. LE FUNZIONI ESECUTIVE NEL PERIODO SCOLARE   Con la preadolescenza alcune abilità esecutive raggiungono la maturità.   FE COOL: tra gli 8 e i 10 anni, si osserva il raggiungimento di livelli adulti nella flessibilità cognitiva; tra gli 8 e 11 anni, un miglioramento nel controllo inibitorio, nella ML, nella vigilanza e nell’attenzione sostenuta; tra i 9 e 12 anni, uno sviluppo della ML in termini di capacità ed efficienza ed una sua maggiore capacità di resistere alla interferenze esterne e interne; dai 12 anni si evidenzia un potenziamento delle capacità di pianificazione, ovvero della capacità di mettere in atto un comportamento finalizzato al raggiungimento di un obiettivo preposto.   FE HOT: le informazioni relative allo sviluppo di questo dominio esecutivo, nel periodo scolare, sono limitate. In linea generale, si osserva una maturazione e un perfezionamento della capacità di comprendere emozioni, intenzioni, credenze e desideri, un miglioramento in alcune componenti della teoria della mente, quali la capacità di comprendere gli inganni sociali e di decifrare le metafore (Ackerman, 1981; Happè, 1994).   D. LE FUNZIONI ESECUTIVE IN ADOLESCENZA   Con l’adolescenza si sperimenta un crescente senso di indipendenza, di responsabilità e di consapevolezza sociale.   FE COOL: dai 15 anni, si osserva un miglioramento nel controllo attenzionale e nella velocità di processamento, oltre che il raggiungimento di livelli maturi nel dominio inibitorio (Anderson, 2001- Luna, 2004); tra i 16 e 19 anni, si rileva un progresso nella ML, nella pianificazione strategica e nel problem-solving (De Luca et al, 2003).   FE HOT: in questo periodo si riscontrano miglioramenti nella presa di decisioni in presenza di ricompense e perdite (Hooper et al, 2004)   Articolo scritto dalla dottoressa Francesca Tabellione, Erika D'Antonio   T.N.P.E.E. FORMATRICI Specializzate in: Terapista Itard , Psicomotricità Funzionale, Neuropedagogia dei Processi Cognitivi /wp:tadv/classic-paragraph

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MEMORIA E CIRCUITI NEURALI

wp:image /wp:image wp:tadv/classic-paragraph Le Funzioni Esecutive rappresentano processi complessi di ideazione, attivazione, controllo, coordinazione dell'agire umano intenzionale e del funzionamento del sistema cognitivo: grazie al loro buon funzionamento noi possiamo programmare un'azione o un comportamento relativo ad uno scopo, dunque stabilire degli obiettivi, delineare strategie nuove ed efficaci, monitorare lo stato della sua esecuzione ed eventualmente correggere il risultato o apportare modifiche nell'ambiente.   La struttura al centro delle funzioni esecutive, a cominciare dalla memoria di lavoro, è riconducibile alla CORTECCIA FRONTALE, la quale ha rapporti con le altre aree corticali e sottocorticali.   Cos' è la Memoria di Lavoro (ML)?   Cominciamo dal capire innanzitutto che cos'è la MEMORIA: è quella funzione cognitiva che permette l'acquisizione, l'immagazzinamento e il recupero di informazioni provenienti da diversi input sensoriali. Le abilità mnestiche sono organizzate in diversi moduli funzionalmente e strutturalmente autonomi, anche se interagiscono tra loro.   La MEMORIA DI LAVORO (ML) è un sistema mnesico a capacità limitata che immagazzina temporaneamente le informazioni per una successiva manipolazione. In altre parole, dopo un breve periodo di tempo si verifica un oblio del materiale presentato.   Secondo Baddeley (1990) la memoria di lavoro o working memory sarebbe costituita da un sistema attenzionale (l'esecutivo centrale) che supervisiona e coordina tre sistemi:   - il ciclo articolatorio o fonologico responsabile dell'elaborazione dell'informazione linguistica   - il taccuino visuo-spaziale da cui dipenderebbe l'elaborazione del materiale non verbale   - il buffer episodico, ultima componente della memoria di lavoro, che ha la funzione di scambiare informazioni tra diversi magazzini. Il termine "episodico" indicherebbe proprio tale caratteristica, mentre il termine "buffer" indicherebbe la funzione di intermediazione tra sottosistemi che usano codici diversi e che verrebbero al suo interno integrati in rappresentazioni multidimensionali. Secondo uno studio di Berlingeri e colleghi (2008), la zona cerebrale che sarebbe più direttamente coinvolta come base neurale del buffer episodico sarebbe la parte anteriore dell'ippocampo di sinistra.   Esistono differenti tipi di memorie (Kandel, 2006, Oliverio, 1998):   - memoria di lavoro o a breve termine   - memorie a lungo termine, ovvero quelle memorie durature e codificate in modo stabile   - memorie procedurali o implicite, legate a procedure, soprattutto motorie, come ad esempio allacciarsi le scarpe o andare in bici   - memorie dichiarative o esplicite, memorie dei fatti acquisiti attraverso le esperienze e lo studio.   Quando dobbiamo ricordare un evento o un episodio della nostra vita utilizziamo una memoria dichiarativa chiamata "memoria autobiografica" o, nel caso di fatti specifici, la "memoria episodica", che consentono di ricollegare una particolare informazione nel contesto del tempo e dello spazio. La memoria episodica è legata a quella semantica che richiede una conoscenza dei fatti, concetti, elementi linguistici che non sono legati a un contesto. Gran parte della vita si basa su memorie di tipo dichiarativo, dunque memorie costruite nel tempo.   RETI NEURALI DELLA MEMORIA   Le memorie procedurali hanno: a. un circuito che parte dalla corteccia motoria, va ai gangli della base e da questi, attraverso il talamo, ritorna alla corteccia motoria. Questo circuito è alla base delle memorie che riguardano abitudini e abilità elementari e ricorrenti, come nel caso dei gesti e delle azioni ripetitive. b. Un secondo circuito, che riceve informazioni dalla corteccia motoria primaria e dalle aree della corteccia associativa sensoriale, raggiunge il cervelletto, da qui va verso il talamo e da questo nucleo torna alle aree motorie della corteccia frontale e parietale: questo circuito fa si che le risposte motorie ad alcuni stimoli diventino riflessi automatici, come può avvenire quando ci si blocca per un ostacolo improvviso.   Le memorie dichiarative si basano invece, oltre che sul circuito ippocampo-corteccia temporale, anche su strutture che appartengono al diencefalo. La regione temporale è connessa con l'amigdala e l'ippocampo e quest'ultimo con il diencefalo tramite il fornice, in una sorta di circuito della memoria di cui fa parte tutta la corteccia cerebrale. Tutte queste strutture nervose sono implicate nella cosiddetta memoria esplicita che implica un riconoscimento cosciente delle esperienze che abbiamo fatto o che possono essere rievocate alla mente. Sensazioni o esperienze, per essere trasformate in memorie esplicite, devono raggiungere il diencefalo dove vengono registrate sottoforma di memorie stabili nei circuiti del cervello.   Il circuito della memoria "corteccia temporale- ippocampo-diencefalo" permette di assemblare tra loro sensazioni-immagini mentali-emozioni per trasformarle in memoria episodica, ovvero in eventi della nostra vita. Tali strutture nervose sono anche implicate nella memoria semantica come imparare nuovi nomi, registrare numeri di telefono, apprendere nuovi vocaboli. La memoria semantica, è riferita a significati e concetti, per i quali non è rilevante ricordare il momento e la situazione nei quali essi sono stati appresi: è una memoria che contiene le conoscenze sul mondo in forma organizzata. Anche quella semantica, così come la memoria procedurale, non è unitaria ma è suddivisa in diversi compartimenti e competenze. Gli studi sulle basi cerebrali della memoria hanno messo in evidenza due differenti circuiti, attivati in contemporanea e in parallelo, sebbene possano interagire in modo competitivo:    1. Il primo, di cui abbiamo accennato, riguarda l'ippocampo e la corteccia temporale mediale, che si fa carico delle forme di apprendimento rapido utili per controllare un comportamento adeguato   2. Il secondo riguarda i gangli della base (in particolare il nucleo caudato), quando si tratta di mediare forme di apprendimento meno veloci e ripetitive, basate su associazioni tra determinati stimoli e risposte specifiche.   In sostanza, nonostante la competizione tra i due sistemi, quando si tratta di apprendere nuove esperienze entra inizialmente in gioco il sistema ippocampale, specializzato in memorie di tipo dichiarativo; successivamente entra in funzione il sistema striatale che garantisce la sequenzialità di eventi, e si attiva quando l'evento diventa più noto e ripetitivo nel tempo (Poldrack, Clark, 2001).   Dott.ssa Francesca Tabellione Dott.ssa Erika D'Antonio   (Bibliografia: Geografia della mente- Oliverio/ Neuropsicologia- Làdavas, Berti) /wp:tadv/classic-paragraph

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MOVIMENTI, COGNIZIONE E SVILUPPO DELLA MENTE INFANTILE

wp:tadv/classic-paragraph /wp:tadv/classic-paragraph wp:tadv/classic-paragraph Dal punto di vista filogenetico le attività motorie e sensoriali sono le più antiche: le funzioni cognitive (linguaggio, memoria, processi esecutivi, ecc.) si sono sviluppate grazie alle competenze sensori-motorie. Numerose sono le strutture coinvolte nella motricità, come ad esempio, quelle sensoriali, le quali ci informano su "COME" stiamo eseguendo un particolare movimento: senza queste informazioni il movimento sarebbe impreciso, scoordinato, grossolano o bloccato.   Dunque tutto il sistema nervoso (e non solo gli aspetti motori) è coinvolto nel controllo della motricità. L'attività motoria è molto complessa e dipende dall'entrata in gioco del sistema piramidale ed extrapiramidale.   La composizione e l'armonia dei movimenti è garantita da due strutture che sono il cervelletto e i gangli della base, le quali contengono le memorie di quegli schemi motori che ci permettono di calciare un pallone, nuotare, saltare ostacoli, ma anche dall'entrata in gioco di aree corticali e sottocorticali, oltre che dall'entrata in funzione del cervelletto.   Diversi studi hanno dimostrato come la corteccia prefrontale è la prima ad entrare in funzione per pianificare e programmare una prassia, successivamente interviene l'area motoria supplementare che ha la responsabilità del piano di azione, infine quella motoria che esegue l'azione e la corregge sulla base delle informazioni propriocettive che giungono alla corteccia somatosensoriale.   Pertanto, la progettazione del movimento può coinvolgere due circuiti paralleli:   -uno esterno (lobo parietale, area premotoria e cervelletto) coinvolto nei movimenti diretti o spaziali, i quali predominano nella fase iniziale di acquisizione di nuove capacità motorie   -un circuito interno (area supplementare, gangli della base, lobo temporale) che subentra quando un'abilità motoria diventa usuale e automatizzata. La motricità è un aspetto fondamentale dello sviluppo infantile: è tramite l'osservazione e l'azione motoria (mirror neurons, Rizzolatti e coll., 2000) che un bambino passa dall'apprendimento concreto a quello più astratto.   Il movimento, come abbiamo accennato all'inizio dell'articolo, rappresenta il punto di partenza per lo sviluppo delle funzioni cognitive.   Per capire questo vediamo come funziona il mondo di un neonato: all'inizio egli si limita ad avere un ruolo prevalentemente passivo, a ricevere tutte le informazioni sensoriali (le cure, l'amore, le carezze, i gesti, le emozioni, i movimenti) da parte del caregiver, che sono fondamentali per organizzare il sistema nervoso del piccolo e prepararlo ai futuri apprendimenti (Oliverio Ferraris, Oliverio, 2007).   Il linguaggio, ad esempio, non viene acquisito attraverso un freddo meccanismo di prove ed errori ma è il prodotto di varie funzioni (sensoriali, motorie, percettive, spazio-temporali, organizzative, simboliche, cognitive, ecc.).   La cosiddetta "SINCRONIA INTERATTIVA" nei neonati (Ainsworth, 1978) si può considerare come la primissima manifestazione del linguaggio: bambini di poche settimane di vita producono con il corpo una serie di micromovimenti in risposta al linguaggio umano, una sorta di danza. Successivamente il neonato realizza movimenti sempre più accurati e selettivi.   Ma come si fa a descrivere la sequenza dei movimenti della bocca e della lingua che servono per produrre suoni come "mamma, papà, nanna"? Tale meccanismo si basa sull'azione e sulle sensazioni del corpo, sull'imitazione e sulla pratica, come nel caso del linguaggio che ha origine da catene coordinate di movimenti degli organi vocali, memorizzati attraverso ripetizioni continue.   Pertanto, azione-percezione- movimento sono i mattoni per la costruzione dei processi di rappresentazione mentale a partire dalle fasi embrionali, quando l'embrione comincia a manifestare attività riflesse su cui poggiano i futuri comportamenti motori. L'embrione, oltre ad essere un organismo sensoriale, è innanzitutto un organismo motorio: questo significa che nella fase embrionale, in quella fetale e della prima infanzia, l'azione precede la sensazione, vengono prima compiuti del movimenti riflessi e poi se ne ha la percezione e la rappresentazione mentale.   Le funzioni motorie vengono spesso considerate di basso livello rispetto alle funzioni cognitive superiori, alla cognizione. Tuttavia, si è scoperto come il corpo e il movimento siano responsabili della mente, della formazione del pensiero, del linguaggio (McNeill, 1981).   Ad esempio, la corteccia motoria (dove ci sono i neuroni che controllano i muscoli) e quella premotoria (dove ci sono i neuroni che pianificano i movimenti muscolari) realizzano sequenze di movimenti coinvolgendo anche l'area di Broca, implicata nella motricità della mano e del linguaggio, a produrre gesti e sequenze di sillabe che sono alla base della comunicazione.   Parlare infatti non è altro che articolare una sequenza di sillabe, concatenarle tra loro: questa funzione è controllata dalla motricità. Da qui emerge lo stretto legame tra MOTRICITÀ E LINGUAGGIO, se consideriamo che il mondo del neonato è inizialmente un mondo di gesti, movimenti e azioni. Quello che percepisce un neonato sono una sequenza di azioni compiute dai caregiver che si basano su una logica interna, su rapporti di successione spaziale e temporale (prima-dopo) e su una serie di conseguenze, su principi di sequenzialità e causalità, requisiti essenziali anche per lo sviluppo del linguaggio, ovvero per produrre movimenti fonatori adeguati e ordinare parole secondo una progressione logica.   La logica del corpo e dei suoi movimenti, nel contesto in cui viviamo, potrebbe quindi rappresentare il fulcro su cui si è costruita la logica operazionale del linguaggio: esiste dunque uno stretto rapporto tra motricità, linguaggio e pensiero, sia dal punto di vista della storia naturale umana, sia da quello ontogenetico e sia dal modo in cui la nostra mente funziona oggi.   Dott.ssa Francesca Tabellione Dott.ssa Erika D'Antonio (Bibliografia: geografia della mente, Oliverio) /wp:tadv/classic-paragraph

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NEURONI SPECCHIO: AUTISMO – EMOZIONI - EMPATIA

wp:image /wp:image wp:tadv/classic-paragraph   I neuroni specchio rappresentano una delle più importanti scoperte nel campo neuroscientifico soprattutto nei primi 3 anni di vita del bambino.   Sono un gruppo di neuroni visuo-motori, distribuiti in diverse zone cerebrali (ad esempio nella corteccia premotoria), fondamentali per la comprensione delle azioni, delle intenzioni e dei comportamenti degli altri.   Dunque permettono all’individuo di riprodurre azioni e comportamenti osservati in altri soggetti ed hanno un ruolo importante nei processi cognitivi, affettivi, emotivi, psicomotori, comportamentali.   Inoltre i neuroni specchio sono importanti per comprendere anche le emozioni degli altri (empatia): di recente è stato scoperto che osservare l’emozione di un’altra persona può determinare in chi la osserva l’attivazione della stessa regione corticale che è attiva quando l’osservatore prova quell’emozione. Dunque il meccanismo specchio che ci permette di identificare le emozioni degli altri è simile a quello che controlla la comprensione di azioni e intenzioni. Questi risultati sono stati confermati dall’osservazione di un paziente con lesioni dell'insula, il quale aveva difficoltà a riconoscere l’emozione del disgusto sulle facce di altre persone.   Anche quando proviamo dolore o osserviamo qualcuno visibilmente addolorato, nel nostro cervello si attivano le stesse regioni della corteccia, in particolare l’area del cingolo anteriore detta PACC (pregenual anterior cingulate cortex).   L’empatia indica in neuroscienze la condivisione dello stato emotivo di un’altra persona con quello dell’osservatore. La maggior parte degli esseri umani è dotata di soglie mobili di empatia che si alzano o si abbassano automaticamente a seconda del contesto in cui si trovano e variano da individuo a individuo: ci sono persone con capacità empatiche molto alte e altre meno.   Vediamo la correlazione tra l’Autismo e i Neuroni Specchio.   L’autismo è un disordine dello sviluppo caratterizzato da disturbi nelle interazioni sociali e nella comunicazione, da comportamenti stereotipati e ripetitivi. Oggi si preferisce il termine disturbi dello spettro autistico, invece di autismo, per indicare l’estrema varietà ed eterogeneità dei sintomi e dei problemi neurologici che i soggetti presentano. I bambini autistici tendono a isolarsi e non cercano di comunicare con gli altri, hanno difficoltà a capire cosa provano le altre persone, a capire le emozioni e a manifestarle, presentano capacità verbali limitate, difficoltà nella comunicazione e interessi ristretti e ripetitivi verso un tema, un’attività o un gesto. Talvolta manifestano una iper o una ipo sensibilità tattile, vestibolare, visiva, uditiva. Tali atteggiamenti tendono a compromettere le loro relazioni sociali, l’ambito scolastico e/o professionale. Alcuni autistici hanno un livello intellettivo normale o anche superiore alla media (definiti ad alto funzionamento), altri manifestano un quoziente intellettivo inferiore alla media (definiti a basso funzionamento). La maggior parte dei bambini autistici presenta disturbi motori, come deficit di postura, nella coordinazione motoria globale, impaccio e rigidità a livello fine motorio. Dunque il quadro sintomatologico è estremamente eterogeneo e la cura varia in base ai sintomi e deve essere personalizzata.   L’autismo ha un’incidenza maggiore nei maschi che nelle femmine ed è stata trovata una predisposizione ereditaria al disturbo: tra i fattori di rischio ci sono possibili fattori ambientali, un deficit del sistema dei neuroni specchio ma, sebbene i numerosi studi, le cause dell’autismo restano in gran parte sconosciute.   I bambini con autismo fanno fatica nel comprendere il comportamento altrui automaticamente, ma ogni volta è una specie di enigma che risolvono solo utilizzando la logica. Un altro deficit nel comportamento dei bambini autistici consiste nel disturbo di pianificazione della propria azione e nel comprendere quale azione farà l’altro.   Lo studio dei neuroni specchio nell’autismo ha permesso, al contrario della spiegazione cognitivista (“teoria della mente”) diffusa negli anni 90 e che non spiega i meccanismi neurologici coinvolti, di porre l’accento sugli aspetti motori e affettivi della sindrome e di dare almeno strumenti per una diagnosi precoce dell’autismo. Le possibilità terapeutiche sono soprattutto legate alla tempestività della diagnosi e alla possibilità di iniziare precocemente le terapie. Ad esempio, ci sono stati studi che hanno dimostrato come gli stimoli affettivi e sociali precoci, in particolare tra gli 8 e i 12 mesi (finestra temporale più efficace per la terapia), agiscano sul sistema dei neuroni specchio il quale si sviluppa e recupera in maniera normale o quasi, altrimenti rimarrebbe deficitario per tutta la vita.   Dott.ssa Francesca Tabellione Dott.ssa Erika D’Antonio /wp:tadv/classic-paragraph

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NEURONI SPECCHIO: COMUNICAZIONE E LINGUAGGIO

wp:tadv/classic-paragraph La comunicazione è un processo di scambio di informazioni fra individui attraverso un meccanismo condiviso, ad esempio il linguaggio verbale, tipico degli esseri umani. Possiamo comunicare anche attraverso gesti, posture, mimica, espressioni del viso, contatto oculare, movimenti del corpo, anche se il linguaggio verbale umano è stato considerato come unica forma di comunicazione dotata di grammatica e di sintassi, e capace di organizzare lo scambio secondo regole e strutture codificate.   ☆-Dai versi degli animali al linguaggio parlato   Secondo alcuni scienziati il linguaggio verbale si sarebbe evoluto a partire dai richiami sonori, dai versi emessi dagli animali per comunicare tra loro; per altri invece si sarebbe plasmato a partire da un sistema di comunicazione a base di gesti. I meccanismi neurali che controllano la comunicazione sono localizzati in diverse zone del cervello: nelle scimmie si trovano in strutture sottocorticali quali il diencefalo e il tronco encefalico; negli esseri umani invece si trovano nella parte laterale della corteccia. Altre differenze tra il linguaggio degli animali e quello parlato riguardano il fatto che parole e frasi del nostro linguaggio possono non avere una particolare coloritura, oppure trasmettere emozioni, mentre i versi degli animali sono collegati a una condizione emotiva o a un’emozione come la paura, il dolore, la gioia, la rabbia. La possibilità di combinare tra loro parole e frasi è una proprietà del linguaggio umano che è assente nei richiami degli animali, caratteristica che è stata sottolineata anche dal linguista Chomsky. Egli sostiene che il linguaggio umano è basato su un principio completamente diverso da quello su cui si fondano tutte le altre forme di comunicazione animale. Anche noi possiamo emettere grugniti, grida o urla che rievocano versi animali quando ci troviamo in particolari stati emotivi: la produzione di tali versi è controllata da circuiti nervosi localizzati in posizioni profonde della corteccia, simili a quelle degli animali ma diverse da quelle responsabili del linguaggio verbale. È interessante notare che la capacità di emettere versi primitivi è una caratteristica presente nelle persone affette da afasia globale, un disturbo che porta ad una perdita completa di ogni funzione linguistica, parlata e scritta, di espressione e di comprensione.   ☆-Dai gesti al linguaggio parlato   La prima formulazione di questa teoria risale al 700 ed è dovuta al filosofo francese Condillac, il quale ipotizzò che il primo sistema di comunicazione dei nostri antenati sarebbe stato basato sui gesti, cui si assocerebbero poi i suoni che accompagneranno la comunicazione. La scoperta dei neuroni specchio ha offerto evidenze sperimentali riguardo questa ipotesi, in particolare sulla relazione tra azioni e linguaggio, come il famoso esperimento che ha evidenziato la presenza di neuroni specchio nell’area di Broca. L’aspetto più interessante della presenza dei neuroni specchio per l’evoluzione del linguaggio sta nel fatto che i primati, grazie a questo meccanismo, possiedono un sistema di comunicazione immediato e condiviso. Ad esempio, se osserviamo una persona che afferra un bicchiere capiamo subito che cosa sta facendo. Su tale base, Giacomo Rizzolatti e col. hanno ipotizzato che l’evoluzione del linguaggio sia stata preceduta dall’evoluzione di un sistema di comunicazione condiviso. Come è possibile che suoni originariamente privi di senso si siano associati ai gesti dotati invece di un significato preciso? Come può essere avvenuto questo passaggio cruciale? Uno scienziato degli anni 30 di nome Paget aveva proposto una teoria che ha dato una spiegazione a questo passaggio: secondo lui i gesti delle mani dei nostri progenitori sarebbero stati accompagnati da movimenti inconsapevoli e coordinati della lingua, delle labbra e delle mascelle. In seguito, gli individui avrebbero scoperto che tramite l’espirazione dell’aria, la bocca è capace di emettere gesti sonori, i quali rappresentano secondo Paget l’inizio del linguaggio vocale. Se i gesti della mano e del braccio sono collegati a quelli del linguaggio, allora anche la base neurale di tale sistema dovrebbe essere comune. Ciò è stato confermato da alcuni esperimenti che hanno mostrato come l’area motoria di sinistra responsabile dei movimenti della mano si attivava durante la lettura o il parlare: i circuiti neurali dei gesti sembrano quindi essere collegati a quelli del linguaggio, come aveva previsto Paget. Affinché la comunicazione sonora sia efficace occorre che i suoni utilizzati per trasmettere messaggi siano decifrabili, ovvero pronunciati in modo chiaro e preciso: la laringe e la bocca devono essere quindi controllate da circuiti nervosi sofisticati e sotto il totale controllo della volontà di chi parla. Tale controllo accurato e preciso richiede l’evoluzione di speciali centri nervosi. Inoltre sono stati scoperti dei neuroni specchio propri degli esseri umani che si attivano per specifici suoni del linguaggio parlato prodotti dalla bocca e dalla laringe, chiamati neuroni specchio-eco. Liberman, un linguista americano, ha studiato a lungo la struttura dei fonemi, cioè dei suoni che formano le parole e ha osservato che gli esseri umani, quando ascoltano il linguaggio parlato, sono molto bravi a riconoscere i singoli fonemi. Egli è giunto alla conclusione che i suoni del linguaggio hanno qualcosa di speciale che li rende distinguibili da tutti gli altri suoni: questo “qualcosa” riguarda la capacità che i fonemi hanno di evocare nell’ascoltatore la stessa sequenza motoria di quella usata da colui che parla per emettere uno specifico fonema. La scoperta dei neuroni specchio-eco ha dato una prova sperimentale alla teoria di Liberman: a livello neuronale questa particolarità dei suoni verbali risiede nella capacità che tali suoni hanno di attivare i neuroni specchio-eco o di evocare i movimenti che la nostra bocca o la nostra laringe dovrebbe eseguire per riprodurre quei fonemi.   Dott.ssa Francesca Tabellione Dott.ssa Erika D’Antonio /wp:tadv/classic-paragraph

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QUAL È LA DIFFERENZA TRA IMMAGINAZIONE ED ESPOSIZIONE ALLA TELEVISIONE/VIDEOGIOCHI NEI BAMBINI?

wp:tadv/classic-paragraph        Partiamo dal presupposto che il nostro cervello è prevalentemente visivo, e un bambino che non ha ancora una buona capacità di analisi/percezione visiva e che possiede una mente concreta (non ancora astratta), crede a quello che vede: per lui ciò che è rappresentato visivamente è ciò che esiste davvero! Nella lettura, invece, la mente deve sostituire le parole con le immagini, i tempi sono lenti e tutto va rielaborato.        Oggi siamo bombardati dai mezzi di comunicazione con informazioni o stimoli ripetitivi e monotoni che creano una sorta di "anestesia/impoverimento del pensiero": è stato dimostrato che le immagini che i bambini vedono in televisione hanno un maggiore impatto di quelle che si rappresentano mentalmente sulla base dei dati sensoriali che ricevono.            Una ricerca effettuata in un gruppo di bambini che avevano prima letto un libro di avventure e successivamente visto lo stesso tema rappresentato in tv, ha dimostrato come le immagini concrete e visive della televisione rimanessero maggiormente in memoria rispetto a quelle che i bambini dovevano immaginare o creare in autonomia attraverso la loro fantasia, abilità che richiede una buona rappresentazione mentale e una buona capacità di astrazione (Oliverio Ferraris, 1999).        Questo significa che, al giorno d'oggi, i bambini cresciuti nell'era digitale non sono capaci di astrarre/visualizzare le scene descritte nei brani dei libri che vengono loro letti da maestri o genitori, con la conseguenza di una perdita di attenzione, facile stancabilità mentale e comportamenti di opposizione o irrequietezza. In alcune esperienze didattiche i maestri hanno dovuto perciò incrementare nei bambini le capacità di visualizzazione, in modo da sollecitarli a lavorare attraverso la fantasia e l'immaginazione, ovvero tramite immagini mentali che sono il presupposto per la costruzione di un pensiero e di una mente ordinata.        La televisione, i tablet e i videogiochi influiscono sul corpo e sulla psiche dei nostri bambini: ad esempio è stato riscontrato che i bambini videodipendenti sono diventati dei ragazzi miopi, apatici e obesi, mentre dal punto di vista cognitivo manifestano problemi di attenzione, iperattività e ipercinesia a scuola e/o in altri contesti. Tali conseguenze non sono tanto dovute alla qualità dei giochi utilizzati quanto al tempo di esposizione: un bimbo piccolo che vede 1 ora al giorno di televisione, avrà maggiori possibilità di sviluppare dei disordini attentivi in età scolare o in adolescenza due volte superiore rispetto a chi non la guarda e potrà avere difficoltà a restare da solo, poiché il televisore funge da sorta di "compagno virtuale" (Zimmerman e Christakis, 2007).   Come è possibile allora che molti bambini con problemi di attenzione a scuola siano capaci di restare apparentemente "attenti" di fronte ai videogiochi o al televisore?        Perché non si tratta dello stesso tipo di attenzione ma di due differenti forme: nel caso dello schermo l'attenzione del bambino è catturata in modo automatico dagli input sonori e soprattutto visivi/luminosi (parliamo dell'attenzione selettiva in rapporto agli stimoli visivi che si sviluppa già nei primi mesi di vita quando il neonato fissa e insegue con gli occhi gli stimoli nuovi che compaiono nel suo campo visivo), mentre quando il bambino deve mantenere un livello di attenzione sostenuta per risolvere un qualunque compito scolastico (ad esempio un problema aritmetico o un brano di comprensione) entra in gioco un tipo di controllo volontario, legato alla motivazione, ovvero è il bambino a decidere di concentrarsi su un compito particolare e questa è una capacità che sviluppa nel corso degli anni, non è un automatismo. Ad esempio, ci sono bambini che già quando si svegliano la mattina restano ipnotizzati dai loro cartoni animati preferiti e di conseguenza possono non avere la capacità di prestare attenzione a scuola (Alberto Oliverio).        La televisione è dunque inadatta ai bambini di meno di 3 anni (Bach, 2013), età in cui il cervello infantile è in pieno fermento e capace di agire sulla realtà, modificandola (plasticità cerebrale): le immagini che compaiono su uno schermo tendono ad attrarre il bambino ma anche a frustrarlo. Spesso i genitori riferiscono che i loro piccoli sono bravi a manipolare i tasti di un telefono, con l'idea che possiedono delle buone abilità tecnologiche, non sapendo che il bambino è attratto dalla dimensione tattile dei tasti, dal movimento degli oggetti o delle immagini ed è assorto totalmente in quel mondo virtuale che non presta più attenzione alle vere esperienze, all'esplorazione, al movimento e al gioco, all'immaginazione e alla fantasia, racchiuso in una sorta di dipendenza dal mondo virtuale. Questa è una conferma che induce gli esperti a non "far immergere" il bambino nel mondo virtuale prima dei 6/7 anni.   Dott.ssa Francesca Tabellione Dott.ssa Erika D'Antonio /wp:tadv/classic-paragraph

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