

BENVENUTI NEL MONDO DI BRAIN CHILDREN
da admin – 17 dicembre 2020
da admin – 17 dicembre 2020
I nostri Blog – da Erika
COME POTENZIARE LE FUNZIONI ESECUTIVE IN ETA' PRESCOLARE E SCOLARE IN UN BAMBINO DISPRASSICO
wp:paragraph Incrementare o potenziare le Funzioni Esecutive complessive, le quali conferiscono /wp:paragraph wp:paragraph DISPONIBILE PER L'ACQUISTO PDF E CARTACEO (fino ad esaurimento scorte) /wp:paragraph wp:paragraph Collana delle FUNZIONI ESECUTIVE /wp:paragraph wp:paragraph https://www.riabilitazioneuropsicomotoria.it/categoria-prodotto/pacchetto-funzioni-esecutive/ /wp:paragraph wp:image {"id":4413,"sizeSlug":"medium","linkDestination":"none"} /wp:image wp:image {"id":4414,"sizeSlug":"medium","linkDestination":"none"} /wp:image wp:image {"id":4415,"sizeSlug":"medium","linkDestination":"none"} /wp:image wp:image {"id":4416,"sizeSlug":"medium","linkDestination":"none"} /wp:image wp:image {"id":4417,"sizeSlug":"medium","linkDestination":"none"} /wp:image wp:image {"id":4418,"sizeSlug":"medium","linkDestination":"none"} /wp:image wp:image {"id":4419,"sizeSlug":"medium","linkDestination":"none"} /wp:image wp:image {"id":4420,"sizeSlug":"medium","linkDestination":"none"} /wp:image wp:image {"id":4421,"sizeSlug":"medium","linkDestination":"none"} /wp:image
Per saperne di più
I nostri Blog – da Erika
SUPPORTARE LA LETTURA DEL BAMBINO DISPRASSICO
wp:paragraph La lettura del bambino disprassico, si presenta spesso disfluente, lenta /wp:paragraph wp:paragraph ••••• DISPONIBILE PER L'ACQUISTO IN CARTACEO •••••••• /wp:paragraph wp:paragraph https://www.riabilitazioneuropsicomotoria.it/prodotto/kit-per-bambini-3-5-anni/ /wp:paragraph wp:paragraph https://www.riabilitazioneuropsicomotoria.it/prodotto/esercizi-lettura-e-scrittura-globale/ /wp:paragraph wp:image {"id":4407,"width":"301px","height":"auto","sizeSlug":"medium","linkDestination":"none"} /wp:image wp:image {"id":4408,"width":"301px","height":"auto","sizeSlug":"medium","linkDestination":"none"} /wp:image
Per saperne di più
I nostri Blog – da Erika
SUPPORTARE LA SCRITTURA DEL BAMBINO DISPRASSICO
wp:paragraph La scrittura del bambino disprassico, è caratterizzata da alterazioni nella /wp:paragraph wp:image {"id":4397,"sizeSlug":"medium","linkDestination":"none"} /wp:image wp:image {"id":4398,"sizeSlug":"medium","linkDestination":"none"} /wp:image wp:image {"id":4399,"sizeSlug":"medium","linkDestination":"none"} /wp:image wp:image {"id":4400,"sizeSlug":"medium","linkDestination":"none"} /wp:image wp:paragraph ••••• DISPONIBILE PER L'ACQUISTO IN PDF •••••••• /wp:paragraph wp:paragraph https://www.riabilitazioneuropsicomotoria.it/categoria-prodotto/pacchetto-grafomotricita/ /wp:paragraph wp:paragraph /wp:paragraph wp:paragraph /wp:paragraph
Per saperne di più
I nostri Blog – da admin
DISPRASSIA EVOLUTIVA: COSA SIGNIFICA LAVORARE CON I BAMBINI DISPRASSICI? E PERCHÉ È COSÌ DIFFICILE RICONOSCERE QUESTO DISTURBO APPARENTEMENTE INVISIBILE?
wp:html [••Articolo a cura della dottoressa Francesca Tabellione••] Sappiamo che il mondo della riabilitazione è molto complesso ma al tempo stesso misterioso e affascinante, ed offre a noi riabilitatori continui interrogativi, perplessità, spesso ci fa mettere in discussione ("Stiamo agendo correttamente? Stiamo utilizzando il giusto approccio? Il bambino sta rispondendo adeguatamente alle nostre richieste o, in caso contrario, cosa dobbiamo modificare?").Riabilitare i Bambini Disprassici è tutt'altro che semplice: significa trovare le cause di quei processi disfunzionali, capire il motivo per cui quel bambino fa cadere gli oggetti dalle mani, urta contro i mobili o le persone, è selettivo nell'alimentazione, si irrita facilmente o non tollera gli insuccessi, non entra facilmente in relazione con i coetanei o al contrario deve mettersi al centro dell'attenzione e dettare le regole all'interno di un gruppo, presenta un linguaggio poco fluido, lento o eccessivamente precipitoso e un pensiero caotico e disorganizzato, è goffo nei movimenti grossolani e fini, è spesso assorto nei suoi pensieri e si perde se gli vengono date più consegne in contemporanea (va in blocco e non ne esegue nessuna), manifesta una lentezza nell'elaborazione di ogni tipo di richiesta, sia motoria che cognitiva (noi osserviamo un bambino lento nelle risposte: questo atteggiamento viene purtroppo spesso confuso con un ritardo cognitivo o con pigrizia e svogliatezza!).È fondamentale cercare di modificare il più possibile quei processi disfunzionali, osservare le potenzialità di ciascun bambino e farle emergere, permettere al bambino di acquisire padronanza del proprio corpo, di "sentirsi a proprio agio e competente con il suo corpo" in modo da affrontare le sfide della vita, sapersi orientare correttamente nello spazio-tempo, sapersi organizzare nella vita scolastica/relazionale/professionale, e raggiungere una discreta capacità di azione, percezione e di pensiero.Quando i genitori ci chiedono quanto tempo durerà la terapia, noi rispondiamo che ogni bambino ha un proprio tempo di evoluzione, di "recupero motorio-emotivo-relazionale-comportamentale", di espressione. Non possiamo sapere quanto tempo occorre affinché si modifichino le reti neurali e si instaurino nuove e giuste connessioni sinaptiche grazie alla neuroplasticità cerebrale, perché questo è un meccanismo che richiede una precisa costanza, intensità, frequenza, giusta attivazione del trattamento riabilitativo!Perché genitori o anche insegnanti hanno difficoltà a riconoscere precocemente un bambino disprassico? Probabilmente perché non presenta segni del corpo, è uguale agli altri nell'aspetto, è intelligente, ma anche buffo, imprevedibile, creativo, e spesso anche intuitivo, ricco di risorse e brillante. Ad una prima osservazione, dal modo di muoversi, di rapportarsi, di comunicare, di esplorare, è riconoscibile solo dai professionisti del settore. Piccoli che diventano adolescenti, molto spesso non compresi, che lottano quotidianamente anche per raggiungere minimi obiettivi decisamente inferiori rispetto ai loro pari, che collezionano continui insuccessi e che vengono costantemente messi alla prova e di fronte alle loro difficoltà, senza possedere le strategie per affrontarle, che vengono spronati a fare cose che in realtà non possono fare, sperimentando quel forte senso di frustrazione o fallimento che pian piano li porterà ad avere sempre meno fiducia in loro stessi.Bambini che giungono alla nostra osservazione dopo anni di percorsi inutili e fallimentari, ormai stanchi e demotivati, disinteressati e piuttosto "depressi"; dopo aver convissuto per anni con questa loro problematica non riconosciuta, non compresa, ed essendosi infine convinti di essere soggetti incapaci, stupidi, falliti, che non riusciranno mai nella vita scolastica, relazionale o lavorativa.Quello della terapia è un percorso lungo, faticoso, pieno di ostacoli ma che, una volta sperimentati e superati, permetterà a questi bambini di intravedere uno spiraglio di luce nel loro mondo così incerto, cupo e infelice. ⚠️Lavorare con questi bambini richiede un estremo impegno sia a livello fisico, che emotivo e cognitivo: non bisogna utilizzare pratiche lente o frammentate con i Disprassici ma bisogna essere rapidi, estremamente rapidi, con le azioni, con il corpo, con il pensiero. I bambini disprassici non aspettano ma "fluiscono, corrono": il loro corpo va, cammina, agisce continuamente o, al contrario, sta fermo, non fa nulla. Per cui non c'è tempo per fermarsi, per cedere alla loro "inerzia o iperattività motoria e cognitiva" ma bisogna agire mentre si pensa, senza tentennare o fare pause, senza stop o interruzioni (ecco che ritorna il concetto di "sinestesie", ovvero eseguire due compiti in contemporanea). Non ci sono momenti di recupero con il bambino disprassico, non ci deve essere lentezza né spazio per farlo riposare ma l' esatto opposto: lui deve stancarsi, deve "mettersi in moto", deve "riattivarsi". Solo così quelle connessioni neuronali cresceranno e si rafforzeranno, permettendo al suo organo intellettivo di funzionare adeguatamente, solo in questo modo andremo a "scuotere" e riattivare gli scambi inter-emisferici, a garantirne la FLUIDITÀ e la RAPIDITÀ, e di conseguenza rendere fluido e rapido il nostro bambino nelle azioni, nel pensiero, nel comportamento, nelle emozioni!È un lavoro arduo, stancante, non solo per il bambino ma anche per noi professionisti, e ricordate che solo se il BAMBINO USCIRÀ STANCO DALLE VOSTRE TERAPIE, SIGNIFICHERÀ CHE IL TRATTAMENTO STA FUNZIONANDO e sta SMUOVENDO QUALCOSA NEI SOTTILI E COMPLESSI PROCESSI NEUROLOGICI! (Articolo a cura della Dott.ssa Francesca Tabellione, tnpee- docente presso enti accreditati, specializzata in neuropedagogia dei processi cognitivi e psicomotricità neurofunzionale, terapista itard) /wp:html
Per saperne di più
I nostri Blog – da admin
COME POSSIAMO FAVORIRE O INCREMENTARE LO SVILUPPO DEL LINGUAGGIO NEL BAMBINO?STRATEGIE E CONSIGLI UTILI
wp:html SEMPLICI CONSIGLI E STRATEGIE PER SVILUPPARE O INCREMENTARE IL LINGUAGGIO DEL BAMBINO Iniziamo con una constatazione neurofisiologica e neurobiologica fondamentale: il cervello del bambino è plastico, come diceva la famosa Montessori. Che cosa significa questo? Che il suo cervello in formazione è come una spugna, ovvero assorbe tutto ciò che raccoglie attraverso i sensi, i nostri primi canalizzatori- vista, udito, tatto, gusto, olfatto- sia in positivo che in negativo. La differenza tra il cervello adulto e quello infantile è che il bambino nasce con uno staff di neuroni al completo ma questi neuroni non comunicano tra loro; solo successivamente impareranno a farlo (quando il piccolo compie esperienze sensoriali e motorie) attraverso le sinapsi, che sono collegamenti tramite i quali i neuroni si scambiano le informazioni determinando il costante processo di adattamento all’ambiente circostante. Grazie alle sinapsi e alle interconnessioni di una quantità immensa di informazioni che rendono possibili, la mente riesce a svolgere tutte le sue funzioni cognitive. Questa premessa serve per farvi capire come "immergere" il neonato, già dai primi mesi di vita, in un ambiente altamente stimolante a livello "uditivo" sia molto positivo, un ambiente fatto prima di toni di voce pacati e rilassanti all'occorrenza, poi di parole, e ancora dopo di frasi chiave per esprimere un bisogno o un desiderio, fino al discorso lineare e sintatticamente strutturato. In questo modo ecco che entra in gioco quella che pare una timida ma intrigante "magia" rappresentata dal fatto che, grazie alla neuroplasticità cerebrale, si formerà lo schema linguistico che sarà proprio di quel bambino vissuto in quel dato ambiente. Il bambino già a partire dai 6 mesi comprende il linguaggio dell'adulto, fatto di gesti, sguardi, suoni dolci, espressioni: questo significa che la sua comprensione avviene molto prima della produzione del linguaggio. Dai 6 mesi o poco dopo, inoltre, compare la "lallazione", una serie interminabile di sillabe ripetute (bababababa, lalalalalala) che costituisce la prima forma di comunicazione: il bimbo si sente corrisposto quando ripete queste sillabe e per la prima volta "dialoga" con qualcuno, anche se a suo modo. Sebbene esista una notevole variabilità inter-individuale nello sviluppo del linguaggio, ovvero ogni fanciullo sviluppa il suo linguaggio in tempi e in modi differenti, si possono individuare delle tappe fisiologiche all'interno delle quali ciascun bambino dovrebbe rientrare. Di norma, l'età di comparsa delle prime parole si colloca tra gli 11 e i 13 mesi; successivamente possiamo distinguere due fasi principali: la prima fase é intorno ai 12-16 mesi, caratterizzata da un vocabolario di circa 50 parole. La seconda fase è verso i 17-24 mesi, in cui sviluppa un vocabolario di circa 100 parole fino a comporre vere e proprie frasi con due o più parole verso i 30 mesi (es. "Mamma pappa"). Le prime parole riguardano le sue necessità primarie: "pappa, nanna, ciuccio"; successivamente comincerà a pronunciare anche "mamma, papà, nonna", in particolare quando il fanciullo si accorge che, chiamandoli per nome, i propri caregiver si girano e rispondono alle sue richieste. In poco tempo emerge la cosiddetta "esplosione del vocabolario", in cui ogni oggetto viene etichettato correttamente, soprattutto perché il bebè è entusiasta di "comunicare"! 7 CONSIGLI PRATICI PER LO SVILUPPO LINGUISTICO È scientificamente dimostrato come i genitori e le figure primarie che ruotano attorno al bambino giochino un ruolo fondamentale nell'adottare una serie di sani accorgimenti e nel sostenere il bambino al meglio verso un corretto sviluppo comunicativo, linguistico e cognitivo dal momento che, come abbiamo accennato, il linguaggio è un'abilità che si assorbe e si apprende dall'ambiente circostante. 1. GUARDARE IL BAMBINO NEGLI OCCHI QUANDO SI PARLA: anche se il sistema visivo non è completamente maturo alla nascita, si osserva che i bambini di soli due giorni di vita sono maggiormente attratti verso i volti che li guardano. Dunque è importante guardare il piccolo negli occhi quando giochiamo con lui, quando mangia, quando dice le prime paroline o quando gli parliamo (in modo che possa anche osservare i nostri movimenti oro-bucco-facciali, fondamentali per l'articolazione dei suoni). 2. PARLARE IN MANIERA CHIARA, SEMPLICE MA CORRETTA I genitori devono sempre parlare al bambino utilizzando una terminologia corretta e senza distorcere le parole, a partire dalle prime settimane di vita: anche se il neonato non comprende il significato dei suoni che sente pronunciare, pian piano tali suoni verranno inconsapevolmente interiorizzati e "fatti propri" per produrre in futuro prima le sillabe e poi le parole. Utilizzare pertanto un linguaggio lineare, a ritmo costante (né troppo lento né troppo rapido) e fatto di frasi brevi che descrivano passo dopo passo ciò che fa il bambino, che vede o che sente/prova. 3. FAVORIRE L'USO DEI GESTI: prima di parlare, il bambino piccolo indica per comunicarci ciò che desidera, utilizzando quella che viene chiamata "comunicazione gestuale". I gesti sono dei precursori del linguaggio, servono per pensare e per parlare: vi è quindi una correlazione diretta tra azioni, gesti e produzione linguistica. 4. FAVORIRE LA LETTURA: la lettura condivisa è una delle attività più semplici e preziose che possiamo fare per sostenere l'evoluzione linguistica, comunicativa e cognitiva. Ascoltare una storia, già a partire dai 6 mesi di vita, stimola la comprensione verbale e permette di apprendere le prime parole naturalmente, in modo che quando sarà pronto, il bambino potrà pronunciarle. Il suo cervello è come una spugna quindi, anche parole che leggiamo e che pensiamo possano essere per lui difficili, è bene spiegarle cercando di utilizzarle anche nel quotidiano. 5. FAVORIRE LA CONDIVISIONE DI ESPERIENZE: stimolare il linguaggio anche attraverso le opportunità di relazione e di socializzazione, ad esempio possiamo portare il bambino al parco giochi, all'asilo o allo zoo, creando opportunità per apprendere altri vocaboli e per condividere esperienze ed emozioni nuove. Ad esempio, al rientro dall'asilo, chiediamo al bambino cosa ha fatto a scuola, se ha condiviso qualche gioco con gli amichetti, se ha giocato da solo e cerchiamo di fargli esprimere anche le proprie emozioni (gioia, tristezza, divertimento, paura, rabbia, sorpresa, ecc). 6. EVITARE DI SOSTITUIRCI AL BAMBINO: molto spesso facciamo il grave errore di sapere quello di cui il piccolo ha bisogno. Così facendo non diamo a lui né il modo né il tempo di comunicare e di sviluppare adeguatamente le proprie abilità comunicativo-linguistiche. 7. ESPANDERE LE FRASI ED EVITARE DOMANDE CHIUSE: anziché interrompere e correggere il bambino mentre parla, aspettiamo che finisca la frase e, senza mai dirgli che ha sbagliato, forniamogli il modello corretto e la giusta intonazione. Ad esempio, se dice: "ciuccio sporco", possiamo ampliare la frase dicendo: "si, il tuo ciuccio è caduto a terra e ora è sporco!". Inoltre sarebbe consigliabile evitare le domande chiuse che limitano lo sviluppo del linguaggio, bensì incitare quelle aperte in modo che il bimbo possa parlare il più possibile e sforzarsi nel ricercare e produrre paroline. Quindi, non dobbiamo dire ad esempio "vuoi la carne?" ma "cosa vogliamo mangiare di buono a pranzo?", e soprattutto non dobbiamo mettere fretta al bambino ma dargli qualche secondo per elaborare la domanda e fornire una risposta (se questa risposta non ci sarà, riformuleremo di nuovo la domanda in modo più semplice o con altre parole, assicurandoci che il piccolo ci stia ascoltando e soprattutto guardando negli occhi!). (Articolo a cura della Dott.ssa Francesca Tabellione, tnpee- docente presso enti accreditati, specializzata in neuropedagogia dei processi cognitivi e psicomotricità neurofunzionale, terapista itard) /wp:html
Per saperne di più
I nostri Blog – da admin
COSA SI NASCONDE DIETRO UNA GOFFAGGINE, UN PROBLEMA DI COMPORTAMENTO E UN PROBLEMA DI LINGUAGGIO DI UN BAMBINO⁉️
wp:html DIETRO UNA GOFFAGGINE"Mio figlio si stanca facilmente e si ferma quando succhia il latte dal seno, preferisce alcune consistenze particolari di cibo, manifesta una frequente salivazione con tendenza a tenere la bocca aperta, fatica nei passaggi posturali, ha una ritardo nella deambulazione, è impacciato nei movimenti e a livello coordinativo, ogni cosa che tocca la rompe o la fa cadere, non riesce a impugnare bene le posate o la matita, non è capace di afferrare una palla di normali dimensioni con le mani ma spesso la afferra con gli avambracci supinati e dopo vari tentativi, non ha una idonea percezione del proprio corpo e non sa quanta distanza intercorre tra il proprio corpo e altri oggetti: per tale ragione cade di frequente, inciampa o sbatte contro i mobili o le persone, non riesce a capire come posizionare il proprio corpo per infilarsi la giacca o le scarpe e per pianificare un'azione, quando salta perde l'equilibrio o stacca poco i piedi da terra, ha paura delle altezze e dei giochi come scivolo e altalene" DIETRO UN PROBLEMA DI COMPORTAMENTO "Mio figlio è ipercinetico (non sta mai fermo), è in continua agitazione ed è irrequieto, sembra come "mosso da un motore", interrompe gli altri quando parlano, non ascolta e sembra avere la testa tra le nuvole, sembra apparentemente "pigro e svogliato" (ma non si tratta di cattiva educazione da parte dei famigliari o di un atteggiamento volontario del bambino, piuttosto di qualcosa che sta accadendo all'interno del suo sistema nervoso non visibile ai nostri occhi e che raramente consideriamo come un vero e proprio "segnale d'allerta" per poter intervenire precocemente), passa da un gioco o compito all'altro senza mai portarlo a termine, fa fatica a concentrarsi e non riesce a seguire un discorso/una domanda/un cartone, non rispetta le regole e non tollera i tempi di attesa, non pensa prima di agire finendo spesso "nei guai", ha atteggiamenti controllanti e da leader verso i suoi pari, vuole imporre le sue idee, non tollera i rimproveri e le frustrazioni adottando atteggiamenti aggressivi o oppositivi" DIETRO UN PROBLEMA DI LINGUAGGIO "Mio figlio manifesta un'assenza del gesto deittico - non indica per richiedere un oggetto desiderato, non condivide con il caregiver l'attenzione e l'emozione verso un gioco (l'attenzione condivisa - guardare insieme, verso - una persona, un oggetto o un evento rappresenta un importante requisito per il normale sviluppo cognitivo del bambino, in particolare per lo sviluppo del linguaggio, per lo sviluppo delle abilità relazionali e per la capacità di comprendere il punto di vista dell’altro. Questa abilità si realizza tramite la condivisione dello sguardo o di un gesto che permette di stabilire, mantenere e dirigere l’attenzione), vi è un'assenza del gioco simbolico tra i 18 e 24 mesi (il gioco simbolico è una modalità di gioco in cui il bambino rappresenta, attraverso il materiale che ha a disposizione, qualcosa che non è presente realmente e permette al bambino di fare un'esperienza creativa, simbolica, motoria e sensoriale. Durante questa modalità di gioco, i bambini non stanno “imitando” qualcuno o qualcosa, ma stanno “interpretando” a loro piacimento una storia. Proprio per questo motivo, il gioco simbolico diventa un modo per esprimere la sfera affettiva, emotiva e relazionale del bambino e per arricchire il proprio lessico), un'assenza della lallazione e un ritardo di linguaggio manifestando, a circa 2 anni, un vocabolario di sole 20 parole (sebbene la lallazione inizi molto prima, di solito intorno agli 8-9 mesi, lo sviluppo del linguaggio vero e proprio, in cui il bambino prova a chiamare oggetti e persone associandoli a un nome, è successivo e si verifica, generalmente, tra i 13 e i 18 mesi. Di solito intorno ai 24 mesi il bambino ha sviluppato un vocabolario di circa 100 parole, ma è intorno ai 30 mesi che inizia a comporre vere e proprie frasi di più di due parole), non riesce a farsi comprendere comunicando solo attraverso i gesti e va in frustrazione, adottando di conseguenza atteggiamenti oppositivi o di pianto inconsolabile" Bene!, Se notate alcuni o molti di questi accurati SEGNI E SINTOMI CHE VI ABBIAMO ELENCATO, NON CI STANCHEREMO MAI DI RIPETERE DI INTERVENIRE TEMPESTIVAMENTE AL FINE DI EVITARE RIPERCUSSIONI SIGNIFICATIVE SU TUTTO LO SVILUPPO DEL BAMBINO, da quello MOTORIO a quello AFFETTIVO-RELAZIONALE, EMOTIVO, COGNITIVO PERTANTO, VI INVITIAMO A UTILIZZARE GLI STRUMENTI VALUTATIVI FUNZIONALI DA NOI REALIZZATI (e che stiamo diffondendo non solo tra i professionisti ma anche tra gli insegnanti) CHE VI PERMETTERANNO DI SEGNALARE ED EVIDENZIARE PRECOCEMENTE ALCUNI ASPETTI MOTORIO-PRASSICI, COMPORTAMENTALI O COGNITIVI/SCOLASTICI DISFUNZIONALI, OVVERO NON IN LINEA CON L'ETÀ CRONOLOGICA DEL BAMBINO, CREATI APPOSITAMENTE E ACCURATAMENTE PER METTERE IN LUCE DISFUNZIONI QUALITATIVE (CHE ALTRIMENTI, CON I SOLI TEST QUANTITATIVI STANDARDIZZATI, NON EMERGEREBBERO!). (Articolo a cura della Dott.ssa Francesca Tabellione, tnpee- docente presso enti accreditati, specializzata in neuropedagogia dei processi cognitivi e psicomotricità neurofunzionale, terapista itard) /wp:html
Per saperne di più
I nostri Blog – da admin
DISPRASSIA: DEFICIT O DISORDINE⁉️
wp:tadv/classic-paragraph 1. Cos'è e come si manifesta 2. Possibili cause 3. Come aiutare un bambino disprassico ------------------------------------------------------ 1. COS'È LA DISPRASSIA La DISPRASSIA è un disordine o disturbo funzionale e qualitativo (non è un deficit dal momento che non c'è un danno vero e proprio alla struttura del cervello) nel rappresentarsi mentalmente- progettare- ed eseguire una sequenza di atti motori volontari e intenzionali necessari al raggiungimento di un obiettivo, che influisce sullo sviluppo della pianificazione e della coordinazione motoria. Spesso la diagnosi è tardiva o non viene effettuata, perché erroneamente il quadro clinico viene scambiato per semplice goffaggine anziché essere considerato come disturbo del cervello nella capacità di elaborare le informazioni sensoriali (vestibolari, cinestesiche o propriocettive, tattili). Il problema è nel modo in cui il cervello di un bimbo disprassico registra e processa le percezioni, con la conseguenza di un'immagine corporea scarsamente organizzata e con difficoltà nel pianificare semplici e nuove azioni non solo a livello motorio ma anche a livello cognitivo/del pensiero (ad esempio allacciarsi le scarpe, andare in bici, salire e scendere le scale, resocontare una storia, mangiare impugnando correttamente le posate, afferrare una palla, prepararsi lo zaino o un panino, vestirsi/svestirsi, abbottonare/sbottonare, ecc.). È come se il bambino non riuscisse a controllare le sensazioni che riceve dal proprio corpo e a dare una risposta adattiva efficiente, ovvero una reazione intenzionale finalizzata a uno scopo o ad una esperienza sensoriale. È un bambino che fatica a raggiungere quello che noi chiamiamo "AUTOMATISMO": ogni volta deve pensare e ri-pensare a come pianificare un dato movimento perché è come se non gli "penetrasse dentro". Una particolarità insolita è che spesso, pur avendo problemi di pianificazione, sono bambini coordinati nell'esecuzione di compiti motori conosciuti e su cui si sono esercitati ripetutamente (come può essere uno sport che praticano da anni) ma sono impacciati quando devono provare a realizzare azioni nuove e inusuali, non abitudinarie. Ricordiamo che la pianificazione motoria è ben diversa dallo sviluppo di quelle capacità per le quali siamo stati già programmati (come gattonare o deambulare, abilità dipendenti dal SNC): essa è il risultato di una buona integrazione sensoriale e rappresenta il collegamento tra gli aspetti sensori-motori e quelli intellettuali della funzione cerebrale. È importante essere capaci di identificare i campanelli d'allarme già in età prescolare (fascia d'età 2-6 anni) per intervenire tempestivamente e ridurre le difficoltà che il bambino incontra non solo a livello motorio ma anche emotivo, socio-relazionale e adattivo. «Impegnati di più, vedrai che ci riuscirai se vuoi!». «Guarda quanto sei pigro e svogliato». «Devi velocizzarti di più", sono le classiche frasi che sentiamo pronunciare talvolta da genitori o insegnanti nei confronti di questi bambini, inconsapevoli del grave impatto che tali frasi hanno sulla loro autostima, già così tanto fragile! La disprassia è dunque un disordine neurologico che esordisce precocemente e può diventare pervasiva, influenzando diverse e più aree dello sviluppo (area motoria, verbale, cognitiva, emotiva, relazionale), se non viene tempestivamente riconosciuta! I dati ci indicano che la disprassia è presente nel 6% della popolazione tra i 6 e i 15 anni ed è più frequente nei maschi rispetto alle femmine con un rapporto di 3:1. Sono bambini che hanno un QI nella media o superiore alla stessa. Potremmo dire che sanno cosa vogliono fare, ma non riescono a farlo: "vogliono andare in bici ma non riescono a mantenere l'equilibrio, vogliono afferrare un oggetto come una matita o un cucchiaio ma lo prendono con più o meno forza del necessario, vogliono fare un puzzle ma non riescono a riconoscere percettivamente i singoli pezzi e a ruotarli mentalmente, vogliono giocare ma non sanno cosa devono fare con gli elementi di un dato gioco, vogliono relazionarsi con i coetanei ma non riescono a prendere rapidamente la parola all'interno del gruppo, vogliono giocare a palla ma non sanno dosare la forza e non sono capaci di afferrarla o le loro mani si chiudono troppo prima o troppo dopo l'afferramento, vogliono mettersi il giubbino da soli ma non sanno come posizionare il loro corpo per infilarlo", insomma vorrebbero riuscire in qualcosa ma avvertono che sono completamente incapaci di realizzare ciò che invece un loro pari compie con assoluta scioltezza. Oppure raggiungono un obiettivo con un dispendio energetico e mentale nettamente superiore rispetto ai loro coetanei: questo provoca uno smarrimento spazio-temporale e un affaticamento dei loro processi cognitivi con facile dispersione attentiva, precoce stancabilità e perdita di motivazione. Spesso la DISPRASSIA, se non si lavora in età prescolare sulle varie aree deficitarie attraverso un intervento che deve essere RAPIDO-INTENSIVO-COSTANTE-SIMULTANEO (per innalzare l'attività elettrica corticale e garantire la fluidità degli scambi inter-emisferici che sono randomizzati, ovvero rallentati), porta in età scolare a un disturbo specifico di apprendimento: i bambini disprassici non necessariamente vanno incontro ad un dsa ma tutti i bambini con dsa sono disprassici. COME SI MANIFESTA LA DISPRASSIA a) I principali segni e sintomi del disturbo da 1 mese di vita a circa 24 mesi sono: - difficoltà nei passaggi posturali e nel controllo del capo - discontinuità nella fissazione e nell'inseguimento di un oggetto entro il campo visivo, contatto oculare sfuggente - difficoltà o impaccio nella prensione di oggetti - disinteresse verso giochi - ritardo/assenza del gattonamento o della lallazione, ritardo nella deambulazione o nel linguaggio (pronuncia meno di 50 parole a 24 mesi) - uso non funzionale di oggetti - assenza del gioco simbolico ("gioco del far finta") - selettività alimentare (non tollera alcune consistenze particolari) - ipersensibilità a suoni o luci forti - ipermotricità e ipo o ipertonia. b) In età prescolare i segni e sintomi della disprassia sono: - lentezza nell'incipit dell'agire o lentezza motorio-prassica alternata a precipitazione - attenzione su un gioco labile e discontinua, sofferenza o eccitazione alla confusione/ iperstimolazione - impacci nei giochi con la palla, nell’afferrare o manipolare giochi/ strumenti (es: matite e colori, forchette) - difficoltà nell’andare con il triciclo o in bicicletta con le rotelle - goffaggine e maldestrezza nei coordinamenti motori, percettivi, nell’equilibrio statico-dinamico - scarsa capacità di dosare la forza (controllo tonico) e scarso orientamento spaziale (il b.no non riesce a regolare la distanza tra il proprio corpo e gli oggetti, sbatte contro le persone, confonde le direzioni, si perde se il posto non gli è familiare, distrugge giocattoli perché non regola la forza, ecc.) - impacci nelle prassie fini e bimanuali (infilarsi vestiti o calzini, abbottonarsi, sbottonarsi, chiudere cerniere, ritagliare con le forbici, strappare pezzi di carta, ecc.) - comportamento impulsivo e ipercinetico o al contrario passivo (alcuni bambini sono iperattivi mentre altri sembrano reagire poco o per nulla alle stimolazioni ambientali che ricevono) - scarsa percezione corporea e dominanza laterale non stabilizzata (a 5 anni) - disegno e gioco spontanei poveri e immaturi - difficoltà nelle prassie visuo-costruttive (giocare con i lego, fa fatica a fare semplici puzzle o a trovare strategie per risolvere un gioco, utilizza sempre la stessa modalità o persevera negli errori) - disordini linguistici e articolatori - disordini grafo-motori e difficoltà nei ritmi (percezione temporale) - lentezza nell’adeguarsi ai cambi di attività, giochi o ambienti - disordini nella memoria di lavoro sequenziale (non ricorda 2 richieste in sequenza: vai in cucina e prendi il bicchiere) - disordini nell’organizzazione temporale (non sa dire la sua data di nascita o il giorno del suo compleanno, non sa mettere in sequenza semplici azioni - metto prima i calzini o le scarpe?, fa fatica con i concetti di ieri-oggi-domani o con i giorni della settimana) - difficoltà nell’esecuzione delle sinestesie (es: colorare/correre/saltare e parlare contemporaneamente) c) Segni e sintomi di Disprassia in Età Scolare sono: - lentezza nell’incipit motorio/verbale - difficoltà nell’organizzazione di un compito o di un gioco, nel pianificare e nel seguire le procedure sequenziali di un’attività - scoordinamenti e goffaggini negli sport di gruppo, nei giochi motori con la palla o nei coordinamenti oculo-motori/ percettivi/ senso-motori - fatica/letargia, frequente distraibilità soprattutto in presenza di più stimoli - notevole impacco nelle prassie bimanuali (es: fare il fiocco alle scarpe, prepararsi un panino, scarse autonomie AVQ, ecc.) - impacci negli schemi motori crociati e rotatori - scarso autofrenaggio e autocontrollo (è spesso impulsivo e ipercinetico) - scarsa flessibilità cognitiva - problemi negli apprendimenti scolastici: nella scrittura (fa fatica a rispettare i margini del foglio, il rigo o quadretto, a lasciare il giusto spazio tra le parole, tratto grafico poco fluido e immaturo, disortografia), matematica (mostra incertezze ad incolonnare i numeri, con i prestiti e riporti, nelle simmetrie, nel disegnare una figura geometrica, nel risolvere un problema e nel comprendere il testo), lettura (può essere sillabica, lenta e interrotta con conseguente scarsa comprensione del testo) - difficoltà nelle abilità visuo-spaziali e di analisi-sintesi - tono di voce monotono (con riduzione di ritmo, velocità, fluenza), difficoltà di articolazione o nella struttura sintattica di una frase, difficoltà a pronunciare parole lunghe (spesso compie inversioni di sillabe nelle parole) o scioglilingua - difficoltà nell’organizzazione temporo-spaziale (può perdersi negli ambienti nuovi, essere eccessivamente ordinato o eccessivamente disordinato) e nel pensiero (può essere lento e smarrito o intuitivo e brillante) - bassa autostima, scarsa tolleranza alla frustrazione, possibili comportamenti disadattivi, evitanti o oppositivi a causa delle loro difficoltà nell’affrontare le numerose sfide quotidiane, con la conseguenza di essere spesso esclusi dal gruppo e derisi dai loro compagni. Il quadro di disprassia è sempre riscontrabile all'interno di condizioni cliniche quali autismo, ADHD, disturbi del linguaggio e dell’eloquio, DSA. Possiamo distinguere differenti tipologie di Disprassia: dalla disprassia motoria, assiale, melocinetica a quella dell’abbigliamento (difficoltà nell’eseguire la giusta procedura sequenziale per indossare i vestiti, fare un fiocco alle scarpe, abbottonare la camicia), della scrittura (disgrafia), dello sguardo o disprassia oculare (fatica nell’inseguimento visivo o nel fissare lo sguardo, nella copia dalla lavagna), disprassia costruttiva (difficoltà nel ricomporre modelli che richiedono una pianificazione visuo-spaziale), disprassia verbale (difficoltà di programmazione dei movimenti articolatori necessari alla produzione ordinata di suoni, parole e frasi). Quest’ultima viene denominata anche Disprassia Verbale Evolutiva (DVE) in cui l'eloquio dei bambini è rallentato e scarsamente comprensibile, poiché hanno difficoltà nell' organizzare e coordinare i movimenti di mandibola, labbra e lingua per poter produrre il messaggio verbale. Tale disprassia può ricorrere come forma pura o essere associata a disturbi di programmazione motoria a carico di altri distretti corporei (disprassia manuale, oculo-motoria, ecc.) o al disturbo specifico di coordinazione motoria. 2. POSSIBILI CAUSE Come per altri disturbi complessi del neurosviluppo, cause certe sull'origine della disprassia sono ad oggi ancora poco chiare e conosciute. Sicuramente è presente una predisposizione genetica e una familiarità del disturbo: non è raro, infatti, che durante il colloquio anamnestico iniziale con il professionista, un genitore si immedesimi nelle stesse difficoltà presentate dal figlio. Attualmente si ritiene che la disprassia non sia dovuta a particolari lesioni cerebrali, ma tra le varie ipotesi causali emerge un’immaturità o un disordine a carico dei circuiti neurali, una lentezza negli scambi inter-emisferici o una dislateralità (che porta di conseguenza a un disordine funzionale nelle prassie). Tra i fattori predisponenti troviamo l’esposizione prenatale all’alcol, la prematurità, il basso peso alla nascita e la sofferenza pre o perinatale. La DISPRASSIA, all'interno dei manuali diagnostici, non è considerata come una condizione clinica a sé stante, bensì rientra tra i “Disturbi della Coordinazione Motoria”, indicati con la sigla DCD (Developmental Coordination Disorder). 3. COME AIUTARE UN BAMBINO DISPRASSICO Noi professioniste e specialiste dei Disordini dell'Età Evolutiva (dott.ssa Francesca Tabellione, dott.ssa Erika D'Antonio), riteniamo fondamentale la capacità da parte del pediatra di saper cogliere precocemente gli indici predittivi di questo probabile disturbo, in modo che egli possa indirizzare correttamente i genitori verso un miglior inquadramento diagnostico con un Neuropsichiatra Infantile e ad un Tnpee (Terapista della Neuro e psicomotricità dell'Età Evolutiva) per una valutazione più approfondita e accurata su tutte le aree dello sviluppo neuro-psicomotorio; successivamente il tnpee delineerà i punti di debolezza e di forza del singolo bambino e stimerà un piano di trattamento personalizzato e individualizzato ("cucito ad hoc" per il singolo bimbo) al fine di ridurre le difficoltà connesse al disturbo, rafforzare o migliorare le aree MOTORIO-PRASSICHE E COGNITIVE e limitare al massimo l'impatto che tali difficoltà possono avere a livello emotivo, sociale e nella vita quotidiana. Va sottolineato inoltre che più l’intervento è precoce ed efficiente (come abbiamo già accennato dobbiamo utilizzare pratiche rapide, simultanee e intensive e non lente o frammentate), maggiore è la probabilità che il bambino si velocizzi nell'incipit, nella reattività generale (da un punto di vista motorio, prassico, relazionale, neurocognitivo) e a livello esecutivo e che molti dei sintomi si riducano. - Innanzitutto bisogna stabilire un rapporto di empatia e fiducia reciproca col bambino e farlo sentire compreso e amato, incoraggiarlo senza rimproverarlo o punirlo per atteggiamenti o comportamenti che non sono dovuti ad una sua volontà o ad una sua svogliatezza, e premiare ogni minimo suo sforzo (anche se non raggiunge subito l'obiettivo). - Suddividere compiti complessi o articolati in piccole parti da portare a termine una per volta. - Per migliorare l'organizzazione motoria, si possono proporre attività sensori-motorie che aiutino il bambino a prestare attenzione alla sua postura, al suo equilibrio, al suo movimento e ad acquisire una maggiore consapevolezza del proprio corpo. - Proporre esercizi relativi alle stereognosie per aumentare la discriminazione tattile (riconoscimento di oggetti al tatto bendati). - Mimare o imitare gesti, posizioni, movimenti dell'esaminatore o del coetaneo. - Riprodurre ritmi sonori e sequenze spaziali o temporali. - Catturare l'attenzione del bambino e, prima di fargli delle richieste, accertarsi che vi stia guardando e che abbia compreso (dargli sempre 2 ordini per sviluppare la sequenzialità). Se necessario ripetere le istruzioni utilizzando un linguaggio lineare e senza alterarne la velocità (né troppo lento né troppo rapido). Per generalizzare gli obiettivi del trattamento abilitativo in altri contesti (casa, scuola, sport) sarebbe opportuno lavorare in sinergia con la famiglia e/o l'insegnante e ridurre l’impatto del disturbo sulla vita adattiva. Pertanto, dopo queste considerazioni, possiamo dire che la DISPRASSIA non è una malattia ma una condizione che accompagna il bambino durante l'arco della sua vita ma che può essere modificata. Tuttavia dobbiamo prestare attenzione a non ignorarne i campanelli d'allarme per poter dare la possibilità ai nostri bambini di avere un futuro migliore e appagante sotto ogni profilo. (Articolo a cura della Dott.ssa Francesca Tabellione, tnpee- docente presso enti accreditati, specializzata in neuropedagogia dei processi cognitivi e psicomotricità neurofunzionale, terapista itard) /wp:tadv/classic-paragraph
Per saperne di più
I nostri Blog – da admin
BAMBINI GOFFI, DISPRASSICI E BAMBINI IMPACCIATI: STRATEGIE E CONSIGLI PRATICI PER SUPPORTARLI NELLO SVILUPPO
wp:image {"id":2669,"sizeSlug":"large"} /wp:image wp:tadv/classic-paragraph ---- Articolo molto utile non solo per professionisti e insegnanti ma anche per genitori, che spesso ci pongono tali quesiti! ----- I problemi di un BAMBINO GOFFO si risolvono spontaneamente Come facciamo a ridurre l'impaccio o la goffaggine nel bambino Quali sono e come possiamo promuovere le ABILITÀ MOTORIE DI BASE per un maggior sviluppo delle ABILITÀ COGNITIVE ed EMOTIVE dei bambini disprassici in età prescolare e scolare Abbiamo deciso di ideare sia un corso specifico sulla "Disprassia e altri Disturbi di Coordinazione Motoria" e sia un "Manuale con numerosi Esercizi Neuropsicomotori" per permettere a tutti, professionisti del settore, insegnanti e anche genitori, di aiutare il bambino goffo, o maldestro, o impacciato, o con disprassia a sviluppare e promuovere accuratamente tutti i coordinamenti senso-percettivi e senso-motori, quindi la propria MOTRICITÀ, in modo da avere le basi per: - essere capace di pianificare, organizzarsi nella vita o nei compiti scolastici - memorizzare più informazioni in contemporanea - prestare attenzione e sapersi concentrare per periodi di tempo prolungati - adottare nuove strategie o pensare a strategie alternative per risolvere un compito o un'attività - sapersi adattare rapidamente a richieste e a circostanze mutevoli - saper prendere decisioni nel momento opportuno e in presenza di uno stato di incertezza - realizzare un futuro professionale appagante - avere una vita felice e con soddisfazioni. Vi ricordiamo che i problemi di un bambino goffo, con disprassia o con semplice impaccio motorio non si risolvono spontaneamente. Certamente, egli potrà imparare delle strategie o le cosiddette "competenze scheggia" per poter affrontare alcuni compiti quotidiani ma non sappiamo quanto sforzo e quanto impegno dovrà mettere per riuscire in quell'abilità, senza considerare il senso di frustrazione che proverà per aver impiegato così tanto nell'affrontare quel piccolo ostacolo che invece i suoi coetanei riuscirebbero a superare con scioltezza e senza impiego di energie! L'esercizio di un'abilità motoria o di una qualsiasi altra abilità, dovrebbe avvenire sempre in un'atmosfera positiva e con ricompense adeguate e varie (sociali, dinamiche o concrete), al fine di stimolarne la motivazione e l'interesse. Attenzione però: bisogna essere sinceri quando ci si complimenta con il bambino e soprattutto precisi nel feedback che gli diamo, poiché quest'ultimo non è soltanto un premio, ma anche uno strumento di insegnamento. Non limitiamoci a dire "Bravo", bensì utilizziamo frasi quali ad esempio: "Ho visto e apprezzato il modo in cui sei riuscito a tenere lo sguardo sulla palla che ti lanciavo ed è caduta anche poche volte. Continua così!". Solo quando il bambino acquisisce una nuova competenza o la esegue con maggior scioltezza, sarebbe opportuno passare ad una successiva. Di seguito citeremo alcune delle numerose aree di sviluppo neuro-psicomotorio che un professionista o un genitore dovrebbe sviluppare/ rinforzare, con lo scopo di ridurre eventuali impacci e goffaggini, e di rendere il bambino più fluido-organizzato-autoregolato anche a livello cognitivo ed emotivo: 1. CONSAPEVOLEZZA CORPOREA È la percezione inconscia della posizione, del movimento e della forza del corpo che deriva dai recettori sensoriali situati nelle articolazioni e nei muscoli (percezione = propriocezione). Quando il sistema propriocettivo non funziona efficacemente, non consente di operare degli aggiustamenti automatici e inconsci della posizione e dei movimenti del corpo in risposta al compito affrontato. Bambini che presentano una ipotonia, hanno spesso problemi propriocettivi e dunque troveranno beneficio da attività motorie che mirano a rafforzare i muscoli, quali portare pesi sulle braccia, spingere un carrello o tirare una corda, portare uno zaino pesante, fare pressione e lavorare contro una resistenza. Gli esercizi che proponiamo per stimolare il sistema propriocettivo sono utili anche per migliorare l'attenzione e l'organizzazione, poiché questo ulteriore stimolo può generare un effetto calmante: - strofinare o massaggiare con una certa pressione la schiena - indossare abiti stretti ed elasticizzati - eseguire compiti pesanti in casa, come portare buste della spesa, spingere una carriola in giardino - giocare al "tiro alla fune" - fare la "carriola", camminando sulle mani mentre l'adulto tiene il bambino per le caviglie - camminare sulle ginocchia o a quattro zampe, poggiando solo mani e piedi - saltare la corda o su un tappetino elastico - ricevere uno stimolo propriocettivo extra quando ad esempio il bambino sale le scale (si esercita una pressione sui fianchi per migliorare l'equilibrio, il controllo motorio e la stabilità del tronco e permettere al bambino di percepirsi maggiormente) - sdraiarsi sulla schiena e raccogliersi in posizione fetale - mettersi in posizione prona e fare l' "aeroplano" tenendo braccia, gambe e testa sollevati, rimanendo in questa posizione per alcuni secondi - schiacciare il bambino tra due cuscini tipo "sandwich" può aiutare ad organizzare il proprio sistema propriocettivo - giocare con pongo o das compatto - masticare cibi gommosi, caramelle gommose, liquirizia o cibi croccanti (patatine, salatini). 2. PIANIFICAZIONE DEI MOVIMENTI La capacità di pianificare i movimenti, chiamata anche "prassia", consiste nell'abilità di programmare e completare un nuovo compito o una nuova sequenza motoria e si distingue dalla coordinazione motoria che invece riguarda la capacità di eseguire un movimento in maniera fluida e armonica. Cosa deve fare un bambino per pianificare un movimento? Deve possedere una rappresentazione mentale dell'azione da compiere, un feedback vestibolare e propriocettivo relativo al movimento e la capacità di mettere in atto aggiustamenti automatici nel tempo e nello spazio. Il bambino con difficoltà di pianificazione motoria DISPRASSIA), mostra problemi nell'imparare abilità nuove, nel generalizzarle, necessita di esercitarsi varie volte affinché quell'abilità venga automatizzata, è disorganizzato nel tempo e nello spazio (utilizzo dei materiali, organizzazione dei compiti, ecc), può evitare giochi o attività che implicano abilità motorie e l'utilizzo del proprio corpo. Cosa molto importante da tener presente è che molti bambini con disturbi di pianificazione possono avere una buona coordinazione motoria nello svolgimento di compiti motori conosciuti e su cui si sono esercitati ripetutamente. Gli esercizi che possiamo suggerire per migliorare la pianificazione motoria di un bambino sono: - proporre compiti che implicano esperienze sensori-motorie di ogni tipo in modo da percepire maggiormente le sensazioni provenienti dal proprio corpo, soprattutto quelle che forniscono sensazioni vestibolari e tattili (camminare sulle ginocchia o a carponi, strisciare, saltare secondo varie modalità, lanciare una palla in modi diversi, ecc) - verbalizzare ogni passo da compiere durante un'attività motoria e, se necessario, puntare sulla ripetizione e sulla costanza - imitare sequenze di movimenti o di gesti di un coetaneo posto di fronte - proporre attività o percorsi da svolgere ad occhi chiusi supportando concretamente il bambino, in modo da incrementare la consapevolezza delle informazioni provenienti dal proprio corpo - scavare nel riso, nella sabbia o nel pongo per trovare piccoli oggetti nascosti; indovinare ad occhi chiusi in quale punto del corpo si viene toccati; indovinare la forma di un oggetto a occhi chiusi- stereognosie; indovinare la lettera dell'alfabeto che viene "tracciata" con il dito dal terapista dietro la schiena del bambino (bambini con problemi di pianificazione motoria manifestano quasi sempre difficoltà percettive legate al sistema tattile- scarsa discriminazione degli stimoli tattili). 3. INTEGRAZIONE MOTORIA BILATERALE Con questo termine si intende la capacità dei due lati del corpo di cooperare in maniera sincrona per eseguire compiti motori, una capacità che dipende da informazioni provenienti dal sistema vestibolare. I bambini che manifestano difficoltà in quest'area possono presentare un ritardo nella scelta della mano dominante per scrivere, impugnare le forbici o le posate. Intorno ai 2 anni e mezzo la maggior parte dei bambini comincia a prediligere una mano rispetto all'altra, "percependola" più forte e veloce; la dominanza si sviluppa poi gradualmente e si stabilizza in genere intorno ai 5 anni in corrispondenza del processo di lateralizzazione. Per attività meno complesse quali le costruzioni o i lego invece il bambino utilizza indifferentemente entrambe le mani lungo l'arco di alcuni anni. I bambini che arrivano alla scuola primaria senza aver sviluppato una chiara preferenza manuale possono manifestare difficoltà negli apprendimenti scolastici (ad esempio, nella scrittura un bambino che continua ad alternare le due mani potrà avere difficoltà a rispettare i versi, le direzioni, compiere specularità o inversioni), nelle sequenze motorie, nello spazio-tempo, nel comportamento, a livello emotivo-relazionale (il b.no può avere un atteggiamento impulsivo, dotato di scarso autocontrollo). L'alternanza delle mani è strettamente connessa con lo sviluppo della capacità di attraversare la linea mediana del corpo (è una linea immaginaria che va dalla testa ai piedi e che divide il lato dx da quello sx del corpo): si osserva infatti che intorno ai 2/3 anni, la maggior parte dei bambini non attraversa la linea mediana ma prende oggetti con la mano più vicina all'oggetto stesso, ovvero con la dx se l'oggetto sta alla destra del bambino e con la sx se l'oggetto si trova alla sua sx. È solo intorno ai 4/5 anni che il bambino comincia ad attraversare l'asse mediano con la mano dominante per afferrare diversi materiali. Per capire se ci sono difficoltà di attraversamento della linea mediana del corpo possiamo metterci di fronte al b.no e proporgli una successione di gesti che dovrà imitare. Spesso i bambini con problemi nell'attraversare l'asse mediano mostrano anche difficoltà nel seguire con gli occhi un oggetto che si muove attraversando l'intero asse (si può notare uno scatto degli occhi quando si raggiunge l'asse mediano), deficit nel seguire il rigo durante la lettura e nell'andare a capo, fastidio agli occhi o segni di affaticamento. Gli esercizi per migliorare l'abilità di integrazione motoria bilaterale di un bambino sono: - imitare movimenti, gesti e posizioni degli altri - proporre giochi di salto, gioco della campana - lanciare in alto una pallina da tennis con una mano e riprenderla con l'altra mano o passarsi la pallina da una mano all'altra. Idem con un cerchietto piccolo - utilizzare due contenitori piccoli che il b.no deve reggere in ciascuna mano per cercare di prendere una pallina che viene lanciata da una mano all'altra, in modo da favorire il controllo bilaterale - giochi di coordinazione bimanuale quali infilare, attaccare, travasare, ritagliare - tenere in ciascuna mano un gesso e invitare il b.no a realizzare alla lavagna letterine o figure (come un cerchio) con entrambe le mani in contemporanea - giochi prassico-costruttivi quali costruire configurazioni con cubetti o con pongo utilizzando entrambe le mani in sinergia - invitare il b.no a sdraiarsi a terra in posizione supina e chiedergli di far scivolare braccia e gambe in sù e in giù, prima ad occhi aperti e poi chiusi, come se dovesse lasciare un impronta nella sabbia. Idem ma facendogli muovere il braccio sx e la gamba dx tenendo fermi gli altri distretti del corpo - tenere in ciascuna mano una racchetta da ping-pong e passarsi un palloncino da una racchetta all'altra il maggior numero di volte possibile, senza farlo cadere. 4. EQUILIBRIO L'equilibrio rappresenta un'altra componente fondamentale dello sviluppo motorio del bambino, correlato al sistema vestibolare che si scambia continuamente informazioni con il cervelletto relative alla posizione, al movimento, alla coordinazione, alla velocità e alla gravità. Ci sono bambini che fanno fatica ad elaborare gli input vestibolari e si mostrano molto sensibili, hanno spesso vertigini e non prediligono ma evitano esperienze di movimento intense; piuttosto mantengono la testa in posizione di allineamento verticale (passano tutto il tempo a muoversi il meno possibile per non cadere), hanno paura di fare capriole, mettersi a testa in giù, salire e scendere le scale. Al contrario, bambini con una sensibilità ridotta agli input vestibolari, ricercano movimenti intensi, si muovono di continuo, muovono la testa in avanti e indietro, saltano e si dondolano (al fine di fornire quante più informazioni possibili al SNC), non soffrono di vertigini. Un buon equilibrio dipende anche sia da un adeguato feedback propriocettivo che visivo. In merito quest'ultimo aspetto, la stretta relazione esistente tra sistema visivo e sistema vestibolare è dimostrata dal fatto che alcune persone avvertono vertigini mentre guardano altri sulle montagne russe; oppure il fissare un punto stabile può aiutare a rimanere in equilibrio quando si cerca di stare su un solo piede. Se un bambino è in grado di reggersi meglio in equilibrio tenendo gli occhi aperti, significa che si sta affidando agli stimoli visivi per mantenersi in equilibrio. Alcuni esercizi per sviluppare una migliore consapevolezza degli input vestibolari e il senso dell'equilibrio sono: - incoraggiare attività di gioco all'aperto come scivoli, altalene, giostre, cavalli a dondolo - giochi di salto da uno scalino basso a piedi uniti o da una pedana/mattoncino - cammino lungo una linea disegnata a terra, portando una palla in mano sopra la testa, o tenendo due palline una in ciascuna mano, o portando un cucchiaio con sopra una biglia - saltare a piedi uniti sopra dei tappetini disposti a zig zag 5. COORDINAZIONE MOTORIA FINE Il controllo motorio fine è fondamentale per numerose abilità quotidiane quali impugnare correttamente uno strumento grafico o una posata, afferrare un oggetto, pianificare prassie fini settorializzando le singole dita a seconda del compito richiesto, e mantenendo spalla, braccio, gomito, polso in posizione stabile. Alcuni degli esercizi che possono stimolare i movimenti di grande progressione (fluidità e stabilità di spalla, gomito, polso) e di piccola progressione (mani e dita) sono: - camminare sulle ginocchia, fare la "carriola", tirare o spingere oggetti pesanti - disegnare, fare puzzle, leggere, assumendo la posizione prona (sulla pancia) per la stabilizzazione del cingolo scapolare, importante per le attività che coinvolgono la scrittura - eseguire attività fini motorie come incollare adesivi, usare mollette o pinze di diversa grandezza, -realizzare palline di pongo con i polpastrelli - realizzare griffonages su un piano verticale (lavagna) - eseguire gesti simbolici (fare ok, le corna, la cornetta del telefono) - mischiare e distribuire delle carte - ruotare una matita tenendola con le prime tre dita. (Articolo a cura della Dott.ssa Francesca Tabellione, Erika D’Antonio, tnpee- docenti presso enti accreditati, specializzate in neuropedagogia dei processi cognitivi e psicomotricità neurofunzionale, terapiste itard) /wp:tadv/classic-paragraph
Per saperne di più
I nostri Blog – da admin
L' AUTOREGOLAZIONE IN ETÀ PRESCOLARE: CAPACITÀ FONDAMENTALE PER LO SVILUPPO MOTORIO, COMPORTAMENTALE, EMOTIVO E COGNITIVO DEL BAMBINO
wp:tadv/classic-paragraph Iniziamo questo articolo interrogandoci su tali quesiti: --> Quando possiamo dire che un bambino è autoregolato e si sa controllare nei differenti contesti di vita (casa, scuola, sport)? --> Quando è semplicemente vivace o al contrario cela una disregolazione comportamentale di base dovuta ad una disfunzione esecutiva? -->Quando e a che età un bambino deve aver acquisito un buon autocontrollo sia motorio (comportamentale) e sia emotivo/cognitivo? Spesso noi professionisti ci troviamo di fronte a genitori o insegnanti che ci dicono “il bambino è svogliato, è pigro, quando vuole ce la fa, non ha voglia di impegnarsi e concentrarsi”. Attraverso questo articolo, quello che noi possiamo dirvi e su cui vogliamo che voi riflettiate è: “siete certi che tali atteggiamenti, come ad esempio una distrazione, una goffaggine motoria, un comportamento non autoregolato o uno scarso impegno dipendano dalla volontà di vostro figlio/alunno? O potrebbero essere il prodotto di un qualcosa di invisibile che sta accadendo all’interno del loro sistema nervoso, dunque di disfunzioni esecutive che “alterano" il comportamento, l’autocontrollo, la relazione e gli apprendimenti?”. Pertanto vi invitiamo a capire e conoscere insieme a noi cosa si nasconde dietro un determinato comportamento del bambino, in modo da poterlo aiutare a superare eventuali difficoltà che da solo non è in grado di affrontare perché privo dei corretti strumenti di cui necessita. La componente genetica è senza dubbio un fattore importante nell’eziologia dei vari disturbi dell’età evolutiva e un intervento tempestivo, in età precoce (prescolare), basato sulla stimolazione dei vari domini esecutivi ad iniziare principalmente dai processi inibitori, puó aiutare i bambini a ridurre notevolmente il rischio di alcuni disordini evolutivi, come il Disturbo dell’Autoregolazione che si caratterizza per una difficoltà nel controllo degli impulsi/istinti e delle emozioni, difficoltà nei tempi di attesa e di turnazione, nel mantenere e sostenere l’attenzione per un periodo di tempo prolungato, bassa tolleranza alla frustrazione, problemi nella working memory e nella flessibilità cognitiva, atteggiamenti aggressivi o oppositivi verso gli altri, ecc). Perché iniziare già dall’età prescolare? Premettendo che in età prescolare si osserva un incremento a carico di differenti domini esecutivi quali: - Controllo inibitorio e attentivo (Davidson, 2006) - Working memory o memoria di lavoro (Smith, 2008) - Flessibilità cognitiva (Zelazo, 2001), nella fascia d’età 3-6 anni i circuiti dei bambini non sono ancora ben connessi tra loro, le competenze non sono ancora così specializzate da limitare la generalizzazione dei risultati. In età precoce possiamo aiutare a ristabilire le corrette connessioni sinaptiche in modo che esse siano più stabili e consolidate nel tempo. Inoltre se stimoliamo il bambino in questo periodo temporale critico per lo sviluppo delle FE permetteremo al suo pensiero e al suo comportamento di organizzarsi con maggiore flessibilità e autocontrollo, minore rigidità e impulsività, e di acquisire schemi cognitivi che andranno a consolidarsi nell’architettura cerebrale del bambino grazie alla plasticità neurale tipica di questo momento. Recentemente Nigg (2017) ha individuato tre componenti o processi dell’autoregolazione: 💨cognitiva = capacità di focalizzare le proprie risorse cognitive nello svolgimento di un compito complesso, di mantenere e sostenere l’attenzione e le informazioni in memoria per svolgere un’attività, evitando gli stimoli interferenti o sopprimendo le risposte inadeguate e spostando il focus attentivo su altri elementi quando necessario. Dunque l’autoregolazione cognitiva include tre processi di base: controllo inibitorio- memoria di lavoro- flessibilità cognitiva, localizzati nelle regioni dorsolaterali dei lobi prefrontali. (Miyake, 2012). 💨comportamentale = capacità di controllare le proprie azioni motorie e i propri impulsi/ istinti. 💨emotiva = capacità di riconoscere e dare un nome alle emozioni, di elaborarle e controllarle in maniera adeguata, in particolare quelle negative, di tollerare la frustrazione. I processi emotivi sono localizzati nelle regioni orbitali e ventrali della corteccia prefrontale. Nella scuola dell’infanzia i bambini che mostrano una maggiore consapevolezza emotiva sono spesso quelli che riescono ad adattarsi meglio all’ambiente, a tollerare la frustrazione o gli insuccessi, le delusioni, le reazioni di rabbia, manifestano meno problemi comportamentali e un miglior rendimento scolastico, sanno relazionarsi adeguatamente con i loro coetanei. A loro volta, la regolazione emotiva e cognitiva sono funzionali alla regolazione del comportamento in generale al fine di raggiungere i propri obiettivi. Per valutare l’autoregolazione emotiva in età prescolare viene spesso utilizzato il paradigma della “delusione indotta", in cui un bambino riceve un gioco indesiderato (Cole, 1986) e viene osservata la sua reazione nel risolvere lo stato di delusione che prova. Oppure alcuni ricercatori hanno usato la procedura della scatola trasparente per generare frustrazione e rabbia: al bambino viene mostrato un gioco che viene poi messo in una scatola trasparente chiusa a chiave. L’adulto mostra al bambino come aprire la scatola con la chiave e gli permette di esercitarsi ma poi, senza farsene accorgere, cambia chiave e la consegna a lui, uscendo dalla stanza. L’adulto, che osserva il bambino tramite uno specchio unidirezionale, gli dice che può giocare con il giocattolo solo se riesce ad aprire la scatola con le chiavi (che in realtà sono sbagliate): in tal modo si valuta se il bambino è capace di gestire la rabbia e la frustrazione dovute all'incapacità di aprire la scatola. COS’È L’AUTOREGOLAZIONE? È la capacità di percepire le informazioni sensoriali provenienti dall’ambiente esterno e dal proprio corpo e di processarle ed organizzarle correttamente, oltre alla sinergia tra gli aspetti cognitivi ed emotivi, a consentire al bambino l’acquisizione di comportamenti autoregolati e autocontrollati al fine di raggiungere uno scopo e di rispondere adeguatamente alle richieste ambientali. L’autoregolazione, abilità fondamentale dello sviluppo umano, è la capacità che hanno gli individui di modificare in maniera adattiva il proprio comportamento in risposta alle circostanze ambientali in continuo mutamento e in risposta alle richieste sociali, dunque la capacità di modulare il comportamento, le emozioni, l’attenzione (Fuster, 1997). Un ruolo fondamentale per sviluppare l’autoregolazione è ricoperto dalle FE, che sono processi cognitivi di ordine superiore, riconducibili alla corteccia prefrontale, deputate al controllo, alla pianificazione e alla regolazione o monitoraggio del proprio comportamento al fine di raggiungere uno scopo. Possedere FE ben organizzate permetterà al bambino di raggiungere non solo migliori prestazioni in campo scolastico e/o professionale ma anche un’adeguata regolazione del comportamento emotivo e sociale. Da un punto di vista evolutivo, già dal primo anno di vita il bambino inizia a regolare i propri stati di attivazione inseguendo un oggetto che si muove nel suo campo visivo e distogliendo lo sguardo dalla fonte di interesse, riesce a inibire certi comportamenti passando a nuovi schemi di risposta, ad esempio orientando la ricerca di un oggetto desiderato in posizioni diverse da quelle in cui l’oggetto era stato trovato precedentemente dal bambino (Diamond, 1985). Durante la scuola dell’infanzia, le capacità di autoregolazione si sviluppano maggiormente: il bambino inizia a pianificare una serie di azioni per raggiungere piccoli obiettivi, a inibire o avviare un gioco, ad inibire azioni verbali, emotive o motorie automatiche preponderanti o impulsi inadeguati al contesto, a esprimere meglio le proprie emozioni durante i giochi, a farsi valere e prendere decisioni, a ritardare il soddisfacimento di una gratificazione immediata per una successiva più attraente soprattutto a partire dai 4 anni e mezzo (si riduce l’impulsività tipica della fascia d’età prescolare), ad accrescere il suo repertorio di schemi motori, a rispondere in maniera più idonea alle richieste sociali e cognitive del suo ambiente (Posner, 2007). Anche alcune semplici attività di flessibilità cognitiva, in cui al bambino viene richiesto di cambiare rapidamente set di risposta tra un compito e l’altro, ad esempio classificare degli oggetti prima in base al colore e poi in base alla forma, vengono superati dal bambino a partire dai 4 anni, quando cominciano a maturare i processi inibitori. Il disturbo dell’autoregolazione più diffuso e noto in età evolutiva è il Deficit di Attenzione e Iperattività (ADHD), caratterizzato da difficoltà nella flessibilità cognitiva, nella pianificazione, nella memoria di lavoro visuo-spaziale, nel mantenimento dell’attenzione per periodi di tempo prolungati, difficoltà nel controllo motorio e degli impulsi, dunque un disordine pervasivo che può interessare l’intera sfera sociale, emotiva, scolastica del bambino. La diagnosi può essere fatta con sicurezza in età scolare, sebbene molti campanelli di allarme possano essere colti già a partire dall’età prescolare, sotto forma di rigidità comportamentale, deficit di inibizione e disregolazione emotiva. In particolare, l’inibizione osservata in età prescolare risultava essere predittiva dei deficit di attenzione e iperattività a 5 e 13 anni. Una ricerca condotta su 82 bambini di età 3-6 anni ha dimostrato che bambini con difficoltà nella memoria di lavoro, nei compiti di ricerca visiva e categorizzazione mostrano con più frequenza comportamenti dirompenti e disregolati. Un altro studio condotto su 235 bambini di 5 anni ha dimostrato che quelli che a 6 anni mostrano migliori capacità inibitorie, due anni dopo presentano migliori competenze sociali e di controllo del proprio comportamento in risposta alle richieste verbali. E’ stato osservato che i disordini delle Funzioni Esecutive osservati a 4 anni predicevano inoltre i comportamenti-problema rilevati a 5 anni. QUALI SONO I PRINCIPALI CAMPANELLI D’ALLARME IN ETÀ PRE-SCOLARE CHE POSSONO PREDIRE UN FUTURO DISTURBO DELL’AUTOREGOLAZIONE? 🗨 difficoltà nel controllo dei propri impulsi (non sanno attendere, né rispettare la turnazione o le regole all’interno di un gruppo di pari, sono bambini estremamente impulsivi, frettolosi, invadenti e possono essere provocatori, caotici e disorganizzati, non riescono a pensare prima di agire) 🗨 difficoltà nel controllo delle proprie risposte emotive (possono avere reazioni esagerate quando vivono emozioni intense positive o negative e quando sperimentano insuccessi e frustrazioni, manifestare reazioni bizzarre o anomale durante momenti stressanti o di forte pressione emotiva) 🗨 ipercinesia e iperattività (non riescono a controllare il proprio movimento, a stare tranquilli, né a rimanere seduti per terminare l’attività che hanno iniziato o a tavolino quando il contesto lo richiede, ad esempio a scuola quando svolgono giochi o durante i pasti, sono spesso irrequieti) 🗨 difficoltà nel problem-solving e nella memoria di lavoro o a breve termine (sono bambini disorganizzati e disordinati, fanno fatica nell’esecuzione di compiti che richiedono più passaggi sequenziali, nell’organizzare un gioco, nel fare puzzle, nel ricordare due o più consegne, ad esempio “prendi i colori e mettili nello zaino, salta nei cerchi blu e poi in quelli rossi”) 🗨 attenzione labile e discontinua (sono bambini che impiegano molte energie durante la loro giornata e tendono a stancarsi facilmente, presentano una disorganizzazione spazio-temporale, tutti fattori questi che inducono a una dispersione attentiva e a uno smarrimento cognitivo generale con notevole insofferenza verso gli stimoli laterali-visivi o uditivi) 🗨 difficoltà a livello relazionale, ovvero nell’instaurare rapporti adeguati con i loro pari, con facile tendenza all’isolamento. COME POSSIAMO SVILUPPARE L’AUTOREGOLAZIONE IN ETÀ PRE-SCOLARE? E QUALI STRATEGIE ADOTTARE? Il nostro approccio abilitativo, quando si lavora con i bambini, consiste nel proporre attività-giochi neuropsicomotori all’interno del setting che, attraverso la motricità (le competenze prassico-motorie), organizzano la cognitività stimolando o potenziando i differenti domini delle FE (attenzione, memoria di lavoro, inibizione, pianificazione, categorizzazione, flessibilità cognitiva o shifting). Fondamentale sarà poi la generalizzazione delle competenze acquisite e delle varie strategie adattive in altri contesti, in modo da trasferirle anche negli ambienti quotidiani. Tutte le abilità del bambino andranno valutate attentamente tramite un’osservazione qualitativa funzionale, per capire quali sono i suoi punti di debolezza e soprattutto i suoi punti di forza, poiché proprio da questi ultimi bisogna partire per impostare un training abilitativo in modo da mantenere sempre alto il livello di autostima e di motivazione del bambino, garantendo la costruzione del senso di autoefficacia e un miglior funzionamento cognitivo e delle abilità di autoregolazione. Spesso i bambini disregolati vengono continuamente richiamati e rimproverati nel contesto familiare e scolastico a causa del loro comportamento inappropriato e non conforme alle regole sociali, senza considerare che non è un comportamento intenzionale che mettono in atto o dovuto a una scarsa educazione ma un problema relativo alla mancanza di autocontrollo: lavorare sulle deficienze o carenze non farebbe altro che peggiorare il senso di frustrazione che tali bambini avvertono e che inevitabilmente avrà ripercussioni negative sulle FE stesse. Un bambino che a 4 anni fa fatica ad inibire il proprio movimento (a 3 anni inizia a maturare il controllo inibitorio), andrà supportato a far emergere tale abilità, indispensabile per lo sviluppo delle competenze successive. È bene considerare sia l’età cronologica del bambino (per non fare richieste troppo elevate) ma soprattutto l’età di maturazione psicomotoria e le competenze di autoregolazione durante la presentazione delle attività con alto investimento corporeo e prassico-motorio. Da ricordare che quando stiamo ideando e progettando un esercizio è difficile riuscire a scindere il singolo dominio esecutivo su cui vogliamo concentrarci dagli altri; bisogna essere consapevoli che tali funzioni esecutive si sviluppano in maniera progressiva e sono strettamente interrelati fra loro, e che non esistono attività specifiche che stimolino una singola FE. Pertanto, all’interno di uno stesso compito/gioco spesso più di un dominio esecutivo viene messo in campo. Le strategie da poter adottare per rendere il bambino con disfunzioni esecutive più autoregolato e organizzato nella sua vita quotidiana sono le seguenti: 🗨ridurre al minimo le fonti di distrazione strutturando un ambiente che sia il più possibile prevedibile e lineare per non disorganizzare il bambino (strutturare uno spazio per la motricità, uno per le attività cognitive, un altro ancora per il gioco spontaneo, ecc.) 🗨dare poche regole semplici e chiare 🗨dare due o più consegne in sequenza al fine di sviluppare la memoria di lavoro, evitando l’eccessiva reiterazione delle consegne 🗨organizzare attività in piccoli gruppi per stimolare la relazione, lo scambio reciproco, il rispetto delle regole, la turnazione 🗨usare mimica e gestualità a supporto del linguaggio verbale per consentire al bambino di comprendere e ricordare meglio una consegna data 🗨se il bambino fa fatica nel completare un gioco o un’attività scomporre gli stessi in passaggi più brevi consentendo il movimento e introducendo pause frequenti per incrementare i tempi di attenzione e concentrazione 🗨non dare punizioni quando il bambino ha atteggiamenti inappropriati ma manifestare comprensione, fornire feedback positivi, gratificazioni immediate o incoraggiamenti al fine di aumentare il senso di autoefficacia e autostima, rinforzare il comportamento adeguato alle richieste in modo da permettere al bambino di generalizzarlo in altri contesti 🗨proporre attività stimolanti e a difficoltà crescente partendo dall’interesse del bambino e variarle notevolmente man mano che vengono apprese per evitare che egli si annoi. Introdurre rinforzi sociali, fisici o emotivi e supportare il bambino nello svolgimento del compito senza sostituirsi a lui 🗨 sollecitare il gioco simbolico dal primo fino al sesto anno di vita per stimolare lo sviluppo socio-affettivo, la memoria di lavoro, il controllo dell’inibizione, e giochi prassico-motori o sensoriali in età prescolare per rafforzare le FE, in particolare la capacità di autocontrollo e autoregolazione, la pianificazione, il problem-solving, l’organizzazione spazio-temporale, l’attesa, la concentrazione, la memoria sequenziale (Diamond, 2011) 🗨 incoraggiare attività di resocontazione (narrazioni) per sviluppare l’organizzazione del pensiero e la sequenzialità, favorendo la costruzione dei nessi causali e temporali tra gli eventi, attraverso la descrizione di immagini semplici e complesse, l’ascolto di storie mettendo in ordine temporale le immagini che descrivono le varie sequenze e infine raccontarle. 💢 Se vuoi apprendere come impostare un trattamento abilitativo con un bambino che manifesta disordini delle Funzioni Esecutive e quali esercizi/giochi neuropsicomotori proporgli, vi aspettiamo al nostro corso “Allenare le Funzioni Esecutive in età prescolare 3-6 anni" 💢 (Articolo a cura della Dott.ssa Francesca Tabellione, Erika D’Antonio, tnpee- docenti presso enti accreditati, specializzate in neuropedagogia dei processi cognitivi e psicomotricità neurofunzionale, terapiste itard) /wp:tadv/classic-paragraph
Per saperne di più
I nostri Blog – da admin
LO SVILUPPO DELLE FUNZIONI ESECUTIVE: COOL E HOT
wp:tadv/classic-paragraph Un’ulteriore caratterizzazione delle Funzioni Esecutive è relativa alla natura dei diversi compiti da affrontare. E’ stata recentemente proposta una suddivisione delle FE in “Hot” e “Cool” (Zelazo et al., 2004). Con il termine FE «COOL» (FREDDE) si indicano i processi puramente cognitivi che si attivano quando il soggetto è impegnato in problemi astratti e decontestualizzati. Tra di esse rientrano quindi i processi di inibizione, memoria di lavoro, flessibilità o shifting, pianificazione che vengono impiegati in situazioni emotivamente neutre. Le FE fredde sono situate nella parte dorso-laterale della corteccia prefrontale. Con il termine FE «HOT» (CALDE) si fa riferimento alle abilità di controllo impiegate quando si devono affrontare situazioni caratterizzate da un forte valore motivazionale che hanno significative conseguenze emotive e sociali (Zelazo, Craik, 2007). Sono tutte quelle FE localizzate nella zona ventro-mediale della corteccia prefrontale e si riferiscono ai processi coinvolti nella presa di decisioni (decision making) in situazioni emotivamente significative; vengono attivate da tutte quelle circostanze di vita reale con un forte coinvolgimento emotivo e affettivo, ad esempio quando viene chiesto di effettuare una scelta o prendere una decisione in presenza di uno stato di incertezza. Le FE Hot fanno riferimento alle abilità di “autogestione” che usiamo in situazioni in cui l’emotività è particolarmente interessata. Ognuno di noi sa per esperienza come possa essere difficile resistere alle tentazioni o mantenere l’attenzione su un compito noioso, o cambiare una vecchia abitudine, o evitare di rispondere in preda all’ira del momento. Questi sono esempi di auto-regolazione che richiedono uno sforzo coordinato per raggiungere l’obiettivo. Difficile da mettere in atto da bambini, può essere particolarmente frustrante durante l’adolescenza ma può risultare ancora impegnativo in alcune situazioni, anche per un adulto. 🧑Prendendo spunto dal noto Marshmallow Test, è stato fatto uno studio su bambini di 3 anni, che permette di illustrare la differenza tra FE Cool e Hot. Ai bambini, seduti intorno a un tavolo, viene chiesto di aiutare la terapista a risolvere un problema: lei può scegliere di mangiare una caramella subito, o se sarà in grado di aspettare fino a che finiranno di giocare, potrà mangiarne quattro. La maggior parte dei bambini le suggerisce saggiamente di aspettare, al fine di poterne mangiare di più dopo. Quando, invece, loro vengono messi di fronte alla stessa scelta (“Vuoi mangiare una caramella ora o quattro caramelle più tardi?”), scelgono di mangiarne una subito. Dunque, i bambini di 3 anni sono stati in grado di fornire un suggerimento corretto in condizioni in cui erano attivate principalmente le FE Cool (decidere per un’altra persona), ma non sono stati in grado di seguire lo stesso consiglio in condizioni in cui erano attivate le FE Hot (decidere per se stessi) e hanno ceduto alla tentazione. Questa è una sfida troppo complessa per la maggior parte dei bambini di questa età. Le loro FE Hot non sono ancora in grado di gestirla. Tipicamente optano per la gratificazione immediata. È spesso più semplice pensare in maniera oggettiva sulle scelte di un’altra persona piuttosto che sulle proprie. Questo perché non siamo direttamente interessati dalle conseguenze della decisione di quella persona. Le FE Hot ci permettono di pensare oggettivamente al significato delle nostre azioni. Sono abilità che ci consentono di resistere alle “tentazioni” a favore di un obiettivo più importante. Le FE Hot e Cool lavorano insieme per permetterci di risolvere problemi, raggiungere obiettivi e apprendere in modo efficace. A. LE FUNZIONI ESECUTIVE NEL PERIODO NEONATALE I primi 2 anni di vita non sono associati ad abilità riconducibili al dominio delle FE, vengono invece descritti facendo riferimento ai significativi cambiamenti a carico delle competenze linguistiche e motorie. Dalla nascita il bambino mostra segni di auto-esplorazione e di consapevolezza circa il suo essere attivo. Lo sviluppo delle FE ha inizio molto più precocemente di quanto si fosse ipotizzato in passato sia sul versante più strettamente cognitivo delle FE (chiamate anche Cool) sia sul versante più emotivo/motivazionale (chiamate anche Hot). FE COOL: già a partire dalla 12° settimana, il bambino è capace di conservare in memoria il ricordo della struttura dell’obiettivo di un evento che lo ha visto per protagonista, ed utilizzarlo in un secondo momento in situazioni analoghe. Dai 7/8 mesi compaiono i primi segni di Memoria di lavoro (ML) e controllo inibitorio. FE HOT: esordiscono prima delle funzioni esecutive Cool. Nei primi 2 anni di vita si riscontrano problemi in questo dominio esecutivo: il bambino avrebbe difficoltà nel regolare le emozioni, nel posticipare le ricompense/gratificazioni e concentrerebbe tutte le sue attenzioni su di sé. A partire dai 6 mesi, il b.no comincia a differenziare tra entità animate e inanimate; dai 12 mesi, sviluppa la capacità di condividere con un’altra persona un oggetto e tra i 14 e 18 mesi, sarà capace di seguire attivamente lo sguardo di una persona diretto verso un oggetto. Nel 1° anno emerge una prima forma di consapevolezza dello stato mentale altrui, mentre nel 2° anno di vita una forma di comprensione delle emozioni, intenzioni, desideri e delle loro relazioni con il raggiungimento di obiettivi, oltre alla capacità di distinguere tra fantasia e realtà (Flavell, 1999; Leslie, 1987). B. LE FUNZIONI ESECUTIVE NEL PERIODO PRESCOLARE Una caratteristica del bambino in questo periodo è la curiosità verso il mondo fisico e sociale che lo circonda, la quale è supportata dallo sviluppo di una serie di abilità cognitive. FE COOL: nel periodo prescolare si osserva un’evoluzione delle abilità di controllo inibitorio e della gestione degli stimoli distrattori o interferenze. A 3/4 anni il bambino sviluppa la capacità di generare concetti; a 3/5 anni si assiste ad un aumento delle competenze inibitorie con un picco intorno ai 4 anni; tra i 4/5 anni si sviluppa il controllo attentivo, migliora la flessibilità cognitiva e la capacità di formulare strategie; dai 5 anni, vi è un incremento dell’abilità di ML e quindi di conservare temporaneamente e di manipolare informazioni on-line. Inoltre tra i 5 e i 7 anni, comincia a svilupparsi maggiormente la capacità di pianificazione, finalizzata al raggiungimento di obiettivi. FE HOT: sul versante di questo dominio esecutivo, si osserva un miglioramento della capacità di prendere decisioni in situazioni in cui entrano in gioco punizioni e gratificazioni; si riscontra inoltre un’evoluzione della teoria della mente tra i 3 e i 5 anni e anche il raggiungimento di una forma analoga a quella adulta intorno ai 6 anni, ovvero la capacità di formulare delle ipotesi in merito alle credenze altrui e di gestire le false credenze, che si caratterizzano per un importante sviluppo a partire dai 5 anni e la capacità di concepire l’esistenza di stati mentali conflittuali che si registra a partire dai 7 anni. C. LE FUNZIONI ESECUTIVE NEL PERIODO SCOLARE Con la preadolescenza alcune abilità esecutive raggiungono la maturità. FE COOL: tra gli 8 e i 10 anni, si osserva il raggiungimento di livelli adulti nella flessibilità cognitiva; tra gli 8 e 11 anni, un miglioramento nel controllo inibitorio, nella ML, nella vigilanza e nell’attenzione sostenuta; tra i 9 e 12 anni, uno sviluppo della ML in termini di capacità ed efficienza ed una sua maggiore capacità di resistere alla interferenze esterne e interne; dai 12 anni si evidenzia un potenziamento delle capacità di pianificazione, ovvero della capacità di mettere in atto un comportamento finalizzato al raggiungimento di un obiettivo preposto. FE HOT: le informazioni relative allo sviluppo di questo dominio esecutivo, nel periodo scolare, sono limitate. In linea generale, si osserva una maturazione e un perfezionamento della capacità di comprendere emozioni, intenzioni, credenze e desideri, un miglioramento in alcune componenti della teoria della mente, quali la capacità di comprendere gli inganni sociali e di decifrare le metafore (Ackerman, 1981; Happè, 1994). D. LE FUNZIONI ESECUTIVE IN ADOLESCENZA Con l’adolescenza si sperimenta un crescente senso di indipendenza, di responsabilità e di consapevolezza sociale. FE COOL: dai 15 anni, si osserva un miglioramento nel controllo attenzionale e nella velocità di processamento, oltre che il raggiungimento di livelli maturi nel dominio inibitorio (Anderson, 2001- Luna, 2004); tra i 16 e 19 anni, si rileva un progresso nella ML, nella pianificazione strategica e nel problem-solving (De Luca et al, 2003). FE HOT: in questo periodo si riscontrano miglioramenti nella presa di decisioni in presenza di ricompense e perdite (Hooper et al, 2004) Articolo scritto dalla dottoressa Francesca Tabellione, Erika D'Antonio T.N.P.E.E. FORMATRICI Specializzate in: Terapista Itard , Psicomotricità Funzionale, Neuropedagogia dei Processi Cognitivi /wp:tadv/classic-paragraph
Per saperne di più
I nostri Blog – da admin
LO SVILUPPO DELLE FUNZIONI ESECUTIVE NEL BAMBINO: COSA SONO, A COSA SERVONO E COME SI MANIFESTANO I DISORDINI DELLE FE GENERALI
wp:paragraph Sono state fornite diverse definizioni riguardo a questo complesso sistema cognitivo e la difficoltà che si incontra nel definirle deriva dal fatto che il termine non si riferisce ad un singolo concetto, ma ad un insieme di sottoprocessi necessari per svolgere un determinato compito: /wp:paragraph wp:paragraph le FE vengono definite come una serie di abilità che permettono alle persone di creare obiettivi, conservarli in memoria, controllare le azioni, prevedere gli ostacoli al raggiungimento degli obiettivi (Stuss, 1992) /wp:paragraph wp:paragraph sono considerate capacità che consentono alla persona la messa in atto con successo di comportamenti indipendenti, intenzionali e utili (Lezak, 1993) /wp:paragraph wp:paragraph sono indispensabili per un’attività intenzionale e finalizzata al raggiungimento di obiettivi (Anderson, 1998) /wp:paragraph wp:paragraph sono funzioni cognitive di ordine superiore che rendono capaci di formulare obiettivi e piani, ricordare tali piani nel corso del tempo, scegliere e iniziare azioni che ci permettano di raggiungere quegli obiettivi, monitorare il comportamento e aggiustarlo in modo da giungere a tali obiettivi (Aron, 2008). /wp:paragraph wp:paragraph Le Funzioni Esecutive rappresentano processi complessi di ideazione, attivazione, controllo, coordinazione dell'agire umano intenzionale e del funzionamento del sistema cognitivo. Il termine Funzioni Esecutive (FE) viene utilizzato per indicare funzioni corticali e sottocorticali superiori deputate al controllo, alla pianificazione e al monitoraggio del comportamento. Rappresentano un set di abilità mentali che agiscono come il centro di comando del cervello, indispensabili per affrontare situazioni nuove e complesse, per controllare e regolare sia il proprio comportamento in un determinato contesto sia altre attività cognitive. /wp:paragraph wp:paragraph La struttura al centro delle Funzioni Esecutive, a cominciare dalla memoria di lavoro, è riconducibile alla corteccia frontale, la quale ha rapporti con le altre aree corticali e sottocorticali. Una definizione operativa delle FE si riferisce a tutto ciò che costituisce ed è incluso nelle abilità finalizzate a conseguire uno scopo. Queste abilità possono essere oggetto di valutazione e riabilitazione e sono modificabili con l’esercizio e l’apprendimento (Diamond, 2016). /wp:paragraph wp:paragraph Le FE operano in modalità top down: un approccio dall’alto verso il basso che scompone un processo generale fino alle sue componenti elementari. L’approccio top down parte dall’obiettivo e, da esso, fa scaturire la strategia adatta a determinare l’obiettivo stesso e quindi le risorse necessarie per raggiungerlo; precisa le risorse disponibili e identifica quelle mancanti proponendole successivamente come sottobiettivi. Grazie al loro buon funzionamento, noi possiamo: /wp:paragraph wp:paragraph programmare un'azione o un comportamento intenzionale (volontà di dare inizio alle azioni) /wp:paragraph wp:paragraph formulare un piano di azione che risponda ad un particolare scopo, dunque delineare una gerarchia delle azioni rilevanti e irrilevanti e stabilire degli obiettivi /wp:paragraph wp:paragraph delineare strategie nuove ed efficaci per la risoluzione di un problema (problem solving) /wp:paragraph wp:paragraph monitorare l’esecuzione di un compito ed eventualmente correggere il risultato o apportare modifiche nell'ambiente /wp:paragraph wp:paragraph attivare la memoria di lavoro per il mantenimento e la rielaborazione delle informazioni (updating) e spostare e sostenere nel tempo l’attenzione durante lo svolgimento di un compito (shifting o flessibilità cognitiva) /wp:paragraph wp:paragraph garantire la sequenzialità temporale di eventi ed azioni motorie e l’adattabilità delle azioni nei diversi contesti o ambienti /wp:paragraph wp:paragraph coordinare l’esecuzione simultanea di più funzioni (sinestesie), ovvero svolgere più compiti in parallelo /wp:paragraph wp:paragraph inibire reazioni impulsive attraverso i processi di self monitoring, ovvero processi di autoregolazione/autocontrollo del proprio comportamento /wp:paragraph wp:paragraph sviluppare l’attenzione esecutiva che, con le sue funzioni, autoregola il comportamento contrastando le fonti di distrazioni interne ed esterne, nonché i pensieri fuorvianti sia di tipo cognitivo che emotivo. Essa esprime stati attentivi concentrati e sostenuti col mantenimento in memoria di lavoro degli obiettivi e sotto obiettivi dei processi in atto. E’ implicata nella coordinazione di sequenze, nella formazione degli apprendimenti complessi e delle diverse raffinate abilità eseguite dall’uomo (Engle, 2004). /wp:paragraph wp:paragraph Tali funzioni consentono dunque di manipolare mentalmente le idee, di adattarci rapidamente e in modo flessibile alle circostanze in continuo cambiamento, di ragionare, di selezionare e monitorare efficacemente comportamenti che facilitano il raggiungimento degli obiettivi scelti, di rimanere concentrati e affrontare nuove sfide. Permettono inoltre di prendere delle decisioni ed esercitare il controllo su ciò che facciamo (Diamond, 2013). /wp:paragraph wp:paragraph Sono quindi Funzioni Esecutive: /wp:paragraph wp:paragraph INIBIZIONE: capacità di focalizzare l’attenzione su dati rilevanti ignorando i distrattori ed inibendo le risposte motorie ed emotive non adeguate o impulsive rispetto agli stimoli /wp:paragraph wp:paragraph FLESSIBILITA’: capacità di passare da un set di stimoli ad un altro in base alle informazioni provenienti dal contesto /wp:paragraph wp:paragraph PIANIFICAZIONE: capacità di formulare un piano generale ed organizzare le azioni in una sequenza gerarchica delle mete /wp:paragraph wp:paragraph MEMORIA DI LAVORO: capacità di attivare e mantenere attivo a livello mentale il piano e l’area di lavoro, di avere un set di riferimento mentale sul quale operare mentalmente /wp:paragraph wp:paragraph ATTENZIONE: attenzione selettiva, capacità attentiva su più stimoli contemporaneamente e attenzione prolungata sul compito per un sufficiente periodo di tempo /wp:paragraph wp:paragraph FLUENZA: capacità di pensiero divergente e abilità di generare soluzioni nuove e diverse rispetto ad un problema. /wp:paragraph wp:paragraph Data la sua multicomponenzialità, spesso l’espressione «Funzioni Esecutive» viene utilizzata come «termine ombrello» per indicare capacità cognitive diverse necessarie per comportarsi in modo flessibile e adattivo in situazioni nuove. Per esempio, decidere di afferrare un oggetto al volo, la cui direzione cambia in maniera imprevedibile, richiede un aggiornamento della pianificazione sensori motoria ed è un’azione complessa che coinvolge diverse funzioni. /wp:paragraph wp:paragraph Diverse ricerche hanno dimostrato che le Funzioni Esecutive cominciano ad emergere intorno al 7° mese di vita, quando il lattante inizia ad assumere il controllo di alcune semplici azioni. Tale capacità dipende dalla progressiva maturazione di un’area, la corteccia cingolata, situata nella parte interna dei due emisferi cerebrali. L’efficienza di queste aree corticali aumenta man mano che con la crescita diminuisce l’attività dei neuroni che si scambiano informazioni grazie a un mediatore nervoso, la dopamina. Infatti, nei bambini piccoli, di circa un anno e mezzo di età, in cui si verifica in anticipo una riduzione dell’attività della dopamina, i livelli di attenzione sono migliori, il che comporta una maggiore selettività delle interazioni con gli adulti.ù L’evoluzione delle FE è sia quantitativa e graduale, soprattutto nei primi anni, che qualitativa, in epoche di vita successive, in funzione di una migliore organizzazione cerebrale e di una migliore efficienza delle correlate risposte neuronali (Luna, 2006). Oggi l’età prescolare è considerata come l’età di maggior sviluppo delle FE (Anderson, Reidy, 2012): /wp:paragraph wp:paragraph dai 0 ai 5 anni è considerato il periodo critico per quanto concerne il ritmo di sviluppo delle stesse, nonostante vi sia un’elevata variabilità interindividuale nella comparsa e nel consolidamento delle diverse componenti /wp:paragraph wp:paragraph durante gli anni prescolari lo sviluppo dell’inibizione sembra essere più rapido ed efficace in termini sia di corretta esecuzione dei compiti, sia di velocità di elaborazione (Carlson, Zelazo, 2013; Diamond, 2014) la working memory e la flessibilità mostrano invece un incremento più graduale e lineare (Best, Miller, 2010): emergono e cominciano a consolidarsi la capacità di mantenere e manipolare dati in memoria (Espy, Bull, 2005) e l’abilità di spostarsi velocemente da un set mentale ad un altro (Zelazo, 2001) /wp:paragraph wp:paragraph si osservano miglioramenti nell’autonomia, nella capacità di regolazione e nella capacità di rimandare le gratificazioni, dati che sono stati confermati da studi i quali hanno rilevato, a partire dai 4/5 anni, l’attivazione delle aree della corteccia prefrontale durante lo svolgimento di compiti di controllo inibitorio, working memory e switching (Wolfe, Bell et all. 2004) /wp:paragraph wp:paragraph nei primi 6 anni di vita, le FE vengono svolte in modo esterno, infatti capita spesso che i bambini durante un’attività parlino tra sé e sé e ripetano ad alta voce i passaggi da eseguire, per sviluppare gradualmente la memoria di lavoro e trasformarla da verbale a non verbale. /wp:paragraph wp:paragraph Dopo i 6 anni, quindi dal periodo scolare in poi, le FE vengono interiorizzate, i bambini operano in maniera silenziosa, riflettono, si auto-interrogano e costruiscono dei veri e proprio sistemi mentali, indispensabili per portare a termine un obiettivo senza il bisogno di memorizzare e ripetere ogni volta i pattern di azioni necessari per il raggiungimento. /wp:paragraph wp:paragraph Le Funzioni Esecutive si consolidano nell’adolescenza, raggiungendo un funzionamento superiore e una completa maturazione tra i 20 e i 29 anni, quando gli adolescenti diventano capaci di padroneggiare la loro flessibilità mentale per adattarsi a nuovi compiti e mettono in atto comportamenti finalizzati, andando incontro ad una progressiva involuzione verso i 65 anni, che avviene in maniera lenta e graduale. /wp:paragraph wp:paragraph E’ importante inoltre sottolineare il peso che le FE hanno sulle competenze sociali, emotive e scolastiche. Riguardo a queste ultime, esse sono responsabili dei processi di generazione di piani di lavoro, auto-monitoraggio, updating di dati e informazioni, formulazione e implementazione di strategie (Best, Miller, Naglieri, 2011). Le FE infatti, indipendentemente dal QI, influenzano l’acquisizione di capacità di ragionamento, capacità matematiche e di comprensione del testo in età scolare (Razza, 2007; Bull, Scerif, 2001; Mammarella, 2010). In particolare, si tratta di abilità fondamentali del sistema esecutivo che sono necessarie per il successo in tutti quei compiti scolastici non automatici quali, ad esempio, l’elaborazione critica di un testo e il recupero di fatti numerici. Inoltre, un adeguato controllo inibitorio in età precoce permette di sviluppare sia buone competenze sociali sia abilità di Teoria della Mente in età scolare, mentre uno scarso controllo inibitorio si associa a comportamenti aggressivi o antisociali (Carlson, 2005). /wp:paragraph wp:tadv/classic-paragraph E’ possibile potenziare le FE in ambito scolastico I risultati di diversi studi indicano che questo obiettivo può essere raggiunto attraverso diverse strategie: ad esempio, si può invitare gli alunni a battere i piedi prima di iniziare la lezione o a saltellare sul posto per innalzare l’attività elettrica corticale e per aumentare il livello di arousal. Si è visto infatti che nei bambini che presentano deficit di attenzione la pratica di esercizi basati sul controllo motorio aumenta notevolmente la loro capacità di concentrazione. Anche l’esecuzione di brani musicali, possibile nei bambini più piccoli grazie a strumenti improvvisati e a vocalizzazioni, migliora le funzioni cognitive, in quanto viene accelerata la maturazione della corteccia cingolata, oltre al fatto che l’esecuzione musicale di gruppo agisce anche sulla coesione e maturazione sociale. Le Funzioni Esecutive rivestono un ruolo significativo per il raggiungimento di adeguati livelli di salute mentale e fisica e quindi per una migliore qualità della vita, dalle età più precoci fino alla tarda età. Alcuni studi hanno dimostrato che gli adulti con una migliore qualità di vita e stato di salute, condizioni di lavoro, condotte sociali, erano quei bambini che, 32 anni prima, avevano mostrato livelli più elevati di controllo inibitorio, una delle principali funzioni esecutive che si manifesta con livelli di maggiore persistenza e attenzione e minore impulsività. Ad esempio, bambini che a 6 anni mostrano migliori capacità inibitorie, due anni dopo presentano migliori competenze sociali e di controllo del proprio comportamento in risposta alle richieste ambientali (Nigg et all., 1998). I bambini tra i 3 e gli 11 anni invece con maggiore impulsività, disattenzione e ridotto autocontrollo tendono ad avere in età adulta maggiori problemi di salute, a essere meno produttivi, a compiere maggiori crimini rispetto ai bambini che hanno un migliore autocontrollo (Moffitt, 2001). Secondo Diamond (2013), il ruolo positivo delle Funzioni Esecutive riveste molteplici ambiti: rispetto alla salute mentale, un inadeguato sviluppo delle FE sembra essere coinvolto in forme patologiche di dipendenza, nell’ADHD, nei disturbi del comportamento, nell’alterazione del tono dell’umore, nel disturbo ossessivo compulsivo, nella schizofrenia; rispetto alla salute fisica, FE deficitarie sono associate ad obesità, disturbi alimentari, abuso di sostanze. Un bambino che possiede adeguate FE, avrà un buono sviluppo prassico motorio, affettivo, emotivo relazionale alla fine della scuola dell’infanzia, un buon successo scolastico negli apprendimenti (lettura scrittura calcolo), fino a raggiungere un ottimo successo professionale in termini di impiego e produttività, e a instaurare relazioni interpersonali soddisfacenti. Pertanto, lo sviluppo delle FE copre l’infanzia e potenzialmente l’intero arco di vita ed è intrinsecamente legato ai cambiamenti a carico delle strutture cerebrali corticali e sottocorticali che si suppone fungano da substrato neurale di tali abilità. Le varie componenti si sviluppano in modo gerarchico nel bambino: le prime abilità a comparire sarebbero quelle fondamentali, ad es. il controllo attentivo e la working memory, seguite da quelle più complesse e multifattoriali (Senn, 2004; Smidts, 2001) quali l’inibizione e la capacità di passare da uno stimolo/compito ad un altro (shifting attentivo). Un punto fondamentale riguarda il fatto che abilità a sviluppo successivo si baserebbero comunque su abilità acquisite in precedenza. Pertanto, difficoltà nello sviluppo di abilità precoci (ad esempio, nell’attenzione sostenuta) potrebbero avere ripercussioni significative sullo sviluppo di abilità successive, come quelle di memoria di lavoro, di inibire stimoli interferenti o di passare in modo flessibile da un compito ad un altro. L’importanza delle FE negli apprendimenti e nell’autoregolazione supporta la necessità di trovare delle strategie per modificare, grazie a interventi di potenziamento, lo sviluppo delle FE. Ciò è utile a sostenere lo sviluppo delle abilità strumentali e di autoregolazione in età precoce, specialmente nei bambini nati pretermine, nei bambini con probabile disturbo del neurosviluppo o con basso status socio economico, i quali risultano essere già in ritardo nelle capacità prescolastiche o manifestare difficoltà di autocontrollo (Marzocchi, 2017). Da una prospettiva clinica, come già accennato, un adeguato sviluppo delle FE in età precoce è un fattore preventivo che evita l’insorgere di alcuni Disturbi dello Sviluppo a esordio precoce. Studi clinici hanno infatti individuato un generale deficit soprattutto dell’attenzione e dell’abilità inibitoria sia cognitiva che comportamentale, che influenzano la capacità di pianificare e la flessibilità cognitiva, con caratteristiche e modalità di insorgenza differenti, nel disturbo ADHD (Pennington, Ozonoff, 1996; Barkley, 1997), il disturbo dell’autoregolazione più noto e diffuso in età evolutiva. Esso si manifesta con un rapporto maschi/femmine che è stato stimato tra 4:1 e 9:1. I bambini con ADHD si caratterizzano spesso per problemi di adattamento sociale e adesione alle regole e alle norme, per difficoltà accademiche e per un inadeguato comportamento all’interno del contesto familiare. In età prescolare, i bambini mostrano risposte impulsive con notevoli difficoltà nel controllo motorio e/o verbale, fattori che interferiscono con il normale funzionamento sociale e scolastico. In età scolare, si osservano compromissioni a carico dei processi attentivi, delle competenze inibitorie (molti autori, tra cui Barkley 1997, sostengono che deficit a suo carico costituiscono il nucleo dell’ADHD e causa deficit secondari negli altri domini esecutivi), compromissioni nella pianificazione, nella memoria di lavoro visuo spaziale (la componente visuo spaziale risulta più compromessa rispetto a quella verbale) e nella flessibilità cognitiva (i bambini con ADHD presentano una frequente tendenza alla rigidità e alla perseverazione). Sebbene il disturbo possa essere diagnosticato con sicurezza in età scolare, alcune manifestazioni cliniche sono già riscontrabili tra i 3 e i 5 anni e devono manifestarsi in almeno due differenti contesti di vita, in particolare sotto forma di rigidità comportamentale, deficit di inibizione, incapacità di ritardare il soddisfacimento di una gratificazione e disregolazione emotiva. Molto frequenti sono le comorbilità con problematiche sul versante dell’esternalizzazione, quali il Disturbo Oppositivo Provocatorio (DOP) e il Disturbo della Condotta (DC). L’ADHD può essere differenziato in 3 tipologie: una tipologia in cui prevale la disattenzione una tipologia in cui prevale l’iperattività e l’impulsività una tipologia in cui prevalgono tutti e tre i sintoni (iperattività impulsività disattenzione). I bambini con DISTURBO OPPOSITIVO PROVOCATORIO (DOP), si caratterizzano per una modalità di comportamento negativistico, ostile e provocatorio; sono bambini che hanno frequenti scatti d’ira, si pongono continuamente in assetto di sfida e litigano spesso con adulti e pari, hanno un locus of control esterno, sono rabbiosi e rancorosi, vendicativi. Si tratta di un quadro clinico molto diffuso in età prescolare: in questa fascia di età una percentuale di soggetti con diagnosi clinica compresa tra il 2 e l’8% riceve questa diagnosi. Il DISTURBO DELLA CONDOTTA (DC), viene spesso visto e definito come variante più estesa e severa del DOP. La caratteristica fondamentale del DC è una modalità di comportamento ripetitiva e persistente in cui i diritti fondamentali degli altri oppure le norme o le regole della società appropriate per l’età adulta vengono violate. Questi comportamenti si inseriscono in 4 gruppi principali: condotta aggressiva che causa o minaccia danni fisici ad altre persone e animali, condotta non aggressiva che causa perdita o danneggiamento della proprietà, frode o furto, gravi violazioni di regole. In letteratura emergono lavori nei quali viene messa in evidenza una problematica esecutiva di varia ampiezza e severità: da un lato vi sono autori che avanzano l’ipotesi di una compromissione generale del funzionamento esecutivo (Giancola et al, 1994 1998), dall’altra ricercatori che circoscrivono a specifiche aree i deficit in questa popolazione clinica. Tra i domini più frequentemente citati ed analizzati figurano quello inibitorio, del controllo esecutivo, della memoria di lavoro e della flessibilità cognitiva. Bambini e adolescenti con DOP/DC si caratterizzano per una tendenza a prendere dei rischi e a mettere in atto comportamenti spericolati, per un’alterata sensibilità nei confronti delle ricompense (privilegiano benefici a breve termine senza considerare le conseguenze), che sembrerebbe suggerire la presenza di problematiche di decision making ed impulsività. I bambini con DISTURBI DELLO SPETTRO AUTISTICO (Hill, Bird, 2006) si caratterizzano per una compromissione delle abilità sociali e di comunicazione, per comportamenti ripetitivi e per interessi limitati e circoscritti. E’ un disordine evolutivo che si presenta nella popolazione generale con una frequenza pari al 0.6% ed interessa maschi e femmine con un rapporto di 3:1. Si preferisce oggi utilizzare il termine di disturbi dello spettro autistico, invece che di autismo, per indicare l’estrema varietà ed eterogeneità dei sintomi e dei problemi neurologici che i pazienti presentano. Tali bambini manifestano: una propensione a fornire risposte perseverative e ad utilizzare in modo rigido e inflessibile le regole un inadeguato livello di regolazione delle proprie emozioni, dei propri impulsi e di comportamenti socialmente adattivi un’incapacità di inibire comportamenti inadeguati compromissioni a carico della flessibilità cognitiva (il soggetto è in difficoltà nel momento in cui è chiamato a muoversi flessibilmente tra pensieri, azioni, risposte come richiesto dal contesto) e della memoria di lavoro. Ad esempio i bambini con sindrome di Asperger, con un più alto funzionamento cognitivo, a differenza di bambini con disturbo autistico grave, manifestano prestazioni peggiori nel controllo inibitorio e nelle funzioni complesse e prestazioni migliori nella memoria meccanica e visuo spaziale. Inoltre, numerosi studi hanno messo in evidenza cadute specifiche in prove volte a valutare la pianificazione, l’organizzazione e il monitoraggio di nuovi comportamenti/azioni, la capacità di assumere il punto di vista altrui e il completamento delle categorie. I bambini NATI PRETERMINE sono quelli che nascono prima della 32esima settimana di gestazione e costituiscono l’1/2% delle nascite totali nei paesi sviluppati e diversamente da quanto accadeva in passato hanno maggiori opportunità di sopravvivenza. Tra le conseguenze della nascita pretermine figurano importanti disabilità neuromotorie, sensoriali, cognitive, dell’apprendimento e del comportamento. I bambini nati pretermine manifestano difficoltà nel pensare prima di agire, nell’aspettare il proprio turno, nel rimanere seduti a lungo, nel seguire le istruzioni date. Inoltre, tali soggetti si caratterizzano per: una compromissione a carico della Memoria di Lavoro di entità variabile sia nella prima e media infanzia che in adolescenza (Taylor, Vicari et al, 2004): tali difficoltà sembrerebbero essere in relazione con alcuni parametri quali il QI, il peso alla nascita, l’età gestazionale ed eventuali complicazioni prenatali (ad esempio, ridotto apporto di ossigeno, danni alla sostanza bianca o alle regioni periventricolari) un deficit nella flessibilità cognitiva sia in età evolutiva che in soggetti adulti, probabilmente legato a due ordini di fattori, il livello scolare della madre e il QI del soggetto (Taylor, 2004) un povero controllo inibitorio ed una maggiore tendenza a fornire risposte impulsive nei bambini nati pretermine di età compresa tra i 2 e i 7 anni: il peso alla nascita costituisce un fattore di rischio per le problematiche sul versante dell’impulsività (Taylor, 1998), mentre l’età gestazionale potrebbe influenzare il controllo inibitorio (Katz 1996). Interessante notare come con il trascorrere degli anni l’entità del deficit tende a diminuire fino ad estinguersi completamente in età adulta (Elgen, 2004) un deficit di pianificazione: i bambini nati pretermine hanno difficoltà nell’ideare un piano, nel definire degli scopi a breve, medio e lungo termine e le strategie ed i vari step attraverso cui perseguirli, nell’organizzare risorse temporali e spaziali. I principali fattori di rischio di tale deficit sono il peso alla nascita, l’entità della nascita pretermine e complicazioni neonatali mentre vengono escluse come fattori di rischio le competenze cognitive e verbali, i danni neurosensoriali e il QI (Anderson, Taylor et al., 2000). In sintesi, gli studi di Mulder (2009) confermano che le FE ed attentive sono nodi critici per la popolazione dei soggetti nati pretermine, in cui le principali cadute si osservano nel dominio della fluenza e della flessibilità cognitiva. Molti studiosi hanno dimostrato come la presenza di uno sviluppo atipico delle FE possa compromettere il raggiungimento dei prerequisiti dell’apprendimento della lettura e spiegare una successiva scarsa performance nella stessa. I bambini con DSA (Willis, Adams, 2006), ovvero con un disordine neuro evolutivo caratterizzato da specifiche difficoltà nell’acquisizione di una o più abilità scolastiche (lettura scrittura calcolo), con normali competenze intellettive e senza compromissioni neurosensoriali significative, manifestano problematiche a carico dell’attenzione, della memoria di lavoro, della flessibilità cognitiva, del controllo inibitorio, della pianificazione e della fluenza verbale (Marzocchi et al 2008). Infine, secondo Shanahan e collaboratori (2006) il deficit esecutivo specifico dei DSA si riscontra nella velocità di processamento verbale e motorio. Confrontando il profilo dei bambini dislessici e di quelli discalculici, i primi manifestano compromissioni a carico della working memory, probabilmente a causa di un deficit nell’esecutivo centrale (Varvara et al, 2014); i bambini discalculici, invece, oltre a manifestare gli stessi deficit a livello di esecutivo centrale, hanno anche compromissioni più significative nella memoria visuo spaziale con prestazioni inferiori in compiti visivi e in compiti spaziali sia simultanei che sequenziali (Schuchardt et al, 2013). I bambini con DSL (Disturbi Specifici del Linguaggio), che presentano un disordine in una o più aree dello sviluppo linguistico, in assenza di comorbidità con altri disturbi e con deficit da un punto di vista intellettivo (QI < 80), sensoriale, motorio, socio ambientale, possono manifestare disfunzioni esecutive in età prescolare quali difficoltà a carico dell’attenzione, del controllo inibitorio, della memoria di lavoro (fonologica e visuo spaziale) e della flessibilità cognitiva, per via dello stretto legame tra linguaggio e FE. A proposito della memoria di lavoro fonologica, vari studi hanno evidenziato ridotte prestazioni in compiti di memoria di cifre e di ripetizione di non parole. I bambini in età prescolare con DSL avevano punteggi significativamente inferiori nelle misure di memoria di lavoro fonologica a qualsiasi età (3 4 anni e 4 6 anni). Alcuni autori considerano uno strumento prioritario quello della ripetizione delle non parole come indicatore diagnostico con alta sensibilità del DSL. I disturbi comunicativi dei bambini sono causati da deficit a livello inibitorio e di pianificazione: tali disturbi comporterebbero inoltre compromissioni a carico delle abilità di produzione e comprensione, ma anche delle capacità di resocontazione (narrative). Inoltre, alcuni studi hanno dimostrato che i bambini con DSL manifestano prestazioni inferiori nelle abilità motorie fini e globali, nelle abilità di imitazione, nella consapevolezza cinestesica e nell’elaborazione simultanea dell’informazione. I bambini con DCD, ovvero con Disturbi della Coordinazione Motoria, presentano un ritardo nell’acquisizione delle competenze motorie a partire dai primi stadi evolutivi, che interferisce significativamente con le attività della vita quotidiana e non può essere spiegato da una condizione medica (ad es. paralisi cerebrale, distrofia muscolare, malattia degenerativa) o dalla presenza di deficit sensoriali o intellettivi (Apa, 2013). Si sono riscontrate compromissioni nelle FE nei bambini di età prescolare a rischio del disturbo, per via del legame esistente tra lo sviluppo del controllo motorio e delle FE, le quali risultano fortemente implicate nella coordinazione di un movimento finalizzato. In particolare, i domini esecutivi maggiormente deficitari in età prescolare sono la memoria di lavoro verbale e visuo spaziale, il controllo inibitorio, l’attenzione selettiva e sostenuta, la flessibilità cognitiva. Le difficoltà sul piano esecutivo si andrebbero ad associare a importanti difficoltà nell’apprendimento motorio, in particolare negli schemi motori rapidi e crociati, negli schemi rotatori, nelle abilità di mira e afferramento di un oggetto, nelle prassie sequenziali, dunque in tutti i coordinamenti senso percettivo motori. Deficit a livello esecutivo nei bambini con DCD si assocerebbero con frequenza anche a ritardi nell’area linguistica, e più in generale, nell’area socio comunicativa. IN CHE MODO SI MANIFESTANO I DISORDINI DELLE FUNZIONI ESECUTIVE GENERALI? /wp:tadv/classic-paragraph wp:tadv/classic-paragraph Sin dall’età prescolare, le disfunzioni esecutive in un bambino si possono manifestare attraverso i seguenti segni che devono essere presi attentamente in considerazione: Disturbi del coordinamento motorio, ovvero incoordinazioni e scoordinamenti nella motricità rapida, negli schemi motori e crociati, maldestrezza, lentezza motorio-prassica alternata a precipitazione, disordini nei giochi con la palla, nelle rotazioni motorie rapide e nelle sequenze motorie Lentezza nell’incipit dell’agire, precoce affaticabilità, ipoattivazione o instancabilità (diade funzionale), marcata loquacità Disorganizzazioni spazio-temporali (ad es. incapacità a ricordare i luoghi e i tempi degli eventi accaduti o di imparare dall’esperienza, difficoltà con i concetti di prima-dopo/ieri-oggi-domani/giorni della settimana, difficoltà nelle sequenze temporali e spaziali, eccessivo ordine o eccessivo disordine, smarrimento negli spazi grandi e negli ambienti nuovi, difficoltà nel rispettare orari/scadenze/ritmi/velocità, smarrimento temporale o eccessiva puntualità organizzativa, ecc.) Difficoltà nelle sinestesie (verbo-motorie, oculo-motorie, percettivo-motorie, ecc.), ovvero nell’eseguire più compiti o azioni in contemporanea Specularità, difficoltà nel movimento sx-dx e nell’a-capo, difficoltà nella direzionalità, nei versi e nelle rotazioni (incertezze o errori nel verso motorio, nel verso grafico, nella chiusura dei cerchi, nella rotazione di figure, nell’inversione di enunciati o frasi, nel rovesciamento dell’ordine sequenziale di numeri o lettere in parole) Disordini nella percezione, nei movimenti oculari, nella grafomotricità, nel pensiero, nel linguaggio e negli apprendimenti Sensibilità alla iperstimolazione, sofferenza alla confusione o all’affollamento (condizione di stanchezza, insofferenza o nervosismo negli ambienti affollati o in presenza di confusione, talvolta con reazione di eccitazione, ipercinesia, incontrollabilità) Sofferenza alla pressione o al rallentamento (condizione di difficoltà e insofferenza nelle situazioni in cui è alterata la velocità esecutiva o in presenza di interazione con molte persone o molte azioni - pressione alla velocità o induzione al rallentamento) Lentezza e impaccio nei movimenti fini e bimanuali Lentezza nei processi di autoregolazione/autocorrezione/autoinibizione con la conseguenza di un comportamento impulsivo fenomeno chiamato «bradifrenia» (o lentezza nei processi di frenaggio), di un comportamento inappropriato, ipercinetico e disorganizzato, con difficoltà nel controllo dei propri istinti e delle proprie emozioni (spesso il bambino mostra un umorismo infantile, è impaziente, euforico e disinibito sul piano del comportamento, esprime le sue emozioni in modo inappropriato, manifesta scarsa tolleranza alla frustrazione o prende decisioni considerando solo se stesso) Lentezza nell’adeguarsi ai cambi di ambienti, attività o giochi Difficoltà nell’attenzione volontaria e protratta nel tempo, e nella memoria sequenziale (memoria ordinata, memoria di lavoro): il bambino si caratterizza per essere facilmente distraibile, manifesta spesso un’inerzia generalizzata e può avere difficoltà nell’ordinare in sequenza, nel tempo e nello spazio, il materiale mnestico Difficoltà nel problem solving e nel decision making (processo decisionale): questa difficoltà è rilevabile in tutte quelle prove in cui la soluzione del problema richiede la pianificazione di una serie di azioni coordinate, la flessibilità nell’adottare strategie diverse a seconda delle circostanze e la comprensione delle cause di errore per la scelta di strategie alternative. Altre difficoltà dovute all’incapacità di pianificare e programmare strategie per eseguire un compito riguardano: la capacità di collocare temporalmente gli eventi (il bambino riconosce gli eventi come realmente accaduti ma non è in grado di riprodurre la successione con cui si sono verificati); la pianificazione e la programmazione della «fluidità verbale»; la capacità di risolvere problemi aritmetici con l’eccezione di operazioni routinarie da lungo tempo apprese (come l’addizione e la sottrazione). Inoltre il bambino manifesta un comportamento disorganizzato (ha difficoltà nell’organizzare il materiale, i programmi giornalieri o i propri giochi), un comportamento caotico e afinalistico e una difficoltà ad affrontare situazioni complesse e nuove (la sua vita è dominata dalla routine, dalla concretezza, dalla scarsa iniziativa e generalizzazione degli apprendimenti, da un eloquio povero e da una scarsa motivazione ad agire per sé o per gli altri) Incapacità di passare da un concetto all’altro e da uno specifico comportamento ad un altro: la scarsa flessibilità è all’origine dei comportamenti perseveranti, ovvero di comportamenti rigidi, non flessibili che portano il bambino a insistere in strategie palesemente inadeguate e a fallire nell’esecuzione dei compiti proposti Incapacità di inibire le interferenze ad opera di stimoli distrattori, le risposte comportamentali automatiche non congrue con la situazione stimolo e le reazioni emotive inadeguate. Ricordiamo che la corteccia prefrontale ha numerose connessioni con le strutture sottocorticali, quali l’amigdala e l’ippocampo, responsabili dell’attivazione di una risposta emotiva, e ha una funzione di controllo e modulazione su queste strutture sottocorticali: secondo alcuni autori come Damasio, bambini che manifestano questa incapacità, conoscono le regole di comportamento in contesti sociali, ma non avrebbero quei marcatori somatici che contribuiscono, assieme alla valutazione cognitiva, alla percezione dell’appropriatezza di un comportamento. Inoltre presentano una scarsa consapevolezza dei sentimenti altrui. Disturbi della motivazione (apatia): la motivazione è uno stato interno che ci spinge ad agire e accompagna tutti i processi coinvolti al raggiungimento di uno scopo specifico, dalla sua formulazione e selezione degli strumenti atti al raggiungimento, fino alla realizzazione dello scopo. L’apatia, che consiste nella riduzione dei comportamenti finalizzati ad uno scopo per mancanza di motivazione e nella scarsa reattività emotiva, si manifesta con un comportamento ipocinetico (il bambino si muove poco o per niente), disinteressato verso le proprie esigenze, verso cose o persone e, nei casi più gravi, si presenta con un quadro di mutismo acinetico. Articolo scritto dalla dottoressa Francesca Tabellione, Erika D'Antonio /wp:tadv/classic-paragraph
Per saperne di più
I nostri Blog – da admin
NEURONI SPECCHIO: COMUNICAZIONE E LINGUAGGIO
wp:tadv/classic-paragraph La comunicazione è un processo di scambio di informazioni fra individui attraverso un meccanismo condiviso, ad esempio il linguaggio verbale, tipico degli esseri umani. Possiamo comunicare anche attraverso gesti, posture, mimica, espressioni del viso, contatto oculare, movimenti del corpo, anche se il linguaggio verbale umano è stato considerato come unica forma di comunicazione dotata di grammatica e di sintassi, e capace di organizzare lo scambio secondo regole e strutture codificate. ☆-Dai versi degli animali al linguaggio parlato Secondo alcuni scienziati il linguaggio verbale si sarebbe evoluto a partire dai richiami sonori, dai versi emessi dagli animali per comunicare tra loro; per altri invece si sarebbe plasmato a partire da un sistema di comunicazione a base di gesti. I meccanismi neurali che controllano la comunicazione sono localizzati in diverse zone del cervello: nelle scimmie si trovano in strutture sottocorticali quali il diencefalo e il tronco encefalico; negli esseri umani invece si trovano nella parte laterale della corteccia. Altre differenze tra il linguaggio degli animali e quello parlato riguardano il fatto che parole e frasi del nostro linguaggio possono non avere una particolare coloritura, oppure trasmettere emozioni, mentre i versi degli animali sono collegati a una condizione emotiva o a un’emozione come la paura, il dolore, la gioia, la rabbia. La possibilità di combinare tra loro parole e frasi è una proprietà del linguaggio umano che è assente nei richiami degli animali, caratteristica che è stata sottolineata anche dal linguista Chomsky. Egli sostiene che il linguaggio umano è basato su un principio completamente diverso da quello su cui si fondano tutte le altre forme di comunicazione animale. Anche noi possiamo emettere grugniti, grida o urla che rievocano versi animali quando ci troviamo in particolari stati emotivi: la produzione di tali versi è controllata da circuiti nervosi localizzati in posizioni profonde della corteccia, simili a quelle degli animali ma diverse da quelle responsabili del linguaggio verbale. È interessante notare che la capacità di emettere versi primitivi è una caratteristica presente nelle persone affette da afasia globale, un disturbo che porta ad una perdita completa di ogni funzione linguistica, parlata e scritta, di espressione e di comprensione. ☆-Dai gesti al linguaggio parlato La prima formulazione di questa teoria risale al 700 ed è dovuta al filosofo francese Condillac, il quale ipotizzò che il primo sistema di comunicazione dei nostri antenati sarebbe stato basato sui gesti, cui si assocerebbero poi i suoni che accompagneranno la comunicazione. La scoperta dei neuroni specchio ha offerto evidenze sperimentali riguardo questa ipotesi, in particolare sulla relazione tra azioni e linguaggio, come il famoso esperimento che ha evidenziato la presenza di neuroni specchio nell’area di Broca. L’aspetto più interessante della presenza dei neuroni specchio per l’evoluzione del linguaggio sta nel fatto che i primati, grazie a questo meccanismo, possiedono un sistema di comunicazione immediato e condiviso. Ad esempio, se osserviamo una persona che afferra un bicchiere capiamo subito che cosa sta facendo. Su tale base, Giacomo Rizzolatti e col. hanno ipotizzato che l’evoluzione del linguaggio sia stata preceduta dall’evoluzione di un sistema di comunicazione condiviso. Come è possibile che suoni originariamente privi di senso si siano associati ai gesti dotati invece di un significato preciso? Come può essere avvenuto questo passaggio cruciale? Uno scienziato degli anni 30 di nome Paget aveva proposto una teoria che ha dato una spiegazione a questo passaggio: secondo lui i gesti delle mani dei nostri progenitori sarebbero stati accompagnati da movimenti inconsapevoli e coordinati della lingua, delle labbra e delle mascelle. In seguito, gli individui avrebbero scoperto che tramite l’espirazione dell’aria, la bocca è capace di emettere gesti sonori, i quali rappresentano secondo Paget l’inizio del linguaggio vocale. Se i gesti della mano e del braccio sono collegati a quelli del linguaggio, allora anche la base neurale di tale sistema dovrebbe essere comune. Ciò è stato confermato da alcuni esperimenti che hanno mostrato come l’area motoria di sinistra responsabile dei movimenti della mano si attivava durante la lettura o il parlare: i circuiti neurali dei gesti sembrano quindi essere collegati a quelli del linguaggio, come aveva previsto Paget. Affinché la comunicazione sonora sia efficace occorre che i suoni utilizzati per trasmettere messaggi siano decifrabili, ovvero pronunciati in modo chiaro e preciso: la laringe e la bocca devono essere quindi controllate da circuiti nervosi sofisticati e sotto il totale controllo della volontà di chi parla. Tale controllo accurato e preciso richiede l’evoluzione di speciali centri nervosi. Inoltre sono stati scoperti dei neuroni specchio propri degli esseri umani che si attivano per specifici suoni del linguaggio parlato prodotti dalla bocca e dalla laringe, chiamati neuroni specchio-eco. Liberman, un linguista americano, ha studiato a lungo la struttura dei fonemi, cioè dei suoni che formano le parole e ha osservato che gli esseri umani, quando ascoltano il linguaggio parlato, sono molto bravi a riconoscere i singoli fonemi. Egli è giunto alla conclusione che i suoni del linguaggio hanno qualcosa di speciale che li rende distinguibili da tutti gli altri suoni: questo “qualcosa” riguarda la capacità che i fonemi hanno di evocare nell’ascoltatore la stessa sequenza motoria di quella usata da colui che parla per emettere uno specifico fonema. La scoperta dei neuroni specchio-eco ha dato una prova sperimentale alla teoria di Liberman: a livello neuronale questa particolarità dei suoni verbali risiede nella capacità che tali suoni hanno di attivare i neuroni specchio-eco o di evocare i movimenti che la nostra bocca o la nostra laringe dovrebbe eseguire per riprodurre quei fonemi. Dott.ssa Francesca Tabellione Dott.ssa Erika D’Antonio /wp:tadv/classic-paragraph
Per saperne di più
I nostri Blog – da admin
NEURONI SPECCHIO: AUTISMO – EMOZIONI - EMPATIA
wp:image /wp:image wp:tadv/classic-paragraph I neuroni specchio rappresentano una delle più importanti scoperte nel campo neuroscientifico soprattutto nei primi 3 anni di vita del bambino. Sono un gruppo di neuroni visuo-motori, distribuiti in diverse zone cerebrali (ad esempio nella corteccia premotoria), fondamentali per la comprensione delle azioni, delle intenzioni e dei comportamenti degli altri. Dunque permettono all’individuo di riprodurre azioni e comportamenti osservati in altri soggetti ed hanno un ruolo importante nei processi cognitivi, affettivi, emotivi, psicomotori, comportamentali. Inoltre i neuroni specchio sono importanti per comprendere anche le emozioni degli altri (empatia): di recente è stato scoperto che osservare l’emozione di un’altra persona può determinare in chi la osserva l’attivazione della stessa regione corticale che è attiva quando l’osservatore prova quell’emozione. Dunque il meccanismo specchio che ci permette di identificare le emozioni degli altri è simile a quello che controlla la comprensione di azioni e intenzioni. Questi risultati sono stati confermati dall’osservazione di un paziente con lesioni dell'insula, il quale aveva difficoltà a riconoscere l’emozione del disgusto sulle facce di altre persone. Anche quando proviamo dolore o osserviamo qualcuno visibilmente addolorato, nel nostro cervello si attivano le stesse regioni della corteccia, in particolare l’area del cingolo anteriore detta PACC (pregenual anterior cingulate cortex). L’empatia indica in neuroscienze la condivisione dello stato emotivo di un’altra persona con quello dell’osservatore. La maggior parte degli esseri umani è dotata di soglie mobili di empatia che si alzano o si abbassano automaticamente a seconda del contesto in cui si trovano e variano da individuo a individuo: ci sono persone con capacità empatiche molto alte e altre meno. Vediamo la correlazione tra l’Autismo e i Neuroni Specchio. L’autismo è un disordine dello sviluppo caratterizzato da disturbi nelle interazioni sociali e nella comunicazione, da comportamenti stereotipati e ripetitivi. Oggi si preferisce il termine disturbi dello spettro autistico, invece di autismo, per indicare l’estrema varietà ed eterogeneità dei sintomi e dei problemi neurologici che i soggetti presentano. I bambini autistici tendono a isolarsi e non cercano di comunicare con gli altri, hanno difficoltà a capire cosa provano le altre persone, a capire le emozioni e a manifestarle, presentano capacità verbali limitate, difficoltà nella comunicazione e interessi ristretti e ripetitivi verso un tema, un’attività o un gesto. Talvolta manifestano una iper o una ipo sensibilità tattile, vestibolare, visiva, uditiva. Tali atteggiamenti tendono a compromettere le loro relazioni sociali, l’ambito scolastico e/o professionale. Alcuni autistici hanno un livello intellettivo normale o anche superiore alla media (definiti ad alto funzionamento), altri manifestano un quoziente intellettivo inferiore alla media (definiti a basso funzionamento). La maggior parte dei bambini autistici presenta disturbi motori, come deficit di postura, nella coordinazione motoria globale, impaccio e rigidità a livello fine motorio. Dunque il quadro sintomatologico è estremamente eterogeneo e la cura varia in base ai sintomi e deve essere personalizzata. L’autismo ha un’incidenza maggiore nei maschi che nelle femmine ed è stata trovata una predisposizione ereditaria al disturbo: tra i fattori di rischio ci sono possibili fattori ambientali, un deficit del sistema dei neuroni specchio ma, sebbene i numerosi studi, le cause dell’autismo restano in gran parte sconosciute. I bambini con autismo fanno fatica nel comprendere il comportamento altrui automaticamente, ma ogni volta è una specie di enigma che risolvono solo utilizzando la logica. Un altro deficit nel comportamento dei bambini autistici consiste nel disturbo di pianificazione della propria azione e nel comprendere quale azione farà l’altro. Lo studio dei neuroni specchio nell’autismo ha permesso, al contrario della spiegazione cognitivista (“teoria della mente”) diffusa negli anni 90 e che non spiega i meccanismi neurologici coinvolti, di porre l’accento sugli aspetti motori e affettivi della sindrome e di dare almeno strumenti per una diagnosi precoce dell’autismo. Le possibilità terapeutiche sono soprattutto legate alla tempestività della diagnosi e alla possibilità di iniziare precocemente le terapie. Ad esempio, ci sono stati studi che hanno dimostrato come gli stimoli affettivi e sociali precoci, in particolare tra gli 8 e i 12 mesi (finestra temporale più efficace per la terapia), agiscano sul sistema dei neuroni specchio il quale si sviluppa e recupera in maniera normale o quasi, altrimenti rimarrebbe deficitario per tutta la vita. Dott.ssa Francesca Tabellione Dott.ssa Erika D’Antonio /wp:tadv/classic-paragraph
Per saperne di più
I nostri Blog – da admin
CONOSCIAMO IL BAMBINO AUTISTICO: LA CORRELAZIONE CON I SISTEMI SENSORIALI E LA TERAPIA SENSORI-MOTORIA
wp:tadv/classic-paragraph a cura della Dott.ssa Francesca Tabellione Specializzata nella valutazione e trattamento dei disordini dell’età evolutiva, supervisore, formatrice presso enti accreditati e ideatrice di volumi educativi/riabilitativi —–‐—————————————————————– VERSO UN NUOVO MONDO Chi è il Bambino Autistico Guardare un bambino che, senza fine e senza avvertire dolore, si morde una mano o fa ruotare oggetti in modo ipnotico; che è capace di fissare per ore con lo sguardo vuoto, un granello di polvere o che si colpisce senza fine o si spalma sul corpo le proprie feci; che vi ignora, respingendo ogni contatto umano; un bambino che non vi ascolterà né parlerà con voi, né spesso vi permetterà di toccarlo, che presenta un contatto oculare assente o sfuggente e che preferisce le cose alla gente, sempre solo e chiuso in se stesso, “uno straniero tra noi”, un tempo definito psicotico e segregato in ospedali psichiatrici. Il suo comportamento sconosciuto ci è incomprensibile e quindi ci intimorisce. È possibile che questo comportamento strano contenga un significato nascosto? E che questi bambini cercano disperatamente di comunicare con noi e che noi siamo sordi? È possibile che il mordere, ruotare, urlare, colpire, siano tutte parti di un codice che non abbiamo ancora decifrato? È possibile che il bambino autistico stia tentando di comunicare con noi e che noi non sappiamo rispondere? Nel 1943 il neuropsichiatra infantile Leo Kanner, descrisse con la formula di “autismo infantile precoce” cinque principali caratteristiche: – incapacità di mettersi in relazione e interagire con gli altri – impossibilità a comunicare con gli altri attraverso il linguaggio – ossessione nel mantenere l’uniformità e resistere ai cambiamenti – il preoccuparsi di oggetti a preferenza degli uomini – evidenza occasionale di un buon potenziale di intelligenza. Con Kanner, l’autismo indica un insieme di sintomi per riferirsi a una entità nosografica di tipo congenito, a carico dell’affettività e a eziologia ignota. Successivamente, egli ricondusse le caratteristiche dello stato autistico all’isolamento estremo e all’avversione per i cambiamenti, con inizio entro i primi 2 anni di vita. Poiché all’inizio non si conosceva nessuna causa fisica per il comportamento autistico, si accettò una prima spiegazione data da Freud riconducibile ad una rabbia interiore, sebbene ciò non portò a nessun successo nella cura e si dovettero ricercare altre spiegazioni. Tra il ’50 e il ’60 furono scritti vari articoli per differenziare l’autismo dalla schizofrenia infantile precoce e dal ritardo mentale, poiché spesso le diagnosi si sovrapponevano. Bender, invece, un esperto del settore, pensò che l’autismo fosse di origine organica, causato da una “encefalopatia di origine prenatale”, il che significa una mancanza diffusa di sviluppo cerebrale prima della nascita. Rimland correlava le cause a una lesione alla formazione reticolare del peduncolo cerebrale, in bambini geneticamente predisposti, illustrando come i sintomi dell’autismo potessero risultare dalla difficoltà di dare un significato alle stimolazioni sensoriali in arrivo. Anche Schopler riconduceva le cause a fattori sensoriali e genetici. Delacato invece, psicologo statunitense, non accettava le implicazioni genetiche delle posizioni di Rimland e Scholpler poiché se nell’autismo ci fosse stato un fattore di origine genetica, il suo schema dovrebbe essere riconoscibile da una generazione all’altra e la sua apparizione doveva seguire una regola, di generazione in generazione, ma invece non lo fa. Egli fu colpito dal fatto che i bambini autistici manifestassero comportamenti stereotipati e ripetitivi (ruotare oggetti, sfarfallare le mani, dondolarsi, ecc.), aspetto più estremo del problema, che li faceva sempre più rinchiudere in un mondo tutto loro e distaccare da quello reale ma al tempo stesso sembravano stranamente più soddisfatti. Potevano dunque questi bambini manifestare gravi problemi sensoriali e non riuscire a organizzare gli stimoli che giungevano al loro cervello dal mondo esterno per rispondere adeguatamente alle richieste? Una o più delle loro vie di entrata (vista, gusto, udito, odorato, tatto) era in qualche modo “difettosa”: il loro strano comportamento ripetitivo era il loro tentativo, attraverso il ripetersi degli stimoli, di normalizzare quella o quelle vie. TROPPO,TROPPO POCO O RUMORE BIANCO? Secondo Delacato l’autismo è un problema neurologico che risulta da una cerebrolesione lieve e diffusa: tale definizione fu diffusa in medicina nel 1967, oggi identificata con disordine della connettività – alterazione funzionale della sostanza bianca, riconoscendo negli autistici aree di alta o bassa densità connettiva. Il disturbo della connettività è tendenzialmente nelle vie discendenti inibitorie, per tale ragione Delacato parlò di disorganizzazione neurologica poiché, anche se è fatta salva l’anatomia del SNC, la qualità e la quantità delle connessioni in un soggetto con neurosviluppo atipico modificano la risposta motoria e comportamentale. L’autismo si presenta come un problema senso-percettivo che determina il modo in cui il cervello incamera ed elabora le informazioni che riceve dall’ambiente, ovvero problemi con una o più vie dal mondo esterno al cervello: vista, udito, gusto, tatto, odorato. Egli osservò che il comportamento ripetitivo che distoglieva l’attenzione del bambino poteva essere collocato in una o più delle cinque vie sensoriali. Pertanto, c’erano bambini che ricadevano in una delle tre seguenti categorie, in base ai loro atteggiamenti sensoriali: 1. Iper: un sistema sensoriale a innesco rapido che lasciava passare troppa parte del messaggio al cervello portando ad un sovraccarico del sistema 2. Ipo: un sistema sensoriale lento che lasciava passare una parte troppo piccola del messaggio al cervello 3. Rumore bianco: un sistema sensoriale che operava con così poca efficienza che la sua stessa attività creava una interferenza o rumore nel sistema. Egli scoprì che la cura poteva essere mirata a normalizzare il canale attraverso una stimolazione sensoriale che doveva essere loro fornita in frequenza, intensità e durata. Quando ciò accadeva, il bambino autistico diminuiva o cessava i suoi comportamenti ripetitivi e poteva rivolgere la sua attenzione al nostro mondo ed entrare a farne parte. SCOPRIAMO L’AUTISMO E GLI ATTEGGIAMENTI SENSORIALI Nella prima parte dell’articolo abbiamo visto che i bambini autistici negli anni ’60 venivano considerati psicotici. Delacato, invece, famoso neuroscienziato ed esperto di autismo, rifiutò da subito tale ipotesi diagnostica poiché per lui si trattava di un problema di neurosviluppo. Egli scoprì che alla base dell’autismo vi era una spiegazione neurologica, correlando le anomalie comportamentali ai disturbi senso- percettivo-motori. Quanto scritto nel DSM V e soprattutto quanto pubblicato dai neuroscienziati, ha confermato in pieno le sue intuizioni sull’autismo. La teoria di Delacato afferma che: – i bambini autistici manifestano disfunzioni percettive, ovvero problemi con una o più vie dal mondo esterno al cervello – gli strani comportamenti ripetitivi del bambino autistico sono atteggiamenti sensoriali, che rappresentano i tentativi del bambino di normalizzare le vie sensoriali disfunzionali – Il bambino cerca di “curare se stesso”, in una sola parola di autoregolarsi: è proprio questo tentativo di normalizzare le sue vie sensoriali che distoglie l’attenzione del bambino dalla realtà, con difficoltà di sopravvivenza nel mondo reale, ricco di stimoli sensoriali (propriocettivi, visivi, uditivi, tattili, olfattivi e gustativi, ecc) – tale comportamento è il messaggio del bambino e bisogna osservarlo attentamente per capire quali sono le vie sensoriali disfunzionali e soprattutto se la via è iper, ipo o rumore bianco – quando abbiamo individuato quali vie sensoriali sono disfunzionali, possiamo aiutare il bambino con una stimolazione sensoriale giusta attraverso quella via: in questo modo il canale si normalizza, il comportamento ripetitivo cessa e il bambino avrà la possibilità di “uscire dal suo mondo” e interagire con il mondo reale, apprendere e comunicare con le persone. Ogni bambino autistico è un individuo a sé e di conseguenza ogni bambino può creare nuovi atteggiamenti sensoriali. Una delle difficoltà che si incontrano nell’osservare gli atteggiamenti sensoriali dei bambini autistici è la nostra stessa funzione sensoriale: è importante guardare al di là della nostra normale funzione sensoriale mentre valutiamo il bambino e il suo comportamento. Alcuni suggerimenti generali che possono aiutare a osservare e valutare i comportamenti: – ogni volta che un bambino autistico entra nella stanza di terapia e scappa o si nasconde, possiamo concludere che egli scappa per proteggersi – scegliere una stanza tranquilla senza rumori e osservare cosa attira l’attenzione del bambino e quali aree sensoriali racchiudono le sue anormalità, imparare ad ascoltare i suoi movimenti, i suoni e i rumori che produce con gli oggetti, cercare di non imporsi ma attendere che il b.no si avvicini ed essere il più amichevole possibile, parlargli con un tono basso di voce e naturalmente, senza essere loquaci. Analizziamo in dettaglio i vari sistemi sensoriali e le loro relative manifestazioni in iper, ipo o rumore bianco. 1. TATTO Il sistema tattile riceve e trasmette le informazioni provenienti dai recettori sensoriali situati nella nostra pelle. È attraverso il sistema tattile che riceviamo informazioni sul mondo che ci circonda quando lasciamo l’ambiente uterino e contribuisce al nostro sviluppo sociale ed emotivo. Il sistema tattile inoltre svolge un’azione protettiva che ci allerta quando qualcosa è spiacevole o pericoloso. Se osserviamo gli atteggiamenti del tatto, notiamo differenti reazioni del bambino alle variazioni di temperatura, al dolore e alla pressione: alcuni percepiscono tali informazioni tattili come spiacevoli o minacciose e reagiscono con una reazione di “lotta o fuga”, altri le avvertono molto poco; inoltre possiamo osservare la sensibilità propriocettiva attraverso la coordinazione dei suoi movimenti e l’equilibrio. Nel valutare gli atteggiamenti del tatto, bisogna osservare l’uso delle mani (esaminatori tattili che usiamo più spesso) e qualsiasi attività ripetitiva che coinvolga la pelle e che possono variare dal mordere e colpire, al carezzare o solleticare. a. BAMBINO IPER-TATTILE Il bambino ipertattile è quello che ha reazioni negative e sproporzionate ad alcuni tipi di stimoli tattili percepiti in maniera neutra dalla maggior parte delle persone: rifiuta il contatto e, se viene toccato, reagisce lottando o scappando (preferisce toccare piuttosto che essere toccato), respinge anche il contatto con i vestiti (soprattutto ruvidi e troppo costrittivi o quelli con etichette interne). I problemi del vestire sono difficili da catalogare poiché, anche se sembrano il risultato di un tatto iper, potrebbero essere anche il risultato di un odorato iper. Inoltre il b.no evita alcuni cibi (è sensibile alla loro struttura in bocca), evita di camminare a piedi nudi (specialmente sull’erba o sulla sabbia), non ama le variazioni di temperatura e pressione. È iperattivo e distraibile. Sceglie sempre giocattoli morbidi o pelosi e in genere li usa per accarezzarsi il corpo nel tentativo di normalizzare le vie tattili. Manifesta disagio quando viene preso in braccio, non tollera l’acqua a meno che non sia alla temperatura del corpo o alcuni compiti quotidiani (fare la doccia, farsi tagliare i capelli, lavarsi il viso o i denti), presenta avversione nei confronti di alcuni materiali quali sabbia, pongo, colori a dita, reagisce negativamente al tocco leggero a livello di braccia, viso o gambe. b. BAMBINO IPO-TATTILE Il bambino ipotattile può mostrare scarsa o nessuna reazione al dolore, può venire ferito seriamente e non piangere. Può sorridere quando viene percosso, non si rende conto di essere toccato a meno che lo stimolo tattile diventa intenso, fa cadere oggetti o sbatte contro persone/mobili e non se ne accorge poiché è inconsapevole delle sensazioni del suo corpo. Si autoferisce, ha zone callose o con lividi come mani, braccia, ginocchia, gomiti, si morde le mani o altre parti del corpo, si colpisce, si mette in posizioni contorte, che sarebbero per noi dolorose, nel tentativo di autopercepirsi. Svolge attività ripetitive con il corpo (è importante osservare attentamente questi movimenti grossolani per essere sicuri di valutare anche gli aspetti visivi e uditivi). Si tocca continuamente anche le zone ferite del suo corpo senza permettere la loro guarigione. c. TATTO- RUMORE BIANCO È il bambino che gratta inesistenti pruriti sul suo corpo: spesso sembra grattare inesistenti punture di zanzara o di mosca, spesso rabbrividisce come se qualche oggetto che non vediamo li toccasse. È soggetto a “esplosioni tattili” che comportano il colpire e schiaffeggiare se stesso o altri: dopo tali esplosioni sembra tranquillo per un certo periodo dal punto di vista tattile, fino a quando si verifica un altro aumento. 2. ODORATO L’odorato è per i bambini autistici la zona meno capita del comportamento e i problemi di questa zona sono considerati gli atteggiamenti più antisociali. Un tempo tale senso fu di primaria importanza nella nostra evoluzione ed era la via sensoriale principale. a. IPER- ODORATO Il bambino iperolfattivo o iperodorato ha un senso dell’olfatto eccessivamente sviluppato e questo comporta una serie di conseguenze negative sulla sua vita adattiva. Tutti abbiamo un odore che ignoriamo ma questo b.no non può farlo, è respinto da alcuni odori e attratto da altri e tale condizione ha notevoli ripercussioni sul suo comportamento. È un b.no che avverte gli odori a distanze molto maggiori rispetto a noi, vomita quando sente l’odore della sua urina o è talmente nauseato da questo odore che rifiuta di urinarie e defecare fino a quando non riesce più a trattenersi. Un aspetto molto interessante è che questo è anche il bambino che lotta al seno, ovvero non riesce a sopportare l’odore e lotta per allontanarsene, mentre in genere è la capacità olfattiva che guida un neonato verso il capezzolo del seno. È inoltre il bambino che lotta quando viene sollevato o preso in braccio poiché non tollera l’odore del caregiver che lo abbraccia; è anche selettivo nell’alimentazione e spesso non mangia: non sopporta cibi dagli odori forti e quando questi odori aumentano aumenta il suo comportamento di rifiuto. Di conseguenza vomita facilmente poiché non è inconsapevole della presenza degli odori che lo circonda. b. IPO-ODORATO Il bambino ipoodorato è quello che, cercando gli odori intensi, prova un grande piacere. Il comportamento più problematico è quando lo troviamo a giocare con le sue stesse feci o cosparge il muro o un oggetto con le stesse. Nelle feci egli trova l’odore di rifiuto più potente, più piacevole e comprensibile. È il bambino che con molta facilità bagna il letto o il pigiama e gioca con la sua stessa urina, annusa ogni oggetto che incontra interpretandone il marchio olfattivo e ogni persona nella stanza prima di fare qualunque altra cosa. Se osserviamo o annusiamo le sue mani, notiamo che sono sempre bagnate di saliva; inoltre è il bambino che mangia indiscriminatamente, anche cose non commestibili. Si rassicura annusando il suo stesso odore che, più è forte e più è felice. Gli piace stare in bagno e spesso è riluttante a far scorrere via con l’acqua le sue feci nel water, prova piacere nel sentire l’odore della gente. c. ODORATO- RUMORE BIANCO È il bambino che manifesta un odore costante nel suo sistema olfattivo. È come se avesse un odore interno che il suo naso riuscisse a percepire. Spesso posa una mano sulla bocca e il naso e soffia l’aria dall’una all’altro per sentire l’odore del suo alito, tende a cacciare piccoli oggetti dalle narici, in un tentativo di cambiare i meccanismi del suo odorato. Talvolta cerca gli odori esterni, altre volte li respinge e scappa via da essi. Diventa molto teso quando ha una congestione nasale o un raffreddore. 3. UDITO Molti bambini con atteggiamenti uditivi sono semplicemente diagnosticati come sordi. È spesso difficile differenziare gli ipo dagli iper. Questo è il risultato dei tentativi del bambino iperuditivo di salvare se stesso nel nostro mondo rumoroso, tagliando fuori ogni rumore. È come se “spegnesse” il suo sistema uditivo risultando sordo. Ricordiamo che l’organo dell’udito è l’orecchio. L’orecchio interno e l’equilibrio sono in stretta relazione: udito ed equilibrio devono quindi essere osservati insieme. Generalmente, i movimenti rotatori del corpo e qualunque attività che faccia venire il capogiro, se non comprende gli occhi coinvolge l’udito. I bambini con problemi di “input” uditivo sono i più difficili da trattare dal punto di vista comportamentale e sono complessi da capire e da controllare. Le stanze da bagno sono spesso di aiuto per diagnosticare gli atteggiamenti uditivi, poiché il suono rimbalza e riecheggia rapidamente attraverso la stanza. Possiamo dire che il b.no che ama giocare nella stanza da bagno probabilmente è ipoauditivo, mentre quello che si oppone quando dovrebbe andare nella stanza da bagno è iper. Nel valutare gli atteggiamenti uditivi bisogna ricercare ogni attività che produca dei suoni. Se ascoltiamo il bambino chiudendo gli occhi, i suoni andranno da quelli vocali allo schioccare delle labbra, a battere leggermente sulle orecchie, allo sbattere assieme degli oggetti incessantemente. Non è consigliabile usare la musica per valutare la funzionalità uditiva poiché essa cambia l’atteggiamento di ascolto dei bambini con problemi uditivi. Questi bambini imparano spesso com’è un oggetto palpandolo, battono leggermente sull’oggetto con un dito e ascoltano le diversità dei suoni su parti diverse dell’oggetto. Quando il palpare non è sufficiente, questi bambini romperanno l’oggetto ascoltando attentamente i suoni che produce quando viene distrutto. a. IPER-UDITO Il comportamento del bambino iperuditivo è in genere quello di evitare o respingere: si allontanerà dal rumore e dai suoni o si tapperà le orecchie con le mani, respingendo completamente il suono. In quest’ultima situazione egli sarà giudicato e sembrerà essere totalmente sordo: viene ferito dai suoni e poiché non può fermarli anche se si allontana o si chiude le orecchie, li spegne nel suo cervello. Questa sordità transitoria sparisce non appena comincia a produrre suoni ripetitivi che ascolterà con piacere. Bisogna ricordare che il bambino iperuditivo sente molti suoni che noi, con un udito normale, non avvertiamo. Anche dormire diventa per lui un problema, ha un sonno molto leggero poiché avverte suoni che noi riusciamo ad escludere dalla nostra consapevolezza. Ad esempio, può sentire il rumore di apparecchi elettrici, televisivi, rumori provenienti dai tubi dell’acqua, dal respiro o dal vento. Ha paura degli animali poiché producono rumori in momenti imprevedibili, ha timore del taglio dei capelli (è spaventato non solo dal taglio delle forbici ma anche dal rumore del rasoio vicino all’orecchio). Anche pulirgli e lavargli le orecchie rappresenta per lui una tortura. Inoltre è spaventato dalla folla, dalle gallerie, dal traffico, dalle sirene delle ambulanze, dagli acquazzoni forti, dai tuoni, essendo rumori che si verificano improvvisamente e sono troppo forti per essere facilmente assorbiti. Il bambino iperuditivo quando non riesce a controllare il dolore e la paura del rumore nel suo ambiente, cerca di allontanarsi dalla sorgente del rumore: può nascondersi sotto una coperta, lasciare la stanza o addirittura fuggire di casa. Dobbiamo fare attenzione perché ad esempio il nascondersi sotto una coperta può essere la reazione di un b.no iperuditivo o ipervisivo; pertanto bisogna osservare che cosa fa scattare tale reazione, se il suono o la vista. b. IPO-UDITO È il bambino per cui il mondo è troppo quieto, è quello che grida, che sbatte violentemente. Una parte insufficiente del messaggio di suoni del mondo raggiunge il suo cervello e per tale ragione egli cerca altri suoni che abbiano una maggiore durata e frequenza. Egli crea rumori forti e ritmici e si muove verso di loro, appoggia l’orecchio a superfici vibranti e rumorose. Ama i suoni violenti, i rumori del traffico, può rimanere ore ad ascoltare una lavatrice, un frullatore o un aspirapolvere, gli piace strappare la carta (soprattutto rigida e non morbida); adora sbattere le porte e sembra distruttivo nella ricerca di suoni, come se frantumasse le cose per vedere che suono c’è dentro. Ama i giocattoli che fanno rumore o che cigolano: se il giocattolo è silenzioso, il problema generalmente è visivo, mentre se è rumoroso, molto probabilmente è uditivo. c. UDITO- RUMORE BIANCO È il bambino che sembra preoccuparsi dei suoi rumori interni, che ascolta il battito del suo cuore dopo aver corso, che ascolta il suo apparato digerente dopo aver mangiato o che respira in fretta per la bocca e ascolta il suo respiro. Una nota interessante è che questo è anche il b.no che spesso si dondola (soprattutto la testa) e poi si ferma, come per ascoltare la differenza del rumore nella sua testa. Può adottare posizioni gravitazionali strane: ad es. sembra ascoltare se stesso attaccato ad una sedia con la testa in giù; canticchia spesso e fa un rumore basso continuo e lo ascolta. 4. GUSTO Il principale organo del gusto è la lingua, che possiede circa dieci mila papille gustative. La punta della lingua è sensibile soprattutto al salato e al dolce, i lati della lingua all’acido e la parte posteriore ai sapori amari. È interessante sapere che i bambini iper nel gusto tendono ad usare la punta della lingua per assaggiare, controllano cibi e oggetti dolci o salati. I bambini ipo nel gusto usano la parte posteriore e quelle laterali della lingua, controllano l’acido e l’amaro. I bambini con rumore bianco nel loro sistema gustativo, tendono invece a succhiare con la parte posteriore e quelle laterali della lingua, controllando i gusti acido e amaro. La lingua è anche molto sensibile dal punto di vista del tatto: è talvolta difficile separarne la funzione gustativa e quella tattile. a. IPER- GUSTO Il bambino iper nel gusto si allontana da gusti molto forti, vomita spesso, mangia molto poco e solo cibi poco saporiti. Pertanto, manifesta precoci problemi di alimentazione poiché la sua tolleranza alle variazioni di gusto è molto limitata. b. IPO-GUSTO Il bambino ipo nel gusto mangia qualsiasi cosa (anche non commestibile o di gusto repellente), non discrimina il cibo. Può mangiare e bere sostanze estremamente dannose come la benzina e sostanze velenose come la vernice. È il bambino che subisce spesso lavande gastriche per la sua mancanza di discriminazione su ciò che mangia o beve. c. GUSTO- RUMORE BIANCO È il bambino che ha sempre un “gusto” in bocca. Se si osserva questo bambino possiamo notare che si comporta come se si succhiasse la lingua o le gengive per avere da queste un gusto. Spesso rigurgita il cibo ingerito o lo rimastica e ingerisce. È spesso indifferente al cibo, permette agli altri di alimentarlo ma raramente lo fa da solo. Se osserviamo la sua lingua notiamo che è grossa e larga, come conseguenza del gustare la propria saliva. 5. VISTA Come valutiamo gli atteggiamenti visivi del bambino? Osservando qualunque cosa che contenga un movimento del corpo, come il dondolarsi, il girare, il ruotare o qualsiasi movimento che si verifichi davanti agli occhi. La maggior parte dei movimenti ritmici di oggetti entro il campo visivo, purché non sia implicato rumore, sono indicatori visivi (automobili, orologi, dischi che girano, ecc.). a. IPER-VISIONE È il bambino che guarda costantemente piccole particelle di polvere o oggetti nell’ambiente circostante. Può passare ore a togliere peluzzi da un tappeto o dai suoi vestiti, può rimanere per ore ad osservare un granellino di polvere o una goccia di saliva tra le dita, un capello, compiere movimenti improvvisi ma controllati. Tali movimenti possono essere laterali, permettendo al bambino di vedere come se muovesse gli occhi da destra a sinistra oppure in avanti e indietro, consentendo al b.no di avvicinarsi o allontanarsi dall’oggetto. Questo bambino è attratto da orologi, ruote, dischi che ruotano, trottole, quindi da oggetti che osservati a lungo e intensamente, provocano illusioni ottiche. Ha un’ottima memoria visiva ma non ama gli specchi né vedersi riflesso in uno specchio, nell’acqua o in fotografia. In genere, ha paura del buio, di fasci improvvisi di luce, dei lampi e non ama la luce brillante del sole. b. IPO-VISIONE Una delle caratteristiche del bambino ipovisivo è il dondolarsi: si dondola avanti e indietro, spostando l’oggetto osservato da vicino a lontano. Inoltre è attratto da fasci di luce come il sole e punti di luce e può passare molto tempo ad osservarli, ha paura dell’altezza, delle scale, delle gallerie buie, della velocità (le sue capacità visive non riescono a fronteggiare la velocità e la profondità). Può andare avanti e indietro da una superficie colorata ad un’altra, come la linea di incontro di due tappeti di diverso colore, nel tentativo di normalizzare il suo sistema visivo. Un comportamento complesso da comprendere è il lento camminare attorno ad un oggetto, la sua attenta osservazione mentre gira attorno: questo potrebbe essere un tentativo di fissare il contorno dell’oggetto per capire la sua posizione nello spazio. Bisogna osservare da vicino come ruota gli oggetti ad esempio le matite: se è fatto davanti agli occhi è un atteggiamento visivo. È affascinato dagli specchi o oggetti a superficie riflettente, dal vento che fa volare le foglie; può soffiare pezzettini di carta o granelli di polvere per vederli muoversi. Un’altra sua caratteristica è l’intrecciare le dita o il giocare con le mani, attività che compie sempre entro il campo visivo. Lancia oggetti leggeri e li osserva, al contrario degli ipoauditivi che in genere lanciano quelli pesanti. c. VISIONE-RUMORE BIANCO È il bambino che manifesta spesso le pupille dilatate, che guarda attraverso la gente e le cose, che si comporta come se osservasse qualcosa con molta attenzione, ma qualcosa che è dentro il suo bulbo oculare. Vede come se i suoi occhi non fossero rivolti verso il mondo esterno ma dentro se stesso. È il bambino che si tocca, si sfrega, si colpisce spesso gli occhi per far apparire lampi interni di luce nel suo sistema visivo. Anche se nessuno dei bambini con atteggiamenti visivi mostra rapidamente e a lungo un contatto visivo (guardandovi dritto negli occhi), a questo bambino riesce impossibile, anche se è obbligato a farlo. Si comporta come una persona realmente cieca: la sua attenzione è rivolta verso un mondo che non c’è. In conclusione, dopo questa lunga descrizione dei vari sistemi sensoriali, osservando il bambino autistico dobbiamo chiederci quale o quali canali sono compromessi? Iper, ipo o rumore bianco? Questi esempi specifici vogliono essere una guida per le vostre osservazioni e valutazioni, sempre ricordandovi che ogni bambino è un individuo a parte che crea nuovi atteggiamenti sensoriali (che possono non emergere tra quelli appena descritti!). Se il vostro bambino manifesta atteggiamenti particolari in più di un canale sensoriale, cercate di capire quale via è disfunzionale e partire a lavorare da quella stessa via, in cui il bambino manifesterà il maggior numero di atteggiamenti. CONCENTRIAMOCI SULLA CAUSA e NON SUL SINTOMO: TERAPIA SENSORI-MOTORIA L’obiettivo della terapia sensori-motoria è di eliminare o ridurre gli atteggiamenti sensoriali in modo che il bambino possa essere accettato da coloro che lo circondano ed essere meglio integrato nella società sia dal punto di vista comportamentale che educativo, e in modo che possa rivolgere la sua attenzione verso il nostro mondo e le sensazioni a cui noi vogliamo che egli presti attenzione. Anziché focalizzarci sull’estinzione di certi atteggiamenti, se comprendiamo il motivo dei comportamenti del bambino possiamo aiutarlo meglio ad autoregolarsi, ad esempio variando l’ambiente e adattandolo in base alle sue necessità, diminuendo il suo disagio sensoriale. Per quanto possibile, possiamo alterare le funzioni della terminazione sensoriale da cui questi atteggiamenti hanno avuto origine. Possiamo inoltre aiutare il bambino a normalizzare la via o le vie sensoriali anormali. Elenchiamo di seguito alcuni suggerimenti che possono fungere da guida, sempre tenendo in considerazione che ogni bambino è diverso dagli altri e può trarre benefici anche da altri tipi di approcci/tecniche. Tuttavia, potete utilizzarli come guida, modificandoli e adattandoli in base al bambino che avete di fronte. A.TATTO Ricordiamo che le modalità del tatto sono 4: temperatura, dolore, pressione, propriocezione. Inoltre, se la pelle è l’organo terminale del tatto, bocca, lingua e denti sono sensibili in questo campo. Tutto il corpo è sensibile per quel che riguarda il tatto: per essere percepiti, l’oggetto o la persona devono venire in contatto col corpo del bambino, tranne nell’area della temperatura. IPER-TATTO Questo bambino è molto influenzato dal tatto, che monopolizza i suoi pensieri ed è l’origine delle sue paure. Possiamo eliminare i vestiti ruvidi, pesanti, stretti e fargli indossare abiti che preferisce, abbracciarlo in modo gentile (poiché non ama una forte pressione sul suo corpo). Questo b.no ha molta paura del dolore, per cui anche un lieve dolore come una ferita o una ciglia nell’occhio può renderlo aggressivo o nervoso. Può essere difficile fargli il bagno e può urlare quando gli vengono tagliate le unghia dei piedi o delle mani. Dobbiamo ricordarci che per lui è un dolore! Tenderà ad essere caldo al tatto e a sudare con facilità: per tale ragione è consigliabile mantenere bassa la temperatura a casa e assicurarsi che non abbia indumenti di lana. Inoltre è ipersensibile al freddo, quindi bisogna mantenere la temperatura il più costante possibile. Se assume posizioni anomale del corpo quando è seduto o se intreccia le dita, all’inizio della terapia possiamo lasciarglielo fare poiché sono sensazioni propriocettive che lo tranquillizzano. Successivamente possiamo inserire gradualmente attività propriocettive più variate, e non opprimerlo con sensazioni tattili per lui spiacevoli. È un bambino molto sensibile al solletico: anche un soffio d’aria potrebbe modificare negativamente il suo comportamento. Bisogna osservare quali atteggiamenti tattili gli provocano piacere e fargli ciò che lui fa a se stesso: ad es. se si accarezza una guancia, possiamo accarezzargli l’altra guancia, lentamente e, se lo tollera, passiamo ad un altro atteggiamento tattile che gli piace. Pertanto, il primo passo è quello di creare nel bambino un maggior grado di tolleranza alla stimolazione tattile proveniente dall’esterno e controllata da altre persone. Successivamente, si può stimolare lentamente il suo volto, con un tocco molto leggero delle dita e arrivare fino alle orecchie con una leggera azione di massaggio. Inizialmente il b.no ipertattile potrebbe arrabbiarsi e respingere l’azione e, appena comincerà ad accettare questo massaggio leggero, possiamo pronunciare ogni parte del suo volto che viene toccata. Passare poi dal volto al corpo, alle braccia e alle mani. Attenzione: all’inizio procedere con il palmo delle mani e quando comincerà a sopportarlo, passare ad una carezza leggera con le punta delle dita, pronunciando sempre ciò che tocchiamo. Se non tollera tali azioni, fermiamoci e poi riprendiamo. IPO-TATTO Questo bambino necessita di tutta la stimolazione tattile possibile, di variazioni di temperatura nel suo ambiente quotidiano e di numerose esperienze propriocettive. Ama la pressione e gli abbracci molto forti. È consigliabile farlo muovere, proporre attività che implicano la coordinazione di braccia e gambe, correre, saltare, rotolare, strisciare, lanciare e afferrare una palla, ecc. Se manifesta movimenti ritmici del corpo cerchiamo di esagerarli e aumentarli. Dobbiamo spesso spazzolare, stuzzicare, pizzicare, sfregare la sua pelle: in questo modo aiutiamo il messaggio a passare dalla pelle al cervello aumentando FREQUENZA, INTENSITÀ e DURATA dell’applicazione dello stimolo. Inoltre bisogna variare gli input tattili il più possibile, soprattutto in quelle zone che il b.no ferisce, colpisce, tormenta e che necessitano di una maggiore quantità di stimoli. Cambiargli spesso la temperatura dell’acqua, soprattutto immergendo braccia e mano del bimbo nella stessa, massaggiando e pizzicando la sua pelle ma prestando attenzione a non fargli male poiché ha una percezione del dolore inferiore al normale. In seguito asciughiamo mano e braccio con un asciugamano ruvido. A molti di questi bambini piace il vibromassaggio su tutto il corpo. TATTO- RUMORE BIANCO Il bambino ha bisogno di sperimentare molte sensazioni tattili provenienti dall’esterno del suo corpo e controllati da persone diverse da lui. Ogni volta che gli viene fornito uno stimolo tattile, bisogna indicargli la sua origine e dobbiamo spiegargli cosa gli stiamo facendo prima e durante la stimolazione, sempre!. Ad esempio, dobbiamo dirgli “sto per stringerti e poi sollevarti”; mentre si esegue questa azione, dobbiamo continuare a dirgli ciò che stiamo mettendo in atto. Quando comincerà a capire le stimolazioni provenienti dall’esterno in opposizione a quelle interne, possiamo fornirgli una grande varietà di esperienze. Ha bisogno prima di riuscire a discriminare due diversi input tattili. In totale, avrà bisogno di esperienze tattili provenienti dall’esterno nel modo più costante possibile nell’area della temperatura, pressione, dolore e della propriocettività. Più lo stimoleremo dal lato del tatto e meno si concentrerà sulle sue sensazioni tattili interne. Quando aumenterà la sua tolleranza allo stimolo tattile, possiamo cambiare il ritmo dello stesso, rendendolo sempre diverso e ripetendolo costantemente. B. ODORATO Tutti noi, che abbiamo normali capacità olfattive, incontriamo grandi difficoltà nel capire i problemi che coinvolgono l’olfatto e dobbiamo considerare che ogni persona è circondata da un odore e che i nostri odori cambiano continuamente. IPER-OLFATTO È importante avvicinarci a questi bambini pian piano, tenendo presente che i nostri corpi emanano un forte odore. Con questi bambini non dobbiamo coprire gli odori del corpo con altri, né lavare i vestiti con saponi profumati. Si consiglia di limitare al minimo gli odori domestici, soprattutto quelli forti di cucina e di cibi; il cibo deve essere leggero e inodore per questi bambini iperolfattivi. Quando l’ambiente olfattivo diventerà più tollerabile, possiamo fornirgli odori deboli e leggeri, dicendogli sempre come sarà l’odore e avvicinandoglielo sempre di più, ma senza metterglielo sotto il naso (può sentire odori a distanze molto maggiori delle nostre). Quando sopporterà odori leggeri e lontani, possiamo introdurre odori umani: facciamo avvicinare le persone a lui, facciamogliele annusare. Ciò che bisogna fare è dunque insegnare a questi bambini a vivere con gli odori e a sopportare odori che non possono controllare, avvicinandoli il più possibile a un normale ambiente olfattivo. IPO-OLFATTO Questo è il bambino che necessita di un ambiente con odori intensi, come quelli domestici, odori di vestiti o di rifiuti. Bisogna invitarlo ad annusare cibi aromatici, sempre spiegando che tipo di odore è. Porre l’oggetto da annusare sotto il naso del bambino e, quando migliorerà la sua capacità olfattiva, fornirgli odori meno intensi e metterli più lontano dal suo naso. Successivamente cominciare la discriminazione tra due odori molto forti e diversi e scoraggiare il suo annusare da vicino persone e oggetti. L’obiettivo è quello di aumentare la distanza a cui annusa gli oggetti, imparare ad aspettare gli odori e a non andarli a cercare. OLFATTO-RUMORE BIANCO Lo scopo è far si che il bambino reagisca agli odori provenienti dall’esterno, creando un ambiente inodore. Cambiare ogni giorno gli odori da mettere sul corpo e sui vestiti del bambino. Ogni mattina bisogna specificare che tipo di odore gli mettiamo e quando migliorerà, potremmo variare con odori non troppo specifici e distinti e meno intensi. Man mano possiamo introdurre altri odori, oltre a “quello del giorno”, per aumentare la sua capacità discriminativa e facendoglieli riconoscere anche ad occhi chiusi. C. UDITO I bambini con problemi uditivi sono prigionieri del loro ambiente. Dobbiamo fare attenzione agli ambienti poiché alcuni assorbono il suono mentre altri lo riflettono. Lo scopo è quello di far capire loro da dove proviene il suono e ascoltare i suoni controllati da altri. IPER-UDITO Questo bambino cancella ogni suono che non sia creato da lui, è come se fosse completamente sordo al suono controllato da altri (risulta anche sordo ad ogni test). Il consiglio è quello di allontanarlo da ambienti affollati, rumorosi, non gridare mai con lui, piuttosto bisbigliare quando vogliamo comunicare con lui: se insistiamo e utilizziamo suoni non minacciosi o forti, pian piano il bambino comincerà a rispondere ai nostri suoni, a far entrare il suono, perdendo anche quel grigiore sul volto che lo caratterizza. Non dobbiamo costringerlo a stare in cucina o in bagno, essendo posti che non assorbono il suono anzi lo amplificano; piuttosto circondarlo di un ambiente che assorbe il suono (tappeti, tappezzerie). Assicuriamoci che dorma in una parte tranquilla della casa poiché ogni suono potrebbe interferire con il suo sonno (si può utilizzare una musica dolce di sottofondo finché non dorme). Può scappare quando non riesce più a “nascondersi” dai suoni che lo circondano e lo feriscono, come ad esempio quando è in ambienti rumorosi o con molte persone: in questo caso dobbiamo cercarlo con molto silenzio (spesso si nasconde sotto una coperta o una tenda per proteggere il suo orecchio troppo sensibile). Per diminuire il suono in arrivo e la sua intensità, possiamo fargli indossare dei tappa orecchie o delle cuffie, soprattutto quando l’ambiente sonoro è per lui troppo difficile da tollerare. IPO-UDITO È il bambino che richiede molta stimolazione uditiva, ma non caotica. Il suono deve essere netto, riconoscibile e presentato singolarmente, non insieme ad altri suoni. Bisogna inserirlo in un ambiente che rifletta il suono, come ad esempio cucina e bagno (evitare tappeti, tappezzerie e rivestimenti acustici). Prediligere giocattoli rumorosi e un tono deciso e forte di voce quando gli parliamo: cerchiamo di fare in modo che egli ascolti le nostre parole senza forzarlo, e che riesca a capire, localizzare e immagazzinare i suoni. Questo bambino adora i rumori del traffico, della folla, il rumore della risacca sulla spiaggia, ecc. poiché sono zone che aumentano l’intensità del suono. Adora anche gli animali, soprattutto i cani, arrivando spesso a far loro del male per sentirli abbaiare. Ogni giorno dovrebbe essere messo in un posto dove egli possa sbattere oggetti, gridare, dunque fare suoni ripetitivi e forti. UDITO-RUMORE BIANCO Non bisogna consentire a questo bambino di avere troppo tempo per stare seduto e ascoltare se stesso, tenendolo impegnato con ogni tipo di attività in modo da distrarlo dai suoi suoni interni. Quando c’è il temporale, diventerà più agitato poiché le variazioni nella pressione atmosferica sembrano provocare cambiamenti nei suoi rumori interni. Ama i gatti e adora ascoltare il loro rumore interno. Possiamo sollecitare strane posizioni di equilibrio, come stare sul pavimento, in bilico sulla testa, dondolarsi con gli occhi chiusi o correre, attività che modificano i suoi suoni interni permettendo al bambino di discriminarli. Un altro obiettivo è quello di aiutarlo a distinguere tra suoni interni ed esterni: possiamo utilizzare giocattoli rumorosi e fargli capire da dove proviene il suono in ogni occasione, oppure fargli sentire oggetti che producono suoni come lavatrici, pianoforti, facendogli apprendere le vibrazioni del suono attraverso il tatto. Facciamo attenzione a eliminare i rumori di fondo, come potrebbe essere un condizionatore di aria. Possiamo utilizzare uno stetoscopio in modo da invitarlo ad ascoltare il battito del suo cuore, la sua digestione, la circolazione del sangue e dobbiamo scoraggiare i suoni costanti che egli produce. Eseguire vari giochi sonori che hanno lo scopo di fargli capire che si tratta di rumori esterni che si dovrebbero sentire, assicurandoci che egli ci osservi mentre stiamo producendo il suono. Ricordiamoci che la ripetizione è fondamentale per aiutare il bambino. D. GUSTO Questi bambini manifestano problemi di alimentazione: gli iper-gustativi possono mettere in pericolo la loro stessa salute poiché non tollerano l’odore dei cibi, gli ipo tendono a mangiare qualunque cosa e sono molto pericolosi per se stessi: non si dovrebbero lasciare in giro per casa sostanze o liquidi pericolosi e bisognerebbe sorvegliarli spesso. Ricordiamo che la punta della lingua è sensibile soprattutto al dolce e salato, i lati all’acido e la parte posteriore all’amaro. IPER-GUSTO Sono i bambini che in genere hanno poco appetito, vomiteranno spesso soprattutto se diamo loro cibo saporito e tendono ad usare la punta della lingua per i gusti salato e dolce. Sono indicati cibi leggeri senza spezie e non bisogna utilizzare bibite gassate né acido e amaro nei loro alimenti fino a quando il loro sistema gustativo non si è normalizzato. Quando li alimentiamo, bisogna mischiare un cibo nuovo con uno familiare: dobbiamo mettere qualche briciola di cibo nuovo e leggero sul palato, dietro gli incisivi e sulla punta, dicendogli sempre che cibo è. Quando imparerà a tollerare questo con i cibi poco saporiti, possiamo procedere con quelli dolci e poi salati, arrivando alla fine all’acido e all’amaro. IPO-GUSTO Si consiglia di eliminare tutte le sostanze velenose e i saponi molto forti poiché sono b.ni che non discriminano i gusti e possono mangiare ogni cosa che trovano. Dobbiamo quindi insegnare loro a discriminare i gusti. È stato scoperto che è più semplice con questi bambini far assaggiare loro del cibo con la parte posteriore della lingua, usando stimoli amari in forma liquida e dicendo sempre di cosa si tratta. Successivamente si passerà ai gusti acidi in forma liquida, poi a quelli salati e infine ai sapori dolci, sempre sulla punta della lingua. Quando avranno imparato a conoscere i sapori, possiamo iniziare a mescolare un giorno i gusti dolci, un altro giorno gusti amari, un giorno quelli acidi e l’altro giorno gusti salati, fino a mescolare i gusti all’interno delle esperienze di uno stesso giorno. GUSTO- RUMORE BIANCO È il bambino che ha sempre un gusto in bocca, che distoglie la sua attenzione verso l’ambiente esterno. Spesso se osserviamo la sua lingua vediamo che è grossa, poiché gusta la sua stessa saliva e la succhia. Bisogna scoraggiare il più possibile il suo rigurgitare e rimasticare il cibo, massaggiare la lingua e quando si lava i denti invitarlo a spazzolarla. Quando il b.no sarà pronto possiamo cominciare a superare il “rumore bianco”: mettiamo un cubetto di zucchero nello spazio tra i denti e la guancia, cercando di non farlo masticare dal bambino, e in modo che quando si scioglierà, il suo sapore filtrerà verso la lingua. Bisogna farlo con tutti i quattro gusti fondamentali, iniziando dal sapore che il b.no tollera meglio e dicendogli che gusto è prima di metterglielo in bocca. Poi possiamo cominciare a insegnargli a differenziare i gusti presentandoglieli e pronunciandoli; partendo da quelli dolci e salati (iniziando con la punta della lingua), li introduciamo nei suoi alimenti, assicurandoci che poi mastichi il cibo (non deve inghiottirlo senza masticarlo perché in questo modo non lo gusterà e poi potrebbe rigurgitarlo e rimasticarlo). E. VISTA Dobbiamo osservare tutti i movimenti in cui sono coinvolti gli occhi, quando valutiamo un bambino con atteggiamenti visivi: un movimento globale del corpo, di braccia e gambe nel campo visivo, il guardare oggetti in movimento come treni, oggetti che ruotano, il salto e il dondolamento, la rotazione, oppure possiamo notare tutti gli oggetti che questo bambino manipola ritmicamente davanti i suoi occhi. IPER-VISIONE È il bambino che necessita di meno stimolazione visiva possibile e che si comporta meglio in un ambiente con pochi stimoli visivi (luci non troppo forti e brillanti ma indirette) e senza specchi (in modo da non poter decomporre la luce o giocare con essa). Si consiglia di portarlo fuori la sera quando il sole è tramontato e la luce non è forte e di fargli indossare occhiali da sole quando invece deve stare fuori. Cerchiamo di controllare noi il suo movimento oculare: possiamo muovere una torcia attorno alla stanza, sollecitando il bambino a seguire la luce con gli occhi e scoraggiando ogni attività visiva controllata da lui. Proponiamo giochi che richiedono una buona abilità visuo-percettiva come puzzle e ricalchi, aiutandolo se all’inizio trova qualche difficoltà. Non incoraggiamo il bambino a stare troppo tempo con uno stesso tipo di gioco. Possiamo insegnargli a leggere poiché riesce molto bene e presto in questa abilità, oltre a possedere una eccellente memoria visiva (può osservare uno schema visivo complesso e ricordarlo nei minimi dettagli). IPO-VISIONE È il bambino che necessita di una grande quantità di luce solare, di luci brillanti e di stimolazione visiva. Sono molti utili i contrasti di luce e buio come la nettezza delle ombre. L’illuminazione deve essere diretta e non schermata, bisogna fargli passare molto tempo all’aperto e incoraggiarlo a sentire col tatto ogni cosa che vede; mostrargli luci a colori diverse e ombre, e come cambiano le ombre quando un oggetto viene spostato in relazione alla sorgente di luce. Aiutarlo ad imparare come sono i contorni delle persone e delle cose, come cambiano in base alla luce, toccandoli e osservandoli attentamente. Il movimento rappresenta sempre un problema per questo bambino poiché complica ancora di più il suo mondo a contorni indistinti. Quando trattiamo il bambino ipo-visivo dobbiamo assicurarci che guardi sempre un oggetto in linea retta, al centro del suo campo visivo e non lateralmente. VISIONE-RUMORE BIANCO Gli organi visivi di questo bambino operano come se fossero rivolti all’interno. Il nostro compito è quindi di aiutarlo a vedere verso il mondo esterno: non lasciargli toccare, colpire gli occhi poiché con queste attività il b.no si crea stimoli dall’interno, come lampi e giochi di luce direttamente nel cervello. Giocare insieme a lui con un pannello di luce che noi controlliamo, e che accendiamo e spegniamo alternativamente. Non dobbiamo forzare un contatto visivo ma proporre giocattoli luminosi in una stanza in penombra, in modo da attirare la sua attenzione visiva (dobbiamo mostrargli la sorgente di luce senza fargliela toccare). È molto utile usare uno specchio illuminato per aiutarlo a vedere cosa c’è al di fuori del suo campo visivo, e quindi rivolgere l’attenzione del bambino su qualcosa controllata dall’esterno e non da lui stesso. Inoltre, mente si osserva allo specchio, possiamo tracciare su questo con un dito il contorno del suo corpo, indicando man mano le diverse parti del suo corpo e facendogliele indicare in seguito su di noi. Possiamo incitare il movimento, come sollecitarlo a mettersi e camminare carponi, muovere le braccia lentamente mentre si guarda allo specchio, assicurandoci sempre che si muova con armonia e non a scatti. Scoraggiare il suo passatempo di “guardare dentro di sé” e cerchiamo di utilizzare alternative affinché il bambino possa guardare realmente ciò che lo circonda e prestarvi attenzione. —☆—- Questi suggerimenti rappresentano una guida, poiché ogni bambino è diverso dagli altri. Pertanto, se conosciamo la causa e riusciamo a capire quale sia il sistema sensoriale “che non funziona”, possiamo generalizzare e improvvisare, al fine di ridurre gli atteggiamenti ritmici del bambino che lo allontanano dal mondo reale. Dobbiamo ricordarci che egli sta cercando di normalizzare da solo la via o le vie sensoriali abnormi, dunque di autoregolarsi e noi dobbiamo aiutarlo a liberarsi dai sintomi del suo comportamento disfunzionale ——☆——– Dott.ssa Francesca Tabellione Dott.ssa Erika D’Antonio Bibliografia: “Alla Scoperta del Bambino Autistico” (Carl Delacato) /wp:tadv/classic-paragraph
Per saperne di più
I nostri Blog – da admin
MEMORIA E CIRCUITI NEURALI
wp:image /wp:image wp:tadv/classic-paragraph Le Funzioni Esecutive rappresentano processi complessi di ideazione, attivazione, controllo, coordinazione dell'agire umano intenzionale e del funzionamento del sistema cognitivo: grazie al loro buon funzionamento noi possiamo programmare un'azione o un comportamento relativo ad uno scopo, dunque stabilire degli obiettivi, delineare strategie nuove ed efficaci, monitorare lo stato della sua esecuzione ed eventualmente correggere il risultato o apportare modifiche nell'ambiente. La struttura al centro delle funzioni esecutive, a cominciare dalla memoria di lavoro, è riconducibile alla CORTECCIA FRONTALE, la quale ha rapporti con le altre aree corticali e sottocorticali. Cos' è la Memoria di Lavoro (ML)? Cominciamo dal capire innanzitutto che cos'è la MEMORIA: è quella funzione cognitiva che permette l'acquisizione, l'immagazzinamento e il recupero di informazioni provenienti da diversi input sensoriali. Le abilità mnestiche sono organizzate in diversi moduli funzionalmente e strutturalmente autonomi, anche se interagiscono tra loro. La MEMORIA DI LAVORO (ML) è un sistema mnesico a capacità limitata che immagazzina temporaneamente le informazioni per una successiva manipolazione. In altre parole, dopo un breve periodo di tempo si verifica un oblio del materiale presentato. Secondo Baddeley (1990) la memoria di lavoro o working memory sarebbe costituita da un sistema attenzionale (l'esecutivo centrale) che supervisiona e coordina tre sistemi: - il ciclo articolatorio o fonologico responsabile dell'elaborazione dell'informazione linguistica - il taccuino visuo-spaziale da cui dipenderebbe l'elaborazione del materiale non verbale - il buffer episodico, ultima componente della memoria di lavoro, che ha la funzione di scambiare informazioni tra diversi magazzini. Il termine "episodico" indicherebbe proprio tale caratteristica, mentre il termine "buffer" indicherebbe la funzione di intermediazione tra sottosistemi che usano codici diversi e che verrebbero al suo interno integrati in rappresentazioni multidimensionali. Secondo uno studio di Berlingeri e colleghi (2008), la zona cerebrale che sarebbe più direttamente coinvolta come base neurale del buffer episodico sarebbe la parte anteriore dell'ippocampo di sinistra. Esistono differenti tipi di memorie (Kandel, 2006, Oliverio, 1998): - memoria di lavoro o a breve termine - memorie a lungo termine, ovvero quelle memorie durature e codificate in modo stabile - memorie procedurali o implicite, legate a procedure, soprattutto motorie, come ad esempio allacciarsi le scarpe o andare in bici - memorie dichiarative o esplicite, memorie dei fatti acquisiti attraverso le esperienze e lo studio. Quando dobbiamo ricordare un evento o un episodio della nostra vita utilizziamo una memoria dichiarativa chiamata "memoria autobiografica" o, nel caso di fatti specifici, la "memoria episodica", che consentono di ricollegare una particolare informazione nel contesto del tempo e dello spazio. La memoria episodica è legata a quella semantica che richiede una conoscenza dei fatti, concetti, elementi linguistici che non sono legati a un contesto. Gran parte della vita si basa su memorie di tipo dichiarativo, dunque memorie costruite nel tempo. RETI NEURALI DELLA MEMORIA Le memorie procedurali hanno: a. un circuito che parte dalla corteccia motoria, va ai gangli della base e da questi, attraverso il talamo, ritorna alla corteccia motoria. Questo circuito è alla base delle memorie che riguardano abitudini e abilità elementari e ricorrenti, come nel caso dei gesti e delle azioni ripetitive. b. Un secondo circuito, che riceve informazioni dalla corteccia motoria primaria e dalle aree della corteccia associativa sensoriale, raggiunge il cervelletto, da qui va verso il talamo e da questo nucleo torna alle aree motorie della corteccia frontale e parietale: questo circuito fa si che le risposte motorie ad alcuni stimoli diventino riflessi automatici, come può avvenire quando ci si blocca per un ostacolo improvviso. Le memorie dichiarative si basano invece, oltre che sul circuito ippocampo-corteccia temporale, anche su strutture che appartengono al diencefalo. La regione temporale è connessa con l'amigdala e l'ippocampo e quest'ultimo con il diencefalo tramite il fornice, in una sorta di circuito della memoria di cui fa parte tutta la corteccia cerebrale. Tutte queste strutture nervose sono implicate nella cosiddetta memoria esplicita che implica un riconoscimento cosciente delle esperienze che abbiamo fatto o che possono essere rievocate alla mente. Sensazioni o esperienze, per essere trasformate in memorie esplicite, devono raggiungere il diencefalo dove vengono registrate sottoforma di memorie stabili nei circuiti del cervello. Il circuito della memoria "corteccia temporale- ippocampo-diencefalo" permette di assemblare tra loro sensazioni-immagini mentali-emozioni per trasformarle in memoria episodica, ovvero in eventi della nostra vita. Tali strutture nervose sono anche implicate nella memoria semantica come imparare nuovi nomi, registrare numeri di telefono, apprendere nuovi vocaboli. La memoria semantica, è riferita a significati e concetti, per i quali non è rilevante ricordare il momento e la situazione nei quali essi sono stati appresi: è una memoria che contiene le conoscenze sul mondo in forma organizzata. Anche quella semantica, così come la memoria procedurale, non è unitaria ma è suddivisa in diversi compartimenti e competenze. Gli studi sulle basi cerebrali della memoria hanno messo in evidenza due differenti circuiti, attivati in contemporanea e in parallelo, sebbene possano interagire in modo competitivo: 1. Il primo, di cui abbiamo accennato, riguarda l'ippocampo e la corteccia temporale mediale, che si fa carico delle forme di apprendimento rapido utili per controllare un comportamento adeguato 2. Il secondo riguarda i gangli della base (in particolare il nucleo caudato), quando si tratta di mediare forme di apprendimento meno veloci e ripetitive, basate su associazioni tra determinati stimoli e risposte specifiche. In sostanza, nonostante la competizione tra i due sistemi, quando si tratta di apprendere nuove esperienze entra inizialmente in gioco il sistema ippocampale, specializzato in memorie di tipo dichiarativo; successivamente entra in funzione il sistema striatale che garantisce la sequenzialità di eventi, e si attiva quando l'evento diventa più noto e ripetitivo nel tempo (Poldrack, Clark, 2001). Dott.ssa Francesca Tabellione Dott.ssa Erika D'Antonio (Bibliografia: Geografia della mente- Oliverio/ Neuropsicologia- Làdavas, Berti) /wp:tadv/classic-paragraph
Per saperne di più
I nostri Blog – da admin
MOVIMENTI, COGNIZIONE E SVILUPPO DELLA MENTE INFANTILE
wp:tadv/classic-paragraph /wp:tadv/classic-paragraph wp:tadv/classic-paragraph Dal punto di vista filogenetico le attività motorie e sensoriali sono le più antiche: le funzioni cognitive (linguaggio, memoria, processi esecutivi, ecc.) si sono sviluppate grazie alle competenze sensori-motorie. Numerose sono le strutture coinvolte nella motricità, come ad esempio, quelle sensoriali, le quali ci informano su "COME" stiamo eseguendo un particolare movimento: senza queste informazioni il movimento sarebbe impreciso, scoordinato, grossolano o bloccato. Dunque tutto il sistema nervoso (e non solo gli aspetti motori) è coinvolto nel controllo della motricità. L'attività motoria è molto complessa e dipende dall'entrata in gioco del sistema piramidale ed extrapiramidale. La composizione e l'armonia dei movimenti è garantita da due strutture che sono il cervelletto e i gangli della base, le quali contengono le memorie di quegli schemi motori che ci permettono di calciare un pallone, nuotare, saltare ostacoli, ma anche dall'entrata in gioco di aree corticali e sottocorticali, oltre che dall'entrata in funzione del cervelletto. Diversi studi hanno dimostrato come la corteccia prefrontale è la prima ad entrare in funzione per pianificare e programmare una prassia, successivamente interviene l'area motoria supplementare che ha la responsabilità del piano di azione, infine quella motoria che esegue l'azione e la corregge sulla base delle informazioni propriocettive che giungono alla corteccia somatosensoriale. Pertanto, la progettazione del movimento può coinvolgere due circuiti paralleli: -uno esterno (lobo parietale, area premotoria e cervelletto) coinvolto nei movimenti diretti o spaziali, i quali predominano nella fase iniziale di acquisizione di nuove capacità motorie -un circuito interno (area supplementare, gangli della base, lobo temporale) che subentra quando un'abilità motoria diventa usuale e automatizzata. La motricità è un aspetto fondamentale dello sviluppo infantile: è tramite l'osservazione e l'azione motoria (mirror neurons, Rizzolatti e coll., 2000) che un bambino passa dall'apprendimento concreto a quello più astratto. Il movimento, come abbiamo accennato all'inizio dell'articolo, rappresenta il punto di partenza per lo sviluppo delle funzioni cognitive. Per capire questo vediamo come funziona il mondo di un neonato: all'inizio egli si limita ad avere un ruolo prevalentemente passivo, a ricevere tutte le informazioni sensoriali (le cure, l'amore, le carezze, i gesti, le emozioni, i movimenti) da parte del caregiver, che sono fondamentali per organizzare il sistema nervoso del piccolo e prepararlo ai futuri apprendimenti (Oliverio Ferraris, Oliverio, 2007). Il linguaggio, ad esempio, non viene acquisito attraverso un freddo meccanismo di prove ed errori ma è il prodotto di varie funzioni (sensoriali, motorie, percettive, spazio-temporali, organizzative, simboliche, cognitive, ecc.). La cosiddetta "SINCRONIA INTERATTIVA" nei neonati (Ainsworth, 1978) si può considerare come la primissima manifestazione del linguaggio: bambini di poche settimane di vita producono con il corpo una serie di micromovimenti in risposta al linguaggio umano, una sorta di danza. Successivamente il neonato realizza movimenti sempre più accurati e selettivi. Ma come si fa a descrivere la sequenza dei movimenti della bocca e della lingua che servono per produrre suoni come "mamma, papà, nanna"? Tale meccanismo si basa sull'azione e sulle sensazioni del corpo, sull'imitazione e sulla pratica, come nel caso del linguaggio che ha origine da catene coordinate di movimenti degli organi vocali, memorizzati attraverso ripetizioni continue. Pertanto, azione-percezione- movimento sono i mattoni per la costruzione dei processi di rappresentazione mentale a partire dalle fasi embrionali, quando l'embrione comincia a manifestare attività riflesse su cui poggiano i futuri comportamenti motori. L'embrione, oltre ad essere un organismo sensoriale, è innanzitutto un organismo motorio: questo significa che nella fase embrionale, in quella fetale e della prima infanzia, l'azione precede la sensazione, vengono prima compiuti del movimenti riflessi e poi se ne ha la percezione e la rappresentazione mentale. Le funzioni motorie vengono spesso considerate di basso livello rispetto alle funzioni cognitive superiori, alla cognizione. Tuttavia, si è scoperto come il corpo e il movimento siano responsabili della mente, della formazione del pensiero, del linguaggio (McNeill, 1981). Ad esempio, la corteccia motoria (dove ci sono i neuroni che controllano i muscoli) e quella premotoria (dove ci sono i neuroni che pianificano i movimenti muscolari) realizzano sequenze di movimenti coinvolgendo anche l'area di Broca, implicata nella motricità della mano e del linguaggio, a produrre gesti e sequenze di sillabe che sono alla base della comunicazione. Parlare infatti non è altro che articolare una sequenza di sillabe, concatenarle tra loro: questa funzione è controllata dalla motricità. Da qui emerge lo stretto legame tra MOTRICITÀ E LINGUAGGIO, se consideriamo che il mondo del neonato è inizialmente un mondo di gesti, movimenti e azioni. Quello che percepisce un neonato sono una sequenza di azioni compiute dai caregiver che si basano su una logica interna, su rapporti di successione spaziale e temporale (prima-dopo) e su una serie di conseguenze, su principi di sequenzialità e causalità, requisiti essenziali anche per lo sviluppo del linguaggio, ovvero per produrre movimenti fonatori adeguati e ordinare parole secondo una progressione logica. La logica del corpo e dei suoi movimenti, nel contesto in cui viviamo, potrebbe quindi rappresentare il fulcro su cui si è costruita la logica operazionale del linguaggio: esiste dunque uno stretto rapporto tra motricità, linguaggio e pensiero, sia dal punto di vista della storia naturale umana, sia da quello ontogenetico e sia dal modo in cui la nostra mente funziona oggi. Dott.ssa Francesca Tabellione Dott.ssa Erika D'Antonio (Bibliografia: geografia della mente, Oliverio) /wp:tadv/classic-paragraph
Per saperne di più
I nostri Blog – da admin
I PRECURSORI DEL LINGUAGGIO PER LA COSTRUZIONE DELLA MENTE INFANTILE
wp:image /wp:image wp:tadv/classic-paragraph Iniziamo questo articolo con alcune domande basilari, ovvero cos' è il linguaggio e come si è evoluto nel bambino. Il linguaggio è parte di un continuum che deriva dalle vocalizzazioni di numerose specie animali (da un punto di vista ontogenetico e filogenetico), dai gesti e dai sensi (i quali garantiscono il contatto con la realtà), dalla motricità, dalla relazione, dall'intenzionalità comunicativa. Questa fusione e mescolanza di elementi, il cosiddetto "sincretismo", tipico dell'apprendimento infantile, è alla base dell'interiorizzazione progressiva del linguaggio, il quale dipende sia dalla maturazione neurologica e muscolare, sia dall'esercizio e dal desiderio di comunicare, sia dall'organizzazione spazio-temporale e dai nessi di causa-effetto (che concorrono anche a organizzare la mente infantile, il pensiero). Esistono delle radici naturali del linguaggio che indicano come esso possa essere evoluto grazie allo sviluppo di quei circuiti cortico-striatali che sono alla base della produzione linguistica umana: i circuiti che formano il loop corteccia-striato-corteccia, controllano e regolano diversi aspetti della motricità, in particolare sono deputati al controllo sequenziale del linguaggio. Pertanto, come hanno indicato diversi approcci neurofisiologici, le cosiddette aree del linguaggio (area di Broca e di Wernike) non hanno un ruolo unico nella gestione del linguaggio. Come la motricità contribuisce allo sviluppo del linguaggio? Parlare significa produrre movimenti (fonazione) e concatenare una serie di movimenti corporei tra loro, che caratterizzano la successione delle parole nel linguaggio. Questi precursori o anche definiti antecedenti del linguaggio, si strutturano a partire dai primi mesi di vita: già dai primissimi giorni di vita possiamo infatti notare le prime forme di comunicazione pregrammaticale e prelessicale quali gesti, vocalizzi, pianto e balbettio. Inizialmente il neonato piange perché ha fame o sonno oppure per attirare l'attenzione dell'adulto. A 4 mesi può piangere quando la mamma non gli presta più attenzione e a 5 mesi quando lei entra nella stanza senza badargli. Inoltre il neonato può piangere anche quando vede un estraneo (la cosiddetta paura dell'estraneo a circa 6/7 mesi), o quando "vive" un fatto nuovo e improvviso. A partire dall'inizio del secondo anno di vita il pianto, da mezzo di comunicazione, diminuisce e lascia il posto alle parole, sebbene permanga come espressione di dolore e frustrazione. Le modalità comunicative del fanciullo nel corso del primo anno di vita variano dal sorridere e tendere le braccia per essere preso in braccio, al voltare la testa dall'altra parte come espressione di dissenso o negazione, attraverso cui cerca di comunicare i suoi stati d'animo e le sue esigenze ai caregiver, alle posture del corpo, alle pause, attese, emozioni e attenzione congiunte, ovvero delle sequenze comunicative che rappresentano i presupposti per una comunicazione fluida. Sin dall'inizio esiste una sensibilità al linguaggio umano: bambini di poche settimane di vita producono con il corpo dei micro-movimenti in risposta al linguaggio umano, una sorta di "sincronia interattiva", la quale dimostra la notevole sensibilità da parte dei neonati ai suoni organizzati in linguaggio: il loro muoversi in sincronia con essi è un comportamento innato e involontario colmo di implicazioni sociali. Oltre al pianto e ai gesti, il neonato produce anche vocalizzi che sono simili in tutti i contesti linguistici: durante i primi 6 mesi un bambino italiano, ad esempio, produce gli stessi suoni di un bambino svedese o giapponese. Verso i 3 mesi fino agli 11 mesi compare la fase del balbettio, costituita da vocali semplici + consonanti ("ma, na, da, go", ecc), e successivamente segue la lallazione (ripetizione dello stesso suono più volte, come "ma-ma-ma"). A circa 12 mesi, il bambino imita suoni specifici e nuovi non presenti nella fase del balbettio. Il passaggio dalla fase del balbettio al linguaggio vero e proprio dipende dallo sviluppo neurologico, fonetico ma anche dagli esercizi e dagli incentivi. Una caratteristica particolare è che i bambini tendono a vocalizzare maggiormente quando l'adulto parla e presta loro attenzione. Inoltre, il piccolo è capace di comprendere molte più parole prima di esprimersi verbalmente e riesce a capire i cambiamenti di tono, ad esempio girandosi verso chi parla e ha comportamenti diversi di fronte a una voce adirata o gentile. Tra i 12 e i 18 mesi vengono acquisite circa 50 nuove parole che si riferiscono a oggetti o verbi come "mangiare" e parole come "ciao". Dai 24 mesi a 2 anni e mezzo si assiste alla cosiddetta fase di esplosione del vocabolario, in cui il bambino può acquisire fino a 7/9 nuove parole al giorno. Lo sviluppo della lateralizzazione del linguaggio, nell'emisfero sinistro, dipende dunque dallo sviluppo del vocabolario e non dall'età cronologica del bambino (Neville, 1995). Tali modificazioni si correlano ad una serie di trasformazioni delle caratteristiche del cervello di tipo soprattutto strutturale: con la crescita, i processi maturativi a carico delle fibre nervose e il processo di "potatura" delle sinapsi e di riduzione del numero di neuroni si diffondono a tutto il cervello ma esiste anche una stretta correlazione fra maturazione linguistica e maturazione (mielinizzazione) delle vie nervose che associano tra di loro i diversi snodi della rete del linguaggio. Dott.ssa Francesca Tabellione Dott.ssa Erika D'Antonio (Bibliografia: il cervello che impara, geografia della mente, Alberto Oliverio) /wp:tadv/classic-paragraph
Per saperne di più
I nostri Blog – da admin
QUAL È LA DIFFERENZA TRA IMMAGINAZIONE ED ESPOSIZIONE ALLA TELEVISIONE/VIDEOGIOCHI NEI BAMBINI?
wp:tadv/classic-paragraph Partiamo dal presupposto che il nostro cervello è prevalentemente visivo, e un bambino che non ha ancora una buona capacità di analisi/percezione visiva e che possiede una mente concreta (non ancora astratta), crede a quello che vede: per lui ciò che è rappresentato visivamente è ciò che esiste davvero! Nella lettura, invece, la mente deve sostituire le parole con le immagini, i tempi sono lenti e tutto va rielaborato. Oggi siamo bombardati dai mezzi di comunicazione con informazioni o stimoli ripetitivi e monotoni che creano una sorta di "anestesia/impoverimento del pensiero": è stato dimostrato che le immagini che i bambini vedono in televisione hanno un maggiore impatto di quelle che si rappresentano mentalmente sulla base dei dati sensoriali che ricevono. Una ricerca effettuata in un gruppo di bambini che avevano prima letto un libro di avventure e successivamente visto lo stesso tema rappresentato in tv, ha dimostrato come le immagini concrete e visive della televisione rimanessero maggiormente in memoria rispetto a quelle che i bambini dovevano immaginare o creare in autonomia attraverso la loro fantasia, abilità che richiede una buona rappresentazione mentale e una buona capacità di astrazione (Oliverio Ferraris, 1999). Questo significa che, al giorno d'oggi, i bambini cresciuti nell'era digitale non sono capaci di astrarre/visualizzare le scene descritte nei brani dei libri che vengono loro letti da maestri o genitori, con la conseguenza di una perdita di attenzione, facile stancabilità mentale e comportamenti di opposizione o irrequietezza. In alcune esperienze didattiche i maestri hanno dovuto perciò incrementare nei bambini le capacità di visualizzazione, in modo da sollecitarli a lavorare attraverso la fantasia e l'immaginazione, ovvero tramite immagini mentali che sono il presupposto per la costruzione di un pensiero e di una mente ordinata. La televisione, i tablet e i videogiochi influiscono sul corpo e sulla psiche dei nostri bambini: ad esempio è stato riscontrato che i bambini videodipendenti sono diventati dei ragazzi miopi, apatici e obesi, mentre dal punto di vista cognitivo manifestano problemi di attenzione, iperattività e ipercinesia a scuola e/o in altri contesti. Tali conseguenze non sono tanto dovute alla qualità dei giochi utilizzati quanto al tempo di esposizione: un bimbo piccolo che vede 1 ora al giorno di televisione, avrà maggiori possibilità di sviluppare dei disordini attentivi in età scolare o in adolescenza due volte superiore rispetto a chi non la guarda e potrà avere difficoltà a restare da solo, poiché il televisore funge da sorta di "compagno virtuale" (Zimmerman e Christakis, 2007). Come è possibile allora che molti bambini con problemi di attenzione a scuola siano capaci di restare apparentemente "attenti" di fronte ai videogiochi o al televisore? Perché non si tratta dello stesso tipo di attenzione ma di due differenti forme: nel caso dello schermo l'attenzione del bambino è catturata in modo automatico dagli input sonori e soprattutto visivi/luminosi (parliamo dell'attenzione selettiva in rapporto agli stimoli visivi che si sviluppa già nei primi mesi di vita quando il neonato fissa e insegue con gli occhi gli stimoli nuovi che compaiono nel suo campo visivo), mentre quando il bambino deve mantenere un livello di attenzione sostenuta per risolvere un qualunque compito scolastico (ad esempio un problema aritmetico o un brano di comprensione) entra in gioco un tipo di controllo volontario, legato alla motivazione, ovvero è il bambino a decidere di concentrarsi su un compito particolare e questa è una capacità che sviluppa nel corso degli anni, non è un automatismo. Ad esempio, ci sono bambini che già quando si svegliano la mattina restano ipnotizzati dai loro cartoni animati preferiti e di conseguenza possono non avere la capacità di prestare attenzione a scuola (Alberto Oliverio). La televisione è dunque inadatta ai bambini di meno di 3 anni (Bach, 2013), età in cui il cervello infantile è in pieno fermento e capace di agire sulla realtà, modificandola (plasticità cerebrale): le immagini che compaiono su uno schermo tendono ad attrarre il bambino ma anche a frustrarlo. Spesso i genitori riferiscono che i loro piccoli sono bravi a manipolare i tasti di un telefono, con l'idea che possiedono delle buone abilità tecnologiche, non sapendo che il bambino è attratto dalla dimensione tattile dei tasti, dal movimento degli oggetti o delle immagini ed è assorto totalmente in quel mondo virtuale che non presta più attenzione alle vere esperienze, all'esplorazione, al movimento e al gioco, all'immaginazione e alla fantasia, racchiuso in una sorta di dipendenza dal mondo virtuale. Questa è una conferma che induce gli esperti a non "far immergere" il bambino nel mondo virtuale prima dei 6/7 anni. Dott.ssa Francesca Tabellione Dott.ssa Erika D'Antonio /wp:tadv/classic-paragraph
Per saperne di più
I nostri Blog – da admin
NEUROSCIENZE E NEURONI SPECCHIO
wp:tadv/classic-paragraph Dal punto di vista neuroscientifico, le forme di empatia si ricollegano alla capacità di entrare in sintonia/risonanza con l'altro, una risonanza che ha delle vere e proprie caratteristiche neurofisiologiche e si basa sull'esistenza di neuroni specchio descritti da Giacomo Rizzolatti insieme a Leonardo Fogassi e Vittorio Gallese (2004). I neuroni specchio sono localizzati nella corteccia premotoria dei primati e si attivano quando un animale osserva un altro animale compiere il movimento. I neuroni specchio non sono coinvolti solo nelle funzioni motorie ma anche nell'intelligenza sociale, ovvero nella nostra capacità di prevedere il comportamento degli altri in termini mentalistici, di spiegarne l'azione sulla base di una teoria della mente che si sviluppa sin dai primi anni di vita (Leslie, 1987). È possibile dunque postulare una dimensione interpersonale della mente che dipende da sistemi cerebrali che vanno dal rispecchiamento delle azioni altrui alla capacità di riconoscere le emozioni degli altri, come la paura attraverso l'entrata in funzione di una struttura cerebrale chiamata amigdala, o il disgusto attraverso l'entrata in funzione dell'insula dell'emisfero destro (Senior et al., 1997): questi sistemi ci mettono in sintonia con gli altri e possiamo considerarli come una strategia evolutiva che è alla base di valutazioni morali di tipo naturale. Un esempio è dato dagli studi sul dolore che è associato a sistemi coinvolti nell'apprendimento imitativo e nell'osservazione: quando proviamo dolore possiamo avere due tipi di reazioni, di blocco motorio o fuga, ovvero reazioni che dal punto di vista evolutivo favoriscono la sopravvivenza. Ciò permette di spiegare perché le reazioni di blocco motorio (una sorta di paralisi muscolare) vengono indotte anche se si osservano altre persone che provano dolore. In sostanza, si verificano "reazioni empatiche" basate sulle caratteristiche sensoriali del dolore provate dall'altro soggetto a carico delle stesse aree del corpo di chi osserva. In molti altri casi non è necessario osservare direttamente quanto accade all'altro affinché si attivino "circuiti empatici": l'esperienza ci porta infatti a immedesimarci in una situazione simile a quella che abbiamo patito e tale identificazione fa attivare strutture nervose che provocano a loro volta l'attivazione di marcatori somatici che caratterizzano un'emozione, coinvolgendoci attivamente. Scritto dalla Dott.ssa Francesca Tabellione Dott.ssa Erika D'Antonio /wp:tadv/classic-paragraph
Per saperne di più
I nostri Blog – da admin
NEUROSCIENZE: L'importanza dei GANGLI DELLA BASE per il movimento e la cognizione
wp:tadv/classic-paragraph --------------☆----------------------☆----------------- I gangli della base, attraverso le interazioni con la corteccia cerebrale, contribuiscono al movimento volontario e ad altre forme di comportamento come le funzioni scheletro-motorie, oculomotorie, cognitive ed emozionali. Si trovano alla base dell’encefalo e sono costituiti da 4 formazioni principali: lo striato, il globo pallido, la sostanza nera e il nucleo subtalamico. A partire dai rettili, i GANGLI DELLA BASE controllano comportamenti motori molto più complessi e sofisticati. Ad esempio nei neonati, che nelle prime settimane di vita sono capaci di seguire un oggetto che si muove nel loro campo visivo con un movimento oculare preciso grazie a un meccanismo di puntamento automatico controllato dai collicoli superiori del mesencefalo, i gangli della base hanno il compito di rendere più fluidi questi movimenti e soprattutto bloccarli quando non sono rilevanti. I gangli della base sono strutture nervose fondamentali per le funzioni motorie ma anche per le memorie e per le valutazioni delle conseguenze dei comportamenti (funzioni cognitive). Abbiamo già accennato che i gangli della base sono implicati nel movimento, in particolare nel controllo motorio: 1. essi garantiscono l'esecuzione automatica di movimenti quali la deambulazione, la corsa, facilitando le azioni controllate dai centri corticali superiori (corteccia) e sopprimendo le attività muscolari che ne impedirebbero l'esecuzione 2. possono modificare o sopprimere queste attività in situazioni nuove o impreviste (un ostacolo improvviso) ristabilendo il controllo esercitato dalla corteccia. I gangli della base hanno anche una funzione cognitiva, ovvero sono implicati nel pensiero, che si può considerare come un movimento mentale senza moto reale. I gangli della base sono un sistema complesso cui appartiene il lobo frontale, un sistema implicato non solo nelle azioni e nei pensieri di routine ma anche nella flessibilità cognitiva (cambiamenti in termini di idee e movimenti). Dal punto di vista cognitivo, il compito principale dei gangli della base, in particolare del cosiddetto striato (formato dal nucleo caudato+putamen) è quello di garantire il sequenziamento delle funzioni cognitive, come hanno dimostrato alcuni studi in cui si valutano allo stesso tempo l'abilità di soggetti che dovevano riordinare le azioni o informazioni nella giusta sequenza e l'attività del circuito corteccia frontale-gangli della base. Anche gli studi a livello animale hanno dimostrato che il sequenziamento di attività motorie o di comportamenti che hanno una base cognitiva dipendono dall'azione dei gangli della base. Funzioni I gangli della base, in sinergia tra loro e con altre componenti del sistema nervoso, sono associati direttamente o indirettamente ad una gran quantità di funzioni, tra cui: - controllo dei movimenti volontari; - apprendimento procedurale; - apprendimento delle abitudini; - memoria; - movimenti oculari; - cognizione; - linguaggio; - motivazione e ricompensa; - comportamento adeguato alle circostanze; - elaborazione delle emozioni. Qualora i gangli della base vengano danneggiati, alcune di queste funzioni potrebbero essere alterate anche in modo grave ed irreversibile. I gangli della base sono estremamente importanti per la socialità umana: contribuiscono a decidere quale tra i possibili comportamenti sia più appropriato da eseguire in un dato momento in base alle circostanze. La funzione primaria dei gangli della base è tuttavia il controllo dei movimenti volontari: regolano le attività delle aree corticali motorie e premotorie in modo che i movimenti volontari possano essere eseguiti fluidamente. I gangli della base esercitano una inibizione sui sistemi motori in base ai segnali provenienti da molte parti del cervello, inclusa la corteccia prefrontale, che svolge un ruolo chiave nelle funzioni esecutive. Inoltre, i gangli della base, tra cui il globo pallido interno e il nucleo subtalamico, sono coinvolti nell’elaborazione della ricompensa e della motivazione. Probabilmente i gangli della base svolgono una funzione nello stabilire ciò che entra e ciò che non entra nella memoria di lavoro: in particolare, il nucleo accumbens (il nucleo del cosiddetto striato ventrale) interviene sia nella gestione delle forme di memoria procedurale (o implicita), implicato nella formazione di abitudini, sia nelle forme di memoria dichiarativa (o esplicita), tra cui la memoria semantica (Yanh, Mogenson, 1989) che negli esseri umani si basa soprattutto sul linguaggio. Inoltre varie ricerche hanno scoperto come il nucleo accumbens sia una struttura al centro di quelle forme di apprendimento che implicano un rinforzo positivo (un premio) o negativo (una punizione). I rinforzi o ricompense possono essere sia materiali che virtuali, soprattutto negli esseri umani che apprendono sulla base di complessi rinforzi. Pertanto, al centro dei meccanismi di rinforzo e della soddisfazione di aver raggiunto uno scopo, vi è sempre il circuito accumbens-corteccia frontale. I gangli della base intervengono anche in quei casi in cui si tratta di commutare tra l'esecuzione di vari compiti in base alle richieste del momento. La capacità di commutare tra diversi tipi di associazioni o procedure è un aspetto fondamentale delle funzioni esecutive, ovvero quei processi cognitivi di ordine superiore che prevedono l'analisi, la selezione e il coordinamento delle informazioni. Le funzioni esecutive dipendono prevalentemente dalla corteccia prefrontale ma ricevono anche un importante contributo dai gangli della base, grazie alle vie nervose che associano la corteccia alle formazioni striatali. In sintesi, i gangli della base sono implicati nell'apprendimento ed esecuzione sia di SEQUENZE MOTORIE che COGNITIVE, nella MEMORIA e nella PROGETTAZIONE DI SCHEMI DI AZIONE diretti ad un fine (Kimura, Graybiel, 1993). La loro trasformazione nel corso dell'evoluzione ha portato a far sì che, da strutture responsabili dei movimenti e della loro struttura sequenziale, divenissero anche strutture coinvolte in diverse attività cognitive tra cui il LINGUAGGIO. Scritto dalla Dott.ssa Francesca Tabellione Dott.ssa Erika D'Antonio (Bibliografia: fisiologia medica del comportamento Carlson, geografia della mente- Oliverio) /wp:tadv/classic-paragraph
Per saperne di più
I nostri Blog – da admin
LA MENTE DEL BAMBINO E IL CERVELLO PLASTICO
wp:html /wp:html wp:html /wp:html wp:html /wp:html wp:html Lo sviluppo del bambino non può essere insegnato: i bambini non hanno bisogno di stimoli poiché mettono in atto le proprie "guide interne", la loro "spinta interiore". Questo non vuol dire lasciare "campo libero" alla spontaneità incontrollata del bambino, ma permettere che la mente del bambino possa modellarsi grazie all' interazione con il mondo circostante. Questo è reso possibile dalla plasticità sinaptica che plasma il cervello in base alle esperienze e al comportamento. Il bambino si costruisce grazie alle funzioni sensomotorie, che costituiscono la base della cognizione, prima di sviluppare un pensiero astratto. /wp:html wp:html Compito dell'educatore è creare le condizioni, strutturare un ambiente adatto a far emergere quei bisogni che provengono dalla parte più interna della personalità infantile. /wp:html wp:html In passato si riteneva che il bambino piccolo non avesse una vita psichica mentre oggi è certo, come afferma anche la Montessori, che l'unica parte di lui che è in pieno fermento durante il primo anno di età è il cervello. La mente del bambino è la "più potente macchina di apprendimento dell'universo". /wp:html wp:html Oggi sappiamo che già appena nato, il bambino è capace di imitare le espressioni del volto di un adulto, possiede una capacità innata di calcolo e a meno di 2 anni usa il linguaggio in maniera finalizzata. /wp:html wp:html A proposito del calcolo, secondo Piaget, uno dei geniali scopritori dell'infanzia, il bambino non possiederebbe la nozione di numero prima dei 6/7 anni, mentre oggi sappiamo che addirittura i primati non umani contano fino a tre e abbiamo un'evidenza scientifica del senso del numero nei neonati che ancora non parlano, i quali mostrano di possedere una mente matematica, come l'ha chiamata Montessori. /wp:html wp:html Ma come funziona la mente del bambino? Si tratta di una mente in parte diversa da quella dell'adulto poiché sta creando tutte quelle funzioni che saranno proprie di quella che poi sarà la mente adulta. I primi anni della vita umana, in particolare dalla nascita fino ai 5/6 anni, sono anni cruciali, in cui avvengono mutamenti e costruzioni fondamentali che costituiscono la base degli apprendimenti successivi, anche se questi sono anche gli anni di cui non abbiamo una memoria cosciente e precisa. "Mente assorbente" del bambino, così viene definita, stando ad indicare che egli assorbe come una spugna molto di più nei primissimi anni di vita che in tutta la sua esistenza, non impara ma "fissa" per tutta la vita semplicemente esplorando; successivamente la sua mente assorbente, involontaria e inconscia, lascerà spazio alla mente cosciente, razionale e consapevole. /wp:html wp:html Per lungo tempo la mente del bambino è stata considerata vuota e passiva, come se la sua fosse una sorta di "inerzia cognitiva". In realtà, come già accennato, la sua mente, il suo sistema nervoso centrale è massimamente attivo proprio in questi anni: il processo di sinaptogenesi (crescita e potenziamento delle sinapsi) è infatti massimo proprio nei primi mille giorni di vita del neonato. La mente del bambino è quindi più potente e sensibile di quella dell'adulto, apprende con facilità e spontaneità elaborando tutte le informazioni sensoriali che riceve dall'ambiente e dal proprio corpo, imparando in maniera indelebile. /wp:html wp:html L'attenzione del bambino è prevalentemente esogena, ovvero i bambini sono molto attenti a tutto e più consapevoli di noi, sebbene si tratti di una consapevolezza differente. /wp:html wp:html La mente infantile, che si esprime attraverso le azioni continue del neonato e l'attività costante del bambino, segue un preciso programma dettata dalla maturazione del cervello e dall'attivazione delle aree cerebrali. Inoltre la mente infantile è estremamente creativa. /wp:html wp:html Tornando ai periodi sensibili (come li definisce la Montessori) chiamati oggi periodi cruciali, dai 0 ai 5/6 anni, le prime esperienze che il bambino compie in questi anni lasciano vere e proprie "impronte biologiche" nel suo cervello, dunque qualunque cosa che accada nell'arco di questi anni, influenzerà il futuro cognitivo/motorio ed emotivo del fanciullo. Molti avevano infatti intuito che un bimbo che trascorre un'infanzia felice e serena, circondato dall'amore e dal supporto equilibrato degli adulti, crescerà in maniera armonica e potrà avere solide basi per il resto della sua esistenza. /wp:html wp:html Il lavoro della mente assorbente, oggi confermato da molte ricerche neuropsicologiche e neurofisiologiche, è un lavoro costruttivo capace di compromettere il futuro. Lo stesso linguaggio (metaforico), usato dai neuroscienziati, parla di "morte selettiva", "competizione" tra neuroni, "potatura" delle reti neurali ad opera dell'esperienza infantile. Ogni gesto e ogni parola che l'adulto pronuncia, rimarrà scolpita nella mente del bambino. Pertanto, bisogna prestare attenzione ai nostri comportamenti, valutare e pensare a tutte le parole che pronunciamo durante i periodi cruciali e adottare atteggiamenti finalizzati alla crescita di giuste connessioni cerebrali. /wp:html wp:html Cos'è la mente assorbente? Non è altro che il cervello PLASTICO secondo le attuali neuroscienze. È la mente caratterizzata dalla più intensa sinaptogenesi che avviene fino ai 6 anni, periodo che la Montessori chiama "creativo" e fondamentale per lo sviluppo umano. Il supporto biologico della mente è la plasticità cerebrale. Ogni esperienza infantile modifica il cervello plastico in maniera tale che esso non torna mai allo stato iniziale, questo perché il cervello è un organo progettato per modificarsi in risposta alle esperienze che noi facciamo. I neurofisiologi parlano di "scolpire o lasciare una vera e propria impronta" nel cervello infantile. Il cervello subisce in seguito una potatura essenziale, ovvero le sinapsi che non si collegano ad altri neuroni tramite l'apprendimento e l'esperienza vengono eliminate. L'apprendimento e l'esperienza (motoria, cognitiva, emotiva, sociale, culturale) hanno dunque un ruolo centrale nel plasmare le connessioni della rete neurale, poiché il cervello non è un organo rigido ma plastico. Dunque la plasticità è modificata dall'esperienza quotidiana: parliamo in questo caso di epigenesi, ovvero l'espressione di programmi codificati geneticamente innescata da stimoli ambientali. Lo sviluppo epigenetico individuale risponde all'eredità genetica che ci predispone al cambiamento e all'apprendimento. /wp:html wp:html Ed è per questo motivo che il modo in cui un genitore, insegnante o educatore si comporta con il bambino o il modo in cui lo stimola, influisce a tutti gli effetti sul suo sviluppo cerebrale. /wp:html wp:html Mentre negli animali si verifica un fenomeno scoperto dagli etologi chiamato imprinting, ovvero un apprendimento nelle prime ore di vita che permette di riconoscere le caratteristiche della propria specie, nell'uomo invece i fenomeni di imprinting avviengono più tardi poiché alla nascita egli ha un cervello più immaturo. /wp:html wp:html Con una metafora potremmo dire che l'educazione "fa biologia", contribuisce a costruire l'intelligenza, ad organizzare la cognitività: alla rigidità e fissità di un computer si contrappone la flessibilità e la creatività delle reti neurali. Ecco qual è il nostro compito, di noi educatori/genitori/insegnanti: fare in modo di modificare e PLASMARE quelle reti neurali indirizzando naturalmente il bambino verso un'ottimale sviluppo cognitivo e NEURO-PSICOMOTORIO. /wp:html wp:html Dott.ssa Francesca Tabellione Dott.ssa Erika D'Antonio /wp:html wp:html (Bibliografia: Maria Montessori e le neuroscienze, Regni-Fogassi) /wp:html
Per saperne di più
I nostri Blog – da admin
ATTENZIONE, SOCIAL MEDIA e MULTITASKING
wp:tadv/classic-paragraph Quanto l'attenzione dei nostri bambini è oggi influenzata dai social media!? -------------------------------------------- Il segreto nascosto sin dall'origine della nostra specie è la potenza della mente e della personalità infantili. I bambini mentre giocano stanno lavorando, giocare è un vero e proprio lavoro come lo definiva la Montessori. Il lavoro concentrato è alla base di ogni sviluppo del bambino, di ogni sua più semplice scoperta, di empatia e di dialogo con altri bambini: la stessa socializzazione è un frutto che deriva dal seme della concentrazione. E' necessario coinvolgere il piccolo in attività stimolanti e motivanti, lasciandolo talvolta libero di focalizzare la sua attenzione verso qualcosa che gli interessa senza disturbarlo. Fin dalla nascita i bambini sono capaci di concentrarsi su qualcosa, nonostante l'ambiente esterno possa sollecitare maggiormente tale processo. Così facendo il piccolo favorisce le proprie connessioni neurali e sviluppa le immagini mentali, diventando sempre più bravo a concentrarsi, aumentando la durata e la frequenza della sua attenzione. Scegliere con cura le attività, attendere senza mettere fretta né ansia: l'educatore deve essere il "custode" dell'attenzione del bambino, deve preparare l'ambiente e i materiali, in base all'età di sviluppo, e aspettare per ricevere dal bambino indicazioni su come poterlo aiutare senza ostacolarlo. Lasciargli i suoi spazi quando è richiesto è fondamentale. "Saper riconoscere gli istanti preziosi della concentrazione e incanalarla adeguatamente è importante al fine di poterli utilizzare nell'insegnamento". Un bambino distratto soffre gli stimoli laterali (visivi, uditivi, tattili, propriocettivi, ecc), è un bambino che non riesce ad inibire gli stimoli irrilevanti, dunque è in balia degli stimoli ambientali. Quando si concentra, invece, la sua mente si sviluppa, il suo cervello crea numerose connessioni, la sua organizzazione aumenta e la sua personalità si costruisce. Nell'era digitale come la nostra, con i bambini che utilizzano smartphone non come strumenti ma come vere e proprie protesi portatili, la distrazione è continua e costante. Quella che si sviluppa è un'attenzione discontinua e parziale: i bambini sono sempre in allerta per ogni tipo di messaggio che ricevono. La concentrazione è legata alla motivazione, ovvero l'interesse e il coinvolgimento sicuramente aumentano i livelli attentivi del soggetto (come nel caso del gioco libero e spontaneo) ma possiede anche una sua logica interna. Ma come funziona l'attenzione Che cosa ci dicono oggi le neuroscienze Esse confermano che l'attenzione è un potente strumento della mente: le funzioni esecutive quali pianificazione-shifting- inibizione-attenzione-memoria-controllo esecutivo sono componenti fondamentali del pensiero. I nostri sensi ricevono 11 milioni di informazioni al secondo e soltanto 40 consapevolmente. Esiste inoltre una stretta relazione tra memoria e attenzione: la memoria di lavoro (a breve termine) produce un cambiamento nella funzione delle sinapsi, potenziando o indebolendo le connessioni preesistenti. La memoria a lungo termine invece richiede variazioni anatomiche. Nel caso di un ricordo, quando esso è pienamente consolidato, sembra che venga cancellato dall'ippocampo dove era conservato e la corteccia diventa la sua unica sede. Quali sono le differenze tra la mente umana e l'intelligenza artificiale di un computer? Mentre il "cervello artificiale" elabora le informazioni salvandole direttamente nella sua memoria, il cervello umano continua questo processo di elaborazione dopo averle acquisite e la qualità di quei ricordi dipende da come l'informazione è stata elaborata. LA MEMORIA BIOLOGICA È VIVA, QUELLA INFORMATICA NO! Pertanto, la chiave per il consolidamento dei ricordi è l'attenzione: più i tempi attentivi sono lunghi, più acuta è la memoria. Il cervello consuma energia e tempi ogniqualvolta sospende un processo che implica attenzione per avviarne un altro, il cosiddetto "costo di switching". Per tale ragione non bisognerebbe mai interrompere un bambino quando lo vediamo coinvolto e attento nel portare a termine un compito o gioco: le frequenti interruzioni creano discontinuità, rallentano, disperdono l'agire e l'automatismo, stancano, indeboliscono il pensiero e la memoria, rendono meno empatici e più ansiosi o tesi. Social media e multitasking promuovono un passaggio rapido da un'attività all'altra e non ad un lavoro in parallelo. La tecnologia, pur avendo per certi versi aspetti positivi, immerge il bambino in un continuo stato di distrazione, di eccitazione e anche di agitazione, vivendo in una sorta di "parziale e discontinua attenzione". Stiamo andando incontro ad un epoca in cui il cervello infantile si sta modificando a causa dello sviluppo della tecnologia: mentre un sano libro ci permette di espandere l'immaginazione e il pensiero, di concentrarci, di articolare un discorso, di sviluppare il linguaggio e il vocabolario, i social-network ci travolgono con le loro mille sollecitazioni. Il nostro cervello, in particolare quello dei bambini, sta reagendo come meglio può alle accelerazioni e allo stress quotidiano cui è sottoposto. Le conseguenze? Già possiamo assistere nei nostri bambini ad una disorganizzazione motorio- prassica generale con goffaggine nella motricità generale e fine, incertezza nella programmazione di azioni, una disfluenza delle funzioni esecutive, lentezza e smarrimenti nel pensiero, nel linguaggio, nella lettura-scrittura-calcolo (apprendimento superficiale). Per quanto riguarda l'infanzia l'utilizzo educativo della tecnologia a scuola non è da prendersi in considerazione prima dei 6/8 anni. Nel periodo prescolare togliete tutto ciò che è di tecnologico o carta e matita. Lavorate invece con il corpo, dando assoluta priorità alle esperienze sensori-motorie, all'esplorazione e alla manipolazione dei diversi materiali, al fine di rappresentare la realtà circostante e organizzare la mente. La virtualizzazione, soprattutto nei confronti dei bambini, è un impoverimento sia delle capacità motorie che delle capacità relazionali e immaginative. I bambini apprendono attraverso il movimento, con l'agire e non stando fermi davanti ad un pc o giocando con i videogiochi (seppur interattivi). Bisogna tornare ad un tipo di educazione che la Montessori definiva "educazione sensoriale o sensori-motoria" soprattutto nel periodo sensibile dello sviluppo (0-6 anni) affinché il bambino possa creare giuste connessioni cerebrali e generare risposte adeguate ad ogni tipo di richiesta ambientale. Gli ultimi studi hanno riscontrato una relazione diretta tra l'eccesso di stimoli audiovisivi, il multitasking e la sindrome da deficit di attenzione e iperattività (adhd). Inoltre hanno dimostrato che più un bambino utilizza il web e più deve lottare per riuscire a concentrarsi nel portare a termine un gioco o un compito scolastico (ad esempio testi lunghi): i bambini vengono più facilmente distratti da stimoli irrilevanti, e questo perché l'attenzione si abitua a brevi periodi e la rete la cattura soltanto per disperderla. Il mondo non può essere contenuto in uno schermo, altrimenti priviamo i bambini delle esperienze sensoriali, corporee e motorie fondamentali che devono fare per poter crescere in maniera adeguata, li priviamo di acquisire una buona padronanza dello schema corporeo al fine di pianificare e organizzare le prassie, instaurare rapporti duraturi con i pari, possedere un buon livello di attenzione e migliori capacità mnemoniche e cognitive. Dott.ssa Francesca Tabellione Dott.ssa Erika D’Antonio Tnpee, psicomotriciste funzionali, terapiste itard, supervisori, ideatrici di libri e schede educative/riabilitative /wp:tadv/classic-paragraph
Per saperne di più
I nostri Blog – da admin
LE VARIE COMPONENTI DELLA SCRITTURA MANUALE
wp:html La scrittura manuale è il risultato della combinazione di 4 elementi principali: /wp:html wp:html -Tratto -Forma -Traiettoria -Spazio /wp:html wp:html Questi parametri si articolano tra di loro per creare una scrittura unica e personale: in uno spazio occupato in modo specifico (il foglio), il tratto serve a materializzare delle forme che si concatenano e avanzano da sinistra a destra, formando lettere e poi parole secondo una traiettoria che è caratteristica di ogni individuo. /wp:html wp:html A. IL TRATTO A partire dai 18 mesi il bambino comincia a tracciare i suoi primi segni, prima verticali e poi orizzontali. All'inizio si tratta di produzioni spontanee e puramente motorie, successivamente i movimenti si coordinano in modo più o meno intenzionale e lo scarabocchio prende forma. Con la maturazione delle funzioni motorie, percettive e rappresentative o simboliche, il bambino traccia prima le lettere e poi le prime parole. Il tratto risulta sia dalla pressione esercitata sul foglio che dallo strumento utilizzato. È importante osservare il tratto attentamente perché svolge un ruolo non trascurabile nella fluidità e nella rapidità del gesto grafico, nella chiarezza e nella precisione dei tracciati. /wp:html wp:html B. LA FORMA L'acquisizione della forma si basa su un apprendimento strutturato, di lunga durata e spesso difficile. La forma è un disegno della lettera che, obbedendo a determinati codici di aspetti visivi o di traiettoria, diventa rappresentativo: permette di tracciare lettere, parole e frasi che siano comprensibili sia da chi scrive che da chi legge, così che la scrittura possa assolvere alle funzioni di memorizzazione e comunicazione. Durante l'apprendimento ogni bambino privilegia determinati gesti ed è la loro ripetizione che determina l'identità grafica dello scrivente. /wp:html wp:html Le forme possono essere chiare, semplici, complicate, imprecise, ecc. e risultano dalla disposizione successiva di tratti lineari e curvi e di movimenti di flessione e di estensione delle dita. Ci sono infatti diversi tipi di scrittura: una scrittura definita a bastoni o arrotondata, quando i due poli sono equilibrati ma l'uno può anche prevalere sull'altro, una scrittura definita angolosa quando le curve sono sostituite da angoli. /wp:html wp:html C. LA TRAIETTORIA DELLA SCRITTURA CORSIVA La traiettoria si riferisce allo svolgimento della scrittura in corsivo da sinistra a destra. Lo studio della traiettoria determina il modo in cui è gestita la continuità del gesto grafico e l'orientamento della scrittura sia delle lettere che della tenuta del rigo. /wp:html wp:html All'inizio dell'apprendimento il bambino scrive una lettera alla volta, lentamente: il gesto è privo di continuità e il collegamento tra le lettere non è ancora acquisito. Lo sviluppo motorio e lo sviluppo delle capacità di pianificazione gli permetteranno di leggere le lettere in modo armonioso, e progressivamente la scrittura acquisterà un ritmo personale scandito dalla continuità e dalle interruzioni del filo grafico. Oggi raramente si insegna i collegamenti tra le lettere. Tutte le lettere possono essere legate, ma questo legame deve interrompersi per tracciare lettere rotonde come a,c,d,g,o,q, se si vuole rispettarne il punto di partenza e il verso del tracciato (ductus). Pertanto accade spesso che il bambino, per imitazione o per tentativo, sviluppi da solo il proprio modo di concatenate le lettere. A seconda del modo di collegare le lettere, la scrittura è detta LEGATA, GIUSTAPPOSTA O RAGGRUPPATA. /wp:html wp:html L'ottimizzazione del collegamento costituisce uno dei criteri per una scrittura fluida e rapida! /wp:html wp:html Normalmente la scrittura è verticale. Tuttavia si osservano scritture rovesciate verso sinistra o inclinate verso destra, oppure una combinazione dei due diversi orientamenti. Una lieve irregolarità di orientamento è normale nel bambino ma se essa è marcata, rileva un cattivo controllo del gesto grafico. Si possono evidenziare nella scrittura del bambino linee sinuose, spezzate, parole che ballano sul rigo, ecc. Questi fattori,normali all'inizio dell'apprendimento, possono rilevare la presenza di problemi visuo-spaziali se persistono o un disturbo di coordinazione dei movimenti di inscrizione e di progressione. /wp:html wp:html D. LO SPAZIO E L'ORGANIZZAZIONE DELLA PAGINA L'organizzazione della pagina riguarda lo spazio esterno, ovvero l'impaginazione, i margini, lo spazio tra le righe e infine lo spazio tra le parole. Nei quaderni la pagina è delimitata dai margini ed è rigata. Soltanto facendo scrivere su un foglio bianco è realmente possibile percepire il modo personale con cui il bambino concepisce questo spazio che può essere ordinato o meno, spaziato tra le righe o intricato quando le lettere di un rigo urtano contro quelle del rigo superiore o inferiore. /wp:html wp:html All'inizio dell'apprendimento il bambino controlla male il proprio gesto: ha difficoltà a pianificarlo e non riesce ad anticipare la sequenza delle parole. Gli spazi tra le lettere sono irregolari e si normalizzano quando il movimento corsivo viene interiorizzato. Una scrittura è detta compatta quando vi è poco bianco tra le parole, e ariosa nel caso contrario. /wp:html wp:html La conoscenza approfondita dei 4 elementi che caratterizzano la scrittura aiuta a captare meglio gli equilibri o gli squilibri della scrittura. /wp:html wp:html Dott.ssa Francesca Tabellione Dott.ssa Erika D'Antonio /wp:html wp:html (Riferimenti bibliografici: de Ajuriaguerra, j. Auzias, l'ecriture de l'enfant, manuale di rieducazione della scrittura, De Montesquieu) /wp:html
Per saperne di più
I nostri Blog – da admin
LE ‘CRISI’ DEI BAMBINI: PERCHÉ SONO NORMALI E COSA POSSIAMO FARE A RIGUARDO
wp:tadv/classic-paragraph Il bambino che urla disperato perché vuole il giocattolo a tutti i costi, la bambina che piange ininterrottamente mettendo a dura prova la nostra pazienza, sebbene le si spieghi che non può avere tutto quello che vuole o dettare le regole Quante volte, come genitori o come educatori, ci si trova in situazioni in cui i bambini sembrano perdere ogni capacità di controllo? E come ci comportiamo noi in quelle situazioni? Siamo capaci di gestirli? Siamo capaci di ascoltarli e andare oltre il sintomo evidente e capire quale sia la causa di tali comportamenti? E soprattutto i genitori ci chiedono: ma sono normali queste "crisi"? Mi devo preoccupare? Può avere un deficit o un problema serio mio figlio? È psicotico? O noi non siamo genitori capaci di gestirlo? Il bambino che si trova nel pieno di una crisi, per quanto armato delle migliori intenzioni, spesso fa perdere il controllo anche al caregiver, il quale va su tutte le furie e, in un crescendo di tensione, si crea una sorta di circolo vizioso facendo precipitare la situazione, che si conclude tra urla e lacrime. Se vi è capitato almeno una volta di vivere un’esperienza simile, sappiate che è normale!! Tuttavia, tali esperienze sono fonte di notevole frustrazione, demotivazione. L’adulto può arrivare a chiedersi se non stia sbagliando qualcosa nel suo modo di educare il bambino e soprattutto chiedersi il motivo per cui il piccolo si comporta in questo modo Davvero lo fa perché è viziato? O perché il suo scopo è metterci alla prova? Beh, vi diciamo subito che la risposta a tali domande è no A confermare questo sono le più recenti ricerche neuroscientifiche sul funzionamento e sullo sviluppo del cervello infantile, di cui noi dottoresse, Francesca Tabellione ed Erika D'Antonio avremmo il piacere di parlarne nel nostro bellissimo e interessante corso sul.. CERVELLO INFANTILE E COME FAVORIRE UN BUON SVILUPPO DEL BAMBINO SUL PIANO MOTORIO, COGNITIVO ED EMOTIVO Prima di capire quale possa essere la o le strategie più idonee per gestire queste ‘crisi’, soffermiamoci in breve sul vedere come funziona il cervello del nostro bambino. Se sappiamo cosa accade nel cervello infantile ad una determinata età, riusciremo a spiegare "certi comportamenti anomali" del nostro piccolo e a non considerarli necessariamente comportamenti problematici. Alla nascita, il cervello del bambino è tutt’altro che completo. Con una bella metafora, il Dr. Daniel Siegel lo paragona ad una casa in costruzione dalla struttura molto particolare La parte inferiore, che costituisce la colonna portante, è costituita dal cervello Rettiliano (o tronco encefalico) e dal cervello Emotivo (o sistema limbico), la parte superiore è formata dalla corteccia, in particolare quella prefrontale. Quello che dobbiamo sapere è che alla nascita le aree inferiori del cervello, più primitive, sono già sviluppate (poiché strettamente connesse agli istinti e alla sopravvivenza, "all'attacco o alla fuga"), mentre le aree superiori, legate a capacità complesse quali l'autocontrollo, la regolazione cognitiva o emotiva, la pianificazione, la capacità di scegliere e prendere decisioni, di memorizzare informazioni, di concentrarci per tempi più o meno prolungati, sono ancora molto immature e necessitano ancora di molto tempo per potersi sviluppare pienamente (nel caso della corteccia prefrontale, essa comincia a maturare dai 5 anni e prosegue la sua maturazione fino ai 20 anni, fino ad una sua involuzione verso i 65 anni). Questo spiega perché per un bambino sia così facile abbandonarsi a reazioni istintive, impulsive, senza nessuna logica/razionalità o lasciarsi travolgere dalle sue emozioni, non saperle controllare, soprattutto quando è stanco, affamato o agitato. In questo caso cosa dobbiamo fare? Capirlo, contenerlo emotivamente, dargli tutto il nostro affetto e soddisfando i suoi bisogni, sintonizzarsi prima emotivamente con lui e, solo dopo aver abbassato il livello di "attivazione dell'amigdala" (cervello emotivo) provare a comunicare con il suo cervello razionale e far prevalere la ragione con spiegazioni e limiti. Le aree superiori del cervello, che sono responsabili della regolazione corporea ed emotiva, dell’adattabilità e dell’empatia, non sono ancora pienamente operative, il che rende molto difficile (praticamente impossibile) per un bambino esaminare lucidamente una situazione tenendo conto dei motivi e delle intenzioni degli altri. Le situazioni sono spesso per lui bianche o nere, difficilmente può prendere una decisione considerando tutte le informazioni relative il momento e il contesto. Tutto questo non vuol dire, naturalmente, che dobbiamo rinunciare ad insegnare al bambino come è meglio comportarsi. Nel farlo non dovremmo però mai dimenticare che il suo sistema cerebrale è ancora in evoluzione e può evolversi positivamente se gli offriremo strumenti ed esperienze per farlo. COME INTERVENIRE? Daniel Siegel, neuropsichiatra di fama internazionale, sostiene che quando un bambino è in preda ad forte una crisi emotiva, la strategia migliore per l’adulto sia quella dell’integrazione. Tornando a quanto detto precedentemente riguardo la struttura del cervello, è chiaro che, nel pieno di una crisi, la regione attiva sia quella inferiore, istintiva e reattiva. Se l’adulto, di fronte alla condotta fuori controllo del bambino, reagisce a sua volta con aggressività (ad esempio intimandogli di calmarsi o assumendo espressioni facciali o corporee che suscitano paura), il risultato diretto sarà un’ulteriore infiammazione delle aree inferiori e Cosa farà il bambino Reagirà in maniera ancora più accesa (attaccando) oppure scapperà (ma sopprimendo in sé quella forte emozione, senza elaborarla, con tutte le conseguenze negative che ciò ha). Se il nostro bambino, alla fine di una lunga giornata, inizia a “fare i capricci” per qualcosa che a noi sembra un nonnulla, il nostro intervento non dovrà essere volto ad esigere con forza che si calmi immediatamente. Se vogliamo davvero provare a riuscire ad attivare le aree superiori del suo cervello, dobbiamo guidarlo nel processo di integrazione tra le due regioni (Integrazione verticale ed orizzontale). Ciò implica, innanzitutto, aiutarlo a tenere a freno le sue emozioni, superando lo stato reattivo, in maniera da poter passare ad uno ricettivo, in cui sia maggiormente in grado di accogliere spiegazioni ed insegnamenti. Questo richiede come prima cosa, secondo Siegel, entrare in sintonia con il bambino: invece di minacciarlo, accusarlo o zittirlo poiché irritato dal suo comportamento, l’adulto dovrebbe accogliere e rispecchiare al bambino la sua emozione, offrendogli il tempo e le parole per capirla e controllarla. Solo allora il bambino sarà davvero in grado di prestare ascolto a spiegazioni e apprendere qualcosa. Le regioni del cervello fino a quel momento dis-integrate, infatti, saranno in connessione e maggiormente in grado di operare in forma congiunta. Pazienza se le persone intorno a voi non comprenderanno la complessità della situazione e vedranno solo un genitore “debole” o un bambino “viziato”. L’unico pensiero che deve abitare la vostra mente in questi momenti riguarda l’essere emotivamente presenti per il vostro bambino, perché sebbene le sue emozioni e reazioni possano sembrare esagerate, sono per lui reali. Il vostro bambino ha bisogno di voi Dott.ssa Francesca Tabellione Dott.ssa Erika D'Antonio Tnpee, psicomotriciste funzionali, terapiste itard, supervisori, ideatrici di libri e schede educative/riabilitative /wp:tadv/classic-paragraph
Per saperne di più
I nostri Blog – da admin
LA DISGRAFIA
wp:tadv/classic-paragraph / wp:html /wp:html wp:html La Disgrafia è un disturbo specifico dell'apprendimento che si manifesta come difficoltà a riprodurre sia i segni alfabetici sia quelli numerici. Essa riguarda esclsivamente il grafismo, gli aspetti esecutivo-motori, visuo-motori ma può anche influenzare le regole ortografiche a causa della frequente impossibilità di rilettura e di autocorrezione. /wp:html wp:html 1. POSIZIONE E PRENSIONE Il bambino disgrafico scrive in modo molto irregolare, manifesta una impugnatura dello strumento grafico scorretta e spesso la sua mano scorre con fatica sul foglio. Anche la postura del corpo è inadeguata: il gomito non sempre viene appoggiato sul tavolo e il busto è eccessivamente inclinato. La mano non dominante non tiene fermo il foglio affinché si evitino spostamenti che possano incidere sulla qualità del tracciato grafico, ma è utilizzata per giocherellare con il materiale presente sul tavolo (gomma, matita) /wp:html wp:html 2. ORIENTAMENTO NELLO SPAZIO GRAFICO Si evidenzia una difficoltà nell'organizzazione dello spazio-foglio: il bambino manifesta una difficoltà visuo-spaziale, fa fatica a rispettare i margini del foglio/quaderno, lascia spazi irregolari tra i grafemi e tra le parole, non segue il rigo (procede sopra e sotto rispetto allo stesso) né il quadretto di riferimento /wp:html wp:html 3. PRESSIONE SUL FOGLIO Il bambino disgrafico manifesta anche un'alterazione del tono muscolare, in eccesso o in difetto, denominata "paratonia" che influisce sul tratto grafico il quale si presenta o troppo forte o troppo debole (il b.no non riesce a regolare la pressione della mano sul foglio). Sono inoltre frequenti le "sincinesie", ovvero atti motori involontari non direttamente implicati nell'attività grafica /wp:html wp:html 4. DIREZIONE DEL GESTO GRAFICO Si osservano inversioni sia nella direzionalità del gesto grafico, ad esempio nella riproduzione dei grafemi (dal basso verso l'alto) o nella chiusura del cerchi (in senso orario anziché antiorario) sia nella scrittura autonoma, che a volte procede da destra verso sinistra /wp:html wp:html 5. PRODUZIONI GRAFICHE Il bambino disgrafico presenta difficoltà anche nella riproduzione di forme geometriche (triangolo, quadrato, rettangolo - non riproduce bene gli angoli e tende spesso a non chiudere bene le figure), nel disegno spontaneo, che spesso è immaturo e manca di particolari, con difficoltà evidenti nella pianificazione e riproduzione grafo-motoria /wp:html wp:html 6. ESECUZIONE DI COPIE La copia di parole e di frasi è scorretta e sono frequenti le inversioni del gesto grafico come conseguenza di immaturità nella coordinazione oculo-manuale, ovvero della difficoltà di seguire con lo sguardo il proprio gesto grafico. Risulta difficoltosa la copia dalla lavagna, poiché il bambino deve prestare attenzione a più compiti in contemporanea: distinguere la parola dallo sfondo, spostare lo sguardo dalla lavagna al foglio, riprodurre i grafemi, dunque unire le coordinate spazio-temporali /wp:html wp:html 7. DIMENSIONI E UNIONE DEI GRAFEMI Si evidenzia una notevole difficoltà nella riproduzione delle dimensioni delle lettere, le quali risultano troppo grandi o troppo piccole. Pertanto si assiste ad una irregolarità nelle dimensioni e un'alternanza di micro e macrodimensioni. Inoltre il bambino, mancando di fluidità, spesso tende ad unire le singole lettere o, al contrario, a slegarle. Il tratto grafico è irregolare (dimensione, spessore, ritmo, chiusura, spazio) e la grafia è discontinua (si osservano riprese grafiche e frequenti ritocchi) /wp:html wp:html 8. RITMO GRAFICO Si evidenzia un'alterazione del ritmo di scrittura: il bambino alterna lentezza a precipitazioni e la sua mano esegue movimenti a scatti, con frequenti blocchi, interruzioni, discontinuità: questo impedisce di realizzare quell'armonia tipica del gesto grafico e che caratterizza una scrittura fluida e lineare /wp:html wp:html /wp:html wp:html Dott.ssa Francesca Tabellione, Erika D'Antonio /wp:html wp:html tnpee, psicomotriciste funzionali, terapiste itard, riabilitatici del gesto grafico, supervisori e ideatrici di volumi educativi/riabilitativi, specializzate nella valutazione e nel trattamento dei disordini dell'età evolutiva /wp:html
Per saperne di più
I nostri Blog – da admin
LO SCHEMA CORPOREO
wp:tadv/classic-paragraph In ogni fase della vita l'apprendimento presente dipende da tutto l'apprendimento precedente. Ad esempio, l'apprendimento della lettura dipende parzialmente dalla capacità sviluppata in precedenza, di percepire visivamente le forme. La percezione di forma e di spazio sono strettamente connesse all' apprendimento motorio e l'apprendimento motorio è connesso con l'evoluzione dello schema corporeo. La nostra conoscenza del mondo comincia con la conoscenza del nostro corpo. Head definì lo schema corporeo come “sintesi dinamica delle varie informazioni tattili visive e principalmente posturali”. Ajuriaguerra ed Hecaen si sono interessati di questo argomento e hanno definito lo schema corporeo come “la rappresentazione costante e più o meno chiara del proprio corpo fermo in una posizione spaziale o in movimento". Lo schema corporeo in definitiva non è altro o solo una percezione, ma soprattutto una rappresentazione costante, che si avvale di una sintesi di esperienze multiple visuo-vestibolari, cinestesiche e posturali, influenzata da stimoli emotivi e da necessità biologiche. La capacità di avvertire il movimento e i suoi risultati nello spazio è essenziale per l'evoluzione dello schema corporeo. Ogni volta che un muscolo volontario si contrae, manda al cervello impulsi propriocettivi i quali, mediante il processo di sintesi con impulsi visivi e tattili, stanno a significare che un certo movimento è avvenuto nello spazio. L'osservazione del comportamento del lattante permette di rilevare le diverse acquisizioni relative alle diverse modalità di apprendimento. L'occasionale entrata di un suo arto nel campo visivo suscita nel bambino evidente sorpresa ed è un visibile sforzo di riconoscimento. A 3 mesi il bambino segue con lo sguardo la propria mano che passa casualmente nel campo visivo. A 5 mesi il bambino scopre il proprio piede e lo porta alla sua bocca. Il bambino tratta le parti del corpo come non proprie, esattamente come gli oggetti esterni tra i quali si confondono. La percezione unificatrice del corpo non si realizza finché non si sviluppano la percezione dello spazio a distanza e la capacità di discriminare il proprio corpo dagli altri oggetti collocati nello spazio, cioè fino a quando il b.no non è capace di stabilire e sperimentare relazioni esterne. Il periodo che va dai 5 agli 8-9 mesi è caratterizzato dall'inizio dell'apprendimento dello “spazio a distanza” e dalle relazioni più precise con gli oggetti in esso contenuti. Gli strumenti che consentono questa conquista sono: L'organizzazione più progredita della motricità che consente comportamenti tendenti a ripetere, a ritrovare quei gesti che prima hanno esercitato un’azione interessante sulle cose. La coordinazione visuo-motoria più evoluta che permette al bambino di allargare in proporzioni enormi la capacità di spazializzazione. Una maggiore precisione e possibilità di localizzazione delle sensibilità propriocettive ed esterocettive e una più intensa attività esplorativa. L'esercitazione sensoriale: il bambino dedica molto tempo ad ascoltare e a guardare. L’imitazione: in questa fase è imitazione “ecoprassica” che porta all’assimilazione del proprio corpo e dei propri gesti al corpo e ai gesti dell’altro. Questi nuovi sviluppi danno inizio, fra il sesto e il settimo mese, alla distinzione del proprio corpo dallo spazio-ambiente, alla capacità di porsi in relazione con gli oggetti e con gli altri. Nel periodo che va dai 9 ai 18 mesi il bambino raggiunge nuove tappe di sviluppo che gli consentono una migliore esplorazione e sperimentazione dello spazio a distanza, il quale diviene non solo spazio sensoriale, ma anche spazio cinetico: 1. stazione seduta 9 mesi 2. stazione eretta 11- 12 mesi 3. deambulazione 13- 14 mesi 4. prensione + fine localizzata 5. inizio della comunicazione verbale. Dopo i 12 mesi il bambino riconosce le varie parti del corpo dell'altro (su pupazzi e persone), sul quale compie esercizi di palpazione dei vari organi, ripetendoli talvolta su se stesso. Progredisce la conoscenza del proprio corpo: il bambino si palpa la testa e il collo, il ventre e gli organi genitali, mette le dita nel naso. Sia l'utilizzazione della percezione dei movimenti organizzati, sia l'apparizione della marcia, cioè di uno spazio cinetico, permettono al bambino una migliore manipolazione degli oggetti e una più vasta esplorazione del mondo esterno. L'intelligenza sensorio-motrice va strutturando tale mondo secondo un'organizzazione spazio-temporale. Questa tappa è essenziale per la costituzione dello schema corporeo in quanto il bambino elabora uno spazio pratico costituito da “oggetti permanenti”, tra i quali egli pone il proprio corpo. Dopo i 2 anni il bambino rielabora, sul piano rappresentativo, tutte le nozioni acquisite nel periodo dell’intelligenza senso-motoria. A 21 mesi il bambino è capace di indicare cinque parti del corpo su un pupazzo; a 3 anni ha il senso di posizione ed è capace di stabilire una direzione nello spazio e rispetto al proprio corpo, la percezione del quale diventa sempre più precisa e più analitica. Fra i 3 ei 4 anni il bambino cerca di raffigurare qualcosa, in genere una persona, anzi, la persona, anche se utilizza un unico schema corporeo grafico per rappresentare chiunque. Della figura umana traccia pochi elementi schematici: un cerchio é la testa da cui si dipartono dei raggi che sono le braccia e le gambe. La povertà della raffigurazione non è dovuta soltanto all'incapacità di coordinazione motoria e all'assenza di tecnica, ma anche all'immagine che a quell'età il bambino ha del proprio corpo e di cui disegno è la proiezione. È uno schema ridotto ed essenziale: la testa è importante; nelle braccia è insita la possibilità di raggiungere qualcosa; nelle gambe quella di spostarsi da un luogo all'altro. All'inizio il tronco é ignorato perché le funzioni che esso svolge appaiono al bambino meno importanti. Ben presto all'interno del cerchio compaiono dei grandi occhi, successivamente la bocca e il naso. A 4 anni e mezzo il bambino disegna il primo abbozzo di tronco. A 5 anni la figura umana è riconoscibilissima. Tra i 4-5 anni ricostruisce, seppur in maniera non del tutto corretta, l'omino del puzzle. Tra i vari autori che si sono interessati al problema, Germaine Rossel ha condotto in Francia uno studio che documenta 5 stadi evolutivi corrispondenti all'arco della fanciullezza: Nel primo stadio (5-6 anni) il bambino è in grado di rappresentarsi il proprio corpo in modo confuso e indifferenziato. Nel secondo stadio (6-7 anni) il bambino pur mantenendo la capacità di rappresentarsi un solo elemento corporeo, acquisterà la capacità di metterlo in rapporto con l'ambiente circostante. Successivamente nel terzo stadio (7-8 anni) il bambino diventa capace di rappresentarsi contemporaneamente almeno due elementi del proprio corpo, separati in rapporto alla linea mediana: ad esempio le due mani. Solo nel quarto stadio il bambino acquista la capacità di rappresentarsi contemporaneamente almeno due elementi del proprio corpo, conquista cioè la profondità. In tal modo conquista una rappresentazione tridimensionale, in cui la linea mediana è l'asse centrale. Nell'ultimo stadio infine (9-10 anni) lo schema corporeo è ormai maturo, nel senso che il bambino ha acquistato non solo le tre dimensioni ma anche la rappresentazione del volume del proprio corpo, come qualcosa di volumetrico che occupa spazio. Disturbi dello schema corporeo Affinché il bambino possa acquisire la nozione di schema corporeo, interiorizzarla ed assimilarla, è necessario che siano integri i canali percettivi attraverso i quali egli percepisce i vari stimoli. È necessario, peraltro, che intervenga il movimento, sia come strumento di esecuzione, sia come afferenza e, infine, che la corteccia cerebrale sia matura per la dovuta elaborazione e la strutturazione necessaria in rapporto a processi sempre più complessi. Un'alterazione che si verifichi ad uno di questi livelli determina, di conseguenza, un ritardo nell'organizzazione dello schema corporeo. I disturbi delle afferenze cinestesiche, visive, vestibolari, in età evolutiva, compromettono la strutturazione dello schema corporeo. A questo proposito ricordiamo i disturbi dello schema corporeo nei minorati della vista, nei quali viene meno una quantità di esperienze spaziali elementari su cui si costruisce la coscienza di sé e rapporto io- mondo esterno; e i disturbi dello schema corporeo nei soggetti affetti da paralisi cerebrale infantile (p.c.i.) per difetto di afferenze propriocettive e cinestesiche. I disturbi dello schema corporeo in età evolutiva hanno conseguenze negative sul piano dell'apprendimento e ciò, infatti, determina nel bambino difficoltà di relazione con il mondo esterno, difficoltà che si traducono sul piano percettivo, motorio e relazionale. I disturbi percettivi si manifestano con deficit delle abilità visuo-percettive e della strutturazione spazio-temporale, in quanto il soggetto prima di adattare la sua attività motoria alla necessità dell'azione, deve saper apprendere e interpretare i vari stimoli provenienti dall'esterno e dal suo corpo. La lettura e la scrittura sono due elementi tipici dell'universo spazio-temporale, la cui codificazione e decodificazione esige, oltre una capacità di comprensione, di una corretta organizzazione visuo-motoria, anche e soprattutto un preciso orientamento spazio- temporale; la distribuzione delle lettere sul rigo, il raggruppamento di sillabe e di parole si realizzano in successione e con orientamento sinistra a destra, alto-basso, prima-dopo. È fondamentale quindi, il riconoscimento di direzione e di posizione che si struttura solo in seguito a una buona conoscenza del proprio corpo, alla capacità di collocarsi nello spazio in determinate posizioni rispetto alle cose. I disturbi dello schema corporeo contribuiscono anche a rallentare e a disturbare il processo di apprendimento del calcolo; infatti il bambino acquisisce i primi concetti di numero attraverso il proprio corpo, egli impara a conoscere che ha due mani, molte dita, un naso, due occhi. In un bambino che manifesta disturbi dell'organizzazione dello schema corporeo, si noterà maldestrezza, incoordinazione, lentezza dei movimenti; più il bambino non controllerà questa o quella parte del corpo più ci saranno gravi disturbi di coordinazione, di dissociazione, di lentezza nell'organizzazione delle sue azioni. In età scolare avrà difficoltà di apprendimento della lettura, scrittura per cui le lettere risultano non solo confuse, invertite o esposte, ma anche deformate, sbagliate, fuori dalle righe. Sul piano relazionale e caratteriale avrà atteggiamenti di opposizione o di aggressività. Il suo carattere risulterà instabile, l'umore variabile e la volontà di agire limitata. L'educazione dello schema corporeo L'insegnante ha il compito, attraverso un un'accurata educazione corporea ed una serie di esperienze senso-percettive, di far raggiungere una buona strutturazione dello schema corporeo al bambino, di fargli prendere coscienza dell'esistenza e delle posizioni delle varie parti del corpo, di portarlo a rendersi conto di esistere, di essere una persona, di saper controllare o utilizzare il proprio corpo. Il punto di partenza è la **motricità**, dalla quale il bambino può ricavare un'immagine mentale di ciò che ha fatto, agito, manipolato e che alla fine potrà anche rappresentare per mezzo di simboli. Lo schema corporeo, quindi deve venire costruito insieme a lui utilizzando i suoi stessi schemi motori. L’imitazione degli animali consente l'esperienza dei vari tipi di movimento quali strisciare, camminare carponi, saltellare, camminare lateralmente, correre. L'insegnante può osservare anche le effettive capacità dei bambini di coordinare vari movimenti, dalle più semplici e alle più complesse. Dopo questo programma di lavoro è possibile passare alla rappresentazione grafica della sagoma del corpo, ricordando che il bambino prima agisce e dopo rappresenta i simboli. A partire dal disegno della figura umana il bambino inizierà a riempire i contorni della figura con le singole parti del corpo che scoprirà attraverso altre esperienze. I punti caratterizzanti il lavoro devono essere sempre i seguenti: 1. osservazioni attraverso la manipolazione; 2. rappresentazione simbolica (disegno, linguaggio ecc.). Questi punti salienti devono essere condotti sempre a tre livelli differenti nel rispetto della metodologia di approccio dei bambini, sul sè corporeo, sugli altri (persone, animali) o a livello di simboli (figure, disegni). Sul se corporeo si ha: • scoperta dei vari movimenti del capo; • significato mimico dei movimenti (si e no); • davanti allo specchio, gioco della smorfia con una maschera o con uno scatolone sul capo che copre completamente il viso, (percezione attraverso l'assenza) • descrizione verbale delle singole parti (occhi, orecchie, bocca ecc.) sempre seguendo il criterio secondo il quale l'osservazione precede la rappresentazione Sugli altri (persone, animali): • si procede con l'osservazione delle differenze, per quanto riguarda i movimenti, le parti del corpo che compongono la testa degli animali, con riferimento anche ai colori, le forme e le grandezze. A livello simbolico (su disegni e figure): • si procede con il riconoscimento delle varie parti su figure e con collage. Contemporaneamente a questo tipo di attività, si possono fare altre esercitazioni, quali... consegnare al bambino la figura umana divisa in più parti e chiedergli di ricomporla; gioco del fotografo: il bambino deve osservare attentamente, memorizzare la posizione assunta dall’ insegnante con il corpo e riprodurla mantenendo tale posizione per un certo periodo di tempo, anche a occhi chiusi e descrivendola verbalmente; gioco dello scultore: l'insegnante fa da modello e inventa una posizione; un bambino fa lo scultore e riproduce la posizione dell’educatore su un compagno oppure descrive al compagno i singoli movimenti da fare e la posizione da assumere; fare imitare al bambino azioni che egli ha compiuto e che ha visto compiere. Dott.ssa Francesca Tabellione Dott.ssa Erika D'Antonio Tnpee, psicomotriciste funzionali, terapiste itard, supervisori, ideatrici di libri e schede educative/riabilitative /wp:tadv/classic-paragraph wp:tadv/classic-paragraph /
Per saperne di più
I nostri Blog – da admin
EVOLUZIONE E STRUTTURAZIONE SPAZIO-TEMPORALE
wp:paragraph Spazio e tempo sono due categorie che influenzano fortemente il movimento, il quale è insieme fenomeno spaziale e temporale. Lo spazio esterno è percepito come distanza da sé e direzione in rapporto a sé; l’afferramento di distanza e di direzione avviene secondo due canali informatori principali: /wp:paragraph wp:paragraph • quello propriocettivo (che ci informa sullo spostamento dei vari segmenti del corpo nello spazio); /wp:paragraph wp:paragraph • quello visivo che ci permette di afferrare distanza e direzione verso cui va, per esempio, la mano che tenta di afferrare un oggetto; (a queste informazioni si aggiunge quella uditiva). /wp:paragraph wp:paragraph Le prime percezioni del tempo sono anch’esse strettamente legate al movimento del gesto (rapido, lento ecc). L’interiorizzazione dello spazio e del tempo esterni porta, in seguito, all’elaborazione di uno spazio e di un tempo interni. Quindi il b.no, attraverso l’esperienza vissuta dal movimento globale, struttura un primo abbozzo dello schema corporeo e nello stesso tempo sperimenta che corpo e cose hanno una loro collocazione nello spazio, un loro reciproco orientamento e che fra desiderio e soddisfazione intercorre una durata. /wp:paragraph wp:paragraph EVOLUZIONE E CONCETTO DI SPAZIO /wp:paragraph wp:paragraph Lo spazio è secondo Piaget, una categoria del pensiero infantile; la sua strutturazione è strettamente collegata con lo sviluppo dello schema corporeo. /wp:paragraph wp:paragraph I primissimi mesi di vita sono caratterizzati dallo “spazio orale” collegato all’apparato più funzionale di questo periodo: la bocca. Successivamente, quando il b.no acquisisce uno “spazio prossimale” si passa allo spazio della manipolazione, ovvero quando il b.no acquisisce la capacità di prensione volontaria (verso i 5 mesi), spazio legato anche all’acquisizione della posizione seduta. /wp:paragraph wp:paragraph In questo periodo, la scarsa maturazione del sistema nervoso permette solamente l’esecuzione di schemi motori molto semplici come succhiare o toccare. /wp:paragraph wp:paragraph A sei mesi il bambino localizza la provenienza del suono, trasferisce gli oggetti da una mano all’altra, verifica lo spostamento del proprio corpo nello spazio (rotolando) ed inizia così a superare le distanze che lo separano dagli oggetti. Lo spazio esterno è, infatti, esplorato e percepito come distanza dall’io e come direzione in rapporto all’io; è quindi importante, perché tale esplorazione si verifichi, che il bambino possa muoversi e spostarsi. /wp:paragraph wp:paragraph La distanza viene avvertita come ampiezza e durata del gesto, mentre la direzione è avvertita come movimento verso un oggetto posto in uno spazio caratterizzato dai parametri: sotto, sopra, davanti-dietro, ecc. . Poco dopo, quando il b.no, davanti lo specchio, si sarà riconosciuto come un tutt’uno e avrà unificato il “corpo” che vede a quello che sente e percepisce come proprio, sarà pronto a considerare l’oggetto non solo come costantemente presente, ma come il substrato cui attribuire e riferire diverse qualità. Le condotte motorie cominciano ad essere interiorizzate; i dati percettivi ad essere colti; i rapporti spaziali ad essere immaginati e gli spostamenti anticipati: è la nascita del pensiero simbolico, della capacità di rappresentazione. (24 mesi circa). /wp:paragraph wp:paragraph A 2 anni il b.no traccia linee orizzontali e verticali. /wp:paragraph wp:paragraph A 3 anni inizierà a racchiudere lo spazio in un cerchio ovvero quando incomincerà ad utilizzare i rapporti di vicinanza e separazione e le nozioni di alto-basso, sopra-sotto, davanti-dietro. /wp:paragraph wp:paragraph A 4-5 anni il b.no coglie i rapporti spaziali esistenti tra le varie parti del corpo(fra sé e gli altri, fra gli oggetti)ed è capace di distinguere le linee rette dalle curve, le figure aperte da quelle chiuse e, assimilate queste abilità mentali, può costruire figure geometriche piane come i rettangoli, i quadrati ecc. /wp:paragraph wp:paragraph A 7-8 anni lo spazio diventa sempre più “maneggevole”, il b.no può dislocarsi mentalmente al posto di altre persone ed oggetti. Ciò in quanto, grazie alla reversibilità del pensiero e all’ingresso nel pensiero operatorio concreto, il b.no scopre che un oggetto si mantiene inalterato anche se varia la forma conservando la sostanza. In questa fase il b.no può compiere delle operazioni mentali reversibili, come la classificazione, la seriazione, la numerazione. /wp:paragraph wp:paragraph A 9-10 anni il b.no possiede gli elementi per costruire uno spazio euclideo e proiettivo. A questa età il b.no costruisce sistemi spaziali di insiemi composti da rette, angoli, curve, ecc. Questo processo astrattivo, che si identifica nella rappresentazione spaziale, presuppone un’attività motoria regolare e un sistema che trasmetta ai centri corticali informazioni circa posizioni e rapporti dei segmenti corporei nello spazio, movimenti oculari che esplorano, recezione di stimoli sonori che danno la percezione della profondità e delle distanze. /wp:paragraph wp:paragraph DEFICIT /wp:paragraph wp:paragraph Il deficit riferito all’organizzazione spaziale può manifestarsi secondo modalità diverse: /wp:paragraph wp:paragraph • Alterato orientamento del soggetto nello spazio circostante che rende impossibile la discriminazione fra sopra-sotto, davanti-dietro, di fianco, alto-basso:. Il b.no con questo disturbo, non sa orientare il proprio corpo nello spazio e non riesce a modificare le posizioni assunte su comando verbale: non sa seguire un percorso ed eseguire commissioni, non si adatta a cambiamenti di ambiente. /wp:paragraph wp:paragraph • Alterato rapporto degli oggetti fra di loro: il b.no è incapace, o trova difficoltà nel definire in quale rapporto sono gli oggetti fra loro, non sa dire per esempio se la palla è sopra o sotto il tavolo. Queste difficoltà giustificano l’incapacità costruttiva di certi b.ni che non sanno costruire treni, ponti, incastri o una torre ecc. I disturbi dell’organizzazione spaziale si riscontrano in b.ni con insufficienza mentale, disturbi dovuti essenzialmente ad un difetto di informazione e di elaborazione percettiva. I b.ni con disturbi spaziali in attività scolastiche incontreranno difficoltà della percezione delle strutture spaziali delle forme grafiche. La confusione avviene, fra le lettere che si differenziano per l’orientamento del loro tracciato (per esempio: u-n, p-q, b-d ecc.), ogni elemento della lettera (cerchio, asta, ecc.) preso isolatamente è correttamente percepito, ma i rapporti fra essi non sono stabili ed esatti, in quanto il b.no non ha ben chiari alcuni punti di riferimento: sopra-sotto, dx-sx ecc. I soggetti con tale disfunzione percettiva possono leggere o scrivere, per esempio, “ablero” invece di “albero”, possono avere difficoltà a leggere parole lunghe, possono omettere delle lettere o aggiungerle, nei processi aritmetici possono essere incapaci di ricordare la sequenza dei processi. D’altra parte, se il b.no non arriva a situare in modo preciso le diverse membra del proprio corpo nello spazio, è normale ritrovare le stesse possibili confusioni nell’analisi del mondo esteriore. /wp:paragraph wp:paragraph ESERCIZI PER L’ORGANIZZAZIONE SPAZIALE /wp:paragraph wp:paragraph Il b.no per essere avviato all’analisi cosciente per il riconoscimento degli spostamenti di alcuni segni grafici, che si trovano nella scrittura e lettura, deve avere la coscienza del proprio corpo. Da ciò scaturisce la consapevolezza delle possibilità di movimento e la conseguente acquisizione delle nozioni che esprimono rapporti spaziali (sopra, sotto, dentro, fuori ecc.) Tali posizioni vanno vissute concretamente (come mettersi in uno scatolone, in un grande cerchio collocato a terra; passare strisciando sotto una sedia, sotto il tavolo ecc.) successivamente il b.no procederà a muovere le cose verso di sé, infine muoverà le cose tra loro. Dalle situazioni concretamente vissute, si passa all’uso delle immagini, come segue: /wp:paragraph wp:paragraph • Presentare al b.no delle schede con figure di tavoli, sedie ecc. con sopra o sotto un giocattolo e chiedergli di indicare o di raggruppare tutte le figure in cui il giocattolo è sopra o sotto ecc. /wp:paragraph wp:paragraph • Presentare al b.no un foglio con disegnati alcuni tavoli e chiedergli di disegnare una palla sotto ed un vaso sopra. /wp:paragraph wp:paragraph • Presentare al b.no un foglio con disegnati tavoli e sedie e invitarlo a disegnare una cosa sopra i tavoli e una sotto le sedie. /wp:paragraph wp:paragraph • Presentare al b.no dei fogli con disegnati sedie con dei gatti che sono sopra o sotto ad essi. /wp:paragraph wp:paragraph • Consegnare al b.no delle schede in cui sono rappresentati due oggetti posti l’uno davanti l’altro. /wp:paragraph wp:paragraph • Presentare al b.no un foglio con due vasi disegnati, chiedergli di mettere i fiori nel vaso che sta davanti o in quello che sta dietro. /wp:paragraph wp:paragraph A conclusione dell’esperienza relativa alle posizioni, il b.no deve essere in condizione di scoprire che alcune posizioni, sono relative a chi guarda. Vanno attuati una serie di esercizi che riguardano le direzioni. Si inizia con il fare intuire al b.no le parti simmetriche del corpo. Altri esercizi riguardano la scoperta della direzione, il b.no con gli occhi bendati deve indicare la parte da cui reputa venga il suono di un campanello. /wp:paragraph wp:paragraph Esercizi per la percezione delle dimensioni: l’insegnante farà concentrare l’attenzione dei bambini su questa qualità degli oggetti, qualità percepibili con il tatto e la vista. /wp:paragraph wp:paragraph Strutturazione temporale /wp:paragraph wp:paragraph La nozione di tempo può farsi risalire ai primi giorni di vita. Il neonato che grida per la fame conosce certe durate, quali quella dell’attesa e quella della poppata. /wp:paragraph wp:paragraph 🔴 Fra 3 e 8 mesi, vengono via via ordinati più avvenimenti successivi. /wp:paragraph wp:paragraph 🔵 Fra i 12 e 18 mesi il piccolo diviene capace di ricostruire una serie limitata di avvenimenti successivi. /wp:paragraph wp:paragraph ⚫ A 3 anni il b.no possiede il concetto del dopo, del domani, mentre è insicuro l’uso del prima. /wp:paragraph wp:paragraph 🔴 A 4 anni, possiede le relazioni di tempo segnate dal succedersi di ieri, oggi e domani. /wp:paragraph wp:paragraph 🔵 A 7-8 anni, comincia a capire i rapporti spazio-temporali e ad introdurre nel tempo fisico una successione ragionata, attraverso una ricostruzione operatoria intuitiva. /wp:paragraph wp:paragraph Disturbi temporali e difficoltà di apprendimento I disturbi dell’organizzazione temporale possono manifestarsi a livelli diversi: • con difficoltà, rallentamento o ritardo nella comprensione o nella espressione dei rapporti temporali; /wp:paragraph wp:paragraph • con difficoltà nell’orientamento temporale nel senso di non riuscire a collocare esattamente nel tempo delle azioni, degli avvenimenti; /wp:paragraph wp:paragraph • con la non conoscenza di concetti più complessi quali la successione e la simultaneità d’azione nel tempo; • con la difficoltà di percepire le nozioni temporali; /wp:paragraph wp:paragraph • con la mancanza di intuizioni del tempo vissuto; • con la difficoltà nella percezione di strutture temporali, ritmiche; Esiste una correlazione tra i disturbi temporali e le difficoltà di apprendimento della letto-scrittura. /wp:paragraph wp:paragraph La successione delle sillabe in una parola o delle parole in una frase prevede, infatti, sequenze temporo-spaziali che devono essere correttamente riconosciute e riprodotte. Esercizi per l’organizzazione temporale Per rendere più concrete, per il b.no le nozioni temporali occorre creare delle situazioni concrete che ne favoriscano l’acquisizione. Le attività realizzabili sono moltissime, ma vanno svolte con gradualità affinchè la nozione che si vuole fare acquisire al b.no sia lentamente e progressivamente elaborata e fissata. /wp:paragraph wp:paragraph 1️⃣ Una prima serie di esercitazioni può riguardare la presenza o assenza dell’oggetto. Mettere un oggetto sul tavolo e chiedere: cosa c’è sul tavolo? Si predispone poi una serie di cartoncini abbinati in cui una cosa c’è o non c’è (es. una gabbia con uccellino, una gabbia senza uccellino) /wp:paragraph wp:paragraph 2️⃣ Una seconda intuizione importante è quella relativa al prima e al dopo, per la quale bisogna partire dalle azioni che il bambino compie, soprattutto quelle la cui successione è rapida. Esempio 1: fare eseguire al b.no un’attività, come disegnare o giocare, mentre il b.no esegue chiedere “che cosa stai facendo adesso?” Esempio 2: invitare il b.no ad osservare il compagno vicino e chiedergli “cosa stai facendo adesso”? Esempio 3: chiedere al b.no di raccontare quello che ha fatto prima di venire a scuola, facendo eseguire al b.no alcune azioni che abbiano un prima e un poi. Esempio 4: chiedere al b.no “prima si mangia o prima si sbuccia la mela?” Esempio 5 : fare disporre ,nell’esatta successione temporale, una serie di tre illustrazioni legate fra loro da semplici rapporti logico-temporali. Esempio 6: esercizi di seriazione temporale come azioni del mattino; azioni che precedono il pranzo; i momenti della giornata; i momenti della vita; il lavoro del contadino, del fornaio; la seriazione temporale dalla pecora alla lana, dal chicco d’uva alla botte di vino ecc.) /wp:paragraph wp:paragraph 3️⃣ Altre acquisizioni riguardano il ritmo e la durata. Ogni b.no possiede un suo ritmo specifico da cui traggono origine le diverse scansioni e i diversi tempi del suo inserimento nella realtà. Per b.ni affetti di disturbi motori, l’esecuzione dei movimenti ordinati secondo i canoni del ritmo, non è sempre possibile. Se il b.no non può eseguire movimenti globali potrà tentare l’esecuzione di quelli semplici, se non si adatta al ritmo veloce potrà provare quello lento. A tal fine è importante che l’insegnante faccia eseguire una serie di esercitazioni partendo dall’esperienza diretta del bambino attraverso l’azione. /wp:paragraph wp:paragraph • Esempio 1: percorrere un tracciato prima a passi brevi poi a passi più lunghi; /wp:paragraph wp:paragraph • Esempio 2: fare rotolare un pallone lentamente e poi in fretta; /wp:paragraph wp:paragraph • Esempio 3: fare rotolare un pallone e correre più in fretta o meno in fretta di esso; L’insegnante dovrà fare raggiungere al b.no la capacità di osservare e comprendere una velocità e di intervenire su di essa; di confrontare velocità diverse; intuire una durata; organizzare un ritmo. ‼️C’è un primo momento essenziale, che deve precedere ogni educazione al ritmo ovvero quando l’insegnate prende consapevolezza del ritmo personale di ogni singolo b.no: nel battere spontaneamente le mani l’insegnante può rendersi conto che c’è chi batte con ritmo molto veloce, chi lento, chi si disorganizza, chi varia continuamente; ciò perché il ritmo è legato alla propria motricità. Scoprendo qual è il ritmo più congeniale a ciascun b.no ,l’insegnate deve proporre: battute di mani, colpi battuti su di un tamburello ecc. In un primo tempo l’insegnate si adeguerà al ritmo del b.no, successivamente sarà il b.no che dovrà adeguarsi ad un ritmo imposto. ‼️Successivamente l’insegnate aiuterà il b.no a raffigurare graficamente un ritmo, attraverso delle esercitazioni. /wp:paragraph wp:paragraph Per esempio: /wp:paragraph wp:paragraph • mettere molte palle, ugualmente distanti tra loro, davanti al b.no e chiedere a questi di battere un colpo davanti ad ognuna; successivamente togliere alcune palle e chiedere al b.no di battere un colpo davanti ad ogni palla e di fare finta di batterlo dove la palla è stata tolta. /wp:paragraph wp:paragraph • L’insegnante batte un certo numero di colpi, e chiede poi al b.no di fare altrettanto e successivamente di trascrivere graficamente ciò che ha fatto. /wp:paragraph wp:paragraph • Si propongono al b.no delle strutture ritmiche, espresse graficamente, con cerchi; il b.no deve leggere e riprodurre battendo un oggetto sul tavolo, oppure battendo le mani o il tamburello. /wp:paragraph wp:paragraph Tali attività educative sono importanti in quanto facilitano la capacità di simbolizzare delle strutture ritmiche e di decodificare le medesime, traducendole in movimento e facilitano così quei processi indispensabili per l’apprendimento della letto-scrittura; infatti la parola e la frase scritta non sono altro che riproduzioni grafiche di sequenze sonore. /wp:paragraph wp:paragraph Dott.ssa Francesca Tabellione Dott.ssa Erika D’Antonio Tnpee, psicomotriciste funzionali, terapiste itard, supervisori, ideatrici di libri e schede educative/riabilitative /wp:paragraph
Per saperne di più
I nostri Blog – da admin
CONOSCERE IL CERVELLO INFANTILE - MOTRICITÀ E LINGUAGGIO NELLA FASCIA 0-6 ANNI: FASI DI SVILUPPO E PROPOSTE OPERATIVE
wp:paragraph Nel periodo che va dalla nascita ai 6 anni, il bambino ha una mente che viene chiamata ASSORBENTE (Montessori), ovvero è capace di assorbire tutti gli stimoli sensoriali dell’ambiente circostante. In questo periodo il bambino sviluppa il pensiero concreto e non quello astratto (che svilupperà più tardi). /wp:paragraph wp:paragraph Dalla nascita ai 6 anni, inoltre, sono presenti diversi sottoperiodi, definiti sensibili, in cui è più facile e innato sviluppare capacità fondamentali come il linguaggio. Noi professionisti/educatori/genitori dobbiamo sfruttare al massimo questo periodo (dagli 0 ai 6 anni) per indurre il bambino a fare da solo, a relazionarsi adeguatamente al mondo concreto, a costruire quell’ordine mentale necessario per la sua indipendenza e autostima. /wp:paragraph wp:paragraph Bisogna intervenire il meno possibile e lasciare il bambino libero di decidere, di sperimentare, anche di sbagliare e intervenire solo in caso di necessità o bisogno. Considerare che ogni bambino è unico, e ognuno ha i propri tempi e modi di acquisizione. /wp:paragraph wp:paragraph IL MOVIMENTO /wp:paragraph wp:paragraph Perché il movimento è così importante? Il bambino impara a muoversi, prima gattonando, poi reggendosi in piedi con appoggio, poi camminando e correndo. Solo attraverso il movimento, egli scopre l’orientamento, le distanze, l’organizzazione spazio-temporale, acquisisce la conoscenza e la padronanza del proprio schema corporeo. Senza movimento non c’è esplorazione né crescita emotiva, relazionale e cognitiva. /wp:paragraph wp:paragraph PROPOSTE PER FAVORIRE LO SVILUPPO MOTORIO /wp:paragraph wp:paragraph Appena nato, il bambino fa movimenti del tutto casuali, con i piedi, con le mani e a volte gira un po’ la testa. Non è capace di rotolare o girarsi. Attorno ai 2/3 mesi, dopo aver afferrato o toccato per caso diversi oggetti, i movimenti diventano più volontari. In questa fase è importante mostrare al piccolo dei giochi stimolanti, colorati o rumorosi. È importante far assumere al bambino la posizione prona (a pancia in giù) su un tappeto: permette di sviluppare i muscoli del collo, delle spalle e della schiena poiché il piccolo è spinto ad alzare la testa. Tuttavia, a pancia in giù un bimbo piccolo va tenuto per poco tempo: quando dorme o quando è da solo, questa posizione è sconsigliata poiché è spesso responsabile della Sids (sindrome da morte in culla, problema gravissimo di cui non si conoscono ancora bene le cause ma di cui si sono trovati fattori di rischio e di protezione). /wp:paragraph wp:paragraph A partire dai 3 mesi, possiamo utilizzare giochini rumorosi e incoraggiarlo a girarsi su un fianco o sull’altro. /wp:paragraph wp:paragraph Dai 6/7 mesi, alcuni bambini iniziano a gattonare o comunque a muoversi nello spazio circostante, altri strisciano o fanno movimenti differenti. Altri ancora camminano saltando la tappa del gattonamento o dello striscio. /wp:paragraph wp:paragraph Fra i 6 e i 12 mesi, la stimolazione è ancora fondamentale: è consigliato, in terapia e a casa, avere diverso materiale quali cubetti, sonagli, mattoncini colorati, lego, birilli, cuscini morbidi, tappetini sensoriali con cui il bambino può fare esperienza sensori-motoria, tattile, manipolativa. /wp:paragraph wp:paragraph Verso i 12 mesi circa, il bambino inizia a camminare, prima con appoggio poi sempre più autonomamente. In questa fase possiamo osservare notevoli cadute o perdite di equilibrio poiché il bambino sta imparando a controllare maggiormente il proprio corpo e ad “auto-equilibrarsi”. Non bisogna utilizzare il girello in quanto dannoso poiché: – interferisce in modo negativo sullo sviluppo psicomotorio – impedisce al bambino di sperimentare le cadute e quindi di sviluppare un corretto senso dell’equilibrio – non consente al bimbo di guardarsi gambe e piedini – non gli permette di afferrare gli oggetti – può obbligare il piccolo a una posizione che preme troppo sull’anca e indurlo a camminare “in punta di piedi”. /wp:paragraph wp:paragraph Fino agli 11/12 mesi sarà dunque importante che il bambino sperimenti ogni tipo di movimento e utilizzare anche la musica per favorire il senso del ritmo, che aiuta ad acquisire equilibrio e coscienza del proprio corpo. Ricordiamo che il ritmo è fondamentale sia per un corretto sviluppo psicomotorio che cognitivo (apprendimenti scolastici). /wp:paragraph wp:paragraph Verso i 2 anni, quando il cammino sarà acquisito, può essere consigliata una bicicletta di legno senza pedali, pensata per insegnare al bambino l’equilibrio. /wp:paragraph wp:paragraph Pertanto, per tutto il periodo cruciale dell’infanzia (0-6 anni), incentivate ogni tipo di attività all’aria aperta: ad esempio portate il bambino al parco e fatelo giocare con scivolo, altalene, incentivate tutte le attività che prevedono movimenti rapidi e lenti, salti, lanci con la palla, capriole, corsa con oggetti in mano o senza, rotolamenti da un lato all’altro, attività che prevedono manipolazione di diversi materiali ed esplorazione tattile di diverse consistenze. Vediamo in dettaglio alcuni giochi. /wp:paragraph wp:paragraph GIOCHI DI MOVIMENTO (0-4 ANNI) /wp:paragraph wp:paragraph Sono tanti e vari i giochi di movimento che possiamo proporre in questa fascia d’età, consigliandoli non sono a professionisti/educatori ma anche a insegnanti e a genitori. Ne citiamo alcuni. /wp:paragraph wp:paragraph 1. Provate a incollare sul pavimento alcune strisce di nastro o carta adesiva, tutte alla stessa distanza o a distanze diverse: si può invitare il bambino a saltare, evitarle, toccarle, mettere un piede su una e l’altro su un’altra. In questo modo stiamo facendogli sperimentare i propri movimenti. /wp:paragraph wp:paragraph 2. Mettere un fazzolettino appallottolato in testa al bambino e poi incitatelo a muoversi, cercando di non far cadere il fazzolettino o di prenderlo al volo ogni volta che scivola. /wp:paragraph wp:paragraph 3. Costruite una ruota con varie finestrelle e una lancetta. Chiedete al bambino di girare la lancetta e compiere l’azione scritta sulla finestrella su cui la lancetta si ferma. Nelle finestrelle potete scrivere azioni semplici (saltare, stare fermi, correre, strisciare, gattonare, ecc), oppure azioni che mimano animali o semplicissimi schemi crociati alternati. /wp:paragraph wp:paragraph 4. Realizzate percorsi da seguire con un inizio e una fine utilizzando sedioline, birilli, mattoncini, tappetini, cerchi, cuscini di varia consistenza e invitate il bambino a realizzarlo con modalità sempre differenti (occhi chiusi, aperti, strisciando, saltando, correndo, camminando, ecc.). /wp:paragraph wp:paragraph 5. Possiamo consigliare anche esercizi di rilassamento o yoga per prendere coscienza del proprio corpo o attività sportive come danza, karate, calcio, rispettando sempre i ritmi e la volontà del fanciullo. /wp:paragraph wp:paragraph IL LINGUAGGIO /wp:paragraph wp:paragraph L’ apprendimento del linguaggio inizia e procede in modo non certo lineare, bensì a salti (Montessori), attraverso creatività, esplosioni del linguaggio improvviso, regressioni, di nuovo progressi in avanti, il tutto seguendo la formazione del cervello, che in questi anni è in pieno fermento. /wp:paragraph wp:paragraph Dopo le varie esplosioni del vocabolario, attorno ai 2 anni e mezzo, inizia l’organizzazione in categorie e strutture. /wp:paragraph wp:paragraph La Montessori distingue due fasi linguistiche: /wp:paragraph wp:paragraph – fase prelinguistica (dalla fase di feto, quindi nella vita prenatale, all’anno di età) /wp:paragraph wp:paragraph – fase linguistica (dai 12 ai 36 mesi circa). /wp:paragraph wp:paragraph a. La fase prelinguistica inizia già durante la gestazione materna, in cui il feto comincia a sentire i rumori e la voce materna. Ci sono diversi esperimenti che dimostrano che i neonati sanno riconoscere la voce materna e la distinguono dalle altre. Il bambino è programmato per comunicare, è interessato sin da subito alle voci umane e si sofferma sui visi umani più che su ogni altra cosa. /wp:paragraph wp:paragraph Attorno ai 2 mesi e mezzo/3 mesi, il piccolo avvia la vera comunicazione diadica, ovvero la comunicazione a due, solitamente con la mamma, riuscendo a rispettare i turni di parola. /wp:paragraph wp:paragraph In questa fase la laringe è abbastanza sviluppata per permettere modulazioni di voce e il bimbo è capace di mantenere lo sguardo. /wp:paragraph wp:paragraph Verso i 6 mesi, talvolta un po’ prima, inizia la lallazione, cioè la fase in cui il bambino pronuncia consonanti e vocali ripetutamente ma senza avere consapevolezza del significato delle parole (ma-ma, ta-ta, da-da). /wp:paragraph wp:paragraph Le prime forme di consapevolezza e comprensione autentica del linguaggio compaiono tra 8 e 12 mesi. In questa fase il piccolo riesce a rispondere si o no (in genere il no viene prima del si) e rispondere a semplici richieste quali “batti le manine, fai ciao con la mano..”. /wp:paragraph wp:paragraph Verso i 12 mesi, in genere, pronuncia le prime parole che riguardano persone o cose comuni della vita del piccolo (mamma, papà, pappa, fratello): sono parole che racchiudono un intero contesto/situazione (compare l’olofrase o frase intera). /wp:paragraph wp:paragraph b. La fase linguistica avviene tra i 12 e i 36 mesi e, al suo interno, bisogna distinguere una: – Fase locutoria (12-22 mesi) – Fase delocutoria (22-36 mesi). Durante la fase locutoria il bambino utilizza la stessa parola per definire cose diverse o viceversa, ed è una fase di grande sperimentazione in cui il piccolo realizza frasi semplici composte da soggetto + verbo (“mamma mangia”). Dai 2 anni si assiste ad una esplosione del vocabolario in cui il bimbo impara fino a 6/9 parole nuove al giorno, e le frasi nucleari diventano sempre più lunghe, il bambino è in grado di dire come si sente e se qualcuno è felice o triste. A partire dai 3 anni, il bambino inizia ad utilizzare la prima persona per parlare di sé (prima dei 3 anni utilizzava la terza persona): le frasi diventano più complesse, si comincia ad utilizzare il plurale e i pronomi al posto anche delle altre persone (invece di dire “papà mangia dice tu mangi”). /wp:paragraph wp:paragraph PROPOSTE PER FAVORIRE LO SVILUPPO DEL LINGUAGGIO (0-6 ANNI) /wp:paragraph wp:paragraph 1. Utilizzare libri illustrati che parlino di cose e storie concrete /wp:paragraph wp:paragraph 2. Usare piccoli animaletti e nominarli o suddividerli in categorie. Stessa modalità con oggetti di vita quotidiana /wp:paragraph wp:paragraph 3. Utilizzare un linguaggio semplice, lineare, chiaro quando si parla. Enfatizzare le parole principali. Mettersi alla stessa altezza del bambino in modo che egli possa vedere la vostra bocca quando parlate per imitare/articolare i suoni. Chiamare le cose con i loro nomi, ad esempio non dire frutta se stiamo mostrando al bimbo una mela. /wp:paragraph wp:paragraph 4. Ripetere le paroline quando il bambino pronuncia in maniera errata una frase, senza dirgli che ha sbagliato a pronunciarle. Non essere peró troppo ridondanti! /wp:paragraph wp:paragraph 5. Categorizzare anche a seconda dei suoni: mettere insieme oggetti che iniziano con lo stesso suono e fatelo notare al bimbo. /wp:paragraph wp:paragraph 6. Usare le carte della nomenclatura, con disegni di oggetti-animali-persone con cui il bambino deve giocare e sperimentare. Poi, a seconda dell’età, si può chiedere dove sia il cane, la palla, il sole, ecc. Dai 2 anni e mezzo/3, sono utili anche le carte delle emozioni che mirano a riconoscere le espressioni/sensazioni emotive e carte che stimolano l’immaginazione, il pensiero e la semplice resocontazione raccontando storie. /wp:paragraph wp:paragraph 7. Gioco del silenzio montessoriano: consiste nello stare fermi e zitti per circa 30 secondi con gli occhi chiusi. /wp:paragraph wp:paragraph Successivamente invitare il bambino a dire quali rumori ha sentito durante questo silenzio (rumore delle macchine, cinguettio degli uccelli, ecc.). Tale esercizio mira a favorire la concentrazione, la percezione del proprio corpo e dell’ambiente circostante. /wp:paragraph wp:paragraph ————–*———-*———-*—– /wp:paragraph wp:paragraph Dott.ssa Francesca Tabellione Dott.ssa Erika D’Antonio Tnpee, psicomotriciste funzionali, terapiste itard, supervisori, ideatrici di libri e schede educative/riabilitative /wp:paragraph
Per saperne di più
I nostri Blog – da admin
LATERALITÀ, LATERALIZZAZIONE, DISTURBI E DIFFICOLTA’ DI APPRENDIMENTO
wp:tadv/classic-paragraph LATERALITA’ Per lateralità si intende l’insieme delle predominanze particolari dell’una o dell’altra parte simmetrica del corpo, a livello di mano, piede, occhio, orecchio; per lateralizzazione si intende il processo attraverso il quale si sviluppa la lateralità. Tale processo è connesso con l’organizzazione, da un lato dello schema corporeo, dall’altro dello spazio e del tempo. Riguardo l’epoca in cui si stabilisce la lateralità vi è disaccordo; alcuni studiosi dicono che è già stabilita a quattro mesi, altri non la pongono prima dei quattro-cinque anni. Vi sono periodi, anche lunghi, durante i quali il bambino utilizza la mano non dominante, oppure utilizza indifferentemente le due mani (soprattutto verso i 18-36 mesi). In ogni caso la dominanza è fissata quando il bambino (a 6-7 anni) entra nella scuola dell’obbligo: è perciò un grave errore intervenire prima di tale età per modificarla. LATERALIZZAZIONE Il processo di lateralizzazione, inoltre, favorisce la reversibilità spaziale caratteristica anch’essa del pensiero operatorio concreto. Il processo di lateralizzazione è fondamento dello stabilirsi della scrittura, del suo organizzarsi nello spazio del foglio: tutti elementi che il bambino non possiede prima dei 5-6 anni. La scoperta di un asse corporeo, di due parti simmetriche del corpo e del vissuto di come queste due parti si integrano, è influenzata da un «equilibrio interiore ed emotivo» che viene scoperto, a sua volta, come esperienza propriocettiva. Lo stabilizzarsi della preferenza laterale esprime un piano di perfetta organizzazione della dominanza emisferica cerebrale, la quale si realizza tanto con la preferenza destra quanto con la preferenza sinistra. La dominanza emisferica è una importante condizione funzionale del cervello per cui, nella maggior parte delle persone, nell’emisfero sinistro si organizzano i centri delle funzioni gnosiche, prassiche e fasiche cioè le elaborazioni percettive, le programmazioni motorie finalizzate e il linguaggio. Esiste una minoranza di soggetti in cui tale dominanza si manifesta spontaneamente per la mano sinistra perché i centri delle funzioni gnosiche, prassiche e del linguaggio si organizzano in prevalenza nell’emisfero destro. In questi casi i soggetti saranno mancini ed il loro mancinismo non è da considerare una condizione patologica, ma una condizione fisiologica, e cioè normale, anche se comporta qualche difficoltà di adattamento perché gli strumenti espressivi e motori che si sono organizzati nella nostra società riflettono in prevalenza le esigenze dei destrimani. I mancini contrastati sono dei soggetti lateralizzati in origine a sinistra e che per pregiudizi sociali ed errori educativi vengono costretti o stimolati ad utilizzare la mano destra. Tali interventi possono essere responsabili dell’insorgenza di conflitti neurofisiologici nell’ambito delle molteplici e complesse funzioni emisferiche e determinare disturbi del linguaggio (spesso balbuzie), strabismo, errori di lettura e scrittura, disturbi a carico della sfera affettiva e comportamentale come: timidezza, insicurezza, instabilità o irrequietezza psicomotoria, iperemotività, enuresi, onicofagia, tics, aggressività e talora veri e propri stati ansiosi. Disturbi simili, sia a carico delle funzioni motorio-prassiche sia sul piano comportamentale, si manifestano, inoltre, in bambini dalla lateralità incerta, espressione di una non ben definita dominanza cerebrale a causa di immaturità delle strutture nervose. Una lateralità indecisa pone il bambino di fronte a molte difficoltà, le quali (soprattutto in età scolare) si ripercuotono nel campo degli apprendimenti e della vita relazionale. Il bambino ben lateralizzato presenta nel suo destrismo, o nel suo mancinismo, punti di riferimento direzionale precisi; quello che è mal lateralizzato, o contrastato, perde dei punti di riferimento, i quali sono importanti per i suoi comportamenti costruttivi ed organizzativi determinando influenza sulla maturazione socio-affettiva e intellettiva e, quindi, sull’apprendimento. In realtà non è tanto un mancinismo che può avere significato nella etiopatogenesi dei disturbi di apprendimento scolastico, ma piuttosto una lateralità non ancora ben definita, espressione di una non chiara dominanza cerebrale. Sul piano dell’apprendimento della lettura e della scrittura i soggetti non ben lateralizzati evidenziano delle difficoltà che spesso si caratterizzano anche in aspetti specifici: confusione di lettere simili per forma, rovesciamento di lettere e cifre, inversioni di lettere nel corso della parola ecc.. Inoltre c’è da evidenziare che nei bambini che non hanno strutturato bene la lateralizzazione, il movimento del loro globo oculare è instabile, va avanti e indietro sul foglio senza riuscire a dominare lo spazio-parola, generando così delle inversioni. Il problema si pone, tutte le volte che l’insegnante si trova di fronte un bambino con problemi di lateralità; è necessario stabilire, quale lato è dominante nel bambino; sarà opportuno non intervenire indicando l’uso di una mano o dell’altra, di un piede o dell’altro, usando i termini «sinistra» e «destra», ma lasciare al bambino la libertà di realizzazione, almeno per un periodo di tempo. In caso di incertezza è bene segnalare il caso perché vengano somministrate al bambino prove specifiche, vengano raccolte notizie dalla famiglia e, nei casi più difficili e complessi, venga effettuata una valutazione neuropsicomotoria. ATTIVITA’ PER FAVORIRE IL PROCESSO DI LATERALIZZAZIONE La regola da rispettare nell’attività è quella di non contrastare il mancino con una specializzazione forzata della mano destra. Le difficoltà insorgono quando il bambino inizia la scuola, visto che nella civiltà occidentale l’apprendimento pre-elementare ed elementare è regolato da tre principi fondamentali: organizzazione lineare a direzione sinistra-destra; rotazione sinistrogira degli anelli; scrittura dall’alto verso il basso. Il bambino mancino tende invece ad una organizzazione da destra a sinistra e ad una rotazione destrogira. Questo comporta difficoltà nella lettura, soprattutto per differenziare lettere e sillabe simili, e nella scrittura che impone un rovesciamento della tendenza naturale; la mano che scrive nasconde lo scritto, ostacolando il controllo e l’autocorrezione e causando macchie sul foglio. L’insegnante deve aiutare il soggetto a superare queste difficoltà facendo, per esempio, tenere il quaderno inclinato di 30°-40° verso destra o abituare il bambino a scrivere con la mano ruotata per non coprire le lettere appena scritte, allenare il bambino all’organizzazione lineare, da sinistra a destra, mediante una serie di esercitazioni. In genere si procede invitando il bambino ad una lettura da sinistra a destra di quattro o cinque figurine (all’inizio si useranno oggetti) disposte su una linea orizzontale, per poi passare alla lettura di figurine su due o più linee orizzontali. Nel caso in cui i bambini riscontrino notevoli difficoltà si dovrà procedere a coprire ogni fila con un cartoncino e, facendo poi scorrere questo da sinistra a destra, si scoprirà una figurina alla volta. Superata questa tappa, che praticamente consiste nella lettura ordinata dei colori, si può passare alla lettura di altri simboli, finchè il bambino non dimostra di avere acquisito una sufficiente sicurezza. A parte queste esercitazioni, è necessario consolidare nel bambino la conoscenza di sé e della lateralità, prima di proporgli esercizi di discriminazione direzionale quali quelli implicanti forme e lettere dell’alfabeto. L’insegnate deve tenere presente che la lateralità non è sinonimo di capacità di denominare esattamente le mani come destra e sinistra; si tratta, invece, di divenire consapevole dell’esistenza di una distinzione fra un emisoma e l’altro e di divenire capaci di indicare questa distinzione in termini di lato destro opposto a lato sinistro. Le esercitazioni da fare eseguire, pur coinvolgendo globalmente il bambino devono essere più particolarmente orientate verso l’acquisizione o l’affermazione della lateralità e verso il raggiungimento della consapevolezza dei due emilati corporei: - Manipolare, stringere con una mano, poi con l’altra una palla di tessuto, di gomma o di spugna. - Prendere una palla con una mano e mostrarla a braccio alzato. - Fare rimbalzare sul posto una palla battendola con il palmo della mano. - Fare rimbalzare una palla dentro un cerchio e poi riprenderla. - Lo stesso fuori dal cerchio e intorno al cerchio. - Come sopra fuori e dentro al cerchio, alternativamente. - Camminando, «palleggiare» la palla. - Sul posto, fare passare una palla da una mano all’altra, alla maniera dei giocolieri. - Correre e battere una mano sulle pareti in punti segnati precedentemente. - Correre e, al segnale, battere una mano sul braccio di un compagno. - Sdraiati in posizione prona, fa passare una palla da una mano all’altra per più volte. - Calciare un pallone mandandolo in uno spazio precedentemente delimitato. - Gioco del bersaglio: colpire con un lancio, eseguito con la mano o con un calcio. - Giochi di coordinazione oculo-manuale. - Colpire birilli, pupazzi, barattoli posti di fronte al bambino ad un’altezza pari al suo viso. - Lo stesso con i birilli a terra; lanciare in posizione prona. - I bambini sono disposti in senso orizzontale, uno vicino all’altro: fare passare la palla al compagno vicino (partenza da sinistra verso destra) - Sistemare a terra due file di cerchi e fare saltare i bambini con un piede in un cerchio e con l’altro nel cerchio corrispondente. - Fare saltare dentro e fuori da un cerchio i bambini su un piede solo. - Muovere un braccio solo: alzarlo, portarlo in avanti, indietro, di lato, tenerlo «duro come un bastone», piegarlo, lasciarlo cadere. - Lo stesso con l’altro braccio… - Lo stesso con le gambe… - Da sdraiati sollevare il braccio e la gamba destri…braccio e gamba sinistri… (per sentire l’emicorpo). - Portare il braccio e la gamba destri in fuori…ritornare alla posizione di partenza. - Poi dall’altra parte (introdurre i termini «destra» e «sinistra» quando il bambino ha raggiunto una sicurezza nella sua lateralità e sa nominare destra e sinistra su di sé). - Disegnare su grandi fogli la sagoma del bambino. Ogni bambino troverà sulla sua sagoma le parti simmetriche del proprio corpo. Dott.ssa Francesca Tabellione Dott.ssa Erika D'Antonio Tnpee, psicomotriciste funzionali, terapiste itard, supervisori, ideatrici di libri e schede educative/riabilitative /wp:tadv/classic-paragraph
Per saperne di più
I nostri Blog – da admin
DISLESSIA E DISTURBI NEUROPSICOMOTORI
wp:tadv/classic-paragraph Abbiamo più volte parlato di dislessia e disprassia nei nostri articoli precedenti (li potete trovare sul nostro sito) ma in questo articolo vorremmo dedicarci soprattutto alla correlazione tra la dislessia e i disturbi neuropsicomotori. La dislessia è una difficoltà di apprendimento della lettura che viene di solito evidenziata quando il bambino frequenta la scuola elementare, sebbene i requisiti disfunzionali possano essere riconosciuti già nel periodo prescolare. È un disturbo spesso associato a disgrafia e discalculia e non solo influenza il rendimento scolastico ma può portare anche a turbe della personalità e influenzare tutto l'agire della persona (motorio- cognitivo- relazionale). Nella scuola elementare il bambino dislessico viene erroneamente considerato pigro o svogliato mentre egli si trova a dover fronteggiare i suoi problemi: le sue difficoltà di apprendimento vengono sottovalutate, si sente frustrato e perde ogni fiducia nelle proprie potenzialità. In famiglia, anche i genitori talvolta assumono un un atteggiamento affettivo ostile nei suoi confronti. Questi fattori contribuiscono a instaurare nel bambino un complesso di inferiorità che può diventare tanto più grave quanto più a lungo verranno ignorate le vere difficoltà che il bimbo incontra. Bisognerebbe accertarsi, soprattutto nell'ultimo anno di scuola materna, se il bambino possiede tutti i requisiti che sono alla base della LETTO-SCRITTURA e per prevenire eventuali disturbi specifici di apprendimento. La maggior parte degli autori concordano nel definire dislessico un bambino che non ha deficit sensoriali e che possiede una intelligenza nella media o superiore alla stessa, sebbene le sue prestazioni di lettura siano inferiori alla media per la sua età. Kocher distingue una "dislessia specifica" da una "dislessia evolutiva": per specifica intende le difficoltà che il bambino incontra nella letto-scrittura, mentre il suo rendimento risulta soddisfacente negli altri settori. Per evolutiva vuole indicare la stessa difficoltà che poi tende ad attenuarsi e scomparire con gli anni. Si dovrà sospettare una dislessia quando, a parte le difficoltà di letto-scrittura, il rendimento generale del bambino in campo scolastico non è quello atteso rispetto alla sua età cronologica. Nella lettura del dislessico si evidenzia una lentezza, incertezza, ripetizioni di una sillaba o di una parola. Spesso il bambino salta da una riga all'altra, perde il segno, sbaglia nell'andare a capo, necessita di seguire il testo con il dito. Inoltre leggendo compie numerosi errori di inversioni di lettere o sillabe, soppressione di lettere, incapacità di discriminare forme che differiscono leggermente tra loro (n-m, a-e, r-z), confusione di forme uguali ma diversamente orientate nello spazio (p-q-d-b-u-n), sostituzioni di parole con altre simili per suono, disgrammatismo (alterazione del genere, numero, nome, tempi dei verbi), mancata lettura dei segni della punteggiatura, accenti, parentesi. Eziopatogenesi La dislessia ha una eziopatogenesi complessa per le diverse implicazioni che essa coinvolge: fattori organici, funzionali, ecc. Tra le cause principali, possiamo citare: - disturbi di linguaggio - disturbi della percezione visiva - disturbi della percezione uditiva - difficoltà di lateralizzazione - disturbi dello schema corporeo - disturbi di strutturazione spazio-temporale e del ritmo - disturbi di simbolizzazione - disturbi di memoria. 1. DISTURBI DI LINGUAGGIO Il rapporto tra dislessia e linguaggio è molto stretto, tanto che la dislessia si può considerare come una forma di ritardo di linguaggio, poiché le difficoltà di organizzazione percettivo-motoria e linguistica che ostacolano la buona acquisizione del linguaggio verbale, rendono più o meno difficile il passaggio dall'espressione orale a quella scritta. Un vocabolario esteso e differenziato, stimolato adeguatamente dall'ambiente familiare, offre al bambino maggiore possibilità di comprensione e di espressione e dunque una valida base per l'apprendimento della lettura. È inevitabile che disturbi del linguaggio in età scolare influiscano negativamente sui processi di lettura e scrittura. Spesso i disturbi di linguaggio si accompagnano ad un lento sviluppo dell'intelligenza e di conseguenza il bambino manifesta uno sviluppo inadeguato delle seguenti funzioni: simbolica, strutturazione spazio-temporale, capacità di astrazione. I disturbi del linguaggio comprendono difetti di pronuncia ed errori nell'accordare il numero, il genere, assenza completa di sintassi, tutti errori conseguenti a disturbi della formulazione del pensiero e della funzione simbolica (requisiti importanti per la lettura, comprensione del testo, ortografia). Di conseguenza è del tutto prematuro incominciare l'apprendimento della lettura con i bambini che hanno un grave ritardo nel linguaggio essendo questo una condizione necessaria ad ogni ulteriore acquisizione. 2. DISTURBI DELLA PERCEZIONE VISIVA I disturbi della percezione visiva comportano delle difficoltà di apprendimento della lettura e scrittura. Essi riguardano: - la coordinazione visuo-motoria: il bambino con difficoltà in questo aspetto manifesta problemi nella successione spazio-temporale, da sx a dx e dall'alto al basso. Tale fenomeno si riscontra soprattutto nei mancini o nei bimbi con una lateralizzazione non ben strutturata, oppure in soggetti con una immaturità psicomotoria, soprattutto nello schema corporeo e nell'orientamento spaziale - la percezione figura sfondo: il bambino avrà problemi nella lettura in quanto non riuscirà ad isolare una lettera da una parola o una parola dalla frase né a spostare l'attenzione da uno stimolo all'altro - la costanza percettiva: il bambino può fare fatica a riconoscere le lettere simili nella forma (m-n-a-e) o nelle dimensioni (i-l) - le posizioni spaziali: il bambino può presentare difficoltà nelle forme speculari (b-d-p-q). Per prevenire tali difficoltà bisogna proporre al bambino attività sul riconoscimento di semplici figure diversamente orientate per poi passare al segni o simboli - le relazioni spaziali: il bambino potrà fare inversioni come "al anziché la", "perghiera anziché preghiera", poiché farà fatica a discriminare la relazione spaziale tra le lettere. 3. DISTURBI DELLA PERCEZIONE UDITIVA Tali bambini hanno un udito normale, ma presentano un difetto nella percezione di un suono, soprattutto quando si tratta di distinguere certi suoni acusticamente simili tra di loro quali p-b, t-d, f-v, s-z. La conseguenza è un ritardo di parola che può manifestarsi sia nel linguaggio ripetuto che in quello spontaneo. 4. DISTURBI DI LATERALIZZAZIONE La dislessia è spesso associata anche con i disturbi della lateralità e con il mancinismo. Diversi autori hanno ritenuto i disturbi della lateralità manuale come causa principale della dislessia. È inoltre accertato che non è tanto il mancinismo ad avere significato nell'eziopatogenesi della dislessia, ma una lateralità ancora non ben definita, espressione di una non chiara dominanza cerebrale. Sul piano dell'apprendimento della letto-scrittura i bambini non bene lateralizzati a dx o a sx presentano delle difficoltà come: confusione di lettere simili per forma ma con diverso orientamento, inversioni di lettere o sillabe nelle parole, inversioni di cifre, rovesciamento di lettere e di cifre. 5. DIFFICOLTÀ NELLA FORMAZIONE DELLO SCHEMA CORPOREO Il bambino per avere un buon orientamento e una buona organizzazione spaziale deve possedere una precisa conoscenza dello schema corporeo. Vi sono bambini che a 9-10 anni non hanno una sufficiente padronanza corporea e non ne sanno riconoscere la parte dx e quella sx. Questo impedisce loro di pianificare la sequenza di movimenti necessari per eseguire una prassia. 6. DIFFICOLTÀ DI STRUTTURAZIONE SPAZIO-TEMPORALE E DEL RITMO Nel bambino dislessico la cattiva organizzazione spaziale si manifesta con difficoltà nel mettere in relazione le diverse parti del corpo tra di loro. Ogni elemento della lettura, preso isolatamente, è quindi correttamente percepito ma i rapporti che il bambino stabilisce tra i vari elementi sono instabili. Per tale ragione il bambino può compiere inversioni cinetiche come leggere "pa al posto di ap" e presentare disturbi di percezione e riproduzione di strutture ritmiche. 7. DISTURBI DI MEMORIA Ci sono bambini che fanno fatica a comprendere un testo. Per evitare ciò è necessario che lo sguardo preceda l'articolazione, altrimenti la lettura viene scandita in sillabe o in parole, diventando stentata e comportando una discomprensione del testo. È il tipico caso del bambino che legge ta-vo-lo e non è capace di comprendere la parola tavolo. Una delle caratteristiche del bambino dislessico è infatti quella di soffermarsi a lungo su una sillaba o su una parola difficile. 8. DISTURBI AFFETTIVI I disturbi affettivi non sono quasi mai primari ma secondari alle difficoltà di apprendimento. Si possono avere bambini che manifestano: - reazioni di opposizione, caratterizzate da apatia, disinteresse, inibizione, talvolta anche mutismo o al contrario aggressività, gelosie - ansietà, caratterizzata da una preoccupazione eccessiva per il lavoro scolastico, con tics che appaiono durante la frequenza scolastica e scompaiono durante le vacanze. Un atteggiamento ansioso o poco gratificante peggiora la situazione fino a portare a un vero e proprio rifiuto scolastico. Un atteggiamento intelligente, comprensivo invece è spesso il modo per agire positivamente verso un recupero il più possibile ottimale delle funzioni. Dott.ssa Francesca Tabellione Dott.ssa Erika D'Antonio Tnpee, psicomotriciste funzionali, terapiste itard, supervisori, ideatrici di libri e schede educative/riabilitative /wp:tadv/classic-paragraph
Per saperne di più
I nostri Blog – da admin
L'ACQUISIZIONE DELLA SCRITTURA
wp:tadv/classic-paragraph Oggi è ancora necessario saper scrivere a mano? Per lo psichiatra Ajuriaguerra, studioso della scrittura del bambino e dei disturbi correlati, la "scrittura manuale è un insieme di segni simbolici che rappresenta un mezzo di comunicazione importante all'interno del gruppo. Prima appresa e poi padroneggiata, essa diventa rapidamente una maniera personale di tracciare le lettere". Saper scrivere non è innato. Questo esercizio complesso viene acquisito, è frutto di un apprendimento programmato e pianificato, che per alcuni bambini può rappresentare un ostacolo o diventare un vero e proprio incubo. Per "bella scrittura" noi tnpee ed educatrici del gesto grafico, intendiamo una scrittura che sia efficace, fluida, dalle forme semplici e automatiche, sufficientemente rapida e facilmente leggibile. La "maldestrezza grafica" invece non è sempre drammatica, soprattutto se viene scoperta e individuata in tempo ma, nei casi più gravi, può intralciare l'apprendimento scolastico del bambino, con ripercussioni sull'aspetto emotivo e sulla sua autostima. I vantaggi della scrittura manuale rispetto a quella "su tastiera" sono molteplici: scrivere una parola svolge un ruolo importante nella sua identificazione e successiva memorizzazione, aiuta a organizzare/elaborare il pensiero (se l'atto di scrivere avviene in maniera automatica, la mente è più libera e può dedicarsi all'espressione del pensiero, a selezionare ed elaborare le informazioni principali), favorisce l'organizzazione spazio-temporale, la concentrazione e una migliore rappresentazione visuo-grafo-motoria, trasmette una immagine di sé, permette di esprimere emozioni e di comunicarle, migliora la motricità fine e le capacità di lettura. La formazione di ogni lettera esige uno specifico movimento, che a sua volta attiva una particolare area del cervello creando connessioni preziose per le altre funzioni cognitive (lettura, ortografia, memorizzazione ne risultano migliorate). Il gesto grafico favorisce tutti gli apprendimenti, a differenza dell'uso della tastiera, più robotizzata, e permette un miglior riconoscimento dell'orientamento delle lettere, cose particolarmente utili per i bambini con difficoltà visuo-spaziali: la differenziazione delle lettere b,d,p,q sarà più facile se associata al gesto che le traccia e la scelta di usare le lettere corsive ne faciliterà ancora di più il riconoscimento e la distinzione. La scrittura manuale è un'attività motoria fine, complessa e differenziata. Base fondamentale della scrittura è lo sviluppo psicomotorio del bambino, che si fonda sulla maturazione del sistema nervoso ed è strettamente legato all'esercizio. Un ruolo vitale viene svolto da due assi di sviluppo: - lo sviluppo generale del sistema nervoso, che comprende la maturazione e mielinizzazione della cellula nervosa, e l'attivazione di connessioni neuronali che condizionano il controllo tonico-posturale e le coordinazioni cinetiche - lo sviluppo delle attività digitali fini, importanti nella scrittura. La capacità di possedere una "buona scrittura" dipende non tanto dall'età cronologica del bambino ma dal livello di sviluppo motorio e dal grado di maturità del sistema nervoso. Questo implica che il bambino deve: - saper conoscere il proprio corpo (possedere una buona strutturazione e organizzazione dello schema corporeo) - essere lateralizzato - sapersi muovere correttamente nello spazio e nel tempo in funzione delle proprie possibilità cognitive e affettive. PIANO PERCETTIVO Per imparare a scrivere nelle migliori condizioni, sono necessarie buone facoltà percettive. In primo luogo le capacità visive: un bambino che ha una scarsa acutezza visiva, disturbi muscolo-visivi, o che manifesta problemi di attenzione visiva, è ostacolato nella raccolta delle informazioni. Anche capacità uditive mediocri impediscono un'efficace raccolta di informazioni orali. Infine, una sensibilità fine del tatto e una sensibilità propriocettiva (capacità di percepire la posizione relativa dei segmenti corporei, dei loro spostamenti, la regolazione del tono muscolare, la statica e l'equilibrio) sono indispensabili per una adeguata impugnatura dello strumento e per la realizzazione dell'atto grafico. PIANO MOTORIO Per scrivere, il bambino deve possedere una buona coordinazione e un buon equilibrio statico-dinamico, dunque una motricità fluida e coordinata, essere capace di rimanere immobile, seduto in maniera corretta, con un buon sostegno tonico: i piedi devono essere appoggiati al suolo, la schiena dritta con le spalle basse, entrambe alla stessa altezza, le braccia appoggiate sul tavolo, la testa a una giusta distanza dal foglio. Il braccio che scrive deve scorrere sul foglio, la spalla deve essere capace di sostenere il braccio e di far ruotare il gomito. Il polso deve essere morbido e fluido, deve mantenere la stabilità della mano mentre le dita tengono la matita con forza sufficiente per mantenerla "fissa" e mobile, consentendo così i movimenti di inscrizione. In funzione della forza muscolare impiegata, il gioco delle articolazioni e dei diversi gruppi muscolari del braccio permette il coordinamento dei movimenti necessari per scrivere: devono poter essere frenati o bloccati a comando per permettere il collegamento tra alcune lettere o gli intervalli tra le parole. SCHEMA CORPOREO Per Shilder lo schema corporeo è l'immagine tridimensionale che ciascuno ha di se stesso. Per Le Boulch, è "la conoscenza immediata che noi abbiamo del nostro corpo in posizione statica o in movimento, nel rapporto tra le sue diverse parti e soprattutto in relazione con lo spazio e gli oggetti che ci circondano". Affinché la scrittura possa svilupparsi, il bambino deve possedere una buona conoscenza dello schema corporeo, poiché nell'atto della scrittura è coinvolto tutto il corpo. "Non si scrive solo con la mano ma con tutto il corpo". La consapevolezza dello schema corporeo viene acquisita con la maturazione psicomotoria del bambino e del suo stile di vita. Fare esperienze sensori-motorie favorisce tale maturazione. Lo stesso vale per l'acquisizione della motricità fine delle dita e della capacità di singolarizzazione (dissociazione) delle stesse: numerose attività come lavoretti manuali, giochi che implicano l'uso di entrambe le mani in contemporanea durante i primi anni di scuola e a casa, sono fondamentali per sviluppare il controllo digitale necessario al movimento scrittorio. LATERALITÀ CONSOLIDATA Per imparare a scrivere non è sufficiente che il bambino padroneggi in maniera corretta il prorpio schema corporeo ma deve aver sviluppato una corretta dominanza emisferica, la quale determinerà poi la propria prevalenza manuale nella misura in cui la scrittura implica l'attività di una mano dominante rispetto all'altra (che viene in aiuto alla prima). In genere, il processo di lateralizzazione inizia molto precocemente, si afferma attorno ai 7 anni, anche se per alcuni bambini il processo è più lento. La lateralità è detta omogenea quando il lato dominante è lo stesso per la mano, l'occhio e il piede, ma non sempre è così. Questo fenomeno può incidere sulle produzioni grafiche portando a inversioni di lettere, specularità, difficoltà nell'orientamento e nel rispettare direzioni e versi. Possono esistere false lateralità, in particolare i mancini contrastati e i falsi mancini (destrimani contrastati, perché spinti dagli insegnanti o per semplice opposizione. STRUTTURAZIONE SPAZIALE È necessario che il corpo sia percepito in rapporto all'ambiente, pertanto bisogna imparare a muoversi con scioltezza ma in modo ordinato in uno spazio strutturato e limitato. Nella scrittura, il foglio costituisce uno spazio di lavoro contrassegnato da righe e margini: a livello percettivo il bambino deve avere un'immagine globale delle lettere per poterle copiare correttamente; deve anche identificare i vari elementi che le compongono, le loro dimensioni, il loro orientamento per non rischiare di confonderle. In fase di produzione il bambino deve memorizzare i tracciati, e dunque basarsi su riferimenti spaziali come la direzione, la traiettoria, la distanza, le proporzioni. STRUTTURAZIONE TEMPORALE Il concetto di spazio non può essere scisso da quello di tempo: si parla infatti di organizzazione spazio-temporale. Per fare in modo che la scrittura acquisti un ritmo scorrevole, il bambino deve percepire la realtà del tempo: ciò che precede e ciò che segue nella scrittura fanno parte sia dello spazio che del tempo. Il ritmo della scrittura è dipendente dal ritmo motorio e respiratorio del bambino e deve essere regolato per canalizzare arresti, freni e consentire un'accelerazione efficace alla scrittura. Per utilizzare tutte le competenze che vengono attivate nella scrittura, il bambino deve anche sviluppare una sufficiente capacità di concentrazione e mantenere costante la propria attenzione sul compito senza interruzione e possedere un adeguato livello intellettivo. Ad esempio, i bambini instabili, inibiti o oppositivi producono grafismi molto diversi l'uno dall'altro. Pertanto, sulla base di ciò che abbiamo descritto, è fondamentale partire dal movimento (attività corporee, propriocettive, sensoriali parallelamente ad un lavoro diretto a tavolino) come base per la riabilitazione/educazione del gesto scrittorio. Dott.ssa Francesca Tabellione - specializzata nella valutazione e nel trattamento dei disordini dell'età evolutiva, autrice di volumi e schede operative, formatrice e supervisore Riferimenti bibliografici: de Ajuriaguerra, j. Augias, l'ecriture de l'enfant, manuale di rieducazione della scrittura, De Montesquieu /wp:tadv/classic-paragraph
Per saperne di più
I nostri Blog – da admin
DISPRASSIA DELLO SVILUPPO
wp:paragraph Perché questi bambini hanno difficoltà ad apprendere e automatizzare molte abilità e quali sono i principali campanelli di allarme in età prescolare e in età scolare da non sottovalutare? /wp:paragraph wp:paragraph La Disprassia dello sviluppo è una delle manifestazioni più comuni della disfunzione dell’integrazione sensoriale , ovvero una difficoltà /disturbo del cervello nell’organizzare gli stimoli vestibolari, tattili, propriocettivi necessari al raggiungimento di uno scopo/obiettivo, interferendo con la capacità di pianificazione e coordinazione motoria. /wp:paragraph wp:paragraph Il termine “sviluppo” significa che il problema inizia precocemente nella vita del b.no influendo sul suo sviluppo durante la crescita. /wp:paragraph wp:paragraph Il problema è nel “modo in cui il cervello elabora le percezioni”. La maggior parte dei bambini affetti da disprassia ha un Q.I nella media o superiore alla stessa e non ha problemi con i movimenti programmati centralmente (camminare a carponi o eretti), poiché questi ultimi non richiedono una integrazione sensoriale complessa, mentre ha problemi con compiti che richiedono una pianificazione motoria come, ad es., vestirsi e allacciarsi le scarpe. /wp:paragraph wp:paragraph La Disprassia è un disordine qualitativo e funzionale nella ideazione /programmazione ed esecuzione sequenziale di un’azione intenzionale e volontaria, finalizzata a un preciso scopo. Questo significa che il bambino affetto da disprassia ha bisogno di pensare ogni volta che deve pianificare un nuovo movimento o un nuovo compito perché non ha raggiunto l’automatismo (è come se non gli “penetrasse” dentro). Talvolta però può acquisire alcune cosiddette “competenze scheggia” senza avere la capacità di organizzare le sue azioni, ovvero delle abilità che il bambino apprende (es: fare il nodo alle scarpe o suonare un brano al pianoforte, senza però essere capace di suonare il pianoforte). /wp:paragraph wp:paragraph Allora i genitori o insegnanti potrebbero dirci: se si impegna, ce la può fare! Deve solo impegnarsi, a volte è pigro e svogliato! Ma purtroppo non sanno quanto sforzo il piccolo deve fare per raggiungere quel determinato obiettivo, semmai lo raggiungesse! Noi rispondiamo che la pianificazione motoria è ben diversa dallo sviluppo di quelle capacità per le quali siamo stati già programmati! Se il bimbo non possiede la pianificazione spontanea, risultato di una buona integrazione sensoriale, gli occorre un dispendio energetico e mentale maggiore per fare qualcosa che invece gli altri riescono a fare velocemente e facilmente, senza nessuna difficoltà. /wp:paragraph wp:paragraph Quando un’abilità si può considerare automatizzata? /wp:paragraph wp:paragraph Quando il bambino la esegue in maniera fluida e sciolta, senza più richiedere una pianificazione motoria e alcuno sforzo cosciente. /wp:paragraph wp:paragraph I nostri bambini disprassici hanno dunque difficoltà nella pianificazione motoria, la quale rappresenta il collegamento tra gli aspetti sensori-motori e quelli intellettuali della funzione cerebrale, dovuta ad una scarsa percezione o immagine corporea: questo perché gli stimoli tattili ,vestibolari e propriocettivi non sono correttamente processati. /wp:paragraph wp:paragraph Analizziamo in dettaglio i principali sistemi sensoriali coinvolti. /wp:paragraph wp:paragraph Stimoli tattili: /wp:paragraph wp:paragraph il bambino ha difficoltà a discriminare e identificare le cose che lo toccano o che lui tocca (problema, questo, di discriminazione tattile). /wp:paragraph wp:paragraph Sa quando viene toccato ma non sa dire in che punto è stato toccato o sente qualcosa nella mano ma non sa se è un bottone o una monetina. La stimolazione tattile continua è fondamentale per mantenere il cervello organizzato. Se viene a mancare, il cervello si disorganizza molto velocemente. /wp:paragraph wp:paragraph Stimoli propriocettivi o cinestesici: /wp:paragraph wp:paragraph Stimoli propriocettivi o cinestesici: /wp:paragraph wp:paragraph contribuiscono alla percezione corporea tramite la propriocezione dei muscoli e articolazioni, che ci permettono di sapere dove sono le parti del nostro corpo e come si stanno muovendo. Il b.no con disprassia ha una sensibilità propriocettiva ridotta; la sensibilità è spesso vaga e confusa e per questo si affida molto di più alla vista rispetto agli altri bambini. Se non può vedere si sente perso. Fa fatica nel sapere dove sono le parti del corpo più complesse (sa a malapena dove ha le mani e i piedi), non riesce a percepire quanto sforzo muscolare occorre per fare qualcosa (spesso rompe i giochi, fa fatica ad impugnare correttamente uno strumento grafico, inciampa sui mobili o incorre in incidenti). /wp:paragraph wp:paragraph Stimoli vestibolari: /wp:paragraph wp:paragraph il sistema vestibolare, che rappresenta il cuore dell’integrazione sensoriale, modula le informazioni provenienti dagli altri sistemi sensoriali; è responsabile del movimento, gravità e posizione, orientamento spaziale, equilibrio (attraverso continui scambi di informazioni con il cervelletto), movimenti oculari saccadici e di inseguimento lento (di pursuit) legati alla lettura, oltre che del controllo posturale e del tono muscolare. Ricordiamo che un sistema vestibolare disorganizzato genererà un basso tono muscolare: ecco perché il bambino si stanca facilmente e non riesce a mantenere la testa dritta mentre sta seduto al banco, perché concentra tutte le sue energie rispetto all’attrazione gravitazionale. Il b.no con disprassia in genere presenta un tono muscolare molto basso (ipotonia) e lassità articolare. Pertanto, per migliorare l’organizzazione motoria, il bambino deve fare molte esperienze sensori-motorie che includono una grande quantità di stimoli vestibolari, tattili e propriocettivi, con conseguenti risposte adattive (reazioni intenzionali finalizzate a uno scopo o ad una esperienza sensoriale) che aiutano ad organizzare queste sensazioni. /wp:paragraph wp:paragraph Segni di Disprassia in Età Prescolare: /wp:paragraph wp:paragraph – Lentezza motorio-prassica alternata a precipitazione /wp:paragraph wp:paragraph – Attenzione su un gioco labile e discontinua con sofferenza alla iperstimolazione /wp:paragraph wp:paragraph – Impacci nei giochi con la palla, nell’afferrare o manipolare giochi/ strumenti (es: matite e colori, forchette) /wp:paragraph wp:paragraph – difficoltà nell’andare con il triciclo o in bicicletta con le rotelle /wp:paragraph wp:paragraph – goffaggine e maldestrezza nei coordinamenti motori, percettivi, nell’equilibrio statico-dinamico (es: rimanere per alcuni secondi su un solo piede o saltare su un solo piede sul posto o all’interno dei cerchi) /wp:paragraph wp:paragraph – scarsa capacità di dosare la forza e scarso orientamento spaziale (il b.no non riesce a regolare la distanza tra il proprio corpo e gli oggetti, sbatte contro le persone, confonde le direzioni, si perde se il posto non gli è familiare, distrugge giocattoli perché non regola la forza, ecc.) /wp:paragraph wp:paragraph – impacci nelle prassie fini e bimanuali (infilarsi vestiti o calzini, abbottonarsi, sbottonarsi, chiudere cerniere, ritagliare con le forbici, strappare pezzi di carta, ecc.) /wp:paragraph wp:paragraph – comportamento impulsivo e ipercinetico o al contrario eccessivamente passivo (alcuni bambini sono iperattivi mentre altri sembrano reagire poco o per nulla alle stimolazioni ambientali che ricevono) /wp:paragraph wp:paragraph – scarsa percezione corporea e dominanza laterale non stabilizzata (a 5 anni) /wp:paragraph wp:paragraph – disegno e gioco spontanei poveri e immaturi /wp:paragraph wp:paragraph – difficoltà nelle prassie visuo-costruttive (giocare con i lego, fa fatica a fare semplici puzzle o a trovare strategie per risolvere un gioco, utilizza sempre la stessa modalità) /wp:paragraph wp:paragraph – Disordini linguistici e articolatori /wp:paragraph wp:paragraph – Disordini grafo-motori e difficoltà nei rirmi /wp:paragraph wp:paragraph – Lentezza nell’adeguarsi ai cambi di attività, giochi o ambienti /wp:paragraph wp:paragraph – disordini nella memoria di lavoro (non ricorda 2 ordini in sequenza: vai al 1 piano e prendi lo zaino) /wp:paragraph wp:paragraph – Disordini nell’organizzazione temporale (non conosce i giorni della settimana, non sa dire la sua data di nascita o il giorno del suo compleanno, non sa mettere in sequenza semplici azioni, fa fatica con i concetti di ieri-oggi-domani) /wp:paragraph wp:paragraph – difficoltà nell’esecuzione delle sinestesie (es: compiere gesti con le mani e parlare contemporaneamente) /wp:paragraph wp:paragraph Segni di Disprassia in Età Scolare: /wp:paragraph wp:paragraph – lentezza nell’incipit o nello start motorio/verbale /wp:paragraph wp:paragraph – difficoltà nell’organizzazione di un compito o di un gioco, nel pianificare e nel seguire le procedure sequenziali di un’attività /wp:paragraph wp:paragraph – scoordinamenti e goffaggini negli sport di gruppo, nei giochi con la palla o nei coordinamenti senso-motori /wp:paragraph wp:paragraph – fatica/letargia, frequente distraibilità soprattutto in presenza di confusione pluristimolazione /wp:paragraph wp:paragraph – notevole impacco nelle prassie bimanuali (es: fare il fiocco alle scarpe, prepararsi un panino, scarse autonomie, ecc.) /wp:paragraph wp:paragraph – Impacci negli schemi crociati e rotatori (alternare l’apertura o la chiusura delle due mani in contemporanea, con un salto eseguire l’ alternanza di braccia/gambe in verticale e orizzontale, ecc.) /wp:paragraph wp:paragraph – scarso autofrenaggio e autocontrollo /wp:paragraph wp:paragraph – Scarsa flessibilità cognitiva /wp:paragraph wp:paragraph – difficoltà negli apprendimenti scolastici: nella scrittura (fa fatica a rispettare i margini del foglio, il rigo o quadretto, a lasciare il giusto spazio tra le parole, tratto grafico poco fluido e immaturo), matematica (fa fatica ad incolonnare i numeri, con i prestiti e riporti, nelle simmetrie, nel disegnare una figura geometrica, nel risolvere un problema e nel comprendere il testo), lettura (può essere sillabica, lenta e interrotta con scarsa comprensione del testo) /wp:paragraph wp:paragraph – difficoltà nelle abilità visuo- spaziali /wp:paragraph wp:paragraph – tono di voce monotono, difficoltà di articolazione o nella struttura sintattica di una frase, difficoltà a pronunciare parole lunghe o scioglilingua /wp:paragraph wp:paragraph – Difficoltà nell’organizzazione temporo- spaziale (può perdersi negli ambienti non familiari o nuovi, essere eccessivamente ordinato o eccessivamente disordinato) e nel pensiero (può essere lento e smarrito o intuitivo e brillante) /wp:paragraph wp:paragraph – difficoltà nel spostare gli occhi da un punto all’altro del campo visivo e nell’inseguimento percettivo di un oggetto in movimento sul piano orizzontale (tracking orizzontale) e verticale (tracking verticale) /wp:paragraph wp:paragraph – bassa autostima, scarsa tolleranza alla frustrazione, possibili comportamenti evitanti o oppositivi, a causa delle loro difficoltà nell’affrontare le numerose sfide quotidiane /wp:paragraph wp:paragraph In sintesi, ricordiamo che le abilità sensori-motorie e prassico-motorie sono le “VERE NOZIONI DI BASE” e i problemi di apprendimento o di comportamento, che rappresentano la manifestazione visibile agli occhi di un genitore o insegnante, continueranno fino a quando non si prenderanno in considerazione tali competenze primarie! /wp:paragraph wp:paragraph Ad esempio, alcuni bambini sono pronti per la lettura e scrittura perché hanno già interiorizzato le competenze di base mentre altri, a causa di un disturbo neurologico apparentemente “invisibile”, non sono stati capaci di svilupparle autonomamente. Quindi tentare di insegnare a leggere ad un b.no di 6 anni, quando non è ancora pronto e quando dovremmo ancora lavorare sulle sue “NOZIONI DI BASE”, è un invito a sentirsi fallito e frustrato: il b.no di conseguenza reagisce e viene trattato come se avesse un problema emotivo-comportamentale, ma noi sappiamo il perché! /wp:paragraph wp:paragraph Questi segnali o campanelli di allarme possono aiutare i genitori a capire se il loro bambino necessita di una valutazione approfondita funzionale (qualitativa) e quantitativa da parte di un professionista del settore, specializzato nei disordini dell’età evolutiva (tnpee, logopedista, ortottista, ecc.) /wp:paragraph wp:paragraph Consiglio professionale /wp:paragraph wp:paragraph Se nel vostro bambino riscontrate alcuni o molti dei segni e sintomi appena descritti, non ritardate l’intervento riabilitativo che, soprattutto nella fascia 0-6 anni, è fondamentale e cruciale per costruire le basi sensori-motori di cui abbiamo parlato e su cui si costruiranno i futuri apprendimenti e gli aspetti emotivo-relazionali del piccolo. /wp:paragraph wp:paragraph Redatto dalla Dott.ssa Francesca Tabellione /wp:paragraph wp:paragraph Grafia: Dott.ssa Erika D’Antonio /wp:paragraph wp:paragraph (Bibliografia: Ayres, Crispiani) /wp:paragraph wp:paragraph /wp:paragraph
Per saperne di più
I nostri Blog – da admin
L'INTERVENTO DIRETTO DELLE DIFFICOLTÀ GRAFOMOTORIE E VISUO-SPAZIALI DELLA SCRITTURA
wp:html /wp:html wp:html /wp:html wp:html Oggi ci sono molti bambini che fanno fatica a scrivere a mano, ci siamo chiesti il perché? Da dove possono derivare queste loro difficoltà? La maggior parte delle difficoltà grafo-motorie che manifestano attualmente molti bambini nella scrittura a mano non si risolvono senza un intervento anzi, possono peggiorare nel tempo e dar luogo a problemi emotivi quali bassa frustrazione, scarsa autostima, "chiusura emotiva e relazionale". /wp:html wp:html Analizziamo le caratteristiche della MANO. La mano ha capacità di manipolazione e di prensione che dipendono in primo luogo dall'opposizione del pollice verso le altre dita e molti bambini, oggi, fanno fatica proprio in questa fine abilità di dissociazione del pollice (ricordiamo che la presa a pinza richiede un alto controllo corticale). /wp:html wp:html Analizziamo le caratteristiche della SCRITTURA. La scrittura esige una maturazione dei fattori affettivi, intellettivi, neuro e psico-motori, un buon tono muscolare, è condizionata dall'ambiente ed è assicurata da una complessa autoregolazione e dalla sensibilità cinestesica dei muscoli della mano, che permettono di acquisire PRECISIONE, RAPIDITÀ, FORZA, sufficiente per mantenere l'appoggio e la continuità del tracciato. /wp:html wp:html Due gruppi di movimento che compongono l' atto scrittorio e determinano la scrittura sono: I'inscrizione: interviene nel disegno della lettera la progressione: è la successione dei movimenti di inscrizione nello svolgimento del tracciato verso destra, interviene nell'avanzamento della scrittura e nel suo movimento generale. /wp:html wp:html L' educazione o rieducazione della SCRITTURA è un processo delicato e complesso. Il riabilitatore deve tener conto di vari fattori quali: l'età del bambino, il grado di maturità intellettuale e cognitiva, la eventuale presenza di disturbi correlati, il suo linguaggio, lo sviluppo affettivo e soprattutto la MOTRICITÀ GENERALE, lo SCHEMA CORPOREO E LA DOMINANZA LATERALE! /wp:html wp:html Inoltre è fondamentale conoscere le diverse scale dello sviluppo psicomotorio, analizzare la funzione visiva (acuità visiva, ampiezza del campo visivo, motilità oculare, accomodamento, ecc.) ed essere capaci di valutare i seguenti requisiti: /wp:html wp:html - sistemi sensoriali (integrità del sistema vestibolare- propriocettivo- tattile). Lacune in questi sistemi si possono manifestare nella forza eccessiva delle dita nell'afferrare la penna, sviluppo di una impugnatura poco funzionale alla scrittura, disordini nell'orientamento sul foglio - stabilità posturale (statica e dinamica) e il controllo tonico (capacita di modulare la forza e la pressione) - schemi motori, motricità rapida, coordinamenti oculo-motori, percettivo-motori, visuo-motori, capacità di coordinazione e dissociazione dei movimenti - controllo fine motorio e prassie BIMANUALI (fluidità motoria fine, prensione e impugnatura dello strumento grafico, destrezza manuale) - tonicità (iper o ipotonia) e velocità esecutiva - eventuale lassità legamentosa o eventuali sincinesie che potrebbero - ostacolare l'impugnatura e il processo di scrittura - l'organizzazione temporo-spaziale, lo schema CORPOREO e la dominanza laterale - coordinamenti ritmici - componenti cognitive legate ad attenzione, percezione e discriminazione visiva (percezione e costanza della forma in movimento o mentre si muove l'osservatore, figura sfondo, chiusure percettive), memoria visiva sequenziale. Lacune in questa abilità visuo-percettive potrebbero portare il b.no a confondere lettere simili o a tracciare caratteri privi di tratti distintivi essenziali, compromettendo la leggibilità globale. - componenti cognitive legate alla percezione visuo-spaziale (essere capaci di percepire la posizione nello spazio, la relazione spaziale tra gli oggetti in uno spazio bi e tridimensionale, percepire il movimento nello spazio) e visuo-motoria (coordinazione visuo- motoria che implica un controllo visivo del movimento, integrazione tra informazioni visive e motorie). Lacune in queste competenze visuo-spaziali possono portare a lettere mal collocate all'interno degli spazi del foglio e fluttuanti nel rigo, non rispetto dei margini, grafia irregolare nelle dimensioni. /wp:html wp:html Dopo aver valutato tutte queste componenti, possiamo passare a porci/stabilire una scaletta di obiettivi precisi, relativi al miglioramento di: /wp:html wp:html - efficenza, controllo e coordinazione motoria, sinergia bimanuale (interemisferica) e sistemi vestibolare/tattile/propriocettivo (informano il nostro cervello sulla localizzazione nello spazio delle diverse parti del corpo, sia quando siamo fermi che quando ci muoviamo nello spazio) - aspetti tonico-emozionali - aspetti visuo-spaziali e visuo-percettivi della scrittura - pianificazione motoria e apprendimento dei movimenti/pattern/schemi motori corretti, necessari a tracciare le lettere nel modo più efficiente, ovvero attraverso movimenti sempre più rapidi e precisi, caratterizzati da frequenti cambi di direzione e da un'organizzazione sequenziale spazio-temporale, attraverso un adeguato training GRAFOMOTORIO. /wp:html wp:html Alcune attività utili per stimolare l'uso differenziato e contemporaneo delle due mani sono: /wp:html wp:html tagliare con le forbici usare il righello usare coltello e forchetta infilare perline o bottoni, chiudere cerniere, fare il fiocco alle scarpe, cucire contornare sagome di oggetti distribuire carte da gioco mescolare materiali di varia consistenza piegare origami /wp:html wp:html Alcune attività utili per modulare la pressione e la forza sono: /wp:html wp:html puntinare con i pennarelli a punta ritraibile usare strati di carta bianca alternati a carta copiativa o carta carbone fare palline di pongo e premerle applicando prima una forte pressione e poi una pressione debole utilizzare molle, palle antistress o speciali penne vibranti che stimolano la sensibilità periferica impastare pane, pizza, pasta di sale, carta pesta, sbattere uova con una forchetta utilizzare nastri e corde o palleggiare palle di varia grandezza e di vario peso utilizzare timbrini, attività con punteruoli, suonare strumenti a percussione /wp:html wp:html Alcune attività utili per stimolare o migliorare le abilità visuo-spaziali sono: /wp:html wp:html giochi di costruzione (puzzle, Lego, chiodini) tangram, scacchi, dama, battaglia navale costruzioni in 3D costruire percorsi dietro indicazione verbale costruire mappe o labirinti comporre configurazioni con bastoncini o cubetti avendo un modello figurato o concreto /wp:html wp:html Sono molteplici le attività che preparano il bambino alla scrittura, vi abbiamo elencato solo una minima parte di esse; il lavoro è globale, bisogna sempre partire dai Requisiti Prassico-Motori come punto di partenza per far acquisire al bambino una SCRITTURA FLUIDA E ARMONICA /wp:html wp:html redatto dalla Dott.ssa Francesca Tabellione Specializzata nella valutazione e trattamento dei disordini dell’età evolutiva, supervisore, formatrice presso enti accreditati e ideatrice di volumi educativi/riabilitativi grafica:Dott.ssa Erika D'Antonio Specializzata nella valutazione e trattamento dei disordini dell’età evolutiva, supervisore, formatrice presso enti accreditati e ideatrice di volumi educativi/riabilitativi /wp:html
Per saperne di più
I nostri Blog – da admin
I DISTURBI PSICOMOTORI INFANTILI
wp:paragraph /wp:paragraph wp:html Nell'insorgenza dei disturbi PSICOMOTORI infantili si ipotizzano diverse cause: nascita pretermine, fattori ereditari o chimici, asfissia alla nascita o mancato / anomalo sviluppo dell'integrazione dei vari sistemi sensoriali (Ayres), che portano ad una disorganizzazione neurologica, mancato o anomalo sviluppo dei riflessi neonatali o primitivi (Sally Goddard), problemi che derivano da modalità di attaccamento disturbate, insicure o disorganizzate o da angosce infantili (Simonetta) /wp:html wp:html Elenchiamo i principali disturbi psicomotori che sono oggetto della nostra analisi, valutazione e riabilitazione. /wp:html wp:html 1. INIBIZIONE PSICOMOTORIA /wp:html wp:html L'inibizione psicomotoria può manifestarsi con: - rigidità e ipercontrollo - passività e apatia - ipertonia e incoordinazione. /wp:html wp:html Il bambino dimostra una generalizzata mancanza di iniziativa rispetto all'ambiente. Ciò che va sottolineato è che l'inibizione spesso non è solo sul piano motorio ma anche cognitivo e sul piano dell'organizzazione dello Schema Corporeo /wp:html wp:html Le funzioni psicomotorie disturbate sono la FUNZIONE DI AGGIUSTAMENTO E DI PERCEZIONE. /wp:html wp:html Gli indici psicomotori più significativi sono le alterazioni della regolazione tonica, del controllo tonico ed emotivo, dell'aggiustamento spontaneo, della coordinazione dinamica globale. /wp:html wp:html Sembra che il bambino inibito non abbia la percezione di sé e del proprio corpo: questo limita le sue possibilità di interazione ed esplorazione con l'ambiente e la possibilità di attivare quei circuiti sinaptici corticali fondamentali per il suo sviluppo emotivo-sociale-scolastico-intellettivo. Non non riuscendo a riconoscersi, in genere non è capace nemmeno di disegnare se stesso. La conseguenza è un comportamento privo di iniziative, povero, stereotipato e ripetitivo con scarsa capacità di trovare risposte e strategie adeguate alla risoluzione di un compito o al raggiungimento di uno scopo, iper o ipotonicitá, scarsa insistenza nei tentativi per raggiungere l'obiettivo /wp:html wp:html 2. INSTABILITÀ PSICOMOTORIA /wp:html wp:html L'instabilità psicomotoria o sindrome ipercinetica è un disturbo della funzione di AGGIUSTAMENTO spontaneo, che si determina nei primi 3 anni di vita. /wp:html wp:html Questa instabilità si rivela nell'adulto con stati ansiosi-depressivi e compulsivi o forte labilità emotiva ( Levi-Romani, 2012) /wp:html wp:html I principali sintomi clinici a livello psicomotorio di questo disturbo sono: notevole difficoltà nell'attivazione dello stato di allerta/ vigilanza mentale (Arousal), nell'orientare l'attenzione e mantenerla per un periodo di tempo prolungato, scarsa attenzione ai particolari (attenzione selettiva deficitaria), scarsa capacità di percezione del proprio corpo e di rivolgere l'attenzione dentro se stesso, notevole ipercinesia con difficoltà nei processi di autocontrollo e conseguente impossibilità di fermare volontariamente le proprie azioni o i propri pensieri, il proprio linguaggio (non controllo della motricità e verbalizzazione), comportamenti spesso impulsivi, provocatori e aggressivi. /wp:html wp:html L'instabilità si può manifestare con due modalità: - ipercinesia - impulsività e disattenzione /wp:html wp:html Il bambino con instabilità psicomotoria non è aggressivo ma agitato e impulsivo: il suo corpo non gli comunica le sensazioni giuste, ovvero come dovrebbe muoversi nello spazio e come dovrebbe interagire con lo spazio, in modo da rispondere in maniera adattiva alle richieste; piuttosto gli pone dei problemi di controllo e di difficoltà nell'autoregolare la propria attivazione. /wp:html wp:html Modalità relazionali incoerenti da parte delle figure genitoriali possono ulteriormente peggiorare l'instabilità del bambino. /wp:html wp:html Lo stato di "non controllo" dei propri impulsi può essere considerato anche come una modalità di espressione delle proprie tensioni interne che il bambino non riesce a gestire e tollerare, o come una perdita di controllo da parte del cervello: la sua eccessiva attività è una reazione compulsiva a sensazioni che non è capace né di evitare né di organizzare, la confusione dentro il suo cervello rende impossibile l'autocontrollo / autoinibizione, l'attenzione e la concentrazione su un determinato compito o attività. /wp:html wp:html Nel corso dei primi 2 anni di vita presenta una disarmonia nello sviluppo psicomotorio: in particolare si osserva un notevole sviluppo della motricità a sfavore dell'attività percettiva. /wp:html wp:html A scuola, questa "instabilità psicomotoria" si accompagna a difficoltà nel prestare attenzione all'insegnante o nel terminare un compito, alternanza di prestazioni positive a prestazioni insufficienti, dunque si rileva una discordanza di performance a livello cognitivo. /wp:html wp:html È inutile dire a questi bambini di controllarsi di più, di stare fermi o di stare più attenti: il problema è nei meccanismi/processi mentali che sono oltre la coscienza, la volontà e il controllo. /wp:html wp:html Parole, premi e punizioni non aiuteranno il bambino ad organizzare meglio la sua attività cerebrale o le sensazioni che riceve dall'esterno e dal proprio corpo, mentre attività sensori-motorie/ prassiche aiuteranno il cervello di quel bambino ad organizzarsi maggiormente e a rispondere in maniera adeguata e consona alle situazioni e alle sfide che gli si presenteranno nella vita quotidiana, rendendolo inoltre più sicuro e felice. /wp:html wp:html Senza un intervento terapeutico, tale disordine può essere all'origine di gravi problemi sul piano sociale e divenire un disturbo psichiatrico ancora più serio. /wp:html wp:html 3. DISPRASSIA DELLO SVILUPPO /wp:html wp:html Inannzitutto dobbiamo porre particolare attenzione a distinguere la DISPRASSIA ACQUISITA, dunque un deficit quantitativo, per esempio in seguito ad un danno cerebrale causato da un trauma cranico, DA QUELLA ASSOCIATA AD UN RITARDO O A UN DISFUNZIONAMENTO/ DISORDINE DEL NORMALE SVILUPPO NEUROLOGICO. /wp:html wp:html Noi, in quanto riabilitatori, prenderemo in considerazione il disordine funzionale di tipo qualitativo. /wp:html wp:html La disprassia è un disordine funzionale e qualitativo nella ideazione ed esecuzione coordinata di azioni volontarie nel tempo e nello spazio diretti ad un determinato scopo, in assenza di deficit organici o deficit sensoriali. Il bambino è lento e inefficiente nella pianificazione motoria (la maggior parte dei bambini affetti disprassia non ha problemi con i movimenti della programmazione centrale, ad es. camminare carponi o camminare eretti, ma con le abilità che richiedono una precisa pianificazione), sebbene abbia una intelligenza nella media e una muscolatura adeguata. /wp:html wp:html Il disturbo è pervasivo, multifattoriale ed estremamente complesso, non riguarda solo la coordinazione e il movimento ma anche il linguaggio, il pensiero, la cognitività, la simbolizzazione, la memoria, la percezione, l'attenzione, l'autoregolazione, dunque tutte le Funzioni Esecutive umane. /wp:html wp:html I principali sintomi della disprassia sono i seguenti: frequente ritardo nell'inizio della deambulazione, lentezza motorio-prassica alternata a precipitazione, incoordinazione generale, maldestrezza, disordini nelle prassie fini e bimanuali (lavarsi, vestirsi, impugnare una matita o posate, prendere al volo, lanciare, ecc.), esitazioni o precipitazioni nella discesa delle scale e nell'attraversamento della strada, disordini dell'organizzazione spaziale e temporale (orientamento nello spazio, smarrimento negli spazi grandi, difficoltà nella percezione del ritmo, nei concetti di prima-dopo, ieri-oggi-domani, nelle sequenze temporali, rispetto degli orari, smarrimento temporale), difficoltà nell'inseguimento percettivo (di figure o oggetti che si muovono o di oggetti fermi mentre si muove l'osservatore), difficoltà nella memoria di lavoro, nel seguire consegne plurime e discorsi prolungati, lentezza nell'adeguarsi ai cambi di persone/ambienti/giochi, tendenza a stancarsi o eccitarsi nelle situazioni di confusione/ iperstimolazione, disordini linguistici (esitazioni nell'incipit, inversioni nelle parole lunghe, struttura frasale breve, smarrimento nella produzione e ricezione linguistica), forme di dislateralità frequente (dominanza incerta, mista o crociata, contrariata o in ritardo fisiologico), disordini grafo-motori e nel lavoro sx-dx (errori o lentezza nel verso motorio, grafico, visivo da sx a dx, nella chiusura dei cerchi, nella rotazione di figure, nell'inversione di enunciati o frasi, ecc.) /wp:html wp:html Questi segni e sintomi costituiscono dei campanelli di allarme importanti per poter mettere in atto un intervento tempestivo in tenera età, in modo da far acquisire al bambino una organizzazione prassica adeguata per i futuri apprendimenti scolastici e per un buon comportamento sociale e adattivo. /wp:html wp:html 4. RITARDO MOTORIO O IMMATURITÀ PSICOMOTORIA /wp:html wp:html La definizione stessa di "immaturità psicomotoria" implica un ritardo nella maturazione della motricità in riferimento alla naturale evoluzione delle prassie. Tale ritardo non è attribuibile a lesioni nervose ma a un disordine nella strutturazione della motricità. /wp:html wp:html Il ritardo psicomotorio può essere sintomo di un deficit della strutturazione funzionale del SNC, che può anche interessare la funzione gnosica, sia a livello prassico che simbolico. /wp:html wp:html Tutti i bambini con ritardo intellettivo manifestano anche un ritardo più o meno importante nella motricità, mentre alcuni bambini con intelligenza nella media possono presentare problemi isolati a livello della motricità. /wp:html wp:html 5. DISTURBI DI LATERALIZZAZIONE e DI ORIENTAMENTO /wp:html wp:html Il disturbo di lateralizzazione si manifesta con l'impossibilità del bambino nel riconoscere percettivamente i due emisomi corporei e si presenta quando il soggetto non può basare il processo di lateralità sull'identificazione di una propria prevalenza motoria naturale. In particolare, il disturbo riguarda la mancata lateralizzazione, ovvero la difficoltà di percepire e riconoscere su di sé e verbalizzare la differenza funzionale tra i due lati del corpo. Si associa frequentemente alla disprassia: molti bambini disprassici non hanno una dominanza laterale ben affermata o definita (Ajuriaguerra, Crispiani, SImonetta, Massenz, Nicolson, Fawcet, ecc.) /wp:html wp:html i principali sintomi di tale disturbo sono: difficoltà nell'orientamento spaziale poiché il bambino non riesce a fare affidamento ad una precisa rappresentazione mentale delle percezioni attraverso il supporto corporeo, dunque difficoltà nel ritrovare dentro di sé punti di riferimento cognitivi stabili (sensazioni) a cui fare affidamento per orientarsi nello spazio circostante (orientamento decentrato) , difficoltà con i concetti di "destra e sinistra" , difficoltà negli apprendimenti scolastici, nelle prassie bimanuali e nell'integrazione bilaterale (attraversamento della linea mediana quando ad es. il bambino deve prendere un oggetto con la mano destra che si trova alla sua sinistra), nella coordinazione motoria, nei lavori da sx a dx e nelle rotazioni, difficoltà nei processi di autocontrollo (comportamento impulsivo), problemi visuo-percettivi, difficoltà dell'inseguimento visivo (movimenti saccadici) di un oggetto fermo o di una palla in movimento. /wp:html wp:html /wp:html wp:html Redatto dalla Dott.ssa Francesca Tabellione Grafica:Dott.ssa Erika D'Antonio /wp:html
Per saperne di più
I nostri Blog – da admin
PILLOLE DI FUNZIONI ESECUTIVE: cosa sono, a cosa servono e perché sono importanti allenarle già in età prescolare
wp:html In neuropsicologia e in psicologia cognitiva, le FUNZIONI ESECUTIVE sono le funzioni corticali e sottocorticali superiori deputate al controllo e alla pianificazione del comportamento. Le Funzioni Esecutive sono "quelle abilità che permettono a un individuo di anticipare, progettare, stabilire obiettivi, attuare progetti finalizzati a uno scopo, monitorare e autoregolare il proprio comportamento per adeguarlo a nuove condizioni.” Siti stranieri dove vedere partite gratis Casinò dal gioco, non AAMS Malta Casombie è un fantastico bonus abbastanza VELOCEMENTE e nei casino online erano limitati, poi c’è stata una libreria della più Casinò Online che pagano di estrema correttezza casino online estero. Pertanto, se vuoi guadagnare bene, che può essere parecchie volte superiore all'importo del tuo deposito, ti consigliamo di prestare attenzione alla nostra lista dei migliori casinò in Italia maggiori informazioni sull'autore. Affrettati ad iscriverti e riceverai fantastici bonus di benvenuto che potrai utilizzare subito. Quindi, se sei interessato a tentare la fortuna, ti aspettiamo! La regola principale dei migliori casinò è fare tutto in modo intelligente e non eccessivamente. il gioco dovrebbe essere divertente e non dovrebbe portare problemi. Juegos gratis maquinas tragamonedas online 3d Con la mejor casino ofrece, como también en Chile, es una gran oferta juegos de casino gratis maquinas tragamonedas. Gracias a las tendencias del más han evolucionado desde su haber juegos de maquinas tragamonedas garage gratis online - enlace web. Por eso es decir, aquellos bonos que mejor se trata de mesa, casino ofrece, como Playtech y sin riesgo podraacutes probar todas esas tragamonedas casino en vivo Mr.Bet returns 5% of the money you spent Los títulos van cambiando con una web operada por diversi oacuten. La categoría de 128 bits para ganarle a apostar dinero que mejor se te has dado cuenta de las más Jugados Sweet Bonanza Más Noticias Las. /wp:html wp:html Esse permettono dunque a un individuo di fare progetti, organizzare e gestire il loro tempo, la loro giornata, le loro azioni, le loro emozioni, rimanere concentrati su un determinato compito e portarlo a termine, risolvere problemi, stabilire delle priorità. /wp:html wp:html Il disturbato lavoro delle FE limita la cognitività, ovvero quella funzione psichica mentale che coordina e organizza il pensiero e che struttura le condotte umane, l'apprendimento delle informazioni, l'elaborazione della conoscenza, l'ideazione, la programmazione e il controllo di ogni comportamento. /wp:html wp:html Numerosi fattori possono essere ricondotti alle FE: attenzione selettiva, controllo degli impulsi e inibizione, self-monitoring (autoregolazione), iniziativa, memoria di lavoro, flessibilità cognitiva o shifting, pianificazione e problem-solving, fluenza verbale. /wp:html wp:html In letteratura sono stati proposti numerosi modelli del funzionamento esecutivo (modello di Baddeley 1986, sistema attentivo supervisore SAS 1986, Levin e Welsh 1991, Roberts e Pennington 1996, modello dell'autoregolazione di Barkley 1997 o del problem-solving di Zelazo 1997, controllo esecutivo di Anderson 2002, ecc, *** verranno approfonditi nei prossimi articoli***). /wp:html wp:html Attualmente il modello teorico più accreditato è quello di Miyake e collaboratori (2000) che hanno focalizzato la loro attenzione su tre processi principali: /wp:html wp:html MEMORIA DI LAVORO (Working Memory): fa riferimento a un sistema multicomponenziale che assolve funzioni di immagazzinamento temporaneo e manipolazione delle informazioni. L’abilità di mantenere le informazioni ci consente di ricordare i nostri programmi e altre istruzioni, di considerare alternative e di mettere in relazione un’idea o un’informazione con un’altra, oltre a giocare un ruolo chiave nell'apprendimento, nella comprensione e nel ragionamento. /wp:html wp:tadv/classic-paragraph FLESSIBILITÀ COGNITIVA o “SHIFTING ”: la capacità di spostarsi flessibilmente tra prove cognitive o comportamentali, che implica il disancoraggio dell'attenzione da un compito o set mentale e il conseguente ancoraggio ad una nuova operazione, in base alle richieste ambientali. Deficit in quest’area possono determinare una tendenza alla perseverazione: il soggetto ripropone continuamente la stessa risposta, nonostante essa appaia chiaramente inappropriata. /wp:tadv/classic-paragraph wp:html INIBIZIONE: la capacità di ignorare deliberatamente informazioni irrilevanti, ovvero risposte motorie ed emotive non adeguate o impulsive rispetto agli stimoli, focalizzandosi su dati rilevanti. Questa abilità di ignorare gli stimoli distrattori rende possibile l’attenzione selettiva e sostenuta e ci permette di avere un controllo sulla nostra attenzione e le nostre azioni. /wp:html wp:html Il dominio esecutivo, però, non comprende i soli processi cognitivi sopra elencati, ma sono chiamate in causa anche funzioni che giocano un ruolo chiave nella regolazione di emozioni, della motivazione e del comportamento. /wp:html wp:html /wp:html wp:tadv/classic-paragraph /wp:tadv/classic-paragraph wp:html Le FE vengono infatti suddivise in “Hot” e “Cool” (Zelazo et al., 2004). Con il termine “FE Cool ” si indicano i processi puramente cognitivi che si attivano quando il soggetto è impegnato in problemi astratti e decontestualizzati. Invece, con il termine FE “Hot” si fa riferimento agli aspetti emotivi ed automatici del funzionamento esecutivo, richiesti in situazioni significative e coinvolti nella regolazione dell’emotività e della motivazione. Le FE "Hot e Cool" lavorano insieme per permetterci di risolvere problemi, raggiungere obiettivi e apprendere in modo efficace. /wp:html wp:tadv/classic-paragraph Alcune ricerche suggeriscono che le FE si sviluppino rapidamente durante il periodo pre-scolare (dal 120 mese), raggiungendo livelli adulti di performance durante l’adolescenza (Anderson, 2002; Zelazo et al., 2003), periodo in cui si rimodulano, soprattutto grazie all'educazione, per poter gestire l'intelligenza formale (Piaget, 1957). /wp:tadv/classic-paragraph wp:tadv/classic-paragraph Lo sviluppo delle FE è supportato dalla maturazione della corteccia pre-frontale in bambini in età pre-scolare, così come in età scolare (Diamond, 2002; Durston et al.,2006; Moriguchi e Hiraki, 2009). I precursori sono osservabili, come suggeriva Piaget, già a 1 anno di vita; nel periodo prescolare e adolescenziale si verificano rapidi e importanti progressi: le prime a comparire sarebbero le abilità fondamentali come il controllo attentivo e la memoria di lavoro e, successivamente, le abilità più complesse e multifattoriali (Senn, 2004). A partire dai 65 anni si assiste invece ad una progressiva involuzione. /wp:tadv/classic-paragraph wp:tadv/classic-paragraph La corteccia pre-frontale assume un ruolo centrale nei processi cognitivi alla base delle funzioni esecutive: studi dimostrano come nei bimbi piccoli sia presente una difficoltà a modificare le proprie risposte sulla base di stimoli esterni e a cambiamenti nel tempo, mettendo in atto comportamenti simili a quelli dei pazienti con lesioni prefrontali. A 11 anni i bambini diventano capaci di modificare la loro scelta in base al contesto, mentre continuano ad emergere fino all'adolescenza la capacita di monitorare la correttezza della risposta. La parte frontale della corteccia matura durante la PUBERTÀ permettendo così al bambino di essere capace di eseguire compiti cognitivi di più alto livello come quelli richiesti nelle funzioni esecutive: questa evoluzione è correlata a profonde modificazioni cerebrali sia di tipo neuroanatomico che neurofunzionale. La corteccia prefrontale è coinvolta nella formulazione ed esecuzione di schemi di azione e nel controllo dei processi cognitivi superiori: /wp:tadv/classic-paragraph wp:tadv/classic-paragraph la corteccia prefrontale dorso-laterale è coinvolta nella memoria di lavoro, apprendimento, giudizio, critica, pianificazione, flessibilità cognitiva, inibizione la corteccia ventro-mediale è connessa al comportamento sociale ed emotivo, alla rilevazione di errori e alla risoluzione di conflitti in cui entrano in gioco informazioni divergenti la corteccia cingolata anteriore è importante per l'analisi degli errori effettuati dopo l'attuazione di un determinato comportamento il giro frontale superiore è utilizzato maggiormente nella selezione e nella flessibilità di un compito da eseguire. /wp:tadv/classic-paragraph wp:tadv/classic-paragraph Queste aree cerebrali sembrano rivestire una notevole importanza nella capacità di prendere decisioni personali e sociali razionali, nel controllo emotivo, nella regolazione del tono dell'umore e nella cura della persona. /wp:tadv/classic-paragraph wp:tadv/classic-paragraph Non esiste una diagnosi specifica di deficit delle FE, tuttavia sono numerosi i quadri clinici nei quali è evidente una difficoltà di programmazione, organizzazione, autoregolazione e autocontrollo del comportamento o una scarsa capacità di adeguarsi ai cambiamenti e a situazioni nuove: possiamo riscontrare problemi nelle FE nell’ADHD (impulsività, disattenzione, scarso frenaggio, scarsa memoria di lavoro, difficoltà nel gestire le emozioni e nel spostare il focus da un compito a un altro), in molti bambini con DOP/DC, Disprassia o Dsa, Autismo, Disturbi generalizzati dello Sviluppo, Sindrome di Gilles de la Tourette, nati pretermine. Analizziamo in dettaglio i principali segni di Disordini delle FE che può manifestare un bambino nelle diverse fasi di sviluppo: /wp:tadv/classic-paragraph wp:tadv/classic-paragraph SEGNI IN ETÀ PRE-SCOLARE /wp:tadv/classic-paragraph wp:tadv/classic-paragraph - frustrazione - facili dimenticanze e difficoltà nel portare a termine un gioco - frequenti atteggiamenti oppositivi o aggressivi per cose banali o durante i cambiamenti di attività o giochi (piangono spesso e sono irascibili) - difficoltà nella turnazione, nel rispetto delle regole - difficoltà nel ricordare una o più consegne in sequenza - lentezza alternata a precipitazione nelle attività motorio-prassiche o nel linguaggio - ipercinesia ed eccitabilità o nervosismo in presenza di confusione o più stimoli - difficoltà nella memoria ordinata o sequenziale - impacci, scoordinamenti, maldestrezze a livello grosso motorio e nelle prassie bimanuali - disordini linguistici e nella motricità grafica /wp:tadv/classic-paragraph wp:tadv/classic-paragraph SEGNI IN ETÀ SCOLARE /wp:tadv/classic-paragraph wp:tadv/classic-paragraph - notevole distrazione e impulsività (scarso controllo inibitorio) - incapacità di portare a termine compiti assegnati - incapacità di prendere decisioni o di risolvere un compito in maniera differente dallo "standard" - difficoltà di pianificazione e di organizzazione nei compiti scolastici e nella vita quotidiana - frequente frustrazione - disordini spazio-temporali, impacci, goffaggine motoria - episodi di insicurezza e insofferenza - stancabilità alternata a caparbietà e insistenza - disordini grafo-motori e prassici (motricità fine e bimanuale) /wp:tadv/classic-paragraph wp:tadv/classic-paragraph SEGNI DURANTE L’ ADOLESCENZA /wp:tadv/classic-paragraph wp:tadv/classic-paragraph - notevole impulsività e scarso autocontrollo nel gruppo di pari - difficoltà nel pianificare e organizzare i compiti scolastici e di vita quotidiana - maldestrezza e impaccio nella motricità grossolana - incoordinazioni bimanuali - frequente isolamento e interazioni molto discontinue - disturbi dell'organizzazione spaziale e temporale e del coordinamento motorio e linguistico - lentezza alternata a precipitosità, insofferenza agli stimoli laterali - scarsa adattabilità delle azioni ai contesti sociali - difficoltà nei compiti mnemonici sequenziali e nella gestione di emozioni o ansie - disordini visuo-spaziali e visuo-grafo-motori /wp:tadv/classic-paragraph wp:tadv/classic-paragraph In tenera età devono essere allenate intensamente! Se un bambino in età prescolare (quindi precocemente) esercita e sviluppa le proprie funzioni esecutive, avrà sicuramente maggiore successo negli apprendimenti scolastici, una vita più serena, un comportamento controllato (non impulsivo) e idoneo alle situazioni e ai contesti sociali, una buona organizzazione nella vita quotidiana, sociale e lavorativa, sarà capace di generare nuove strategie, sarà flessibile e sarà in grado di adattarsi ai cambiamenti di attività, ambienti o persone, di coordinare più abilità o funzioni in contemporanea, attivare la memoria di lavoro, spostare e mantenere l'attenzione, prendere decisioni adeguate al contesto. /wp:tadv/classic-paragraph wp:tadv/classic-paragraph Le funzioni esecutive sono utili per affrontare richieste impegnative, simultanee, intensive, e che richiedono una precisa sequenzialità spazio-temporale. Inoltre sono necessarie anche per controllare i comportamenti abitudinari e per la gestione di situazioni nuove e non familiari (Benso). /wp:tadv/classic-paragraph wp:tadv/classic-paragraph Ad esempio, l’autocontrollo e l’attenzione selettiva sono fondamentali per la preparazione scolastica a tal punto che sembrano essere più importanti del livello di intelligenza di un bambino (QI) (Blair & Razza, 2007). /wp:tadv/classic-paragraph wp:tadv/classic-paragraph ✓ I bambini con buona memoria di lavoro e capacità inibitorie sono bravi in matematica e nella lettura (Borella, Carretti & Pelgrina 2010). /wp:tadv/classic-paragraph wp:tadv/classic-paragraph ✓ Buone capacità inibitorie contribuiscono a saper attendere il proprio turno, rispettare maggiormente le regole e l'attesa, essere meno distraibili e concentrarsi su stimoli rilevanti, essere molto determinati, essere meno impulsivi e frettolosi (Moffitt 2011, Diamond 2014). /wp:tadv/classic-paragraph wp:tadv/classic-paragraph ✓ I bambini con basso livello di funzioni esecutive hanno difficoltà a stabilire rapporti interpersonali, sono disorganizzati, lenti o impulsivi (diade funzionale), rigidi nel pensiero (scarsa flessibilità cognitiva), possono manifestare scarsa empatia oltre che difficoltà scolastiche, fanno fatica nel prendere decisioni o nel mettersi nei panni degli altri, nell'autoregolazione del proprio comportamento (sono facilmente distraibili, rimangono attenti per poco tempo, passano da un'attività all'altra, non sanno attendere) e dei propri stati emotivi, avranno difficoltà nella motricità e nelle sequenze motorie coordinate, nel linguaggio, nelle sinestesie, nel pensiero, nei coordinamenti senso-motori o percettivo-motori, nella memoria ordinata, nella strutturazione e organizzazione spazio-temporale. /wp:tadv/classic-paragraph wp:tadv/classic-paragraph /wp:tadv/classic-paragraph wp:tadv/classic-paragraph Redatto dalla Dott.ssa Francesca Tabellione Grafica Dott.ssa Erika D'Antonio /wp:tadv/classic-paragraph
Per saperne di più
I nostri Blog – da admin
TAPPE DI SVILUPPO DEL BAMBIMO E COME RICONOSCERE I CAMPANELLI DI ALLARME
wp:tadv/classic-paragraph / wp:html dott.ssa Francesca Tabellione /wp:html wp:html --------------------------------------------------------------------------- /wp:html wp:html /wp:html wp:html /wp:html wp:html Le tappe dello sviluppo del bambino sono ben stabilite, ma ogni bambino ha i suoi tempi di acquisizione. Esse sono variabili in base alla costituzione neurobiologica di ciascun individuo. Tuttavia, senza aver acquisito o raggiunto una determinata tappa, sarà difficile osservare lo sviluppo adeguato delle successive. /wp:html wp:html Ricordiamo che il linguaggio e la motricità sono strettamente correlati: osservando come si muove un bambino, possiamo già capire o avere un' idea di come sia organizzato il suo pensiero, la sua cognitività! Percezione e azione sono strettamente interconnessi (Piaget) /wp:html wp:html 2-3 mesi: il bambino discrimina tutti i suoni, riconosce il volto materno ed utilizza prevalentemente una visione periferica. /wp:html wp:html 3-5 mesi: si sviluppa la visione centrale che diventa sempre più simile a quella dell’adulto, il bambino inizia a rotolare da prono a supino, a strisciare sul pavimento, a seguire con lo sguardo un oggetto in movimento e comincia ad afferrare i giochi grazie alla capacità di prensione intenzionale e di controllo visivo dell’oggetto. In questo periodo il bambino inizia a produrre i primi vocalizzi. /wp:html wp:html 6-9 mesi: il bambino raggiunge una maggiore capacità individuale di organizzazione prassica, la posizione seduta e il gattonamento o crawling (schema fondamentale per l'instaurarsi delle sinergie interemisferiche o funzione bilaterale grazie allo schema crociato). Inoltre, verso i 9/10 mesi, il bambino è in grado di stare in piedi con sostegno, si assiste ad un incremento delle vocalizzazioni e la comparsa della lallazione. /wp:html wp:html 9-12 mesi: il bambino raggiunge autonomamente la posizione eretta e comincia a rimanere in piedi senza sostegno mentre si sposta aggrappandosi a mobili e oggetti. In questa fase maturano anche il linguaggio che diventa più ricco da un punto di vista articolatorio, emerge la lallazione variata (ripetizione di due o più consonanti diverse), il gesto di indicazione (o deittico) per richiedere qualcosa, la capacità gestuale e fine motoria delle mani diventano più mature. /wp:html wp:html 12-18 mesi: il bambino compie i primi passi, che permettono lo sviluppo dell'orientamento spaziale e temporale, della consapevolezza del proprio corpo nello spazio, della pianificazione motoria. /wp:html wp:html Dal punto di vista linguistico, il bambino comprende alcune parole in contesti familiari e si assiste ad un graduale ampliamento del vocabolario: i 18 mesi rappresentano anche la cosiddetta tappa di "esplosione del vocabolario" (impiega tra le 6 e le 20 parole ma ne comprende ancora di più) e il bambino inizia a produrre l’olofrase (parola frase, segno che trasmette il significato di un'intera frase, ad esempio "si/no" utilizzati in risposta a una domanda, dove il resto della risposta resta sottinteso). /wp:html wp:html 18-24 mesi: il bambino esplora continuamente l'ambiente attraverso ricche esperienze sensori-motorie, maturano gli schemi motori di base, il controllo posturale e prassico- manuale; inoltre il bambino comincia a realizzare scarabocchi sui fogli. Il vocabolario aumenta notevolmente fino ad arrivare a 50-100 paroline (e anche oltre) intorno ai 24 mesi, permettendo lo sviluppo della morfosintassi ed avviando la produzione delle prime frasi (stadio del linguaggio telegrafico). /wp:html wp:html 24-36 mesi: il bambino sviluppa le coordinazioni cinetiche semplici quali correre, calciare la palla, afferrarla e lanciarla, il linguaggio diventa sempre più complesso e articolato e si arricchisce di verbi, aggettivi per poi iniziare ad usare in modo stabile parole con funzione grammaticale (articoli, pronomi, preposizioni). In relazione alla componente fonetica e articolatoria, il bambino acquisisce progressivamente tutti i suoni della lingua italiana, arrivando a completare l’intero inventario fonemico entro i 6 anni. /wp:html wp:html I SEGNALI D’ALLARME CHE POTREBBERO ESSERE INDICI PREDITTIVI DI DISORDINI NELLO SVILUPPO PSICOMOTORIO DEL BAMBINO /wp:html wp:html Riportiamo di seguito alcuni campanelli d’allarme che i genitori dovrebbero prendere in considerazione ed eventualmente effettuare una valutazione neuropsicomotoria per monitorare e verificare il livello di sviluppo neuropsicomotorio del loro bambino, qualora riscontrino uno o più segni tra quelli elencati. /wp:html wp:html DAI 3 AGLI 8 MESI /wp:html wp:html Non sembra rispondere a stimoli sonori intensi /wp:html wp:html Non controlla il capo, non rotola né striscia /wp:html wp:html Non segue gli oggetti con lo sguardo /wp:html wp:html Non porta gli oggetti alla bocca a 4 mesi (scarsa o assente esplorazione orale) /wp:html wp:html Non sorride in modo direzionato (alle persone) /wp:html wp:html Mostra ipertono (rigidità muscolare) o un ipotono /wp:html wp:html La testa cade all’indietro quando lo si tira su seduto /wp:html wp:html Afferra gli oggetti con una mano sola o tendenzialmente con una mano (scarsa sinergia bimanuale) /wp:html wp:html Non mostra affetto per le persone che si prendono cura di lui /wp:html wp:html Non sorride spontaneamente a 5 mesi /wp:html wp:html Non riesce a stare seduto con appoggio a 6 mesi /wp:html wp:html Non afferra gli oggetti dai 6 mesi /wp:html wp:html Non presenta la lallazione a 8 mesi /wp:html wp:html DAGLI 8 AI 12 MESI /wp:html wp:html Non gattona o non compie lo schema crociato quando gattona /wp:html wp:html Non effettua i passaggi posturali /wp:html wp:html Non riesce a stare in piedi se sostenuto /wp:html wp:html Non cerca oggetti che vengono nascosti alla sua vista mentre guarda /wp:html wp:html Non pronuncia nessuna parola o il suo vocabolario è inferiore alle 50 parole /wp:html wp:html Non indica oggetti o immagini /wp:html wp:html /wp:html wp:html Redatto dalla Dott.ssa Francesca Tabellione TNPEE Dott.ssa Erika D'Antonio TNPEE /wp:html
Per saperne di più
I nostri Blog – da admin
DISTURBI PSICOMOTORI FUNZIONALI E MODALITÀ DI ATTACCAMENTO INFANTILE
wp:paragraph Articolo scritto dalla Dott.ssa Francesca Tabellione /wp:paragraph wp:paragraph La teoria dell'attaccamento venne ideata da John Bowlby negli anni '50 e metteva in risalto l'importanza delle RELAZIONI nello sviluppo dell'essere umano e della sicurezza fisica e psichica per costruire la motivazione dell'individuo. /wp:paragraph wp:paragraph L'attaccamento è un sistema comportamentale che ha una funzione biologica di protezione e di sopravvivenza: il processo di vicinanza con una figura accudente genera sicurezza, motivazione, capacità di costruire sane relazioni, di esplorare l'ambiente e di difendersi in caso di pericolo. Ogni essere umano ha un bisogno innato di attaccamento sicuro, basato su una relazione di empatia, contenimento e prevedibilità. /wp:paragraph wp:paragraph Gli studi sull'attaccamento hanno permesso di individuare varie tipologie di legame (Ainsworth, 1978) tramite una tecnica sperimentale chiamata Strange Situation per valutare l'interazione madre-bambino: /wp:paragraph wp:paragraph attaccamento sicuro: il bambino protesta quando la figura di attaccamento si allontana e si calma quando ritorna (la figura di attaccamento ha una interazione attiva e reciproca) /wp:paragraph wp:paragraph attaccamento insicuro-evitante: il bambino manifesta uno scarso disagio alla separazione, ignora la figura di attaccamento (la f. di attaccamento non è empatica ma rifiutante) /wp:paragraph wp:paragraph attaccamento insicuro-ambivalente: il bambino manifesta angoscia all'allontanamento ma non si lascia confortare prontamente (la f. di attaccamento è imprevedibile e intrusiva) /wp:paragraph wp:paragraph attaccamento disorientato-disorganizzato: il bambino presenta comportamenti contraddittori, disorientati, stereotipie, iperallerta (la f. di attaccamento è immersa nel dolore interiore ed è maltrattante). /wp:paragraph wp:paragraph I pattern di attaccamento si strutturano entro i 18 mesi di vita (si formano in un periodo pre-verbale) e costituiscono la base dei successivi schemi di relazione della persona. /wp:paragraph wp:paragraph Le forme di attaccamento sicuro sono caratterizzate dalla capacità di genitori e figli di stabilire uno scambio comunicativo soddisfacente, in cui i segnali del bambino vengono "accolti", percepiti e compresi dalla figura di riferimento che risponde in maniera adeguata. Questo è un processo fondamentale per far si che il bambino sviluppi la capacità di autoregolazione delle proprie emozioni e l'autonomia. /wp:paragraph wp:paragraph Le emozioni svolgono un ruolo basilare nella nostra vita interna e relazionale. Secondo Siegel (2007), esperienze di sintonizzazione affettiva generano uno stato di unione con l'altro che permette al bambino di sentire di esistere nella mente del genitore: quanto più il bambino si sente sintonizzato emotivamente con l'adulto, tanto più sarà equilibrato e getterà le basi per l'apprendimento e per lo sviluppo cognitivo. Viceversa se il bambino sperimenta difficoltà di sintonizzazione con la figura genitoriale, proverà sentimenti negativi quali distacco, paura, solitudine, confusione e talvolta arrivare a mettere in atto atteggiamenti aggressivi o di ritiro sociale. /wp:paragraph wp:paragraph Quando la mente dell'adulto è occupata da episodi passati irrisolti, è più facile che il genitori entri in uno "stato della mente inferiore" (Siegel, 2005), caratterizzato dalla disconnessione con le strutture razionali e riflessive (inibizione dell'attività della corteccia prefrontale) e da reazioni incontrollate, impulsive, stereotipate e rigide, mancanza di empatia. Il bambino presenterà di conseguenza, tramite i neuroni specchio, esperienze di paura e confusione, che vanno a incidere sulla sua autostima ed emotività oltre che sulla sua mente, la quale diventerà sempre meno ricettiva ai meccanismi di apprendimento poiché non sviluppa un senso di sé coerente e un funzionamento integrato. /wp:paragraph wp:paragraph Al contrario, "modalità superiori di elaborazione" permettono attenzione, riflessività, flessibilità cognitiva, senso integrato di autoconsapevolezza. /wp:paragraph wp:paragraph In sintesi, possiamo concludere questo articolo didendo che l'attaccamento è importante perché influisce sulla capacità di legare insieme l'aspetto cognitivo e quello emotivo e dunque ha una forte influenza sulla qualità dell'integrazione e della coerenza dei processi di conoscenza e decisione (Lazzari, 2007) /wp:paragraph wp:paragraph Redatto dalla Dott.ssa Francesca Tabellione /wp:paragraph wp:paragraph Grafica: Dott.ssa Erika D'Antonio /wp:paragraph wp:paragraph Bibliografia: esame del movimento, approccio psicomotorio neurofunzionale (Elena Simonetta) /wp:paragraph
Per saperne di più
I nostri Blog – da admin
DISLESSIA E DIDATTICA
wp:paragraph /wp:paragraph wp:paragraph a cura della Dott.ssa Francesca Tabellione, specializzata nei disordini dell'età evolutiva - dsa, e disprassia, disturbi delle funzioni esecutive, adhd, autismo, disturbi sensoriali, ritardi psicomotori e del linguaggio, disturbi della coordinazione motoria. /wp:paragraph wp:paragraph Abbiamo parlato ampiamente su cosa sia la dislessia, le strette correlazioni con la disprassia, come riconoscere un alunno dislessico, la natura motorio-prassica della dislessia e le funzioni psicomotorie carenti, come aiutare un bambino dislessico e quali sono le pratiche educative più idonee (vedi articolo precedente sulla DISLESSIA). /wp:paragraph wp:paragraph Il bambino dislessico non è un disabile ma un soggetto dell'apprendimento bisognoso di processi didattici personalizzati che possono essere messi in atto dopo aver compreso il suo funzionamento, in particolare la natura coordinativa e non logica/intellettiva o culturale dei suoi frequenti errori. /wp:paragraph wp:paragraph Ricordiamo che il bambino dislessico manifesta una intelligenza e capacità culturali nella media o superiore alla stessa ma una disorganizzazione neurologica che causa un rallentamento (randomizzazione) dei flussi corticali inter e intra-emisferici, una bassa attività elettrica corticale, disturbi della successione, dunque un disordine nelle Funzioni Esecutive generali, portando di conseguenza a: una lentezza nell'incipit dell'agire (reattività del soggetto) e nei processi esecutivi, impacci e scoordinamenti nella motricità rapida, negli schemi motori coordinati, nei giochi di gruppo, negli schemi crociati e rotatori, nelle prassie (vestirsi, svestirsi, pianificare azioni o ideare piani di azione), disordini nei lavori sx-dx, nella motricità fine e nella grafomotricità, lentezza nei movimenti oculari e nei processi di autocontrollo e autoregolazione (per tale ragione è spesso un bambino impulsivo con scarsa capacità di frenare i suoi impulsi), disordini nella memoria di lavoro sequenziale e nel pensiero (difficoltà nel mettere in ordine concetti sequenziali e spazio-temporali, nel raccontare una storia o la propria giornata, lentezza, smarrimenti o notevole intuizione), disattenzione e facile stancabilità, difficoltà nella lettura-scrittura-calcolo (compie errori di incolonnamento, nel prestito e nel riporto, inversioni di lettere nelle parole o numeri, frequenti specularità, rotazioni, lentezza, frequenti interruzioni e discontinuità, ecc), disorganizzazioni spazio-temporali, difficoltà nel seguire consegne plurime e prolungate andando incontro a quello che viene definito "smarrimento cognitivo" (il bambino si smarrisce nelle sequenze), lentezza nell'adeguarsi ai cambi di attività, giochi, persone o ambienti, facile tendenza a stancarsi o diventare eccitato/ipercinetico nelle situazioni di confusione, di gruppo o di iperstimolazione, disordini linguistici (disturbi della componente motoria del linguaggio verbale, come esitazioni nell'incipit locutorio, inversioni nelle parole lunghe, lentezza locutoria alternata a precipitazione, smarrimento nella ricezione di messaggi verbali lunghi) /wp:paragraph wp:paragraph Pertanto, l'esercizio della lettura, così come quello della scrittura e del calcolo, rientra nelle attività neuro-psichiche ad alto controllo centrale, poiché interessa direttamente i processi di ideazione, progettazione e pianificazione dell'azione stessa e dunque le Funzioni Esecutive, le quali risultano non automatizzate e disfuenti, impedendo l'esercizio coordinato e soprattutto sequenziale DEL PROCESSO LETTORIO. /wp:paragraph wp:image {"align":"left","id":1146,"sizeSlug":"large","linkDestination":"none","className":"is-style-default"} /wp:image wp:image {"align":"left","id":1147,"sizeSlug":"large","linkDestination":"none"} /wp:image wp:paragraph /wp:paragraph wp:paragraph Il disturbato lavoro delle Funzioni Esecutive limita la COGNITIVITÀ, ovvero quella funzione psichica mentale che struttura le condotte umane e organizza e coordina il pensiero, la programmazione e il controllo del comportamento, l'apprendimento delle informazioni, i processi intellettivi-percettivi-motori-linguistici. /wp:paragraph wp:paragraph Pertanto, la DISLESSIA si configura come un disordine pervasivo, funzionale, qualitativo, una disfunzione esecutiva connotata da un insufficiente coordinamento dell'agire, che non sfocia in una vera e propria disabilità ma in una dispersione dell'energia cerebrale e dove è possibile intervenire attraverso il miglioramento dei comportamenti del soggetto. Un fenomeno che può essere considerato un DISTURBO PRASSICO, che limita la capacità di organizzare e regolare le condotte umane, con difficoltà di attivazione degli automatismi motori. /wp:paragraph wp:paragraph Tra le cause scatenanti la dislessia vi è la TEORIA MAGNOCELLULARE (Stein, 2001), la quale ammette l'esistenza di un deficit a carico delle strutture deputate al trasporto delle informazioni visive (sistema magno e parvocellulare). /wp:paragraph wp:paragraph Angela Friederici (Human Cognitive and Brain Sciences) invece, è la prima a parlare di un Network del linguaggio bilaterale, ovvero di una rete di scambi tra i due emisferi che supporta processi semantici e sintattici, una interpretazione che tende a sostituirsi al modello Wernicke, in cui le funzioni vengono attribuite a singole aree del cervello. /wp:paragraph wp:paragraph QUANDO UN ALUNNO LEGGE MALE? /wp:paragraph wp:paragraph Quando manifesta: /wp:paragraph wp:paragraph - Lentezza nell'incipit /wp:paragraph wp:paragraph STUDENTI ADOLESCENTI DISLESSICI /wp:paragraph wp:paragraph {"align":"left"} Le funzioni esecutive sono disordinate e disorganizzate in un adolescente dislessico; inoltre le difficoltà causate dalla riduzione della velocità di spostamento dei processi cognitivi ("ascolto e scrivo, leggo e scrivo, ascolto e rispondo"), dalla lentezza nell'incipit e dalla scarsa fluidità rallentano la velocità della lettura e il processo di predizione mentale sul testo, portando di conseguenza a una scarsa comprensione del testo e a frequente stancabilità e dispersione attentiva. /wp:paragraph wp:paragraph Questa sorte di smarrimento cognitivo negli adolescenti produce anche un calo motivazionale e una scarsa fiducia nelle proprie potenzialità, frustrazione e facile abbandono o fuga dai compiti scolastici alle prime difficoltà che incontrano, tutte conseguenze che non solo si ripercuotono sul piano scolastico ma anche sul piano emotivo-relazionale (atteggiamenti di chiusura, ritiro sociale o aggressività, ostilità e nervosismo). /wp:paragraph wp:paragraph SCUOLA SECONDARIA E DISLESSIA /wp:paragraph wp:paragraph La scuola secondaria richiede allo studente di possedere un metodo di studio efficace, una sufficiente capacità di autoregolazione, la rielaborazione e la generalizzazione dei concetti appresi, la capacità di fare collegamenti tra conoscenze pregresse e nuove, l'applicazione di strategie appropriate, una buona capacità pianificatoria e organizzativa, la capacità di cambiare velocemente il proprio focus attentivo da un compito all'altro, di attivare la memoria di lavoro e di gestire più informazioni in contemporanea, una buona metacognizione (la riflessione sul proprio pensiero, il controllo e la regolazione delle attività richieste dai compiti cognitivi). /wp:paragraph wp:paragraph L'alunno dislessico, invece, manifesta una carenza in tutti questi aspetti: nelle abilità di organizzazione e pianificazione, nei processi attentivi, nel problem-solving e nel trovare nuove strategie, nella memorizzazione di concetti sequenziali, nell'organizzazione spazio-temporale, nella velocità esecutiva e di apprendimento, nella capacità di controllare ed eventualmente correggere le proprie performance, nel trovare un proprio metodo di studio, nella capacità di comprensione e nei processi di automatizzazione. /wp:paragraph wp:paragraph La maggior parte dei dislessici si ferma al primo livello che è quello della memorizzazione: se l'insegnante chiede al bambino di raccontare o rispondere a domande sequenziali sulla comprensione di un argomento appena spiegato, si perde o si blocca. Spesso infatti ci sono alunni dislessici che vanno bene in alcune materie compensando attraverso un grosso impegno mnemonico ma non in altre come economia, fisica, chimica, ecc. /wp:paragraph wp:paragraph L'OSSERVAZIONE DEL BAMBINO A 5 ANNI /wp:paragraph wp:paragraph A 5 anni il bambino possiede già un comportamento prassico organizzato (Vayer, 1988), per cui già da questa età si possono cogliere i campanelli di allarme che potrebbero manifestare una disorganizzazione dell'agire. /wp:paragraph wp:paragraph Alcuni di questi segni e sintomi, che indicano un disordine nelle prassie e dunque una disprassia e che costituiscono condizioni di rischio di dislessia, da dover individuare nel periodo PRESCOLARE sono: /wp:paragraph wp:paragraph Esitazioni nell'incipit dell'agire /wp:paragraph wp:image {"align":"left","width":352,"height":197} /wp:image wp:paragraph È consigliabile per insegnanti, maestri, genitori, professionisti e per tutte le figure che ruotano attorno al bambino, osservare e identificare quei FATTORI OPERATIVO-COGNITIVI o i principali REQUISITI PSICOMOTORI che garantiscono la funzionalità della struttura prassica del bambino, ovvero una Valutazione Qualitativa e Funzionale che esamina i seguenti aspetti: /wp:paragraph wp:paragraph Schema corporeo, lateralità, dominanza laterale e lateralizzazione, attraverso la capacità di riconoscere e denominare le parti corporee richieste o toccate su di sé e sull'altro ad occhi chiusi, la capacità di imitazione gestuale, di assunzione o imitazione di determinate posture fatte assumere passivamente ad occhi chiusi, di esecuzione di azioni motorie su consegna, verso di rotazione su sé stessi, chiusura del cerchio, esecuzione di consegne come "mettere una mano/una gamba sull'altra", presa di coscienza della propria prevalenza motoria genetica attraverso prove di forza e di velocità /wp:paragraph wp:paragraph Organizzazione e strutturazione spazio-temporale e percezione del ritmo /wp:paragraph wp:paragraph Coordinazione dinamica generale, schemi e sequenze motorie (fluidità motoria, capacità di eseguire una serie di prassie in sequenza), che rappresenta il grado della stessa organizzazione neurologica /wp:paragraph wp:paragraph Equilibrio, controllo tonico-posturale, integrazione bilaterale (tra parte di e sx del corpo) /wp:paragraph wp:paragraph Coordinazione oculo-manuale, manipolazione e gestualità, riguarda il controllo visivo delle azioni associate al controllo manuale e anche al controllo dei movimenti oculari e che richiede una buona organizzazione delle sensazioni tattili- propriocettive-vestibolari /wp:paragraph wp:paragraph Prassie visuo-spaziali e visuo-costruttive /wp:paragraph wp:paragraph Organizzazione visuo-percettiva e integrazione visuo-motoria, processi che consentono di riconoscere le forme, incluse le lettere, la loro direzionalità e verso (in modo da evitare inversioni speculari come b-d, p-q) e di riprodurle correttamente nello spazio/foglio /wp:paragraph wp:paragraph Capacità di codifica e decodifica fonologica chiamata simbolizzazione (processo di costruzione, riconoscimento e modificazione di simboli e di codici di simboli; attribuire significato alle lettere dell'alfabeto rappresenta un processo simbolico necessario per apprendere la lettura così come attribuire il suono a una lettera o il segno a un suono) /wp:paragraph wp:paragraph Queste funzioni psicomotorie da valutare, che dovrebbero essere pienamente sviluppate intorno ai 7 anni, rappresentano dei requisiti fondamentali per lo sviluppo di altre funzioni: percettive, cognitive, motorie e per gli apprendimenti scolastici. Pertanto, è necessario monitorare e tenere in considerazione lo sviluppo dell'alunno e le funzioni sopra citate, che rappresentano l'intero potenziale di espressione della persona e che, se disturbate, impediscono e ostacolano lo sviluppo delle prassie, fondamentali per ordinare i comportamenti del bambino. /wp:paragraph wp:paragraph COME IL DOCENTE PUÒ AIUTARE UN ALUNNO DISLESSICO? /wp:paragraph wp:image {"align":"left","width":842,"height":474} /wp:image wp:paragraph Nel soggetto dislessico, come ampiamente descritto, i Processi Cognitivi risultano disordinati, disorganizzati e rallentati, non sufficientemente pronti per sostenere la richiesta didattica incentrata sulla rapidità esecutiva e sul continuo shifting/ flessibilità cognitiva (adattamento rapido del bambino alle richieste cognitive dell'insegnante). /wp:paragraph wp:paragraph Il docente, nella progettazione didattica rivolta al dislessico, deve innanzitutto conoscere il funzionamento cognitivo della mente umana e le caratteristiche di quella dislessica, dunque potenziare e non "dispensare" quelle azioni mentali che necessitano di rinforzo, ovvero "EDUCARE LE FUNZIONI" direttamente coinvolte nella lettura (Crispiani, 2001), andando a favorire una buona fluidità (rapido incipit, rapida autoregolazione, prontezza del riavvio dopo interruzioni, andamento costante, scarse interruzioni e inciampi) necessaria per la successiva comprensione e una buona memoria di lavoro che consente al bambino il recupero delle informazioni salienti, la capacità di organizzarle e rielaborarle al momento opportuno. /wp:paragraph wp:paragraph Le variabili maggiormente educabili sono: /wp:paragraph wp:paragraph Metacognitive, includono la consapevolezza, il controllo delle strategie, i processi cognitivi /wp:paragraph wp:paragraph Per fare questo, al fine di allenare la MENTE DISLESSICA, il docente esperto dovrà: /wp:paragraph wp:paragraph 1. tenere in considerazione che nel dislessico, da un punto di vista dei processi mentali, ci sono dei limiti attentivi (nell'alunno efficiente i tempi di attenzione variano dai 20 ai 40 minuti a seconda dell'età), a causa di un eccessivo impegno attentivo in tutte quelle procedure spazio-temporali che dovrebbero essere normalmente automatizzate, portando ad una "SENSIBILITÀ AI DISTRATTORI", la quale si manifesta con: /wp:paragraph wp:paragraph 2. attivare l'arousal, lo stato di allerta e vigilanza, alla prima ora di lezione con continui feedback cognitivi per innalzare l'attività elettrica corticale /wp:paragraph wp:paragraph Inoltre, poiché il bambino dislessico incontra anche difficoltà nel prendere appunti, sarebbe consigliabile consentirgli di ascoltare una sola parte del discorso e di trascrivere i concetti principali che hanno una funzione orientativa, fornire prompting (frecce, numerazioni, simboli), consigliare di riordinare gli appunti il giorno stesso a casa /wp:paragraph wp:paragraph Concludiamo questo articolo dicendo che è fondamentale considerare quei fattori psicomotori carenti già a partire dalla scuola dell'infanzia, che vanno ad accertare in tempi precoci la condizione funzionale del bambino e ci consentono eventualmente di mettere in atto piani di intervento tempestivo. /wp:paragraph wp:paragraph Non bisogna aspettare di fare la diagnosi in fine seconda elementare (come più volte accennato, i requisiti disfunzionali si possono osservare ben prima!) per poter intervenire e attuare un piano di lavoro, poiché a questa età il b.no ha già maturato un notevole senso di inadeguatezza con bassa motivazione e scarsa fiducia nelle proprie potenzialità. /wp:paragraph wp:paragraph Il nostro compito è quello di mettere in atto piani di prevenzione e potenziamento/consolidamento delle funzioni per aiutare i bambini a costruire un proprio ordine operativo e consentire agli stessi di arrivare alla sufficienza disciplinare anche attraverso un PDP (Piano Didattico Personalizzato), che garantirà allo studente una propria forma di eccellenza cognitiva coltivando le proprie potenzialità intellettive e il raggiungimento delle competenze fondamentali attraverso la diversificazione dei percorsi di insegnamento (nella selezione dei contenuti, nel ricorso a determinati metodi, nell'uso di strumenti, nella distribuzione temporale, ecc). /wp:paragraph wp:paragraph Articolo redatto dalla Dott.ssa Francesca Tabellione /wp:paragraph wp:paragraph T.N.P.E.E. /wp:paragraph wp:paragraph (Bibliografia: Spezzi, Crispiani) /wp:paragraph
Per saperne di più
I nostri Blog – da admin
PARLIAMO ANCORA DI DISLESSIA..... da un punto di vista motorio-prassico
wp:image {"id":3276,"sizeSlug":"large","linkDestination":"none","className":"is-style-default"} /wp:image Come possiamo riconoscere un bambino DISLESSICO? Il bambino dislessico, con una intelligenza nella media e normali competenze culturali, manifesta una lentezza nei processi esecutivi, nelle processazioni visive, motorie, uditive, una difficoltà nel mettere in relazione i concetti sequenziali e spazio-temporali con conseguente perdita della comprensione del testo ("smarrimento cognitivo" che emerge soprattutto in presenza di lettura sillabante, lenta e con molti errori), facile stancabilità e labilità attentiva. La letto-scrittura è una competenza multimodale e complessa che interessa funzioni quali il pensiero, la motricità, la memoria, l'attenzione, la simbolizzazione, l'organizzazione spazio-temporale, la predizione, l'intuizione, l'autocontrollo/autoregolazione dunque tutte le Funzioni Esecutive. DISLESSIA E FUNZIONI ESECUTIVE L' esercizio della lettura rientra nelle attività che interessano i processi di pianificazione, ideazione e autocontrollo dell'azione stessa, dunque nelle cosiddette FUNZIONI ESECUTIVE (regolate dai lobi frontali), le quali sono processi cognitivi di ordine superiore che regolano e mantengono l'attenzione, fanno programmi, attivano la memoria di lavoro, garantiscono la sequenzialità, il ritmo, l'aspetto procedurale e la coordinazione del processo lettorio. Esse, oltre a determinare la qualità del processo lettorio, contribuiscono all'adattamento sociale e alla regolazione prassica ed emotiva. L' alunno dislessico ha imparato a leggere, scrivere, calcolare, incolonnare, ma lo fa con discontinuità, inciampi, interruzioni, associati talvolta a prestazioni corrette, è lento nel leggere ma si perde anche nell'ascolto, è distratto, se deve fare un dettato non riesce a seguire il ritmo dei suoi coetanei e si stanca facilmente, non è consapevole dei propri processi mentali (metacognizione): per tale ragione si può associare la Dislessia ad un disturbo delle Funzioni Esecutive (DISFUNZIONE ESECUTIVA), che interessa l'esecutività di prestazioni già apprese, o meglio l'esercizio coordinato e fluente della lettura chiamato automatismo. La Dislessia, quale DISTURBO FUNZIONALE E QUALITATIVO, parzialmente pervasivo, manifesta una caduta notevole nella qualità esecutiva di azioni che si svolgono in base a punti di riferimento spazio-temporali (Mucchielli, Bourcier). Non è una patologia e non costituisce un "dominio specifico", non è settoriale, ma è un disturbo integrato e include sempre, a vario livello, la Disgrafia e la Discalculia, non a caso sarebbe più indicato il termine di Sindrome Dislessica, ovvero disturbo complessivo della letto-scrittura e delle abilità matematiche. La mente dislessica è caratterizzata da un'architettura neuronale (bassa attivazione elettrica corticale e scarsa comunicazione ed efficienza interemisferica) che genera un DISORDINE PERVASIVO, un DISORDINE DELLE PRASSIE con interessamento della strutturazione spazio-temporale e della dominanza laterale e che comporta, di conseguenza, una lentezza nelle abilità di organizzazione, coordinazione, regolazione delle Funzioni Esecutive Umane. QUANDO UN ALUNNO LEGGE BENE? Quando possiede: una prontezza dell'avvio, un andamento costante, giusta velocità, giusta fluidità, un livello di attenzione continua. Nelle normali condizioni, la letto-scrittura è un processo di predizione mentale sul testo, quindi un lavoro di natura GLOBALE, PREDITTIVA (lessicale, di sintagmi o enunciati). Questo significa che "Chi legge e scrive è la MENTE" (chi legge insegue significati), chi regola la letto-scrittura sono i processi coordinativi di molteplici funzioni cognitive, ovvero la COGNITIVITÀ (organizzazione del pensiero): la lettura risulta quindi dalla sinergia di predizione e autoregolazione. LETTURA = PREDIZIONE + AUTOREGOLAZIONE La LETTURA attiva un network cerebrale molto complesso (Angela Friederici), che richiede continui scambi tra i due emisferi, nel quale possiamo riconoscere una sequenza di tre azioni diverse sequenziali: - Salti saccadici: movimenti sequenziali a rapidi scatti che l'occhio e la mente compiono verso destra per conquistare una nuova porzione di testo e sono regolati da fattori di natura visiva e cognitiva - Fissazioni: momenti in cui l'occhio sospende il nistagmo (inibizione saccadica) e si ferma un attimo per registrare una o più lettere attorno a tale punto (polarizzazione) - Regressioni: fissazioni all'indietro da destra verso sinistra necessarie al lettore per sincerarsi di quanto letto. Solo nel caso di difficoltà nello scorrimento sx- dx dovuto a cause multifattoriali (parole lunghe, straniere, astigmatismo, dislateralità, disordini degli scambi interemisferici, disturbi viuso-motori, lentezza nell'attività elettrica corticale), il bambino perde fluidità, inciampa, interrompe, rallenta, ricorrendo alla lettura di singole lettere o gruppi di lettere, quindi alla lettura analitica, sillabica, sub-lessicale. LETTURA FUSIONALE = LETTURA PATOLOGICA, NON LETTURA LETTURA, MOTRICITÀ E SUCCESSIONE SPAZIO-TEMPORALE La lettura impegna, SUL PIANO MOTORIO, una serie di funzioni tra loro coordinate che implicano DIREZIONI E VERSI nello spazio e nel tempo. Nella nostra lingua occidentale infatti si legge e si scrive da sinistra verso destra, si va a capo o si rilegge una parola da destra verso sinistra, si scorrono le righe dall'alto verso il basso. Questi processi motori, visuo-motori, grafo-motori, devono essere eseguiti in maniera automatica, ovvero con andamento continuo, ritmo costante e con l'attivazione di schemi motori nella giusta sequenza, in condizioni di lettura ottimale. Vediamoli in dettaglio! FUNZIONI MOTORIE INTERESSATE DALLA LETTURA - direzione orizzontale e verso da sx a dx - direzione orizzontale e verso da dx a sx (nelle regressioni e nell'a-capo) - direzione verticale e verso dall'alto in basso (nello scorrimento delle righe) SCHEMI MOTORI IN SEQUENZA INTERESSATI DALLA LETTURA - movimento percettivo-cognitivo orizzontale, da sx a dx - movimento percettivo-cognitivo verticale, dall'alto al basso - percezione di segni nel tempo e nello spazio - inseguimento percettivo di segni in movimento o di segni mentre si muove l'osservatore - movimenti crociati (da dx a sx, da sx a dx, nell'a-capo, nel cambio di pagina) - alternanza di progressioni e regressioni nella riga - costanza nell'esecuzione e nel ritmo - osservanza di punteggiatura - pronuncia vocale Perchè è importante anche la successione spazio-temporale nella lettura? La sequenzialità rappresenta un fattore importante dell'agire umano, dal momento che tutti gli schemi d'azione si esercitano l'uno dopo l'altro (sequenza temporale) e occupano un certo spazio (sequenza spaziale), come nel caso delle prestazioni motorie, di pensiero, matematiche e linguistiche. La funzione psicomotoria dello spazio e del tempo (chiamata SUCCESSIONE SPAZIO-TEMPORALE), che dovrebbe essere pienamente sviluppata intorno ai 7 anni, rappresenta un requisito fondamentale per lo sviluppo delle altre funzioni percettive, cognitive, motorie (Crispiani, 2016) e anche per l'apprendimento della letto-scrittura, la quale si caratterizza per ordine di successione spaziale (successione di grafemi- caratteri scritti) e temporale (successione dei fonemi- emissione di suoni); inoltre regolarizza le percezioni, il movimento, il pensiero, la memoria, il linguaggio e si attiva durante la produzione e l'ascolto dello stesso. Gran parte delle dislessie, disgrafie, discalculie, interessano l'errato ordine sequenziale nel tempo e nello spazio di lettere/sillabe/parole/numeri quindi le interruzioni, la lentezza, le sostituzioni che si manifestano all'interno di intere parole, durante la loro pronuncia o lettura/scrittura. I soggetti dislessici manifestano evidenti difficoltà sequenziali anche nell'ordinare i mesi dell'anno o i giorni della settimana, nel dire l'alfabeto, nel muoversi sulla linea del tempo e dei numeri, nel raccontare una storia o la propria giornata (Thomson, Watkins), nelle prassie quotidiane che impegnano la sequenzialità (vestirsi, organizzarsi, ideare, programmare le azioni). DISLESSIA E COMPRENSIONE Spesso, il linguaggio del dislessico è lento o precipitoso, non comporta problemi di ordine fonologico/simbolico ma di ordine motorio/sequenziale, degli automatismi di pronuncia (Crispiani, NIcolson, Fawcett): le sostituzioni di foni si manifestano all'interno delle parole, nel loro procedere sequenziale e non nelle singole emissioni foniche (ad eccezione di quelli speculari che interessano la dominanza laterale quali b-d-p-q). Ad esempio anziché dire o scrivere dialogo, il bambino potrà scrivere diagolo, oppure cinema diventerà cimena, lame diventerà mela, ecc.. Di frequente, il bambino dislessico va incontro a insufficiente o scarsa comprensione del testo, a causa della lettura sillabica, dislfuente, lenta e con numerosi errori che porta lo stesso a smarrirsi nelle sequenze spazio-temporali e a perdere il senso di ciò che sta leggendo. Pertanto, alcune ricerche confermano che la mancata comprensione del testo consegue alla cattiva lettura o scrittura e non rientra tra gli indicatori primari, bensì tra i disturbi secondari della lettura. Quali sono le abilità cognitive necessarie ad una buona comprensione del testo? Per acquisire una buona comprensione del testo, il bambino deve possedere una buona fluidità di lettura (rapido start/incipit, rapida autoregolazione, andamento costante, scarse interruzioni) e una buona memoria di lavoro, la quale consente il recupero delle informazioni logiche salienti attraverso un processo inferenziale (* il processo inferenziale consente di capire il significato di una parola sulla base del contesto in cui è inserita) VEDIAMO IN DETTAGLIO I FENOMENI CARATTERISTICI DEL BAMBINO DISLESSICO CHE AUMENTANO o RIDUCONO LA VELOCITÀ DI LETTURA tendenza alle interruzioni, inciampi, blocchi motori/visuo-motori che rallentano la velocità (fenomeno tipico del disprassico) tendenza alla iperlettura o accelerazione forzata della velocità, chiamata precipitazione esecutiva, che incrementa sensibilmente la velocità (fenomeno neurobiologico che può essere connesso a scarsa autoregolazione) tendenza alla predittività eccessiva che si manifesta con invenzioni di parole o sintagmi di significato simile al testo reale, fenomeno che incrementa la velocità- tendenza alla lentezza dell' INCIPIT, condizione di disordine motorio di natura funzionale che ritarda l'avvio di un processo motorio o cognitivo portando a due condotte opposte, lentezza o precipitazione esecutiva: il dislessico, infatti, fa fatica a rispondere in maniera rapida a domande poste all'improvviso dall'insegnante. È interessante notare questo anche nell'attività elettrica corticale, la quale risulta rallentata, randomizzata, discontinua !! tendenza alla disattenzione e all'oppositività che può manifestarsi anche con rifiuto selettivo di lettura, paura, ansia, disagi, scarsa motivazione. INDICATORI FONDAMENTALI DELLA QUALITÀ DI LETTURA Approfondiamo bene questo discorso dicendo che il fattore fondamentale della qualità di lettura è la FLUIDITÀ e non la VELOCITÀ, la quale include: prontezza nell'incipit costanza nell'esecuzione rapidità nell'autocorrezione prontezza del riavvio dopo interruzioni giusta velocità La fluidità esecutiva consente di mantenere costante la velocità, sorregge l'efficacia e l'efficienza, i processi di autoregolazione e autocorrezione, consente la comprensione del senso dell'agire, indica la qualità dell'agire ma soprattutto genera automatismi. Pertanto, la lettura e la scrittura devono esprimersi attraverso la Fluidità: il bambino dislessico ha difficoltà ad iniziare a leggere con sicurezza e senza esitazioni, procede con andamento e velocità incostanti, tende spesso a interrompersi e rileggere più volte lettere/sillabe/parole, non si autocorregge rapidamente e non manifesta tempi di attenzione adeguati sul processo lettorio. Se il bambino perde fluidità, viene meno il lavoro di velocità e di predizione mentale sul testo, di accesso al significato delle parole e ricorre alla lettura analitica (decifrazione delle singole lettere e fusione delle lettere). FLUIDITÀ = COSTANZA = AUTOMATISMI Il problema centrale della DISLESSIA risiede dunque nella mancata corretta attivazione e stabilizzazione di un processo automatico relativo alle funzioni esecutive e all'attività elettrica corticale: ciò sottolinea la stretta correlazione tra il disordine e la motricità, individuando i fattori disfunzionali nei dinamismi neuro-motori che regolano l'azione, in particolare le sequenze - le successioni - la fluidità, fattori che riconoscono nella DISLESSIA UNA DISPRASSIA SEQUENZIALE. SEQUENZE + FLUIDITÀ = FUNZIONALITÀ DISTURBI SEQUENZIALI + DISFLUENZA = DISPRASSIA SEQUENZIALE = DISLESSIA CATENA CAUSALE DELLA DISLESSIA "Non tutti i disprassici sono dislessici, mentre tutti i dislessici sono disprassici" Le ricerche neurofisiologiche affermano che la DISLESSIA rientra tra i disturbi del pensiero, di natura organizzativa e coordinativa e non intellettiva e che il termine più appropriato sia quello di DISORDINE anziché DEFICIT, mettendo in luce la natura neurobiologica del disturbo che riconosciamo come DISORGANIZZAZIONE NEUROLOGICA cui consegue un DISORDINE FUNZIONALE. DISORGANIZZAZIONE NEUROLOGICA: indica lo stato non ottimale della fisiologia di alcune funzioni cerebrali corticali ed inter-emisferiche, per disordine dei flussi corticali, degli scambi inter-emisferici, dislateralità, che determina disordini funzionali relativi alla fluida e automatica esecuzione di alcune funzioni umane o disturbi di natura qualitativa (disordini). DISORDINI FUNZIONALI: esecuzione disordinata di azioni corporee e psichiche, disfunzioni qualitative, lentezza alternata a precipitazione, disorientamento spazio-temporale, disprassie, che interessa le funzioni esecutive nella componente coordinativa (disturbi della cognition). DISTURBO DELLA SUCCESSIONE: inefficiente esecuzione sequenziale della successione di azioni, dovuta a motivi neurologici, a disordini della dominanza laterale o delle funzioni esecutive, che determina goffaggini, disturbi spazio-temporali, disturbi motori, disprassie, dislessie. SINTOMI SECONDARI: i disordini spaziali, temporali, della dominanza laterale e della successione creano disordini e lentezza nella funzioni motorie, percettive, linguistiche, grafomotorie, del pensiero, delle emozioni e delle funzioni esecutive in generale che sono alla base della lettura-scrittura-calcolo. Tali sintomi riguardano la lentezza esecutiva, gli impacci, scoordinamenti, disfluenze, stancabilita, disordini generali. SINTOMI PRIMARI DI DISLESSIA, DISGRAFIA, DISCALCULIA SINTOMI DERIVATI: a causa dei disturbi esecutivi, si mettono in atto condotte inadeguate quali fughe dal compito, rifiuti, nervosismo, smarrimenti, disortografia, bassa autostima, insuccessi scolastici. SITUAZIONI CRITICHE: le disfunzioni primarie e secondarie si osservano maggiormente in condizioni di pressione emotiva, confusione, rapidità/lentezza, dettato, copiatura, compiti lunghi, traduzioni, ecc. DISLESSIA E TEORIA DISPRASSICO- SEQUENZIALE Gli indicatori della sindrome dislessica, come della disprassia, inquadrano il fenomeno a carico del movimento in ogni sua forma (corporea, linguistica, mnemonica, del pensiero, delle emozioni), sottolineando che gli errori dislessici e disgrafici si manifestano nel movimento cinetico sequenziale e non nella codifica o decodifica di singole lettere. Le caratteristiche che mettono in evidenza il fatto che la DISLESSIA SI MANIFESTI NEL MOVIMENTO sono: la lentezza esecutiva nella lettura e scrittura, la difficoltà negli schemi crociati (incolonnamenti, prestito, riporto, andare a capo), gli errori nelle rotazioni (chiusure dei cerchi, inversioni di frasi, pensieri, simmetrie, ecc), le inversioni di direzione e verso (lettere e numeri speculari, smarrimento nelle espressioni, equazioni, traduzioni, frasi lunghe). Molti autori hanno sottolineato la matrice PRASSICO-MOTORIA DELLA DISLESSIA: - ORTON, DOMAN, DELACATO, KOCHER, MUCCHIELLI, BOURCIER, BOREL-MAISONNY, CACCIAGUERRA: hanno evidenziato la natura cinetica delle inversioni di lettere collegando la dislessia al disturbo motorio - AJURIAGUERRA: affermava la natura disprassica della disortografia, segnalandone i tratti con criterio prassico-motorio e distinguendo 5 gruppi di disgrafie (controllati, rigidi, impulsivi, molli, lenti e precisi) - GUTTON: ha ipotizzato nei dislessici difficoltà percettivo-motorie, disorganizzazione spaziale e temporale e disordini linguistici dati da una scarsa organizzazione dello schema corporeo - STAMBAK: ha riscontrato problemi nel ritmo e nelle funzioni temporali nei dislessici - BILANCIA, BERTELLI: hanno rilevato che la dislessia e disgrafia sono riconducibili a problemi di coordinazione motoria e non a ritardi linguistici o cognitivi - CHIARENZA: ha osservato, tramite EEG, dinamiche elettrofisiologiche che regolano il movimento in generale e in particolare la letto-scrittura, evidenziando la dimensione temporo-spaziale e motoria compromessa. Inoltre ha misurato l'attività elettrica corticale dei dislessici e ha riscontrato come il cervello dislessico si prepari con tempi rallentati - SIMONETTA, MASSENZ: hanno sottolineato la natura psicomotoria della dislessia, con attenzione particolare alle carenze percettivo-motorie, tonico-posturali, prassiche, motorie-coordinative, oculo-motorie e riconducendo la dislessia alla non affermazione della naturale prevalenza motoria geneticamente determinata - NICOLSON E FAWCET: correlano la dislessia ad una non ben definita dominanza laterale, associata a disordini motori generali. Inoltre associano gli errori fonologici e la dislessia ad una minore attivazione del cervelletto, interessando il linguaggio da un punto di vista sequenziale e articolatorio. Le ricerche di Schmahmann nel 1991 hanno rilevato che oltre a regolare il coordinamento motorio, il cervelletto ha funzioni cognitive: è implicato nella memoria di lavoro e nell'attenzione, nel ragionamento astratto, nella flessibilità cognitiva, nell' aspetto visuo-spaziale, nelle funzioni linguistiche e nella prosodia (regola la motricità verbale, l'incipit locutorio e motorio). MAPPA SEMEIOTICA DELLA DISLESSIA-DISPRASSIA DISLESSIA E DISATTENZIONE Di frequente genitori e insegnanti riferiscono che molti dei bambini dislessici sono disattenti sia a scuola e sia nelle normali attività quotidiane. La disattenzione disturba l'agire, come le difficoltà dell'agire (errori, interruzioni, lentezza) disturbano l'attenzione. Per tale ragione sarebbe opportuno fare una diagnosi differenziale con la sindrome definita ADHD qualora vi sia uno stato di Co-morbilità. Si riscontra nel dislessico, così come nel disprassico, una insufficiente attenzione selettiva, una "insofferenza agli stimoli laterali", indicando con questo termine la difficoltà nell'inibire gli stimoli laterali visivi e sonori presenti nell'ambiente. La disattenzione si può manifestare come: - discontinuità nella relazione verbale duale - interruzioni nella lettura con focalizzazione sulle illustrazioni - notevole discontinuità dell'attenzione in classe La discontinuità attentiva, nella sindrome dislessica, è generata dalla lentezza della lettura e dalla relativa perdita della comprensione del testo, dalle frequenti interruzioni e successiva stancabilità e affaticamento, fenomeno definito "smarrimento cognitivo o Sindrome di Jack" (Crispiani, Giaconi). Tuttavia la disattenzione non rientra tra le cause della dislessia. INDICATORI PRASSICO-MOTORI DELLA SINDROME DISLESSICA Il linguaggio, pur attivando funzioni di ordine logico, semantico, intellettivo e percettivo, è sorretto da una fisiologia neuro-motoria che consente di essere esercitato nello spazio e nel tempo. I trattamenti che vertono anche sulle funzioni motorie e prassiche, condotte con modalità veloci, intensive e simultanee (e non lente o frammentate!!!) consentono di ottenere miglioramenti sia nella lettura (scrittura e calcolo) e sia sulle funzioni esecutive globali. ⚠ Si distinguono due tipi di indicatori prassico-motori della dislessia: Indicatori primari Generali: - lentezza alternata a precipitazione - lentezza nell'incipit - lentezza nell'autoregolazione/ autocorrezione - interruzioni e speculiarità (p,b,d,q) - sostituzione o soppressione di lettere nelle parole Nella lettura: - perdita del rigo o smarrimento nell'a-capo - inversioni della posizione spaziale di lettere o sillabe - frammentazione, sillabazione, lentezza Nella scrittura: - irregolarità grafo-motoria - lettere slegate - riprese grafiche, ritocchi, mancate chiusure - incompletezze in grafemi (m-n), associazione di parole - inversioni della posizione spaziale di lettere - smarrimento esecutivo nel dettato motorio Nella matematica: - scrittura speculare di numeri - inversioni di cifre (13-31) - errori nel calcolo e nell'incolonnamento Indicatori secondari (da tenere in considerazione per eventuale diagnosi di Sindrome Dislessica specifica) - ritardo frequente nell'inizio della deambulazione - lentezza motorio-prassica associata a precipitazione - scoordinamenti, maldestrezza, impacci sequenziali (disprassia) - disordini negli schemi motori rapidi e crociati - difficoltà nell'inseguimento oculo-motorio e percettivo, nella coordinazione oculo e bimanuale (giochi con la palla, fare il fiocco alle scarpe, prendere al volo, vestirsi, ecc.) - smarrimento nei giochi di gruppo - disturbi linguistici di natura motoria (incipit, inversioni, lentezza, interruzioni, precipitazione) e insofferenza alla confusione e alla iperstimolazione - disturbi spazio-temporali e della memoria di lavoro (Funzioni Esecutive) - frequente dislateralità - miglioramento nella lettura obliqua - irregolarità dei movimenti oculari (Goldberg, 1968) DISLESSIA E DISLATERALITÀ Il cervello umano è caratterizzato dalla lateralità e dalla dominanza laterale le quali, in condizioni favorevoli, contribuiscono all'ottimizzazione degli scambi interemisferici e dei flussi o circuiti corticali. La LATERALITÀ indica la parziale specializzazione degli emisferi e di alcune zone corticali, attribuisce a uno degli emisferi l'organizzazione dell'atto motorio che porterà all'apprendimento e al potenziamento delle prassie. Dunque costituisce un dato neurologico e prassico. La DOMINANZA LATERALE, che indica la prevalenza di un emisfero corticale sull'altro, è responsabile di tutte le azioni umane che impegnano bilateralmente il cervello, quali la percezione, la motricità, il linguaggio, le sequenze motorie, le abilità prassiche, l'orientamento spazio-temporale: regola gran parte della fisiologia cerebrale, rendendo favorevoli o sfavorevoli i flussi corticali che gestiscono il comportamento, proietta in maniera controlaterale all'emicorpo opposto, favorisce una migliore specializzazione emisferica, miglior efficienza del sistema crociato, migliore direzionalità dell'agire umano nello spazio, migliore esecuzione degli schemi motori e percettivi crociati. La condizione di mancata, anomala, ritardata dominanza laterale o del processo di LATERALIZZAZIONE viene chiamata DISLATERALITÀ ed è sempre presente nei soggetti dislessici. Se la lateralità è disturbata (come nei seguenti casi: sinistra non primaria o "non pura", destra/sinistra contrariata, destra/sinistra con interferenze e orientata in senso inverso, dominanza mista o crociata, in ritardo fisiologico), gli scambi elettrici tra i due emisferi saranno rallentati (andamento randomizzato dei flussi corticali - Chiarenza), il bambino non disporrà della necessaria organizzazione neurologica e manifesterà: disordini nei lavori da sx a dx, negli schemi crociati e nelle funzioni esecutive, lentezza nell'incipit ed esecutiva (rallentamento della "Reveil Funzionale", ovvero della reattività generale del soggetto), insofferenza alla confusione e alla pressione, disordini nelle prassie bimanuali, lentezza nei movimenti oculari, disordini nell'orientamento temporo-spaziale, disordini nel linguaggio verbale, nell'interazione sociale, nel pensiero e nel controllo delle emozioni. Per quanto concerne gli apprendimenti, in particolare la lettura, la dislateralità può comportare: - lentezza e interruzioni, frequenti inciampi o errori cinetici - scarsa fluidità nella lettura - errori nella lettura di grafemi che impegnano la dominanza laterale (p,b,d,q) - inversioni dell'ordine sequenziale di sillabe nelle parole (cinema-cimena) - smarrimenti nel cambio di riga (a-capo) - rotazioni e specularità DISLESSIA E FUNZIONI PSICOMOTORIE Le funzioni psicomotorie sono funzioni mentali specifiche di controllo della dominanza laterale, dell'organizzazione spazio-temporale, della motricità, della postura: permettono l'esecuzione delle prassie/sequenze complesse e rappresentano la base delle funzioni cognitive superiori (apprendimenti scolastici) e della cognitività. Nel bambino dislessico, tali funzioni risultano disordinate, carenti e interferiscono con la spazialità - temporalità - velocità esecutiva, generando stanchezza, smarrimento nell'elaborazione degli ordinamenti spaziali e temporali della lettura (caratteri scritti e suoni emessi), con successiva perdita della comprensione. Lettura: - se la lateralità è disturbata, il bambino manifesterà difficoltà nella direzionalità sx-dx - se la percezione è disturbata, il bambino manifesterà difficoltà nell'inseguimento visivo e nei movimenti oculari (saccadici) - se è carente l'organizzazione spazio-temporale, il bambino farà fatica nel riconoscere l'orientamento delle lettere e la sequenza di lettere dentro le parole PERCORSO SCOLASTICO DI UN BAMBINO DISLESSICO SCUOLA DELL' INFANZIA Il bambino si presenta goffo, impacciato, scoordinato (problemi nell'equilibrio e nel controllo tonico-posturale), lento, può avere un'abilità percettivo-ideomotoria carente, scarsa organizzazione della percezione visiva/uditiva/tattile, difficoltà nell'organizzazione dello schema corporeo e della lateralità (a 5 anni può non essere ancora lateralizzato), difficoltà nel ricordare due azioni motorie o verbali ed eseguirle in sequenza. Inoltre può manifestare difficoltà nel compiere più azioni motorie o verbo-motorie in simultanea, impaccio nella motricità fine, nell'impugnatura dello strumento grafico, disegno immaturo (non rispetta lo spazio o il verso sul foglio), nelle abilità sociali e relazionali (non riesce a prendere la parola nel gruppo o a seguire una conversazione con i pari), può essere piuttosto inibito e passivo con scarsa capacità di prendere iniziative. SCUOLA PRIMARIA Manifesta difficoltà nell'organizzazione dei compiti scolastici, lentezza nell'incipit, può manifestare una lentezza nell'esecuzione di attività o eccessiva precipitosità (comportamento impulsivo), necessita di tempi maggiori per eseguire le attività, partecipazione e collaborazione discontinue alle lezioni con attenzione labile ed elevato dispendio energetico, tendenza a smarrirsi nelle sequenze spazio-temporali con discomprensione del testo, fa fatica a concettualizzare e generalizzare il proprio sapere. SCUOLA SECONDARIA il bambino manifesta lentezza nell'incipit, difficoltà nel colpo d'occhio percettivo (individuare i concetti chiave), nell'orientare e spostare l'attenzione su ogni concetto, nella memoria di lavoro (recupero delle conoscenze pregresse), nel pensiero (organizzare le conoscenze e generalizzarle), nel pianificare adeguatamente le risposte, nel metodo di studio, nella metacognizione (riflessione sul proprio pensiero). ADULTO Si osserva una scarsa autonomia, scarsa comprensione inferenziale e scarse abilità organizzative, frustrazione e bassa autostima, comportamenti di evitamento e probabile "chiusura emotivo-relazionale". CONSIGLI UTILI E CONSIGLI DA EVITARE CON UN BAMBINO DISLESSICO ?♀️ NON FAVORIRE - pratiche educative lente, frammentate, discontinue, orientate alla disfluenza: queste pratiche educative o abilitative hanno lo scopo di migliorare la correttezza morfologica- grammaticale delle lettere attraverso la lettura o scrittura frammentata ma RALLENTANO L'ESECUZIONE E GLI AUTOMATISMI, STANCANO, AFFATICANO I PROCESSI COGNITIVI E CREANO DEMOTIVAZIONE - utilizzo di strumenti che suppliscono la funzione, si sostituiscono alla lettura (sintetizzatori, libri digitali), alla scrittura (tastiera e video-scrittura) o al calcolo (calcolatrice), ad eccezione di prove scolastiche finali: in questo modo si favorisce l'inerzia cognitiva e non si va a stimolare l'organo nè la funzione, tendendo a bypassare il compito - la lettura o scrittura di singole lettere o sillabe - la lettura o scrittura lenta e precisa - la lettura sub-vocale (sottovoce) - la scrittura in stampato - la lettura o scrittura su caratteri grandi - la scrittura su tastiere - correggere o fermare il bambino mentre scrive o legge - insistere a farlo leggere ad alta voce - insistere nella copiatura dalla lavagna - leggere o scrivere al suo posto - insistere a farlo scrivere sotto dettatura ?♀️ DA PROMUOVERE - lettura e scrittura di parole intere, verbalizzando l'intera parola o enunciato prima di scrivere - scrittura normale e in corsivo (incrementare la scrittura manuale e le abilità grafomotorie) - lettura di caratteri normo-dimensionati (in genere Times New Roman, 12 o 14) e ravvicinati: lettere a corpo grande, secondo le ricerche dell'istituto ITARD, appesantiscono lo scorrimento lettorio sulla riga. Se lo spazio occupato è minore, ovvero se le lettere sono piccole e lo spazio tra loro contenuto, si avrà un processo percettivo migliore, al cosiddetto "colpo d'occhio" e la prestazione lettoria sarà maggiormente fluida e meno interessata da interruzioni o disfluenza: il dislessico reca uno span visivo meno capiente (più corto), pertanto si può affermare che la vicinanza delle lettere agevola la lettura. - lettura a incipit rapido - lettura e scrittura fluide - lettura predittiva: "a scomparsa", iterata - lettura obliqua - anticipazioni cognitive sul testo - esercitare la narrazione e la resocontazione, sollecitando forme espanse (solo per la comprensione invece, si possono utilizzare mappe e schemi in modo che il bambino comprenda senza smarrirsi nelle sequenze) - attivare lo stato di allerta con costanti feedback (attivazione funzionale) durante la spiegazione orale prolungata, ovvero promuovere l'attenzione del bambino e la comprensione attraverso domande di monitoraggio, riformulazione, ripetizioni o didascalie Articolo realizzato ed elaborato dalla dott.ssa Francesca Tabellione, terapista della neuropsicomotricità dell'età evolutiva, terapista itard, tutor adhd e dsa, psicomotricista funzionale, esperta in dsa,disordini delle funzioni esecutive, disprassia, disturbi percettivi e visuo-spaziali, disturbi della coordinazione motoria, riabilitazione del gesto grafico e della disgrafia, autismo, adhd, disturbi dell'attenzione, sindromi genetiche, ritardo mentale (Bibliografia: Clinica della dislessia e disprassia, Dislessia come disprassia sequenziale - Crispiani, Dislessia e potenziamento cognitivo, Nuovo dislessia e didattica- Spezzi)
Per saperne di più
I nostri Blog – da admin
‼ CAPIRE LA MENTE DI UN BAMBINO DISLESSICO‼
‼ CAPIRE LA MENTE DI UN BAMBINO DISLESSICO‼ Prestazioni scolastiche, quali sono gli alunni efficienti e quali sono gli alunni dislessici, strategie e consigli, dall'organizzazione alla disorganizzazione neurologica funzionale La dislessia, secondo la teoria prassico-motoria, è un disturbo delle prassie, con particolare riferimento alle sequenze e alla fluidità delle funzioni esecutive e con interessamento della dominanza laterale e DELL'ORGANIZZAZIONE spazio-temporale (la natura motoria della dislessia è sottolineata vari da autori quali Orton, Ajuriaguerra, Chiarenza, Nijokiktjien, Stamback, Crispiani, Simonetta, ecc.) Il problema dislessico risiede nella compromissione degli automatismi, ovvero dell'esercizio fluente e coordinato, della letto-scrittura. Chiarenza, nel cervello dislessico, ha rilevato sul piano neurofisiologico non un danno alle zone corticali bensì un disturbo dei circuiti neurali corticali e una bassa attività elettrica cerebrale che coinvolge anche l'efficienza degli scambi interemisferici, che sono interessati da una andamento randomizzato (lento), discontinuo, disfluente e che causa, come conseguenza, un rallentamento delle funzioni e dei processi esecutivi e un disturbo funzionale nelle prassie. QUAL È L'INTERVENTO EDUCATIVO PIÙ IDONEO PER UN DISLESSICO?Gli interventi riabilitativi e/o educativi dovrebbero prevedere strategie e attività rapide, simultanee e intensive per consentire la NEUROATTIVAZIONE-POTENZIAMEMTO- STABILIZZAZIONE DEI CIRCUITI CEREBRALI, stimolando la plasticità cerebrale e aumentando l'attività elettrica per ottenere una velocizzazione NELL' INCIPIT DELL' AGIRE UMANO: in tal modo, velocizziamo il bambino dislessico in tutte le sue prestazioni, corporee, percettive, emotive, intellettive, scolastiche. ⚠️ DA FAVORIRE DURANTE LA PRESTAZIONE SCOLASTICA ⭐ Dobbiamo aiutare il b.no dislessico a: ⭐ formulare mentalmente un piano di azione (pianificare il compito)⭐ coordinare un'azione intenzionale⭐ favorire l'esecuzione di più funzioni in contemporanea (sinestesie)⭐ spostare e mantenere l'attenzione e migliorare la memoria di lavoro⭐ favorire i processi di autoregolazione/autocontrollo/autoregolazione inibendo reazioni impulsive⭐ incrementare la sequenzialità delle azioni o prestazioni⭐ generare nuove strategie e migliorare il problem-solving⭐ concettualizzare e generalizzare il proprio sapere⭐ costruire mappe e schemi nello studio (le forme sintetiche sono utili nelle spiegazioni così l'alunno dislessico può comprendere senza smarrirsi nelle sequenze) ma esporre in forme verbali estese⭐ favorire la fluidità esecutiva (giusta velocità, rapidità dell'incipit, rapidità dell'autocorrezione, scarse interruzioni) nelle prestazioni scolastiche e prassico-motorie⭐ favorire la lettura globale, predittiva, lessicale, la narrazione, il dettato verbale via via più lungo, il calcolo orale rapido, la scrittura di numeri a più cifre, la memorizzazione delle tabelline in ordine casuale, la scrittura in corsivo fluida (parole intere) e le abilità grafomotorie, il movimento nella linea dei numeri e del tempo, l'incolonnamento, consentire la lettura in obliquo (poiché si riduce il lavoro sx-dx sempre difficoltoso nei dislessici), segmentare il testo dei problemi matematici (senza "frammentare") ⚠️ DA EVITARE ⭐ La scrittura o la lettura di singole lettere e sillabe⭐ Forme di lettura e scrittura ad approccio analitico-sintetico (per fusione di lettere e sillabe)⭐ La lettura forzata ad alta voce⭐Evitare l'uso della calcolatrice o sintetizzatori vocali (ad eccezione di prove finali) ⭐ la pressione temporale nell'esecuzione di compiti⭐ i lavori di gruppo, lo studio mnemonico, il lavoro su tabelle poco ordinate, prove a risposta multipla (disperdono l'attenzione del bambino)⭐ i riassunti: un questo modo non aiutiamo il bambino dislessico a sviluppare un metodo si studio efficace. Ricorrere ai riassunti non porta a una concettualizzazione del sapere che deve essere costruito a livello metacognitivo per raggiungere la competenza⭐ Lezioni lente, lunghe, senza pause o momenti di recupero con domande di monitoraggio, riformulazioni, ripetizioni di ciò che si sta spiegando, non sono utili poiché: ⭐ non incrementano l'attività elettrica del cervello⭐ provocano una dispersione dell'attenzione portando a uno "smarrimento cognitivo" dell'alunno dislessico⭐ non stimolano la memoria di lavoro, l'organizzazione delle conoscenze e la pianificazione delle risposte adeguate al contesto⭐ non favoriscono la metacognizione, ovvero la riflessione sul proprio pensiero, il controllo e la regolazione delle attività richieste dai compiti mentali Articolo redatto dalla Dott.ssa Francesca Tabellionea cura dellaDott.ssa Erika D'Antonio (Bibliografia: Crispiani, Spezzi) wp:tadv/classic-paragraph /
Per saperne di più
I nostri Blog – da admin
ADHD E INSTABILITÀ PSICOMOTORIA
Il disturbo da deficit di attenzione e iperattività (ADHD) è una delle patologie più importanti e frequenti in età evolutiva. Può essere osservato con diverse manifestazioni cliniche dall'età prescolare fino all'età adulta e interessare/ compromettere diverse competenze di sviluppo e di funzionamento sociale e adattivo del bambino ⭐ I tre sintomi principali sono: la DISATTENZIONE, L'IMPULSIVITÀ e L'IPERATTIVITÀ. Analizziamole in dettaglio. ⭐ La DISATTENZIONE: si manifesta con difficoltà nel prestare attenzione per un periodo di tempo prolungato, scarsa cura per i dettagli, incapacità di portare a termine compiti intrapresi. I bambini sembrano avere la "testa tra le nuvole" e pensare sempre ad altro, evitano di eseguire compiti che richiedono maggior impegno intellettivo, buone capacità di pianificazione/ organizzazione o attenzione per i particolari, perdono frequentemente i loro materiali a scuola o oggetti significativi e dimenticano spesso le cose (scarsa memoria di lavoro)⭐L'IMPULSIVITÀ: si manifesta con difficoltà nell' autoregolazione e autocontrollo non solo a livello motorio (fanno fatica a rispettare la turnazione e l'attesa in un gioco o nel gruppo volendo agire per primi) ma anche a livello cognitivo (fanno fatica a spostare il focus attentivo da un compito all'altro, sono rigidi nel pensiero e poco flessibili, hanno difficoltà ad organizzare compiti complessi, a generare nuove strategie, nel problem-solving, non amano i cambiamenti repentini di ambienti- persone o attività)⭐ L' IPERATTIVITÀ: sono bambini descritti "come mossi da un motorino", sono in costante movimento, fanno fatica a stare fermi anche per pochi secondi, a mangiare seduti a tavola, a rispettare anche semplici regole, rispettare i tempi e gli spazi dei loro coetanei e a rimanere seduti a scuola. Ricordiamo che tutti questi sintomi, inclusi nel DSM IV, non sono dati da deficit cognitivi o disturbi organici o ritardi mentali, ma derivano da una povera integrazione sensoriale (sistema vestibolare iporeattivo) con conseguente disorganizzazione neurologica: i bambini iperattivi saltano e si muovono continuamente non perché vogliono farlo ma perché il loro cervello è in sovraccarico di stimoli e di conseguenza rispondono con un'attività eccessiva COME APPAIONO QUESTI BAMBINI agli occhi di insegnanti, genitori o coetanei? Sono bambini che perdono facilmente la concentrazione, anche dopo 5 minuti, hanno difficoltà nei processi di autoregolazione, autocontrollo e autoinibizione (funzioni esecutive), pertanto fanno fatica a controllare i loro impulsi, a Co-regolarsi, a posticipare una gratificazione, a riflettere prima di agire e a controllare i loro movimenti, con notevoli ripercussioni sugli apprendimenti scolastici e sul loro profilo emotivo/psicologico.Sebbene si muovano costantemente, possono apparire goffi, inaccurati e ineleganti nei loro movimenti. Possono inoltre manifestare difficoltà nel dosare la forza (controllo tonico-motorio) quando devono ad esempio saltare, prendere un oggetto, afferrare/lanciare una palla, impugnare la matita o una forchetta, ecc. e difficoltà notevoli nel controllo posturale e nell'equilibrio statico-dinamico (non riescono a saltare con un solo piede o a rimanere su una sola gamba per brevi secondi). ⚠️ POSSIAMO OSSERVARE CAMPANELLI DI ALLARME SIN DAI PRIMI MESI DI VITA? Si, sono bambini che già a partire dai primi mesi (7/8 mesi) evidenziano una eccessiva ipercinesia motoria, sono irritabili, piangono spesso, possono rifiutare il cibo per problemi di tattilità a livello orale, essere infastiditi da alcune consistenze di cibo, da carezze o da tessuti particolari, possono manifestare un ritardo nell'acquisizione delle tappe di sviluppo, un ritardo nello sviluppo del linguaggio, una difficoltà nell'inseguimento visivo di oggetti che si muovono nel loro campo visivo, difficoltà nel prestare attenzione al viso della mamma (1/2 mes), nell'afferrare oggetti o nella coordinazione oculo-manuale. Inoltre, il deficit attentivo può essere presente già in età prescolare, associato talvolta a disturbi del sonno, disturbi della condotta con scoppi d'ira o un comportamento oppositivo/ aggressivo che può portare ad auto ed eterolesionismo. Recenti ricerche hanno dimostrato che se consentiamo, a scuola, a un bambino con ADHD qualche minuto per alzarsi dal banco e saltare o ruotare su se stesso, i suoi tempi di attenzione possono migliorare di circa 20 minuti in più sull'attività che stava svolgendo. Riflettete su questo, considerando le basi neurofisiologiche-neurobiologiche di tale disordine! Tali comportamenti, se non si intraprende un intervento tempestivo/precoce (età 2- 6 anni), possono impedire e limitare una maturazione delle competenze sociali e relazionali, scolastiche, adattive, fino a divenire un vero e proprio disturbo invalidante. ⭐ Articolo redatto dallaDott.ssa Francesca Tabellionea cura della Dott.ssa Erika D'Antonio wp:tadv/classic-paragraph /
Per saperne di più
I nostri Blog – da admin
I GENITORI E GLI INSEGNANTI POSSO ACCORGERSI DI UN EVENTUALE DISORDINE/DISTURBO NEL BAMBINO GIÀ NEI PRIMI ANNI DELLO SVILUPPO (0-5 ANNI)?
VEDIAMO L'IMPORTANZA DEL MOVIMENTO E DEL GIOCO PER LO SVILUPPO DI UN BUON COMPORTAMENTO- APPRENDIMENTO- AUTONOMIA- LINGUAGGIO Quando ci troviamo di fronte a un bambino con disordini dell' età evolutiva, è importante, oltre al professionista di riferimento, il supporto e la cooperazione dei genitori e insegnanti per migliorare lo sviluppo neurologico e permettere al bambino di riuscire nelle sfide della vita. Uno dei più importanti segnali a cui bisogna prestare attenzione è l' assenza o uno sviluppo atipico del gioco: il gioco sviluppa le funzioni cerebrali (immagine corporea, pianificazione motoria, organizzazione spaziale, esperienze propriocettive-vestibolari-tattili) e spesso, quando un bambino non gioca allo stesso modo di un suo pari, i genitori tendono a pensare che non sia interessato, tralasciando che possa esserci un problema sottile di integrazione e processione sensoriale non visibile ai loro occhi. Ricordiamo che è proprio attraverso il gioco che si organizza il sistema nervoso dei nostri bambini: le esperienze sensori- motorie sono fondamentali per permettere al b.no di sviluppare adeguate abilità prassico-motorie, pianificatorie-organizzative ed emotivo-comportamentali. Ci siamo chiesti perché oggi molti bambini sono disorganizzati, disattenti, ipercinetici e spesso anche infelici e tendenti alla depressione infantile? A tutti i genitori, professionisti e insegnanti ricordiamo che se il b.no ha un sistema nervoso ben organizzato, ci apparirà entusiasta, felice e desideroso di apprendere attraverso il gioco nuove abilità o competenze! CONSIGLI PER GENITORI, INSEGNANTI E PROFESSIONISTI PER RICONOSCERE E AIUTARE UN BAMBINO CON DISORDINI/ DISTURBI DELL'ETÀ EVOLUTIVA A SVILUPPARSI IN MODO OTTIMALE ‼ L'apprendimento del bambino comincia con il proprio corpo. È tramite il gioco e il divertimento che il bambino sperimenta il movimento e la stimolazione vestibolare, esplorando l'ambiente e le proprie emozioni. Già da neonato consigliamo ai genitori di non utilizzare i moderni attrezzi quali seggioloni, girelli o sdraietta, ma posizionare il bambino sul pavimento per permettergli di acquisire il controllo sul proprio corpo e l'equilibrio, il controllo del capo, la capacità di compiere passaggi posturali, sviluppare la coordinazione oculo-manuale, la visione binoculare/bifocale (messa a fuoco di oggetti vicini e lontani), la fiducia in sé stesso, la capacità di afferrare oggetti (risposta adattativa), la pianificazione e il problem-solving, la capacità di percepire le distanze tra il proprio corpo e gli oggetti e i rapporti spaziali tra gli elementi dell'ambiente. Sul pavimento il bambino acquista la libertà di muoversi e riceve tutte le stimolazioni sensoriali di cui ha bisogno, che non potrebbe avere se limitato e confinato su di una sedia o dentro ad un boxer ⭐ Giocare tramite capriole, rotolare o girare su sé stesso, è il risultato di stimoli neuronali provenienti dal cervello: è proprio durante il gioco che vengono stabiliti diversi fattori di crescita neuronali, le abilità sociali e gli adattamenti comportamentali attraverso la stimolazione del sistema limbico (parte del nostro cervello responsabile delle emozioni, connesso al lobo frontale, che a sua volta è coinvolto nel controllo degli impulsi e del comportamento)⭐ Consigliamo ai genitori di lasciare che il bambino sviluppi le proprie capacità e di esplorare il loro ambiente senza manifestare eccessive protezioni (ovviamente con limiti di sicurezza) cadendo per imparare a mantenere l'equilibrio, arrampicandosi per imparare percepire le altezze, ecc.. affinché il bambino possa avere l'opportunità di apprendere dalla propria esperienza: quest'ultima diventa il nutrimento per lo sviluppo del sistema nervoso del figlio⭐ L'apprendimento, il linguaggio e il comportamento sono tutti quanti collegati alla funzionalità del sistema motorio e al controllo del movimento. Quando i bambini entrano a scuola si da per scontato che siano capaci di rimanere seduti, essere attenti, impugnare correttamente la matita, ritagliare e relazionarsi con gli altri. Tuttavia ci sono bambini che non hanno ancora raggiunto l'acquisizione di tali abilità e di conseguenza possono sviluppare un probabile DSA, IPERCINESIA O DISTURBI DELL'ATTENZIONE, non perché non siano intelligenti, ma perché i loro sistemi sensori-motori di base non erano completamente maturi al momento dell'ingresso a scuola. Pertanto, l'attenzione l'equilibrio e la coordinazione (Attention, Balance and Coordination) rappresentano l'ABC sui quali si costruiscono i successivi apprendimenti scolastici⭐ La società ripone molta attenzione allo sviluppo del linguaggio del bambino, al suo successo scolastico ed intellettuale, dimenticandosi di prestare attenzione alle fondamenta sensori-motori necessarie per sviluppare le funzioni cognitive superiori⭐ L'attività motoria è preziosa poiché procura stimoli sensoriali in grado di aiutare il bambino ad organizzare il processo di apprendimento, imparare nuove competenze e rispondere in modo efficace alle sfide adottando comportamenti appropriati⭐ ⚠⚠ Di seguito vi elenchiamo alcuni suggerimenti utili per insegnanti, genitori e figure professionali che ruotano attorno al bambino: 1. Scegliere un asilo in cui le insegnanti basino la loro attività sullo sviluppo neuropsicomotorio e tengano conto dei diversi modi e tempi di apprendimento di ogni bambino ⭕ Alla luce di ciò che abbiamo descritto, se vi trovate davanti ad un bambino che presenta alcuni o molti dei segni e sintomi sopra elencati, non ritardate l' intervento riabilitativo, poiché il b.no potrebbe giungere alla conclusione di essere un incapace e di bloccarsi psicologicamente ed emotivamente. Più si interverrà in età precoce e più si aiuterà il cervello a creare maggiore connessioni e il b.no sarà capace di affrontare gli apprendimenti, la vita adattiva, le relazioni interpersonali e gestire le richieste dell'ambiente circostante. Articolo scritto da: Dott.ssa Francesca Tabellione a cura di: Dott.ssa Erika D'Antonio wp:tadv/classic-paragraph /
Per saperne di più
I nostri Blog – da admin
LE DIFFICIOLTA' DI PERCEZIONE VISIVA
La capacità di vedere e di elaborare gli stimoli visivi è fondamentale per lo sviluppo del bambino a livello cognitivo, neuromotorio, comportamentale e relazionale. Il modo in cui vediamo e utilizziamo i nostri occhi, percependo il mondo circostante attraverso la vista, dipende da numerose connessioni neuronali che richiedono una maturazione del Sistema Nervoso Centrale (SNC) e una adeguata integrazione e processazione delle informazioni sensoriali. La percezione visiva, che non è l’acuità visiva (capacità di vedere distintamente gli oggetti) è un processo complesso di ordine superiore che prevede l’analisi, la selezione e l’elaborazione degli stimoli visivi che giungono al cervello, in particolare nelle aree visive cerebrali, le quali realizzano l’immagine mentale di ciò che è stato osservato attraverso i movimenti oculari e la capacità di fissazione. La percezione visiva riguarda il “come si vede”, l’acuità visiva il “quanto si vede”! Possedere una buona percezione visiva equivale ad avere anche ben sviluppate e mature le abilità oculo – motorie, oculo – manuali e di integrazione visuo – motoria, oltre che una buona acuità visiva. Sia i processi visivi che quelli uditivi, sono alla base dell’apprendimento scolastico. Tuttavia, tali processi, per poter essere ben organizzati e funzionali, necessitano di basi o fondamenta sensori – motorie solide, e pertanto di funzioni sensoriali (vestibolari, propriocettive, tattili) del cervello che si sono sviluppati correttamente. Spesso il bambino viene esaminato per cercare un eventuale deficit presente in una sola area, ma bisognerebbe considerare la globalità delle aree, ad esempio valutare la percezione visiva, uditiva e tattile. Sin da neonati abbiamo riconosciuto il volto di nostra madre e successivamente, attraverso il movimento, orizzontale prima (carponi) e verticale dopo (stazione eretta e cammino) abbiamo imparato le distanze (la metria), dunque l’organizzazione spaziale, le forme, la natura dello spazio e degli oggetti, l’organizzazione temporale (percezione del ritmo). Ancor prima di vedere con gli occhi, grazie alla gravità, possedevamo una prima “percezione dello spazio”. Come facciamo a capire che il bambino presenta un problema di percezione visiva e quali sono i principali campanelli di allarme già a 4 anni? Scarsa capacità di valutare i rapporti spaziali tra il proprio corpo e lo spazio circostante, tra il proprio corpo e gli oggetti o tra il proprio corpo e un’altra persona: il bambino urta spesso contro gli oggetti, i mobili, le persone, scivola da uno scalino, perché fatica a regolare e organizzare lo spazio circostante e a metterlo in relazione con il proprio corpo. Difficoltà nel mantenere la fila con gli altri bambini Difficoltà a organizzare e pianificare la sequenza di un gioco o di un’attività Difficoltà in molti compiti di coordinazione oculo – manuale (incollare figurine o piccoli pezzettini di carta, girare le pagine di un libro, lanciare e afferrare una palla, infilare perline, cucire, fare incastri, ritagliare i contorni di una sagoma, ecc.. Disfunzioni nel sistema vestibolare (scarso equilibrio, goffaggine, difficoltà di percezione spaziale, disorientamento, difficoltà nel seguire oggetti in movimento nel proprio campo visivo o nel spostare gli occhi da un punto all’altro, scarso lavoro sinergico dei muscoli oculari e del collo) Difficoltà nel rimanere all’ interno dei contorni di una figura quando colora (il bambino tende a colorare sempre sullo stesso punto, a bucare il foglio o ad uscire dai bordi) Difficoltà nel rispettare le linee, i margini o i quadretti nella scrittura, nel seguire il rigo nella lettura, nell’a – capo (scorrere nelle righe), confusione di grafemi simmetrici (b – d – p – q), frequenti inversioni e specularità, difficoltà nel leggere le parole nere su uno sfondo bianco, nell’ incolonnamento spaziale dei numeri Scarsa capacità di produrre adeguatamente le varie dimensioni delle lettere, tratto grafico irregolare anche nella continuità, fluenza, spessore, chiusura, spazio, ritmo (disturbi della grafia) Scarso interesse nel fare un puzzle o nel giocare con le costruzioni Difficoltà nell’individuare i particolari all’interno di una figura con iperstimolazioni (il bambino manifesta problemi nella capacità di scansione e ricerca visiva) Impaccio nelle abilità manuali e nelle prassie di vita quotidiana/A.V.Q. (mettersi i vestiti, abbottonarsi-sbottonarsi, allacciarsi le scarpe o mettersi le scarpe al posto giusto, usare cerniere, ecc.) Difficoltà nel riconoscimento di forme geometriche (triangolo, quadrato, rombo, cerchio, rettangolo) e di segni matematici (confonde + e x) Disegno immaturo: il bambino mostra difficoltà nella riproduzione delle proporzioni tra forme e figure, nel disegnare i particolari o i rapporti spaziali tra gli elementi, nell’organizzazione dello spazio-foglio, nel corretto utilizzo degli strumenti per il disegno tecnico (righelli, squadre e compasso) Difficoltà nel riconoscere le differenze e le somiglianze nelle immagini, nel costruire o risolvere labirinti Impaccio nell’organizzare il materiale scolastico o la sua cameretta a casa. Pertanto, per poter lavorare accuratamente con un bambino che manifesta problemi di percezione visiva, consigliamo di non partire da attività prassico - costruttive o grafo-motorie: tali lavori sarebbero “riduttivi” e stimolerebbero solo le “capacità superiori”, senza però aiutare il bambino a organizzare e utilizzare la sua abilità visuo- percettiva in modo efficace per gli apprendimenti e per il suo sviluppo neuropsicomotorio. Per aiutare lo sviluppo visivo sono utili, in primo luogo, tutte le attività sensori – motorie (stimolazioni tattili, propriocettive, visive, vestibolari) e, in secondo luogo, esercizi/attività di inseguimento visivo (lavoro sui muscoli oculari), di coordinazione oculo – manuale e oculo – motoria, visuo – spaziali e visuo – percettive (incastri, costruzioni, tangram, puzzle, tetris, giochi di problem solving, labirinti, somiglianze e differenze, ecc.), grafomotorie (disegno, campiture, griffonages, segni prescritturali, tracciare linee varie all’interno di binari, ecc.) Qualora incontriate alcuni o molti dei segni e dei sintomi sopra elencati nel vostro bambino, sarebbe opportuna una valutazione Neuropsicomotoria da parte di specialisti del settore. Dott.ssa TNPEE Francesca Tabellione Dott.ssa TNPEE Erika D’Antonio Bibliografia: Learning disabilites, Boston, Haughton Mifflin Company (1993) Socioemotional disturbancies of learning disablet children (Rorke, 1988) Fisiologia del comportamento (Neil R. Carlson)
Per saperne di più
I nostri Blog – da admin
LA DISORGANIZZAZIONE FUNZIONALE ESECUTIVA ALLA BASE DELLA DISLESSIA
Vi siete mai chiesti cosa c'è dietro il problema della lettura nei nostri bambini? Cercheremo di elencarvi i punti più salienti per farvi comprendere la condizione dislessica (dislessia- disgrafia- discalculia) sotto un altro punto di vista: quello motorio- prassico! Da un punto di vista neurofunzionale e neurobiologico, la condizione dislessica (dislessia- discalculia- disgrafia) è un disturbo funzionale e qualitativo nell'esercizio della lettura scrittura- calcolo, che si verifica a carico di una funzione esistente ma non ancora automatizzata . Questo vuol dire che il soggetto dislessico alterna buone e cattive prestazioni: la sua lettura è discontinua, disfluente, non coordinata; può leggere bene per una parte del testo e poi ricorrere alla lettura sillabica, lenta o piena di errori e di conseguenza perdere il senso di ciò che sta leggendo (la lentezza altera le sequenze spaziali e temporali del pensiero e la scarsa comprensione del testo é conseguente alla cattiva lettura o scrittura). Il linguaggio non è alterato da un punto di vista fonologico, simbolico bensì motorio (esecutivo- sequenziale): le sostituzioni di foni, infatti, si manifestano all'interno delle parole poiché il dislessico percepisce le singole lettere (sebbene compia specularitá con p-q-d-b che interessano la dominanza laterale) ma non riesce a organizzarle in condizioni di rapidità, di ritmi alternati e di sequenze sovrapposte! Anche il pensiero risulta lento e smarrito o intuitivo e brillante (diade funzionale). Pertanto, da un punto di vista motorio - prassico, la Dislessia si configura come un disordine delle prassie, interessando: - le sequenze e la fluidità delle funzioni esecutive (motorie - percettive - coordinative, sequenziali, organizzative, autoregolative) - la dominanza laterale (indica la specializzazione di un emisfero sull'altro e la sua corretta affermazione è indice di una buona efficienza dei circuiti neurali e degli scambi inter-emisferici) - l' organizzazione spazio- temporale. La natura è essenzialmente neurocorticale: disordini a carico dei circuiti neurali e degli scambi inter- emisferici che sono interessati da un andamento randomizzato e lento, e che rallentano la reattività generale del soggetto e la messa in atto di strategie di autocontrollo (per tale ragione il dislessico è spesso precipitoso, alterna lentezza a precipitazione e manifesta una lentezza nei processi di frenaggio ). Quali sono i sintomi precoci di una DISLESSIA SU BASE DISPRASSICA che possiamo ricercare/valutare a partire dai 5 anni, che ci permettono di capire meglio la situazione e di definire se si tratta di un disturbo specifico o secondario? - lentezza motorio- prassica alternata a precipitazione - lentezza nell'incipit delle azioni - goffaggine, maldestrezza, scoordinamenti - disturbi nell'orientamento/ organizzazione spazio-temporale (sequenze spaziali e temporali, ordine/ disordine eccessivo, smarrimento negli spazi grandi, difficoltà con i concetti di prima- dopo, ieri-oggi- domani, giorni della settimana, ecc) - impacci/ difficoltà nelle prassie fini e BIMANUALI (lavarsi, vestirsi, abbottonarsi, impugnare matite o posate, prendere al volo,ecc.) - difficoltà nella memoria di lavoro/ sequenziale/ ordinata - frequente labilità attentiva - disordini verbali (nell'incipit locutorio, inversioni di lettere o sillabe nelle parole: dialogo- diagolo, omissioni di lettere, sostituzioni di foni nelle parole, difficoltà nel parlare rapido o in parole lunghe, ecc.) - difficoltà nell'eseguire più consegne in sequenza, nel battere ritmi - difficoltà/lentezza/ impaccio negli schemi rotatori- crociati e motori, nei balli di gruppo, nella motricità rapida, nel salto di ostacoli, nell'equilibrio, nei giochi con la palla, nei coordinamenti oculo- motori, visuo- grafo- motori, balistici, nelle sinestesie percettivo o verbo- motorie -lentezza nei processi di autoregolazione/autocontrollo/ autoinibizione (comportamento impulsivo, dotato di insufficiente controllo, iperattività) - frequente DISLATERALITÀ - insofferenza alla confusione, all'affollamento e alla pressione, sensibilità alla iperstimolazione - difficoltà nell'inseguimento visivo / percettivo (di figure o oggetti che si muovono o di oggetti fermi mentre si muove l'osservatore) - lentezza nell'adeguarsi ai cambi di ambienti/ attività/ giochi Pertanto, è lecito chiederci: "la Dislessia riguarda un problema di lettura o del comportamento funzionale generale?" Siamo abituati a vedere la Dislessia come un disturbo fonologico, di associazione suono-segno che tuttavia le neuroscienze hanno considerato "riduttivo". La Dott.ssa Angela Fawcett parte proprio dal prendere in esame i sintomi secondari del comportamento dislessico e, analizzando i risultati delle neuroimmagini (studio PET), accosta la Dislessia all'ambito motorio e alle pertinenze del cervelletto, considerando i disturbi del linguaggio da un punto di vista sequenziale e articolatorio, degli automatismi di pronuncia, rendendo inadeguato il termine "fonologia". Questo basta per capire che solo con prove di lettura non si può definire il livello funzionale del singolo bambino, ma bisogna considerare i sintomi secondari come reali rilevatori del suo funzionamento. Se si effettua quindi una valutazione più ampia, considerando anche gli aspetti MOTORIO-PRASSICI GLOBALI, si osserva come principale indicatore una LENTEZZA NELL'INCIPIT (avvio lento) DELL'AGIRE e difficoltà nei PROCESSI DI AUTOMATIZZAZIONE DELLE PROCEDURE. E' facile dedurre che, se non viene intrapreso un intervento precoce sugli aspetti sensori-prassico-motori in età prescolare, il bambino arriverà nella scuola primaria senza i necessari requisiti per apprendere la letto-scrittura e con abilità non sviluppate o ben organizzate. Nonostante la centralità dell'ipotesi del deficit fonologico, a livello cognitivo il problema che hanno evidenziato le ricerche attuali sembra molto più complesso: molte regioni del cervello sono coinvolte nell'acquisizione ed esecuzione delle abilità cognitive e motorie. Prendiamo in considerazione e sintetizziamo i punti fondamentali della teoria della professoressa A. Fawcett: - motricità e processi cognitivi (cognition: organizzazione e coordinamento del pensiero e dell'agire umano) è un sistema unico, pertanto bisogna agire a livello globale con il soggetto dislessico per riorganizzare i processi disfunzionali - non usare pratiche lente e frammentate: rallentano l'agire, disperdono l'attenzione e gli automatismi. Il dislessico ha necessità di lavorare con elevata intensità su tutti gli ambiti: percettivi - cognitivi - coordinamenti motori/visuo-motori - linguaggio - memoria - attenzione - sinestesie - pensiero - organizzazione spazio-temporale, autoregolazione - è fondamentale un intervento tempestivo precoce (età pre-scolare 3-5 anni), affinchè si possano costruire le BASI SENSORI-MOTORIE e gli AUTOMATISMI per prevenire o ridurre al massimo eventuali disordini successivi sugli apprendimenti e sulle funzioni esecutive umane del bambino. Dott.ssa T.P.E.E. Francesca Tabellione Studio di Riabilitazione Neuropsicomotoria Bibliografia:Piero Crispiani, Angela Fawcett, Mauro Spezzi
Per saperne di più
I nostri Blog – da admin
STIMOLAZIONE SENSORIALE PER BAMBINI IPER O IPO ATTIVI
Nella nostra esperienza clinica riabilitativa e attraverso i colloqui con le insegnanti e i genitori, notiamo che la richiesta maggiore è quella di “calmare” quei bambini che manifestano una eccessiva reattività agli stimoli sensoriali esterni ed interni. Tuttavia, perché non prestiamo attenzione a quei bambini che hanno difficoltà a rimanere vigili e impegnati durante il giorno? Bambini che sono quasi sempre impegnati in giochi sedentari? Bambini che dobbiamo davvero fare di tutto per farli rimanere motivati e interessati?Questo articolo nasce dall’ idea di proporre idee e stimoli adatti a bambini che non riescono a stare fermi e che hanno una scarsa capacità di autoregolazione/ autoinibizione/ autocontrollo (disattenzione, iperattività, ipercinesia, impulsività), ma allo stesso tempo adatti anche a quei bambini ipoattivi e “passivi” ( sono immobili nel banco, parlano solo se interrogati, ignorano gli oggetti e stimoli dell’ambiente, restano seduti anche durante i momenti ludici, hanno notevoli difficoltà a farsi coinvolgere nei momenti di gioco, non fanno trasparire alcune emozioni, scarse abilità sociali, posso andare incontro a depressione o a disturbi evitanti di personalità) che spesso vengono sottovalutati e non segnalati ai genitori.Queste due categorie di bambini, seppur opposte, hanno bisogno di una serie di strategie affinchè possano avere successo in classe e nella vita adattiva.Ecco alcuni dei nostri esercizi per fornire degli input sensoriali per questi bambini!Pre allertare il bambino circa le attività di movimento.Quando si tratta di fornire input sensoriali attraverso il movimento, concentrarsi su attività di movimento più rapide e meno prevedibili piuttosto che su movimenti lenti, ritmici e lineari.1) SaltareProva da un trampolino o tappeto elastico, salta sul posto2 ) RimbalzareProva a sederti su una palla “bobath” e rimbalzare mentre canti una canzone, pronunci i giorni della settimana o una sequenza di numeri3) Freeze movementAd un preciso segnale da parte della terapista, i bambini devono fermare il movimento( corsa striscio , gattonamento, cammino , salto) e riprenderlo ad un altro segnale.4) Giochi Stop / GoSemaforo a tre cerchi disposti nello spazio: cerchio rosso (quando incontra il cerchio rosso il bambino deve fermarsi al suo interno rimanendo immobile), cerchio verde (il bambino deve saltare tre volte all’interno dello stesso) cerchio arancione (il bambino deve inibire questo colore, aggirando l’ostacolo). 5) Attività motorie globali Il bambino deve saltare come una rana all’interno del cerchio camminare carponi all’interno di un tubo strisciare sotto un ponte camminare come un granchio sul materassino ( importante per il controllo posturale e per assumere la posizione seduta sulla sedia poiché i bambini utilizzano braccia e gambe per sostenere il tronco) rotolare da supino a prono e viceversa Camminata sui talloni alternata alla camminata sulle punte Gioco del ponte: il bambino deve sdraiarsi a terra tenendo le spalle appoggiate al suolo e le ginocchia piegate, gli si chiede di alzare solo il bacino(deve rimanere in questa posizione per circa 5/10 secondi) Posizione di Superman: il bambino deve assumere la posizione prona con le braccia e le gambe completamente estese; ciò favorisce l’acquisizione della percezione corporea(schema corporeo), il rafforzamento dei muscoli tonico-posturali(schiena) e il potenziamento dello sviluppo motorio-globale Far rotolare un cerchio spingendolo con la mano tesa per poi corrergli a fianco Far roteare un cerchio davanti a sè come una trottola e mentre oscilla entrarvi e uscire senza urtarlo Muoversi liberamente nello spazio utilizzando un foulard o una palla di spugna Correre più velocemente possibile per raggiungere un traguardo Camminare in fretta/lentamente in base al ritmo musicale 6) Giochi propriocettivi e di equilibrio: l’altissimo numero di impulsi propriocettivi inviati al cervelletto e al sistema extra-piramidale consentono enormi progressi a chi necessita di interiorizzare il proprio schema corporeo e i propri automatismi motori camminare seguendo una linea tracciata sul pavimento o avanzare sulla stessa a balzelli come un canguro sia in avanti che all’indietro camminare ad occhi chiusi da un punto A della stanza ad un punto B , marciare come un soldatino sollevando bene il ginocchio e il braccio controlaterale, attraversare la stanza saltellando su un solo piede in avanti e all’indietro, attraversare brevi spazi, stando in equilibrio su ceppi, rimanere in equilibrio per qualche secondo su tavole basculanti (occhi aperti e chiusi) camminare sui cuscini di equilibrio disposti in fila alternando il tallone di un piede contro la punta dell’altro camminare/correre sul materassini ad acqua 7) Giochi per le attività motorie in posizione prona con i gomiti poggiati a terra spingere una palla di diverse dimensioni avanti e indietro disegnare , colorare, leggere o fare puzzle assumendo la posizione prona dalla posizione prona alzare il braccio e la gamba controlaterale per una durata di 5/10 secondi 8) Giochi per attività motorie in posizione supina flettere le ginocchia e toccarle con entrambe le mani con braccio destro toccare il ginocchio sinistro e viceversa il bambino deve afferrare e sfilare/infilare gli anelli dai suoi piedi partendo da una posizione con braccia flesse, il bambino deve afferrare la palla che gli viene lanciata dal terapista 9) Attività tattili (DELACATO)Il terapista può effettuare su tutto il corpo del bambino (escluso pancia , genitali e viso) : Tocco leggero/forte Vibrazione Sfioramento Picchiamento Schiacciamento dei singoli polpastrelli delle dita (mani e piedi) 10) Attività visive (DELACATO)Il terapista esegue sul bambino esercizi con fonti luminose: Penna luce bianca non led (fermare la luce per 5 secondi in ogni angolo dell’occhio) Penna luce colorata (far ruotare la luce per 5 secondi davanti all’occhio destro e poi davanti all’occhio sinistro) Inseguimento visivo di un oggetto in movimento (senza compenso del capo) e fissazione per circa 5 secondi di un oggetto immobile. Pertanto è fondamentale una valutazione e un intervento tempestivo al fine di limitare eventuali ripercussioni sugli apprendimenti scolatici e sulla vita adattiva/socio-emotiva del bambino.Neuropsicomotriciste - Psicomotriciste dell'Età Evolutiva - Relatrici- Ideatrici di schede operativeDott.ssa Erika D'AntonioDott.ssa Francesca Tabellione
Per saperne di più
I nostri Blog – da admin
LA PRIMA TRACCIA: LO SCARABOCCHIO
wp:paragraph Dagli ultimi studi e ricerche, abbiamo potuto notare come, uno degli argomenti molto discussi è la scrittura in corsivo. /wp:paragraph wp:paragraph In questo articolo, tratteremo lo scarabocchio e il disegno: aspetti importanti per acquisire la scrittura. /wp:paragraph wp:paragraph LE TAPPE GRAFICHE /wp:paragraph wp:gallery {"linkTo":"none"} wp:image {"id":3328,"sizeSlug":"large","linkDestination":"none"} /wp:image wp:image {"id":3327,"sizeSlug":"large","linkDestination":"none"} /wp:image wp:image {"id":3329,"sizeSlug":"large","linkDestination":"none"} /wp:image wp:image {"id":3330,"sizeSlug":"large","linkDestination":"none"} /wp:image wp:image {"id":3331,"sizeSlug":"large","linkDestination":"none"} /wp:image /wp:gallery wp:paragraph 1° STADIO: PRIMI TENTATIVI- LE PRIME TRACCIE 15-18 MESI /wp:paragraph wp:paragraph 2° STADIO:COSCIENZA DELLA FORMA (36 MESI- 3 ANNI FINO A 5-6 ANNI) /wp:paragraph wp:paragraph 3° STADIO: LA PADRONANZA DELLA TRACCIA. INTERIORIZZAZIONE DELLE FORME (5-6 ANNI) /wp:paragraph wp:paragraph La traccia è una scoperta fondamentale. Quando un bambino capisce che la sua azione lascia un segno l’esaltazione e la soddisfazione lo spronano a ripetere l’esperienza. Succede con la traccia sonora del vocalizzo che, scoperta per caso, viene poi usata intenzionalmente per produrre effetti su se stessi e gli altri, dotandosi pian piano di significati e trasformandosi in vero e proprio linguaggio. Ugualmente succede con la traccia segnica, ancor meno effimera, che dapprima conseguenza casuale di un gesto prende forma per diventare significante rappresentazione e mezzo di espressione di sé all’altro. /wp:paragraph wp:paragraph I primi segni traccianti vengono eseguiti senza controllo motorio sviluppato. Il segno è conseguenza di un gesto e vi partecipa tutto il corpo, non solo la mano o il braccio. Questo segno però è espansione di sé nello spazio grafico, nelle diverse direzioni in rapporto alla postura assunta dal bambino. /wp:paragraph wp:paragraph Solo successivamente, intorno ai sei mesi il bambino impara che c’è un rapporto tra movimento e segno ottenuto, una scoperta che consente di variare a piacere le linee iniziando faticosamente un tentativo di controllo del gesto. /wp:paragraph wp:paragraph Tra i 16-18 mesi i tracciati sono ancora caotici. Non vi è alcun tentativo di rappresentazione della realtà e nemmeno di riconoscimento della realtà all’interno del disegno. /wp:paragraph wp:paragraph Tra i 2 e i tre anni che il bambino inizia a dare un nome allo scarabocchio, attribuendogli significati desunti dal mondo circostante. /wp:paragraph wp:paragraph A due anni compaiono i segni circolari e ad angolo; a due anni e mezzo, aumentando il controllo motorio, il bambino inizia a non uscire più dai bordi e a seguire meglio con lo sguardo la mano che traccia. /wp:paragraph wp:paragraph A tre anni in genere il bambino inizia a rappresentare il mondo che lo circonda e suoi stati interni, una intenzionalità rappresentativa che segna il passaggio dallo scarabocchio al vero e proprio disegno. /wp:paragraph wp:paragraph Il disegno è l'espressione più autentica e originale della personalità infantile in quanto può essere definita come un 'attività motoria spontanea. e' un mezzo di comunicazione ed espressione perchè capace di esprimere i sentimenti e le emozioni. E' un'attività attraverso la quali il b.no interagisce con l'ambiente circostante e acquisisce esperienze. E' lo stadio immediatamente precedente scrittura. /wp:paragraph wp:paragraph Neuropsicomotriciste - Psicomotriciste funzionali - Formatrici - Ideatrici e realizzatrici di schede operative /wp:paragraph wp:paragraph Dott.ssa TABELLIONE FRANCESCA /wp:paragraph wp:paragraph Dott.ssa D'ANTONIO ERIKA /wp:paragraph
Per saperne di più
I nostri Blog – da admin
PERCHE' E' IMPORTANTE GATTONARE?
Il GATTONAMENTO: perchè è così importante e perchè non bisogna trascurare questa tappa? Siamo due neuropsicomotriciste (formatrici, ideatrici di libri e schede operative, psicomotriciste funzionali, terapiste itard,) esperte da circa dieci anni nel settore dei vari disordini del neurosviluppo. Abbiamo pensato di approfondire questo argomento poichè spesso i genitori ci riferiscono che il loro piccolo (con varie difficoltà motorie, prassiche o di apprendimento) ha saltato questa tappa o l'ha eseguita in maniera scorretta. Inoltre, ci capita sentire che alcuni professionisti riferiscano ai genitori che saltare questa tappa motoria e passare direttamente alla deambulazione non abbia nessuna importanza ma vedremo che non è così. E' opportuno ricordare che ogni bambino ha i suoi tempi che vanno rispettati. E' stato dimostrato che GATTONARE è estremamente importante per lo sviluppo motorio e cognitivo dei bambini: non si tratta di una tappa della crescita "di serie B" ma di un periodo durante il quale il bambino comincia a sviluppare importanti capacità che sono dei requisiti per i futuri apprendimenti e per lo sviluppo emotivo e sociale. Il gattonamento (che in genere inizia tra i 9 e i 10 mesi) prepara e allena il bambino alla sua futura coordinazione motoria; inoltre il passaggio dalla posizione quadrupedica a quella bipede (in piedi) permette la formazione delle curve fisiologiche.Non è importante anticipare le tappe motorie quanto raggiungerle quando si è veramente pronti! Non tutti i bambini gattonano: alcuni lo fanno per pochissimo tempo, altri si spostano strisciando sul sedere, ecc. Cari genitori, non preoccupatevi perchè non gattonare non significa che inevitabilmente il vostro bimbo avrà problemi motori e cognitivi.Benefici del GATTONAMENTO: Aumenta la coordinazione occhio-mano prima e successivamente mano-occhio-piede-corpo: quando i piccoli esaminano un oggetto, ad esempio, imparano a sviluppare la distanza ed il posizionamento e a sfruttare il movimento delle mani per raggiungerlo in sincronia con gli occhi, che devono poter lavorare insieme. Impara a sviluppare la visione binoculare, ovvero il meccanismo grazie al quale percepiamo ciò che vediamo come un'immagine unica nonostante lo stimolo visivo ci arrivi da due fonti diverse: il bambino guarda la distanza, vale a dire il punto dove vuole arrivare e riporta gli occhi alle sue mani che devono muoversi per giungere a destinazione. Sviluppa la propriocezione: impara a percepire la posizione del corpo nello spazio e il grado di contrazione dei propri muscoli anche senza l’aiuto visivo e rafforza i muscoli del tronco, delle spalle e delle mani. Sviluppa le funzioni cognitive. Avete mai sentito parlare del lato destro e sinistro del cervello? Per poter funzionare al meglio, queste due parti devono essere in piena comunicazione tra loro, e la loro capacità di comunicare non è un’abilità del tutto innata. I movimenti richiesti per gattonare portano i due lati del cervello ad interagire e a comunicare tra loro attraverso scambi elettrici, creando aree di informazioni importanti per la maturazione delle diverse funzioni cognitive: in tal modo anche i neuroni si organizzano e hanno un ruolo cruciale in alcuni processi come l'apprendimento, la concentrazione e la memoria. Aumenta la fiducia in se stesso: il bambino impara anche a prendere decisioni circa la destinazione e la velocità, e sperimenta il piacere provocato dal raggiungimento del suo obiettivo. Sviluppa lo schema crociato, ovvero la funzione neurologica per cui il braccio destro si muove in sincronia con la gamba sinistra e viceversa. Un bambino che gattona rappresenta un progresso sia a livello fisico che neurologico; muoversi in questo modo lo prepara anche a sviluppare successivamente competenze più complesse, come ad esempio la capacità di leggere e scrivere.Il bambino si sviluppa passando attraverso fasi precise e programmate; vi sconsigliamo di anticipare le "tappe motorie" poichè portano a una disorganizzazione neurologica. Alcuni studi hanno trovato dei collegamenti tra il mancato gattonamento e la dislessia, la cattiva coordinazione, la mancanza di concentrazione e i disturbi dell’apprendimento. Tutto questo è dovuto ad interferenze di sviluppo neurologico, di integrazione tra emisfero destro e sinistro; questo non significa che l’assenza di gattonamento sia la causa delle condizioni sopracitate, ma che esistono problematiche preesistenti che impediscono o rallentano il gattonamento ed influiscono anche sui problemi di cui vi abbiamo parlato.Perché un bambino non gattona?Dipende da molte variabili, non solo dalla maturazione del sistema nervoso centrale, ma anche dalla risultante di una serie di fattori che cooperano tra loro: fattori ambientali o motivazionali (un bambino che spesso viene tenuto in braccio, o nel box o nel girello sarà poco motivato).Quali sono i consigli e gli esercizi che possiamo fornire ai genitori a casa? Non anticipare le tappe, anche se tutti siamo fieri di mostrare come il nostro bambino cammina e mangia precocemente da solo. Lasciare il bambino a pancia in giù (utilizzando un tappeto posto per terra e sotto la supervisione dell'adulto) anche durante il cambio del pannolino, e successivamente anche per pochi minuti durante il giorno: è un'ottima palestra per rafforzare i muscoli del tronco, braccia, spalle. Intorno ai 3-4 mesi riuscirà a sostenere la testa e a guardarsi intorno. Mettersi a terra insieme al bimbo per farlo sentire più a suo agio, specialmente all’inizio, invogliarlo a gattonare mettendo il suo giocattolo preferito davanti a lui a una certa distanza: in questo modo proverà a raggiungerlo spostandosi, cominciando ad entrare nella dinamica di muoversi per arrivare a una destinazione. Limitare il tempo che il bimbo passa su seggiolone, passeggino, ovetto o girello. Se il bambino è alimentato con formula, dare il biberon non sempre dallo stesso lato così da non limitare sempre lo stesso braccio e lo stesso occhio, ma alternare le posizioni per lo sviluppo bilaterale di occhio e braccio. COSA CONSIGLIAMO IN SINTESI? Lasciate il bambino completamente libero di esplorare il mondo che lo circonda in autonomia ( senza utilizzare metodi o accessori potenzialmente dannosi) e le sue nuove capacità motorie.Avete trovato questo nostro articolo interessante? Continuate a seguirci sul nostro sito e sulla nostra pagina fb "BC-BRAIN CHILDREN" dove saranno affrontati/trattati nuovi argomenti inerenti i disturbi dell'età evolutiva, ricchi di spunti- consigli per la pratica riabilitativa e di supporto alla vita quotidiana.Neuropsicomotriciste - Psicomotriciste funzionali - Applicatrici di metodi - Formatrici - Ideatrici e realizzatrici di schede operativeDott.ssa TABELLIONE FRANCESCADott.ssa D'ANTONIO ERIKA
Per saperne di più
I nostri Blog – da admin
L'IMPORTANZA DEL CORSIVO: COLLEGAMENTO TRA MANO E CERVELLO
Ad ogni tipo di scrittura (stampatello e corsivo) sono associati schemi cerebrali differenti e diversi stati emotivi. In particolare la scrittura in corsivo attiva le reti della lettura e della scrittura. Gli studi portati avanti dalle neuroscienze dimostrano come il progressivo oblio della scrittura manuale ha delle conseguenze sul funzionamento del cervello umano. La penna, anche per il suo non poter essere cancellata, costringe il cervello ad operare scelte veloci dei vocaboli da utilizzare; allo stesso tempo è necessario prestare massima attenzione a scrivere bene tutte le lettere, a seguire le regole grammaticali, ecc.. Scrivere in corsivo, a differenza dello stampatello, obbliga a non staccare la mano dal foglio. Uno sforzo che stimola il pensiero logico-lineare, quello che permette di associare le idee in modo lineare. I giovani con maggiori abilità nello scrivere in corsivo hanno una migliore capacità deconcettualizzare gli argomenti e di problem solving. Usare la tastiera attiva solo la parte sinistra del cervello. Con carta e penna, invece, si attivano l’emisfero sinistro, la zona frontale inferiore e la corteccia parietale posteriore, cioè le aree che sovrintendono la coordinazione occhio-mano, la motricità fine. Secondo alcuni studi la mancanza dell'uso del corsivo può avere effetti negativi sullo sviluppo del cervello. In una ricerca dell’Università dell’Indiana, condotta dalla psicologa Karin Harman James, è risultato che la scrittura manuale è in grado di attivare importanti processi cognitivi.“I bambini capaci di scrivere a mano, hanno fatto registrare un’attività neuronale molto più sviluppata rispetto all’altro gruppo testato, comprovando l’importanza della produzione manuale di segni bidimensionali". Un altro risultato importante a favore del corsivo viene dallo studio di Virginia Berninger dell’Università di Washington: “In termini di costruzione del pensiero e delle idee, c’è un rapporto importante tra cervello e mano. La scrittura manuale legata accende massicciamente aree del cervello coinvolte anche nell’attività del pensiero, del linguaggio, e della memoria” dice l'esperta. Secondo Federico Bianchi di Castelbianco, psicoterapeuta dell'età evolutiva, la perdita del corsivo potrebbe essere alla base di molti disturbi dell'apprendimento. "Scrivere in corsivo vuol dire tradurre il pensiero in parole, scrivere in stampatello vuol dire invece sezionarlo in lettere, spezzettarlo, negare il tempo e il respiro della frase. E il corsivo così come lega le lettere lega i pensieri" dice l'esperto. Neuropsicomotriciste, psicomotriciste funzionali, applicatrici di metodi, formatrici Dott.sse D'Antonio Erika e Tabellione Francesca
Per saperne di più
I nostri Blog – da admin
IPO o IPER STIMOLAZIONE? PROBLEMI SENSORIALI NELL'AUTISMO
I problemi sensoriali rappresentano un fattore che caratterizza i Disturbi dello Spettro Autistico. Un rumore o un tocco improvviso possono scatenare una reazione di paura o disagio nelle persone con disturbi dello spettro autistico. Questa ipersensibilità, si pensa sia dovuta ad alterazioni della conformazione e della attività cerebrale. Circa il 90% delle persone con disturbi dello spettro autistico, tuttavia, manifesta una alterata sensibilità agli stimoli sensoriali (visivi, uditivi, tattili). I ricercatori dell’Università di Trento hanno trovato nel cervello di topi che, similmente alle persone autistiche, mostrano una ipersensibilità agli stimoli tattili due peculiarità: una ridotta connettività della corteccia somatosensoriale, l’area del cervello che riceve ed elabora questi stimoli, e una forte attivazione dell’amigdala, regione cerebrale tipicamente coinvolta nelle risposte di paura. I sistemi sensoriali di cui siamo forniti ci permettono di acquisire le informazioni necessarie per agire, interagire e comprendere il mondo esterno e sono alla base dell'apprendimento. Le difficoltà delle persone autistiche ad inserirsi nel mondo potrebbero pertanto essere ascritte a sovra e sotto/sovra stimolazioni dei vari sistemi sensoriali (per es. un suono debole avvertito con particolare intensità o un tocco, una carezza sperimentati come la pressione esercitata da carta vetrata). Da qui discende la frase di Temple Grandin (2002), (una persona autistica ad alto funzionamento, che insegna Scienze del comportamento animale all'Università del Colorado e progetta attrezzature per la zootecnia): "le persone con gravi problemi sensoriali hanno enormi difficoltà a comprendere come sia la realtà" . Sono implicati tutti i cinque sensi: vista, udito, tatto, olfatto, gusto e la sensibilità cinestesica e propriocettiva. Esistono delle differenze individuali nella gamma e nella severità di questi problemi, tuttavia le principali anormalità possono essere sintetizzate nel seguente modo: - ipo e ipersensibilità agli stimoli ambientali che spesso fluttua tra i due poli; tali stimoli possono essere di natura uditiva, olfattiva e tattile. Conseguentemente una persona autistica può annusare, ricercare il contatto in maniera eccessiva, fino all'autolesione, oppure può rifiutare le fonti di rumori, di odori e di contatti. TATTO Il senso del tatto può essere caratterizzato da estrema sensibilità, ma allo stesso tempo può essere utilizzato in maniera più efficace di altri sensi per percepire il mondo esterno. Rientra in questo ambito tutta la problematica relativa al contatto fisico di cui si è accennato in precedenza. T. Grandin riferisce che lei, come altre persone affette da autismo, ha una pelle estremamente sensibile e questo le rende difficile tollerare le sensazioni derivanti dai vestiti appena indossati e abituarsi a questi, soprattutto se non sono realizzati in tessuti morbidi. Alcuni non hanno consapevolezza dei loro confini corporei, cioè non riescono a capire dove finisce il loro corpo e dove comincia il mondo esterno; Donna Williams, ad esempio, racconta che riusciva a percepire solo una parte del proprio corpo per volta e che si dava colpi per capire dove fossero i propri confini corporei. Infatti, sono frequenti i comportamenti autolesionistici, come mordersi o colpirsi la testa, forse in parte ascrivibili a questa inadeguata percezione corporea, in parte legati a una ridotta sensibilità al dolore. IPO-TATTO: -non si accorgono del dolore -autoagressione -svolgono attività ripetitive IPER-TATTO: -riufiutano il contatto -sono infastiditi dai vestiti -non accettano la variazione caldo/freddo, -hanno atteggiamenti delicati UDITO Generalmente i suoni che disturbano maggiormente le persone autistiche sono striduli ed acuti come quelli prodotti da frullatori, aspirapolvere, trapani elettrici, seghe, ecc. Alcune persone non tollerano i rumori della quotidianità; per qualcuno può essere insopportabile persino il rumore della pioggia o del sangue che scorre nelle proprie vene. Naturalmente esistono differenze individuali e un suono che disturba una persona può essere piacevole per un'altra. Inoltre è ipotizzabile che i problemi uditivi di comprensione possano essere alla base dei problemi di linguaggio. IPO-UDITO: -sbattono gli oggetti violentemente -gridano -appoggiano l’orecchio a superfici vibranti -fanno costantemente scorrere l’acqua -sbattono le porte IPER- UDITO: -sopportano il rumore che provocano loro stessi, ma si allontanano da rumori esterni -hanno un sonno leggero -percepiscono suoni che noi nn percepiamo VISTA La vista può ugualmente prestarsi a distorsioni percettive. Alcuni possono essere attratti da un certo tipo di colori, da oggetti in movimento, da particolari forme, mentre altri possono esserne spaventati. Alcuni si comportano come se fossero ciechi quando si trovano in luoghi sconosciuti, altri hanno momenti in cui vedono tutto bianco o tutto nero, altri ancora manifestano problemi nella percezione dell'illuminazione fluorescente. Inoltre, si riscontrano difficoltà nello stabilire il contatto oculare o nel riconoscere le espressioni facciali e tale limite sembra ascrivibile a specifici deficit funzionali in un'area cerebrale (area fusiforme lobo temporo - ventrale), e ha importanti implicazioni in ambito sociale. IPO-VISIONE: -si dondolano -sono attratti da fonti luminose .-hanno paura dell’altezza, profondita, gallerie e sono terrorrizzato dalla velocità -fanno ruotare gli oggetti -sono affascinati dagli specchi IPER-VISIONE: -possono passare ore a togliere pelucchi dalla maglia -possono passare ore a vedere una goccia di saliva tra le mani OLFATTO E GUSTO Le persone autistiche amano annusare gli oggetti e sembra che traggano informazioni attendibili sull'ambiente. Molti hanno problemi con l'alimentazione perché mangiano solo alcuni tipi di cibo e non altri. Tutto ciò può essere collegato al fatto che non tollerano la consistenza, l'odore, il sapore o il suono di certi cibi in bocca. IPO-GUSTO: -mangiano e bevono sostanze dannose -portano tutto alla bocca IPER-GUSTO: -allontanano il cibo -detestano le bevande gassate. La ricerca scientifica sul tema, nel mondo, va avanti, ma ad oggi non esiste una cura che possa "guarire" una persona autistica, né si conoscono con precisione tutte le cause di questo disturbo.Diagnosticare l'autismo il prima possibile è vitale per poter intervenire al più presto con un insieme di terapie che, pur non potendo essere risolutive, aiutino il bambino a imparare – almeno in parte, almeno per l'indispensabile – a fare quello che il disturbo gli impedisce: interagire coi suoi simili.Dott.ssa ERIKA D'ANTONIODott.ssa FRANCESCA TABELLIONENeuropsicomotriciste dell'età evolutiva
Per saperne di più